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GLI AEROSILURANTI DELL’AERONAUTICA NAZIONALE REPUBBLICANA

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 un gruppo di aerosiluranti fu costituito dall’aviazione di Mussolini, ma non ottenne risultati concreti se si eccettua il danneggiamento del piroscafo britannico Samsylarna, conseguito, come vedremo, nella notte del 4 agosto 1944 a nord di Bengasi da tre S.79.

Sull’attività del gruppo Aerosiluranti della Repubblica Sociale Italiana che si era istituito, con il benestare dei tedeschi, sull’aeroporto di Gorizia e dipendeva dal Comando dell’Ispettorato Aerosiluranti, retto dal tenente colonnello pilota Arduino Buri, sono state scritte, e continuano a essere scritti, fatti assolutamente inesatti. E questo nonostante esistano dal 1975 i nostri dati, elaborati su fonti ufficiali,11 e pubblicati fin dal 1980 con nominativi e statistiche.12

Vediamo come realmente si svolsero gli avvenimenti.

Il Gruppo Aerosiluranti, che era inizialmente al comando del capitano Carlo Faggioni, ebbe in organico ventisette S.79, alcuni nuovi, con motore Alfa 128, altri ceduti dai tedeschi che li avevano catturati dopo l’armistizio dell’Italia, e che furono ripartiti in tre squadriglie: la 1a e 2a operative al comando dei capirani Giuseppe Valerio e Irmero Bertuzzi, e la 3a di addestramento. Su proposta dello stesso Faggioni il suo reparto fu chiamato Gruppo Buscaglia, per onorare la persona di colui che era considerato l’asso indiscusso degli aerosiluranti italiani e che si riteneva fosse deceduto nell’attacco alla Baia di Bougie del 12 novembre 1942, quando invece si trovava in prigionia negli Stati Uniti internato nel campo di Fort Meade nel Maryland. Complessivamente si ritiene che, nel periodo di attività bellica, fossero stati assegnati al Gruppo Aerosiluranti circa cinquanta S.79.

Nei mesi di marzo e aprile 1944 il Gruppo Buscaglia, decollando dal campo trampolino di Sant’Egidio, presso Perugia, impegnò, in missione notturna o di trasferimento, un totale di quindici velivoli. L’obiettivo, il naviglio alleato che stazionava davanti alla testa di sbarco di Anzio. L’esordio operativo ebbe inizio la notte del 10 marzo con sei S.79 guidati dal capitano Faggioni, che aveva per gregari i tenenti Leopoldo Ruggeri, Irmerio Bertuzzi, Giovanni Teta, Ottone Sponza e Giuseppe Balzarotti. Ma a causa della forte contraerea, l’abbagliante luce dei proiettori, la presenza di caccia notturni e la scarsa visibilità, soltanto tre di essi riuscirono a sganciare siluri contro piroscafi alla fonda, mentre andò perduto il velivolo del tenente Teta. Non fu conseguito alcun successi, anche se gli equipaggi degli S.79 sostennero di aver osservato due grosse esplosioni ed un incendio, ed anche di aver osservato il combattimento di uno degli aerosiluranti con un caccia notturno.

11 F. Mattesini, Navi da guerra e mercantili della Gran Bretagna e nazioni alleate affondate e danneggiate in Mediterraneo (10 luglio 1940 – 5 maggio 1945), 1975, AUSMM, Monografie e saggi storici, b XI, f. 9.

12 Per quanto riguarda l’attività degli aerosiluranti italiani, sotto forma di organizzazione, condotta degli attacchi e perdite subite, l’opera più rappresentativa è, senza alcun dubbio, quella di Nino Arena, L’Aeronautica Nazionale Repubblicana 1943-1945, pubblicata in due volumi da Stem Mucchi (Modena) nel 1974. Purtroppo l’opera di Arena, come può essere confrontato nel nostro testo e nelle nostre tabelle, è particolarmente esagerata nella quantità di successi assegnati agli aerosiluranti repubblicani.

L’11 marzo il feldmaresciallo Wolfram Freiherr von Richtofen, Comandante della 2a Luftflotte, trasmise agli equipaggi che avevano partecipato all’attacco il suo plauso accompagnato da generi di conforto, come sigarette e brandy spagnolo. Ma quello stesso giorno, a causa di un guasto nel volo di rientro da Perugia a Gorizia, andò perduto presso Forli l’S.79 del sottotenente Salvatore Galante, che non aveva partecipato all’azione.

Il 13 marzo sei “S.79 raggiunsero nuovamente il campo trampolino di Perugia per una nuova azione da svolgere nella zona Anzio-Nettuno, ma uno dei velivoli, quello del tenente Giuseppe Balzarotti, rimandato a Gorizia per sostituire il siluro difettoso transitando al largo di Rimini fu intercettato da caccia nemici, andando perduto con tutto l’equipaggio. L’attacco degli altri cinque velivoli, sempre guidati dal capitano Faggioni e con gregari i tenenti Francesco Pandolfo, Irmerio Bertuzzi, Ottone Sponza e Giulio Cesare Albini, arrivò sull’obiettivo alle 01.14 del 14 marzo, e gli S.79 diressero contro cinque navi da trasporto che stavano navigando al largo della costa laziale con la protezione di unità di scorta che svilupparono una vivace reazione contraerea. Gli equipaggi non riuscirono a osservare gli effetti dell’attacco, ma nello stesso tempo rientrarono tutti a Perugia, per poi tornare a Gorizia, dove però, il giorno 18, nel corso di un bombardamento di bombardieri quadrimotori statunitensi fu distrutto un S.79 e tutti gli altri rimasero danneggiati da bombe, schegge e spezzoni.

Riparati i danni, e nonostante che un altro aereo con pilota, il tenente Sponza, fosse rimasto fuori uso per un atterraggio fuori campo presso Tradate causato da un guasto ai serbatoi della benzina, nella prima decade di aprile, dopo che la linea di volo era stata ripristinata con lavori che portarono anche a sostituire la mitragliera dorsale da 12,7 mm con il cannoncino da 20 mm, fu organizzata un'altra missione di attacco sempre nella zona Anzio-Nettuno. Ma mentre una formazione di dodici S.79, tra cui due per il trasporto di specialisti e i restanti con il siluro sotto la fusoliera, si stava trasferendo il giorno 6 aprile dalla nuova base di Lonato Pozzuolo al campo operativo di Perugia Sant’Egidio, fu attaccata da una pattuglia di sette aerei da caccia P. 47 Thunderbolt statunitensi sopra la località di Montevarchi, nel Valdarno aretino.

Piloti del Gruppo Aerosiluranti “Buscaglia” a Lonate Pozzolo nell’aprile 1944. Da sinistra, tenenti Marcello Perina, Francesco del Prete, Leopoldo Ruggeri, sottotenente Alfredo Bellucci, capitano Irmero Bertuzzi e tenente medico Natale Lombardo.

Gli S.79 furono sorpresi mentre precedevano in formazioni stretta e appesantiti dai siluri a una quota di 700 metri, e quattro di essi, con capi equipaggio il capitano Giulio Cesare Albini, il maresciallo Vittorio Daverio, il sottotenente Ugo Cusmano, e il sergente Giuseppe Fabbri, precipitarono esplodendo al suolo nelle zone di Pergine e di San Giovanni Valdarno. Il velivolo del tenente Marcello Perina riuscì ad atterrare senza carrello in un bosco di castagni presso il paese di Poggio di Loro del comune di Loro Ciuffenna, e vi rimase inutilizzabile. I tenenti Bertuzzi e Sponza riuscirono ad atterrare a Peretola pur con gli aerei gravemente danneggiati, tanto che quello di Sponza ripetutamente colpito restò fuori uso, mentre il sergente Mario Trombetti, con l’S.79 colpito ai serbatoi, superando l’Appennino, riuscì ad atterrare sull’aeroporto di

Modena. Infine, i velivoli dei capitani Faggioni e Giuseppe Valerio e dei tenenti Francesco Pandolfo e Aldo Guerra atterrarono incolumi sull’aeroporto di Arezzo. Per l’attacco dei sette caccia statunitensi vennero a mancare, sei dei nove velivoli che erano stati colpiti, ventisette aviatori e furono feriti cinque specialisti che si trovavano sugli S.79 da trasporto.

Il formidabile caccia statunitense P. 47 Thunderbolt. Furono sette di questi velivoli ad attaccare il 6 aprile 1944, presso Montevarchi (Arezzo), un formazione di dodici aerosiluranti S.79 del Gruppo Buscaglia, abbattendone quattro e mettendone fuori uso altri due.

Nonostante questo disastro, Faggioni cui non mancavano carisma e spirito d’iniziativa, con l’arrivo di due nuovi S.79, che Bertuzzi e Sponza erano andati a prelevare nella fabbrica di Vergiate (Varese) e portati a Perugia, riuscì a mettere insieme cinque velivoli efficienti che gli permisero di organizzata la prevista missione d’attacco che si svolse la notte del 10 aprile. Essa ebbe inizio alle ore 22.15 con il decollo da Perugia di quattro S.79, nuovamente guidati da Faggioni che aveva per gregari il capitano Giuseppe Valerio e i tenenti Irmerio Bertuzzi e Ottone Sponza. Non poté partire l’S.79 del tenente Francesco Pandolfo che al momento del decollo si incidentò, essendo finito su una buca che danneggiò il carrello del velivolo.

I quattro velivoli, quelli dei capitani Faggioni, Irnerio Bertuzzi, Valerio Giuseppe e del tenente Ottone Sponza, raggiunsero la zona di Anzio poco prima di mezzanotte volando a bassa quota per tentare di eludere i radar del nemico, e nuovamente attaccano accolti da un micidiale tiro contraereo, attuato con sistema di sbarramento e con armi a puntamento diretto e proiettili illuminanti. Gli S.79 sganciarono i siluri, ma subito dopo quelli di Faggioni e di Sponza vennero colpiti. Il velivolo di Faggioni preso in pieno da un proiettile precipitò in mare e l’ufficiale decedette con tutto il suo equipaggio. L’S.79 di Sponza, già colpito nell’avvicinamento all’obiettivo e con incendio a bordo fu costretto ad ammarare, ma si salvo con tutti i suoi uomini dell’equipaggio, che raccolti da una motovedetta finirono la guerra in prigionia, negli Stati Uniti, nel “Crminal Fascist Camp” di Hereford. Il tenente Bertuzzi, che aveva sganciato per ultimo, rientrato alla base riferì di aver visto i siluri esplodere contro le fiancate di tre piroscafi. La notizia fu presa per vera e trasmessa dalla radio e nei giornali repubblicani, mentre in realtà contrariamente all’ottimistica e roboante dichiarazione di Bertuzzi, ancora una volta nessuna nave degli Alleati fu colpita in quell’attacco.

La perdita di Faggioni lasciò nel personale del Gruppo Buscaglia un grande vuoto e, dopo parecchie discussioni sull’ufficiale che doveva sostituirlo al comando del Gruppo, su proposta del tenente colonnello Buri l’uomo adatto, per mettere tutti d’accordo, fu trovato nel capitano pilota Marino Marini, che aveva fama di essere un altro asso degli aerosiluranti e vecchio compagno di reparto dello stesso Faggioni. La presentazioni di Marini quale Comandante del gruppo avveniva sul campo di Lonate Pozzolo il 15 aprile, cinque giorni dopo la morte di Faggioni.

Il 19 aprile il tenente Bertuzzi veniva promosso capitano per merito di guerra e assegnato al comando della 2a Squadriglia, mentre il capitano Chinca divenne il comandante della 3a Squadriglia.

Due S.79 del Gruppo Aerosiluranti della RSI in volo di guerra.

Avendo sospeso, dopo le dolorose perdite del mese di aprile, l’attività offensiva, il reparto aerosiluranti della Repubblica Sociale fu riorganizzato dal capitano Marini che alle 21.30 del 4 giugno, decollando da Istres nella Francia meridionale, per poi costeggiare la costa spagnola dall’altezza di Capo de Nao a Capo de Gata e dirigere su Punta Almina (Marocco), guidò dieci aerei all’attacco delle navi nemiche all’ancora nella rada di Gibilterra. Due velivoli, con piloti i tenenti Vito Tornese e Leopoldo Ruggeri, erano rimasti a Istres come riserva. Gli S.79 volando in lunga fila indiana, con i velivoli distanziati l’uno dall’altro di circa due minuti, arrivarono inaspettati con rotta ovest, tanto che le luci della piazzaforte, illuminata a giorno, si spensero e la contraerea cominciò a sparare solo dopo l’avvenuto lancio di siluri con gli aerei che si ritiravano.

Effettuarono il lancio dei siluri gli S.79 dei capitani Marino Marini, Irnerio Bertuzzi e Carlo Chinca, dei tenenti, Francesco Pandolfo, Armando Abbate, Franco Monaco e dei sottotenenti Domenico De Lierto, Francesco Del Prete e Luigi Morselli. Non effettuò l’attacco il tenente Adriano Merani, perche giunto a circa 100 km da Gibilterra, per un guasto alla pompa di travaso della benzina, forse dovuta ad un sabotaggio, era stato costretto ad atterrare a Perpignano, dove il suo velivolo si danneggiò in atterraggio.

Sul Diario dell’Ammiragliato britannico è scritto che sei aerei carichi di siluri, o supposti siluri avevano attaccato Gibilterra durante la notte del 4 – 5 giugno.

Nessun danno fu procurato alle navi ma fu colpito e danneggiato un molo. La porta del porto con il mare aperto era stata chiusa ma riapri nel pomeriggio del 5 giugno.

Anche questa missione, in cui fu realizzata la sperata sorpresa, a dispetto di quanto dichiarato dagli equipaggi che ritennero di aver silurato quattro piroscafi e danneggiati altri due per complessive 40.000 tonnellate, non fu conseguito alcun risultato positivo. E ciò appare strano considerando che contro navi alla fonda nell’avamporto di Gibilterra, privo di reti parasiluri, le istruzioni impartite da Marini, che stabilivano di lanciare i siluri sugli obiettivi dall’altezza di 70 metri e dalla distanza di 700 metri, se eseguite alla lettera non avrebbero dovuto fallire i bersagli. Si deve ritenere pertanto che la distanza di lancio, per vari motivi, forse anche di natura psicologica, sia stata molto maggiore, e che vi abbia influito anche l’imprecisione. Le stesse cause che avevano fatto fallire il precedente attacco del 19 giugno 1943, cui lo stesso capitano Marini aveva partecipato, e che per la sua esperienza di allora aveva cercato di preparare al meglio il personale alla nuova missione, sotto forma di messa a punto dei velivoli, addestramento dei piloti in particolare dei più giovani, effettuando voli di prova, e facendo calcoli dei consumi del carburante.

Il rientro dalla missione, che era stata portata a termine da nove velivoli, e con altrettanti lanci di siluri, avvenne il mattino del 5 giugno con gli S.79 che volavano isolati, con i due soli motori alari in funzione e quello centrale spento per risparmiare carburante. Atterrarono a Perpignano, per poi riforniti raggiungere Istres, sette S.79 poiché gli altri tre, quelli dei tenenti Monaco e Torresi e del sottotenente De Lieto, per danni meccanici avevano dovuto interrompere il volo atterrando in Spagna. Ne conseguì che mentre gli equipaggi poterono rientrare in Italia con il benevole permesso degli spagnoli, essi dovettero lasciare internati i velivoli che praticamente andarono perduti, anche per i gravi danni riportati negli atterraggi di fortuna, ancora una volta attribuiti a sabotaggio ai serbatoi della benzina (pompini forati) avvenuto nelle fabbriche.

Da Istres lo stesso giorno gli altri S.79 raggiunsero Lonato Pozzolo, dove erano ad accogliere gli equipaggi il generale Gabriele Tessari, Comandante dell’Aeronautica Repubblicana, e altri ufficiali, mentre il feldmaresciallo von Richtofen inviava per telegramma il suo personale elogio per l’impresa compiuta, a cui fece vasto eco la stampa delle nazioni dell’Asse. Naturalmente furono conferite promozioni per merito di guerra a sei ufficiali, compreso Marini, e cinque sottufficiali e consegnata la Medaglia d’Argento al Valor Militare a tutti gli altri componenti degli equipaggi di volo, il tutto consegnato in una cerimonia del 22 giugno nella Sede del Comando del Gruppo Faggioli dal generale Tessari.

Nel frattempo il 9 giugno, erano pronti dieci S.79 che avrebbero dovuto partire nella tarda serata per svolgere un attacco contro il naviglio Alleato nelle acque di fronte a Nettuno, ma a causa delle pessime condizioni presente nell’Appennino che rendevano pericoloso il passaggio fu deciso di rinviare l’operazione, che non fu più realizzata.

La sera del 5 luglio, per un’azione operativa da svolgere in Adriatico con obiettivo il naviglio nel porto di Bari, otto S.79 al comando del capitano Irmerio Bertuzzi si trasferirono da Lonate all’aeroporto di Sant’Angelo di Treviso, dove però al momento dell’atterraggio, causa il vento trasversale, tre velivoli ebbero incidenti ed uno di essi resto fuori uso per la rottura della forcella di coda. Pertanto non poterono partecipare all’azione, che ebbe inizio, durante un bombardamento, con il decollo di cinque S.79 con capi equipaggio il capitano Bertuzzi, e i tenenti Adriano Merani, Leopoldo Ruggeri, Marcello Perina e Francesco Del Prete.

Da destra, il capitano Marino Marini e il capitano Irnerio Bertuzzi, decorati di croce di ferro di prima classe sul campo dopo l’attacco contro il naviglio Alleato nella rada di Gibilterra.

La formazione seguì con rotta sud la costa dalmata, fino all’isola di Meleda (nord-est di Ragusa), per poi puntare su Bari che apparve agli equipaggi completamente illuminato e pieno di navi. Gli S.79 realizzarono l’attacco sotto una reazione contraerea violenta con armi di ogni genere e illuminazione di proiettori che non tardo a svilupparsi. Il velivolo di Del Prete colpito ai serbatoi e al collettore centrale dovette rinunciare a portarsi a distanza di lancio, e fu costretto ad ammarare.

I siluri furono invece lanciati dagli altri quattro S.79, i cui piloti ritennero di aver colpito tre piroscafi e un cacciatorpediniere, avvistato appena fuori dal porto, con il tenente Perina mentre, invece, nessuna nave nemica fu colpita.

Dopo l’attacco a Bari, con gli equipaggi e i Comandi entusiasti per il presunto successo, fu progettato un ciclo operativo da svolgere nel Mediterraneo orientale, e ciò comportò, con partenza da Lonate Pozzolo alle 05.45 del 7 luglio, il trasferimento di otto aerei all’aeroporto greco di Eleusis, a nord di Atene, facendo soste a Besckerech di Belgrado e poi a Mega di Salonicco. I velivoli arrivarono a destinazione alle 18.00 del 9 luglio, giusto in tempo per intervenire contro un grosso convoglio proveniente da levante e in rotta verso la Sicilia con l’impiego di sette S.79, dal momento che altri tre per danni riportati in decolli e atterraggi avevano riportato dei danni che occorreva riparare.

I velivoli decollando alle 00.05 del 10 luglio, seguendo il Canale di Corinto fino all’altezza di Patrasso per poi addentrarsi nel Mare Ionio, puntarono sul convoglio con ratta nord-est sud-ovest che permetteva di attaccare le navi nemiche al loro traverso e stagliate contro luna. Ma nonostante le buone condizioni atmosferiche soltanto un S.79, quello del tenente Giulio Morelli, avvistò il convoglio, ma non poté portare a termine l’attacco per il difettoso funzionamento dello sgancio del siluro, mentre i velivoli del capitano Marini, del tenente Francesco Pandolfo e del sottotenente Alberto Cicconi, si liberarono dei loro siluri attaccando in altre zone navi isolate, ma tutti senza conseguire alcun risultato, sebbene non avessero trovato reazione contraerea e caccia notturni in volo.

L’11 luglio i ricognitori tedeschi avvistarono un convoglio in navigazione verso levante a circa 15 miglia dalle coste africane, a nord di Tocra (Cirenaica), e alle 00.25 del 12 decollarono, al comando di Marini, quattro S.79 che però non riuscirono a trovare il convoglio. Tuttavia Marini avvistò a nord di Tolemaide un piroscafo isolato di 4.000 tonnellate e lo attacco, ritenendo di averlo colpito e probabilmente affondato. Degli altri tre velivoli il tenente Vito Tornese fu costretto a liberarsi del siluro, che appesantiva il suo aereo, sganciandolo in mare per un’improvvisa grave avaria ai motori, mentre gli S.79 del capitano Carlo Chinca e del tenente Monaco furono costretti ad ammarare per mancanza di benzina. Gli equipaggi furono recuperati da un idrovolante da soccorso tedesco.

Dopo queste perdite quello stesso 12 luglio i sei velivoli superstiti, con decollo da Salonicco dove si erano trasferiti, partirono per riportarsi a Lonate Pozzolo. Quattro vi giunsero il mattino del 13, facendo scalo a Belgrado. Gli altri due vi arrivarono la sera del 14, perché erano stati costretti per avarie a rientrare a Salonicco.

Tra il 21 luglio e il 3 agosto l’aeroporto di Lonate Pozzolo veniva attaccato per cinque volte da cacciabombardieri statunitensi P. 47, che colpirono e incendiarono al suolo sei S.79, un S. 82 da trasporto e un bombardiere Cant. Z. 1018 “Leone”, in dotazione al reparto volo e adibito ai trasporti mettendolo fuori uso.

Nonostante le continue perdite, che rendevano precario al Gruppo Buscaglia di mantenere anche un’accettabile linea di volo di nove velivoli, fu programmato un nuovo ciclo operativo nel Mediterraneo orientale. Dopo di che il maggiore Marino Marini portò otto equipaggi sull’aeroporto ellenico di Eleusis per attaccare il traffico nemico in movimento, che si svolgeva fra le basi egiziane e la penisola italiana, e che era tenuto sotto osservazione da ricognitori tedeschi Ju.88 forniti di radiolocalizzatore Hohentwiel e di macchine fotografiche panoramiche. Le missioni degli S.79 portarono a effettuare cinque attacchi ai convogli, che non ebbero per altro i risultati asseriti, e che portarono a dolorose perdite di velivoli ed equipaggi.

La prima perdita si verificò il mattino del 31 luglio durante il trasferimento da Lonate a Belgrado, da dove poi i velivoli dovevano proseguire per Eleusis. Le condizioni del tempo incontrate lungo la rotta costrinsero sei S.79 ad atterrare a Villafranca, dove un velivolo, quello del tenente Gianfranco Neri, riportò danni per l’arresto contemporaneo dei tre motori in fase di atterraggio. Degli altri due S.79 uno soltanto raggiunse Belgrado mentre quello del tenente Francesco Pandolfo fu attaccato da alcuni caccia britannici Spitfire IX della Balkan Air Force, di base a Vis (Isola Lissa), e precipitò in fiamme in Croazia, presso la città di Agram, nonostante l’estrema difesa tentata con il cannoncino da 20 mm dorsale. Il tenente Pandolfo, sbalzato in fuori durante l’esplosione del velivolo, si salvò con il paracadute mentre il resto dell’equipaggio decedette.

Ma non era finita perché il 1° agosto in un mitragliamento di cacciabombardieri a Villafranca s’incendiò e andò completamente distrutto l’S.79 del tenente Neri. Tuttavia, con sostituzioni arrivate a Villafranca, il mattino del 2 agosto decollarono nove aerosiluranti che dopo aver fatto scalo a Belgrado l’indomani atterrarono regolarmente ad Eleusis.

L’organizzazione a terra predisposta dal Comando tedesco fu ottima, poiché tutti i mezzi del grande aeroporto, officina riparazioni, personale tecnico, furono messi a disposizione del Gruppo Buscaglia per sistemare al meglio le continue avarie dei velivoli e dei motori, permettendo loro di realizzare le loro missioni notturne verso le coste egiziane e in altre parti del Mediterraneo orientale, che però si svolsero con gli S.79 che ebbero in continuazione avarie di ogni genere. Il materiale era ormai logoro e i piloti e gli specialisti facevano del loro meglio per permettere agli aerei di continuare nelle missioni. In definitiva, continuava la guerra dei poveri iniziata nel giugno del 1940.

La prima azione fu realizzata con otto velivoli la notte tra il 3 e il 4 agosto contro un convoglio di trenta navi scortate da quattro unità che era stato avvistato a nord-ovest di Tolemaide, ma che invece, per una precisazione dl Comando Marina germanica in Grecia, appariva trovarsi ad oltre 80 chilometri di distanza. Conseguentemente soltanto gli S.79 dei tenenti Luigi Corselli, Adriano Merani e Domenico Di Lieto trovarono il convoglio a nord di Bengasi, ed effettuarono il lancio con gli equipaggi che stimarono che ogni siluro era andato a segno su tre piroscafi, uno dei quali di 7.000 tonnellate visto affondare. In realtà vi fu un solo successo, quello costituito, come abbiamo detto, del danneggiamento del piroscafo britannico Liberty Samsylarna (capitano William George Stewart Hewison), del convoglio UGS 48 (Hampton Roads - Port Said), l’unica nave realmente colpita dagli aerosiluranti del Gruppo Buscaglia, poi Faggioni.

Il piroscafo, che aveva nella stiva n. 3 un carico preziosissimo di 7.600 lingotti d’argento per un valore di 4.000.000 di dollari, fu colpito da un siluro a poppa nella stiva n. 5 che si allagò assieme alla sala macchine. Fu subito soccorso dal cacciatorpediniere britannico Petard (capitano di corvetta Rupert Cyril Egan) che, preso a bordo l’equipaggio, meno alcuni volontari rimasti sul piroscafo, cominciò a rimorchiarlo fino al sopraggiungere del rimorchiatore Brigant, che portò il Sansylarna ad incagliarsi a Bengasi. Disincagliato, il piroscafo fu condotto a Tobruk il 12 settembre e dopo sommarie riparazioni poté raggiungere Alessandria il 24 del mese

Il piroscafo polaco Huta Sosnowiec, già britannico Samsylarna, l’unica nave colpita e danneggiata da un siluro lanciato dagli aerosiluranti S.79 dell’Aeronautica Sociale Italiana.

Il cacciatorpediniere britannico Petard che dopo aver preso a bordo l’equipaggio del piroscafo Sansylarna cominciò a rimorchiarlo verso Bengasi, fino all’arrivo del rimorchiatore Brigand.

Il rimorchiatore militare britannico Brigand che trascinò il danneggiato piroscafo Sansylarna ad incagliarsi a Bengasi. Il Brigand, nell’immagine nel Grand Harbour di Malta, al termine del suo servizio fu smantellato in Italia nel settembre 1960.

Restituito agli statunitensi, che lo avevano prestato ai britannici, nel 1949, il Samsylarna fu riparato da una società privata italiana nel 1951, col nome di Tito Campanella. Nel 1961, ceduto a una società polacca, fu chiamato Huta Sosnowiec, e infine venne smantellato a Bilbao nel 1971.

Degli altri cinque velivoli S.79 partecipanti alla missione del 3 agosto due non rientrarono alla base, uno perché costretto ad ammarare per esaurimento del carburante nei pressi di Argos, ma l’equipaggio fu tratto in salvo, l’altro, quello del maresciallo Enrico Jasinski andò perduto, e non se ne conosce la ragione, forse precipitato in mare mentre tentava di raggiungere l’aeroporto della Canea, a Creta, a causa di un guasto o perché danneggiato e reso mal governabile. I resti di un aereo, con un cadavere munito di salvagente furono avvistati l’indomani a nord di Creta da idrovolanti di soccorso tedeschi, ma la nave salvataggio mandata sul posto non trovò nulla.

Una nuova missione d’attacco fu ripetuta la notte del 7 agosto con i superstiti sette S.79 del Gruppo “Buscaglia”, decollati da Eleusis per attaccare un convoglio di una trentina di navi avvistato a 80 km a est di Malta con rotta 380°, ma a causa delle sfavorevoli condizioni atmosferiche tutti velivoli rientrarono alla base, ma uno di essi riportò danni in atterraggio. Nei giorni successi furono svolte alcune ricognizione armate con sezioni di due velivoli che però, spinte al limite dell’autonomia, non portarono ad avvistamento. Dopo di che il Gruppo Aerosiluranti, ridotto a disporre soltanto di sei S.79, il 6 agosto riparti per l’Italia, trasferendosi dapprima da Eleusis a Zemlin per poi arrivare il giorno 11 a Lonate Pozzolo.

Ma prima ci furono altre perdite e vittime, poiché nel decollare da Zemlin alcuni S.79 furono illuminati da proiettori e presi sotto il tiro dell’artiglieria contraerea tedesca, forse ingannata dalla sagoma degli S.79 che erano simili a quelli che la Regia Aeronautica impiegava per rifornire di notte i partigiani jugoslavi: Ne conseguì che il velivolo del tenente Luigi Morselli, con secondo pilota il sottotenente Eugenio Grana, centrato in pieno precipitò in fiamme nei pressi dell’aeroporto. Si salvò con il paracadute soltanto Morselli, che fu catapultato fuori della cabina di pilotaggio dall’esplosione del velivolo.

L’attività operativa nel Mediterraneo orientale, cui avevano partecipato dieci S.79, dobbiamo amaramente ammetterlo, anche se fu colpito il piroscafo Samsylarna risultò nel complesso particolarmente desolante di risultati. Fu inoltre pagata, al rientro alla base dalle missioni belliche e di trasferimento, con la perdita di ben cinque velivoli con parte di equipaggi e piloti addestrati, di cui si sentiva ormai la mancanza.

Conseguentemente il gruppo aerosiluranti, i cui S.79 erano troppo vecchi e mancavano di parti di ricambio e di carburante, fu costretto nuovamente a dedicare aerei ed equipaggi ad un periodo di riorganizzazione, che si prolungò fino a novembre 1944.

Nel frattempo, alla fine di agosto arrivò nel nord Italia la notizia che il maggiore Carlo Emanuele Buscaglia era vivo e prestava servizio nei ranghi della Regia Aeronautica quale comandante di gruppo da bombardamento, il 28° equipaggiato con velivoli statunitensi Martin Baltimore, e dislocato nell’aeroporto campano di Campo Vesuvio, presso Ottaviano.13 E ciò naturalmente causò nel personale una profonda delusione, anche perché la notizia arrivava del tutto inaspettata, e vi era amarezza nel sapere che il loro idolo appariva ormai come un nemico. Allora, nell’ottobre 1944, il Gruppo Aerosiluranti dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana fu intitolato a Carlo Faggioni, a cui fu assegnata alla memoria la Medaglia d’Oro al Valor Militare della RSI, con la motivazione di aver conseguito successi per “Oltre centomila tonnellate di naviglio colpito ed affondato”. Sappiamo invece che colpì e affondò sicuramente soltanto la nave da sbarco britannica LST 414, il 15 agosto 1943 a nord di Biserta.

13 Il capitano Buscaglia, rientrato dalla prigionia e reintegrato in servizio, non volava da venti mesi, e il Baltimore, fornito di doppio comando, era un aereo difficile e sconosciuto dai piloti italiani, che si stavano addestrando. Il pomeriggio del 23 agosto 1944 Buscaglia decise di tentare un decollo non autorizzato da solo, approfittando dell'assenza del personale dell'aeroporto che si trovava in mensa, ma il Baltimore imbardò verso sinistra, toccò terra con l’ala dove si trovava la benzina e prese fuoco Seppur gravemente ferito e ustionato Buscaglia riuscì ad uscire dal velivolo in fiamme, ma l’indomani decedette dopo penosa agonia, all’età di ventinove anni, nell’ospedale militare britannico di Napoli, dove era stato trasportato. Sul suo incidente tra i repubblicani furono fatte varie congetture, tra cui quella che, volando da solo, Buscaglia volesse raggiungere il Nord Italia. Ipotesi, assolutamente inverosimile.

In novembre, vi fu uno stato di tensione con i tedeschi per un’inopportuna iniziativa del feldmaresciallo von Richtofen, che avrebbe voluto che tutti gli aviatori italiani fossero posti sotto i suoi ordini in due reparti appositamente costituiti come Legione Aerea Italiana. A ciò si opposero gli italiani, tanto che i capitani Marini e Bertuzzi andarono a parlare con Mussolini, e l’iniziativa di von Richtofen non ebbe seguito.

Ultimato il periodo di riorganizzazione del Gruppo FRaggioni, grazie agli sforzi del personale che rimisero a punto i quattordici S.79 III (bis) disponibili, fu ripresa una modesta attività nel Tirreno e nell’Adriatico, nel corso del quale, con il consueto ottimismo, fu dichiarato il siluramento di due piroscafi.14

14 L’S.79 III bis, introdotto nelle linee degli aerosiluranti alla metà del 1942, era l’ultima versione di questo versatile velivolo, orgoglio dell’Aeronautica Italiana. Fornito di motori radiali a 9 cilindri Alfa Romeo AR da 1.000 CV, che gli permettevano di raggiungere una velocità di 475 km/h, privo di gondola ventrale e con un serbatoio supplementare da 1.000 litri di benzina sistemato in fusoliera per aumentarne l’autonomia, fu ancora migliorato nelle file dell’Aeronautica Sociale Repubblicana, dotandolo di migliori strumenti di navigazione notturna e di armamento difensivo; come quello di sistemare in postazione dorsale un cannoncino da 20 mm e l’adozione di parafiamma agli scarichi e alle volate delle 4 mitragliatrici, tutte portate al calibro da 12.7 mm Rispetto agli aerosiluranti tedeschi delle ultime versioni l’S.79 bis era più veloce e maneggevole

La prima missione, avvenne con la partenza dall’aeroporto di Ghedi di due S.79 per una ricognizione offensiva che portò ad avvicinarsi ad Ajaccio in Corsica, ma che fu infruttuosa a causa delle pessime condizioni atmosferiche.

La seconda missione effettuata nella notte di Natale, iniziò la sera del 24 dicembre con il decollo successivo di quattro S.79 con capi equipaggio il capitano Bertuzzi e i tenenti Del Prete, Perina e Neri, per attaccare, con navigazione isolata, il naviglio nemico presente nelle acque di Ancona. Ma complice la cattiva visibilità dovuta alla foschia, e la reazione contraerea e di caccia notturni che colpirono l’S.79 di Neri costringendolo ad allontanarsi, a cui si aggiunse il guasto al sistema di lancio del siluro sul velivolo di Perina, soltanto Bertuzzi concluse la manovra d’attacco contro un piroscafo di 7.000 tonnellate, che ritenne di aver colpito facendolo esplodere. Fu l’ultima missione di Bertuzzi che nel dopoguerra, come pilota personale dell’Ingegner Enrico Mattei, morirà il 27 ottobre 1962 a Bascapè (Bologna), nell’incidente in cui perse la vita il Presidente dell’ENI.

L’ultimo attacco fu compiuto il 5 gennaio 1945 dal tenente Francesco Del Prete, che al rientro alla base dichiarò di aver affondato un piroscafo di 5.000 tonnellate al largo di Rimini, diretto verso le coste dalmate.

E ciò avvenne dopo che il mattino del 26 dicembre 1944 quattro caccia statunitensi P, 47, attaccando l’aeroporto di Lonate Pozzolo, avevano incendiato al suolo dodici S.79 decentrati, annullando praticamente la consistenza operativa del Gruppo Faggioni, che però in pochi giorni di lavori fu in grado di rimettere in linea sette velivoli, per poi salire a una ventina nel mese di febbraio, riorganizzati su tre squadriglie (1a, 2a e 3a) al comando dei tenenti Perina e Merani e del capitano Chinca, che però non poterono più operare per la mancanza del carburante.

Il 13 gennaio l’auto del maggiore Marino Marini fu fermato dai partigiani, e l’ufficiale restò in loro mani per due settimane, quando fu, rilasciarlo in seguito a discussioni che portarono allo scambio con alcuni partigiani prigionieri. Marini rientrò quindi al Gruppo Faggioni mantenendone ancora il comando fino al termine della guerra, il 28 aprile 1945, ma senza avere avuto più occasione di realizzare altre missioni.

In questa situazione si aggiunse l’odio politico di una guerra civile fratricida, con omicidi indiscriminati dei partigiani e dei fascisti, contro coloro che erano colpevoli di indossare una divisa ritenuta irregolare e di credere in un ideale contrario al proprio. In questa tragica situazione gli eccidi, occorre dirlo, vennero perpetrati da ambo le parti e non soltanto per il desiderio di uccidere l’avversario, che da parte dei partigiani comunisti sarebbe stata una costanza durata anni nel Nord Italia, anche dell’He.111 e meno veloce dello Ju.88. Inoltre possedeva minore autonomia, ed era armato di un solo siluro mentre gli altri due velivoli tedeschi ne avevano due. Le medesime condizioni di maggiore velocità e maneggevolezza si riscontravano nell’S.79 bis anche nei confronti degli aerosiluranti britannici Beaufort e Wellington, che però erano anch’essi armati con due siluri, mentre invece era svantaggiato nei confronti del versatile Beaufighter, formidabile caccia a lunga autonomia e notturno che a partire dal 1943 operava anche con il siluro. Tuttavia al momento dell’attacco a un obiettivo navale l’applicazione dell’elitizzatore permetteva agli S.79 di incrementare per brevi istanti la velocità del velivolo di circa 50 km/h. contro altri partigiani o avversari politici di fede contraria. Ricordiamo come fatto unico, in cui furono coinvolti gli uomini del personale del Gruppo Aerosiluranti

“Faggioni”, l’eccidio del 14 marzo 1945 che causò la morte dei giovani sottotenenti pilota Cosimo Gulli, Italo Savi e Piero Leonardo, falciati a Gallarate mentre erano a passeggio dopo una dura giornata d’addestramento, con scariche di mitra sparate da dietro una siepe.

Il presunto successo del 5 gennaio portò il totale degli affondamenti e dei danneggiamenti dichiarati dai piloti del Gruppo Aerosiluranti della Repubblica Sociale Italiana a ventisei navi, in gran parte mercantili, per 115.000 tonnellate, mentre in realtà i reali successi da noi accertati furono assai modesti poiché si ridussero, lo ripetiamo, al danneggiamento di un solo piroscafo per 7.100 tonnellate.15 Tale risultato è reso ancora più avvilente se confrontato con le perdite riportate dal reparto. Si era, infatti, verificato nel corso delle operazioni l’abbattimento di quindici S.79, cui si aggiunse la completa distruzione al suolo di otto velivoli per attacchi di aerei nemici, mentre altri quattro S.79 si sfasciarono per incidenti durante i voli di addestramento. Le perdite umane furono di 223 uomini. Tra essi vi erano 38 piloti (18 ufficiali e 21 sottufficiali) pari al 38,7% dell’intero organico del gruppo. Le azioni compiute erano state undici e i siluri lanciati cinquanta.16

La guerra in Italia stava ormai per terminare, e alla fine di aprile il maggiore Franco Melley, che ben conosceva il maggiore Marini, collega di tante missioni belliche, fu inviato da Roma in Val Padana per trattare la resa del personale del Gruppo Faggioni ed evitare che fosse disperso il materiale di volo che si trovava negli aeroporti di Venegono, Lonate e Malpensa. Ciò avvenne e il materiale fu consegnato alla Regia Aeronautica.

Francesco Mattesini

15 Alberto Santoni e Francesco Mattesini, La partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo, Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri, Roma, 1980, p. 568.

16 C. Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, cit., p. 384. Secondo i dati di Nino Arena pubblicati in L’Aeronautica Nazionale Repubblicana 1943 – 1945, e che noi abbiamo contestato con in una accesa discussione in casa dell’Autore nel 1979, mostrandogli gli elenchi delle perdite ufficiali degli Alleati fino al termine del 1944, in 11 azioni di siluramento con l’impiego di 62 velivoli, 19 dei quali perduti, sarebbero state affondate dagli aerosiluranti della Repubblica Sociale Italiana 9 navi per 102.000 tonnellate e 1 cacciatorpediniere, danneggiate gravemente 8 navi per 62.000 tonnellate, e abbattuti 4 caccia Thunderbolt. Gli aerei perduti fino alla fine di aprile 1945, comprendenti quelli incidentati o distrutti al suolo da attacchi aerei, sarebbero stati 59, e i deceduti 86 fra piloti e specialisti. Al momento della resa restavano nel Gruppo Faggioli 14 aerosiluranti efficienti e 6 in riparazione nelle officine Augusta e Bestetti, mentre altri 8 si trovavano in varie fasi di costruzione nella fabbrica di Vergiate.

SUCCESSI DEGLI AEROSILURANTI ITALIANI E TEDESCHI NEL MEDITERRANEO (SETTEMBRE 1940 - AGOSTO 1944)

Bibliografia

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