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1.1 IDEAZIONE E PRODUZIONE AUDIOVISIVA, CINEMATOGRAFICA E PER I MEDIA DIGITALI di Massimo

Locatelli

Professione Filmmaker, si sarebbe detto tempo addietro, parafrasando un vecchio titolo carico di gloria del cinema italiano. Un profilo di cui essere orgogliosi, e a cui guardare con grandi aspettative, come ad altre mitiche figure: il produttore, l’autore televisivo. Un sogno, certo, per un giovane o una giovane che progettava il proprio futuro – nel secolo scorso. Oggi però è necessario fermarsi, se si vuole capire dove va il mercato di settore, e osservare con attenzione cosa sta cambiando: chi sarà il Filmmaker del 2020?

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Potremmo mettere le mani avanti, per cominciare: tante cose diverse. Ed è un bene: quello da cui dobbiamo partire è la certezza che il mercato dell’audiovisivo, anche se sta cambiando pelle, esiste, sta bene, e, proprio perché in mutazione, continua ad avere bisogno di forze e idee nuove.

La filiera dell’audiovisivo è soggetta oggi a tutte le spinte e le correnti che insistono sull’economia mondiale. L’audiovisivo è diventato smart e globale prima di ogni altro settore: prima dell’industria automobilistica, prima dell’Internet delle cose. Le chiavi di questa primogenitura sono due e strettamente interconnesse: sono la digitalizzazione e la convergenza, due processi che oggi diamo per scontati, ma di cui è bene ricordare le origini.

La rivoluzione digitale, lo sappiamo bene, ha cambiato nel giro di quindici, venti anni tutto il modo di produrre video: non solo ovviamente le prime, fantasiose CGI. Computer-Generated Imagery, ovvero la computer grafic, ma chi ha qualche anno di esperienza ricorda bene a metà degli anni Novanta l’esplosione di Avid e la trasformazione del montaggio in un gesto libero dalla costrizione della moviola lineare; a cavallo del 2000 la diffusione dei prodotti DaVinci per la color correction, e la possibilità di modellare il tono emotivo del fotogramma a piacere dell’editor o del regista; a metà del primo decennio del Duemila l’introduzione della prima videocamera digitale professional a costi sostenibili, la mitica Red, e la definitiva sublimazione dell’immagine in un universo di pixel. A questo punto tutte le filiere coinvolte, dal cinema alla televisione, dalla pubblicità alle videoinstallazioni, e per finire con le prime piattaforme capaci di sfruttare il video in rete, hanno iniziato a parlare la stessa lingua, a far pulsare un unico cuore: quello digitale. Ogni frame, ora, può passare indifferentemente di prodotto in prodotto e di device in device. E mille immagini diverse, mille suoni lontanissimi possono convergere in un’unica esperienza di fruizione mediale.

Il processo complementare che chiamiamo di convergenza ha segnato gli anni della digitalizzazione del settore in due modi diversi e complementari. Il primo è proprio la scambiabilità dei prodotti, la loro crossmedialità: li pensiamo spesso indipendentemente da una o l’altra piattaforma di distribuzione. Il secondo è che, se i contenuti possono muoversi liberamente, allora è vero anche che diventano più accessibili. A mano a mano gli stessi canali di distribuzione diventano accessibili ai pubblici più diversi. L’antico mito della produzione dal basso diventa reale, vicino, si può toccare con mano (con mouse).

È iniziato tutto con la musica, certo, già nel 1999. Piattaforme di scambio come Napster hanno moltiplicato le possibilità di accesso del pubblico al prodotto dell’industria musicale.

Poi si sono aperte le porte al caricamento di materiale lanciato da musicisti indipendenti. Dal 2005 anche l’audiovisivo ha cominciato a essere supportato su YouTube, o su canali più professionali e dedicati all’autoproduzione come Vimeo.

Oggi parliamo di User Generated Contents (UCG): tutto ciò che gli utenti non professionali autoproducono e diffondono online. Il Filmmaker degli anni Dieci quelle sue immagini digitali così ricche di impressioni visive e sonore, dialoghi veloci, frammenti eterogenei, sa che può rilanciarle, spingerle, farle esplodere in rete. Alla convergenza tutti si devono adeguare. I grandi player, le giovani start up e i molti solidi professionisti. YouTube nel 2018 dichiara di aver raggiunto i 1.800 milioni di utenti mensili. Gli analisti di Cisco prevedono che nel 2020 l’82% del traffico in rete sarà costituito da video, per numeri vicini al milione di minuti di video trasmessi online ogni secondo. Siamo sempre più avvolti in una nuvola di immagini in movimento.

Copyright © 2019 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy. ISBN 9788891793546

Parliamo infine di un presente fatto di contenuti video sempre più decisivi nel marketing virale, e in ogni forma di comunicazione social. Nella sua newsletter (thinkwithgoogle.com), Google sostiene che la metà dei 18-34enni interrompa quello che sta facendo se è chiamato a vedere un video del proprio youtuber favorito; che il 40% dei millennial si affidi a YouTube come fonte di informazione (un dato non dissimile dalle rilevazioni Censis in Italia), e che il 60% di loro dichiari di aver visto video che hanno cambiato la loro visione del mondo.

Il mondo dell’audiovisivo, soprattutto negli ultimi due anni, spinge verso dimensioni sempre più esperienziali e con modalità possibilmente interattive, che inducono a una reazione.

Il Filmmaker del 2020, almeno questo è sicuro, saprà bene come interpellare direttamente i suoi follower.

Il mondo della convergenza digitale, nella sua fascinazione per il nuovo e per le giovani start up, non ha cancellato i nomi storici della produzione e distribuzione audiovisiva, ma apre spesso nuove sfide di mercato, che obbligano anche chi già è ben radicato a rinnovarsi e immaginare un futuro diverso. Cinema e televisione continuano infatti a mantenere una solida presenza nell’immaginario degli italiani, e rappresentano filiere ancora produttive e riconoscibili, ma il disciogliersi dei confini con l’universo del web non è scevro da conseguenze, tanto in termini di rischi che di opportunità. La più evidente novità degli ultimissimi anni è stata – ça va sans dire – l’esplosione dei contenuti televisivi offerti sul web, e in particolare delle piattaforme Over The Top (OTT), dove il contenuto audiovisivo si è riconfigurato in un palinsesto a sé con nuove modalità di fruizione. Netflix è stato lanciato nel nostro Paese, come si ricorderà, nel 2015. Anche in assenza di dati pubblici sui consumi dei suoi prodotti, è chiaro che negli ultimi due anni, quantomeno per quanto riguarda la fascia degli spettatori giovani e di buon livello culturale –come possono essere gli studenti universitari o chi si iscrive a un master – laddove sono le grandi serie i prodotti più amati, Netflix è diventato il canale più utilizzato. Ma è in generale l’intera offerta di prodotti fruibili sempre e senza limitazioni, dal Video on Demand (VOD) a ogni forma di download o di streaming più o meno legale ad aver reso il mercato più fluido, facendo esplodere le vecchie logiche della distribuzione dell’audiovisivo, e di conseguenza cambiando in alcuni casi anche il rapporto stesso tra i player vecchi e nuovi, e addirittura il workflow che a lungo ha caratterizzato la produ- zione. Come testimoniato nella finestra dedicata a Graziano Chiscuzzu, nel campo del web, dove l’investimento medio continua a rimanere più basso che quello per le piattaforme tradizionali, è facile che si arrivi a saltare il prezioso lavoro di progettazione e mediazione da parte delle media agency, per cercare un rapporto diretto e non necessariamente efficiente tra brand e casa di produzione. Lavorare in economia può a volte stimolare la creatività, ma a lungo termine rimarrà sempre un limite!

Copyright © 2019 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy. ISBN 9788891793546

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