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Liliana Segre, Le leggi e la vita
Liliana Segre
Le leggi e la vita
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Costituisce per me motivo di onore, oltre che una sentita assunzione di responsabilità, essere richiesta di un contributo ad una impresa editoriale come questa, promossa dal Consiglio Superiore della Magistratura in occasione della ricorrenza della promulgazione delle leggi razziste imposte dal regime fascista nel 1938. Dopo la mia nomina a senatrice a vita mi è capitato di riflettere sul fatto che a me, cui nel 1938 si erano chiuse le por te della scuola e nel 1944 aper te quelle del Lager di Auschwitz, ottant’anni dopo si fossero aper te le por te del Senato.
La mia vita non è trascorsa invano se questo percorso ha potuto vedere un tale compimento.
Sento il dovere di testimoniare questa evoluzione da “leggi” ignobili e genocide come quelle del fascismo, alla legge fondamentale della nostra Repubblica, la Costituzione, di cui ricorre proprio quest’anno il settantesimo dell’entrata in vigore.
Entro il sistema costituzionale il Csm si colloca ad uno snodo cruciale. In quanto organo di autogoverno della Magistratura esso presidia infatti il delicato e vitale rappor to che si istituisce fra popolo e giustizia, fra i diritti e le istituzioni che devono garantirli. Sento par ticolarmente questo tipo di problemi proprio perché il dramma della mia vicenda personale e famigliare impattava con un ambiente permeato invece di cultura giuridica e di senso dello Stato e della legalità: avvocato mio nonno materno Alfredo Foligno, avvocato dello Stato lo zio Dario Foligno, ma anche mio marito era avvocato e oggi mio figlio Luciano. Ma vorrei anche ricordare che allorché, nel novembre 2008, l’Università di Trieste volle concedermi la Laurea onoris causa in Giurisprudenza, tenni una Lectio magistralis dal titolo: Contro l’indifferenza. Le leggi razziali del 1938 ed il silenzio del mondo.
Ebbene proprio una acuta sensibilità per questi temi mi permette di valutare i rischi a cui il principio di legalità è spesso esposto. Ricordiamo sempre infatti che regimi come quello fascista e nazista sono saliti al potere per via legale. Spostando impercettibilmente ogni giorno più avanti il limite dell’illegalità e della sopraffazione, fino a che grandi paesi come l’Italia e la Germania, ma anche tanta par te d’Europa, si sono poi ritrovati nell’abisso. Troppi “liberali”,
troppi intellettuali, troppi giuristi sono stati complici dell’avvento dei fascismi e anche questo non dobbiamo mai dimenticarlo.
Ricordo ancora quando nel 1938 ascoltai per radio la notizia della promulgazione delle leggi razziali o meglio delle leggi razziste. Anche allora persino negli ambienti della comunità ebraica non si capì subito che cosa stesse accadendo e men che meno che cosa sarebbe successo di lì a pochi anni. Per me fu comunque un trauma realizzare che ero stata “espulsa” dalla scuola. Perché? Che cosa avevo fatto? Mi fu spiegato che “si trattava di una legge che aveva stabilito che tutti gli ebrei dovessero essere “espulsi” dalla scuola e da molte altre attività”. Ma che sistema è quello in cui una “legge” può stabilire una cosa del genere?
Da allora la caduta fu ver ticale. Pensavamo, dopo il 25 luglio 1943, che il peggio fosse passato e invece il peggio doveva ancora venire. L’Italia finì di essere uno Stato sovrano, sia pure dittatoriale, per ritrovarsi il Nord ridotto alla Repubblica fantoccio di Salò e addirittura la par te orientale del Paese, il Friuli Venezia Giulia, strappato all’Italia per essere integrato direttamente nel Reich nazista. Perché il fascismo oltre che un regime sanguinario e totalitario, fu anche tradimento. Tradimento dell’Italia, della sua integrità territoriale, della vita del suo popolo, della sua tradizione di cultura e di civiltà. Se a Trieste poté esserci l’unico lager nazista dotato di forno crematorio in territorio italiano, quello della risiera di San Sabba, fu proprio in ragione di quel tradimento fascista, cioè del fatto che un pezzo impor tante del territorio nazionale fosse stato staccato dall’Italia e consegnato alla giurisdizione diretta dei tedeschi.
Con l’immondo Manifesto della razza del 1938 il fascismo aveva già mostrato il suo volto intimamente razzista, ma a questo fecero seguito tutta una serie di fatti inequivocabili, segno della proter va “coerenza” del regime. Già nel 1938 infatti l’Ufficio demografico del Ministero dell’interno fu trasformato in Direzione generale per la demografia e la razza, la famigerata “Demorazza”, estremo monumento alla barbarie fascista. Da allora fu una ininterrotta caduta agli inferi, interi pezzi della società italiana furono posti hors l’humanité, anche se il fondo fu senza dubbio toccato con la sedicente Repubblica di Salò, allorché i repubblichini, per compiacere i tedeschi, arrivarono addirittura ad inasprire le leggi razziali e la persecuzione degli ebrei. Per noi ha sempre rappresentato uno shock verificare sulla nostra pelle che i più zelanti fra i nostri aguzzini, prima della depor tazione, non erano i nazisti, ma erano proprio gli italiani, i fascisti italiani.
Il fatto è che la persecuzione razziale e l’attiva complicità nello sterminio degli ebrei, come di altre minoranze, fu un esito necessario del fascismo.
La nomina a senatrice a vita è giunta per me del tutto inaspettata. Eppure essa si è mirabilmente inserita in un mio percor so per sonale iniziato almeno dagli anni ’70 e con piena dedizione dal 1990, quando mi resi conto che non potevo essere solo una “sopravvissuta”, ma avevo il dovere di farmi “testimone” dell’immane tragedia della Shoah. Come ebbi a scrivere a Primo Levi mi rendevo sempre più distintamente conto che “da Auschwitz non si esce mai”; perché “il mio numero 75190 non si cancella: è dentro di me.
Sono io il 75190”. Posso dire che “il numero di Auschwitz è impresso nel cuore, è tatuato nella mente e nell’anima: è l’essenza di ognuno di noi che è tornato a raccontare”; per questo la “missione” che mi sono data, di ricordare e testimoniare, non può conoscere requie né soluzioni di continuità. La mia testimonianza però non è mai fine a se stessa. Diffido della retorica del “dovere della memoria”; funziona molto di più lo scambio empatico con il pubblico che mi ascolta. Di cer to la mia non è quella che oggi si chiama una “narrazione”. E non solo perché i fatti che io racconto sono terribilmente non-fiction, ma perché il mio intento è più generale, pedagogico ma in senso eminente, di coinvolgimento e attivizzazione di tutte le componenti della scuola, dagli insegnanti, alle famiglie, a ovviamente i ragazzi.
Per questo anche nella mia nuova funzione di senatrice a vita vorrò impegnarmi per la scuola, perché la storia contemporanea, la storia segnatamente del ’900, con le sue guerre mondiali, i suoi genocidi, i suoi totalitarismi, abbia finalmente una collocazione adeguata nei curricula e nell’ambito della più generale formazione di ragazze e ragazzi. Conoscere la storia del proprio tempo non solo evita di ricadere in cer ti errori ed orrori, ma apre la mente al valore autentico di termini come “tolleranza”, “accoglienza”, “interculturalità”, “solidarietà” ecc.
Del resto troppi problemi sono ancora intorno a noi tutti e ci richiamano incessantemente alla sor veglianza e alla responsabilità. Da qualche anno in Europa siamo costretti ad assistere a sempre nuovi episodi di antisemitismo, oltre che di violenza e terrorismo; ma dobbiamo registrare anche il diffondersi del negazionismo della Shoah, persino in Paesi di grande tradizione politica e culturale come la Francia e l’Inghilterra. A tutto questo bisogna reagire, senza mai abbassare la guardia. Ma reagire in modo integrato, cer to con la denuncia, ma anche con la cultura e lo studio.
Consiglio sempre a ragazzi e ragazze che incontro a migliaia in giro per l’Italia di leggere e imparare la nostra Costituzione. L’ho più volte definita “fantastica”, “avveniristica”, proprio perché in quanto “costituzione lunga” e programmatica non vuole essere un semplice catalogo di istituzioni e di diritti, ma ha cura di definire anche i meccanismi attraverso i quali quei diritti diventano reali e la democrazia continuamente si evolve e si fa più giusta.
Per questo ricordo sempre anche l’impor tanza dell’ar t. 3, nel quale è fatto espresso divieto al legislatore ordinario di sancire qualsiasi forma di disuguaglianza di trattamento in riferimento al sesso, alla razza, alla lingua, alla religione e ovviamente alle opinioni politiche.
Due punti di questo passaggio del dettato costituzionale meritano una breve considerazione: che nessuna discriminazione possa avvenire sulla base del sesso dei cittadini, dimostra proprio quanto la nostra Car ta fu “avveniristica” nell’indicare la strada della emancipazione delle donne da ogni forma di subalternità nella vita civile e professionale; d’altro canto il ripudio inequivocabile di ogni discriminazione razziale stava a significare una cesura netta e irrevocabile proprio con il vergognoso precedente delle leggi razziste del 1938.
La nostra Costituzione ha dunque un dichiarato e profondo valore democratico e sociale, di definizione di diritti ma anche di stimolo alla rimozione degli ostacoli che ne impediscono la piena realizzazione.
Questo spirito informatore le viene in linea diretta dall’antifascismo che animò la Resistenza contro il regime mussoliniano e l’invasore nazista.
Tutta una pregiata tradizione di studi ha riconosciuto infatti nella Resistenza una “esperienza costituente”. Di contro all’illegalità, alla violenza e al culto della mor te dell’Italia nazi-fascista le regole, le forme di par tecipazione e di autogoverno realizzate già dalle formazioni di Resistenza, a mezzo anche della rete delle Repubbliche par tigiane, prefiguravano un “nuovo ordine giuridico”, quello che sarebbe stato poi codificato dalla Costituzione del 1948.
La radicale rottura con il mondo di prima era indispensabile. Il fascismo e poi il nazifascismo di Salò non erano stati infatti solo regimi dittatoriali, ma avevano costituito una vera e propria soluzione di continuità rispetto all’idea stessa di umanità. Era venuto meno quel consensus iuris che solo rende davvero civile una comunità umana; per questo un grande giurista come Silvio Trentin ha potuto scrivere che leggi come quelle “fascistissime” e a fortiori poi quelle razziste realizzavano addirittura “sul piano giuridico la contrapposizione – da tanto tempo scomparsa da ogni sistema di diritto – tra padroni e schiavi, con la messa fuori legge di questi ultimi”.
Ebrei arrestati presso la frontiera italo-svizzera, 1944. Museo del Risorgimento, Milano.
Ecco, la mia vicenda personale compendia per così dire tutto ciò: sia la rottura proprio del consensus iuris ovvero del patto sociale, sia una condizione tragica di riduzione in schiavitù. Come mi è capitato infatti di ricordare in un inter vento nell’Aula del Senato: “Ho conosciuto la condizione di clandestina e di richiedente asilo; ho conosciuto il carcere; ho conosciuto il lavoro operaio, essendo stata manodopera schiava minorile in una fabbrica satellite del campo di sterminio”.
L’autentico valore della nostra Costituzione potrà insomma essere apprezzato davvero solo in ragione di un approccio che abbia questo respiro, in cui il culto della legalità non vada mai disgiunto dalla memoria del tributo di sangue e di dolore che è costata la fondazione della nostra Res Publica.
E proprio in questo spirito colgo l’occasione per ringraziare i funzionari e le funzionarie del Ministero della pubblica istruzione la cui sensibilità civile e pedagogica ha permesso, in occasione della definizione delle tracce per gli esami di Stato di quest’anno, di individuare due temi di par ticolare significato ed elevatezza, istituendo un patente nesso fra i due. Mi riferisco alle tracce per il tema di italiano, quella che riprende il passo del Giardino dei Finzi Contini in cui allo studente ebreo vengono chiuse le por te della biblioteca di Ferrara e, di contro, quell’autentico spalancamento delle por te della liber tà e dignità umana rappresentato dall’ar t. 3 della nostra Costituzione.
La forza delle idee è, oggi e sempre, l’estremo antemurale contro coloro che hanno la forza ma non la ragione.
Bibliografia
E. Mentana, L. Segre, La memoria rende liberi. La vita interrotta di una bambina nella Shoah, Milano, Bur,
II ed., 2018. D. Padoan, Come una rana d’inverno. Conversazioni con tre sopravvissute ad Auschwitz: Liliana Segre, Goti
Bauer, Giuliana Tedeschi, Milano, Bompiani, 2018. L. Segre, Un’infanzia perduta, in Voci dalla Shoah testimonianze per non dimenticare, Firenze, La Nuova
Italia, 1996. Ead., Contro l’indifferenza. Le leggi razziali del 1938 ed il silenzio del mondo, Lectio magistralis in occasione della cerimonia di conferimento a Liliana Segre della Laurea onoris causa in Giurisprudenza presso l’Aula Magna dell’Università di Trieste, 27 novembre 2008. Ead. con D. Palumbo, Fino a quando la mia stella brillerà, Segrate, Piemme, 2015. S. Trentin, Dieci anni di fascismo totalitario in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1975. E. Zuccalà, Sopravvissuta ad Auschwitz. Liliana Segre fra le ultime testimoni della Shoah, Milano, Edizioni
Paoline, 2005.

Il Censimento funge da base per la mappa della presenza ebraica in Italia proposta da “La Difesa della Razza” nell’edizione del 20 ottobre 1938. Fondazione Museo della Shoah, Roma.