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CAPITOLO XI n : VECCHIO BARON E NON DIMENTICÒ
Cronologicamente, la storia del barone Evert von Freytag-Loringhoven comincia un giorno dèll'estate del 1963 su un treno diretto a Berlino. Ma il suo vero inizio risale a quella mattin~ della primavera del 1943, quando due membri della resistenza polacca portarono nella mia baracca di legno presso la Officina delle Ferrovie Orientali a Lvov, un ragazw ebreo di quindici anni.
Ricordo benissimo l'aspetto che aveva Olek la prima volta che lo vidi. Sembrava terribilmente spaventato; i suoi occhi azzurri erano spalancati dalla paura. Aveva q.pelli rossi, la:bbra sottili, e la pelle di un colorito terreo. I polacchi mi dissero che Olek aveva passato le ultime settimane nascosto in una cantina buia. Qu~lla era la prima volta che rivedeva il sole' d~ tanti giorni. Era l'unico sopravvi$5uto dell'intera popolazione ebr~ca di Chodorow, u,na città de1Ia Galizia che era stata rastrellata dai nazisti. Tremila uomini, donne e bambini erano stati uccisi e il solo Olek era scampato. Un vicino cristiano lo aveva salvato e lo aveva nascosto nella sua -cantina dietro un mucchio di carbone.
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La Gestapo aveva ripreso a perquisire tu t te le case e il vicino aveva consegnato Olek al movimento clandestino. Gli avevano dato dei documenti falsi che facevano di lui -un ragazzo polacco cristiano, ma questo, mi dissero, era tutto quello che potevano fare. Tenni Olek per qualche giorno nella mia baracca e parlai con -il direttore di una impresa di costruzioni ch e lavorava nell'officina di riparazioni. Gli spiegai che Olek era un ragazzo polacco rimasto orfano dei genitori. Il direttore acconsenti ad assu~ere Olek come apprendista, così il ragazzo avrebbe potuto mangiare alla mensa e ~vrebbe avuto un posto per dormire. Prima ,che lasciasse la mia baracca, dissi a Olek che avrebbe dovuto essere molto prudente, se voleva rimanere vivo.
« Non devi dire a nessuno che sei ebreo, » dissi. « Nemmeno a un altro ebreo?» mi chiese.
« No. Nemmeno a un altro ebreo. Anzi, sarà meglio che tu non faccia amicizia con i prigionieri ebrei ohe lavorano alla ferrovia. Promesso? »
Me lo promise.
Olek sopravvisre alla guerra. Lo vidi di nuovo nel 1946 a Linz, dove era venuto dalla Polonia per unirsi a un gruppo di emigranti clandestini diretti in Palestina. Tre anni più tardii, quando visitai per la prima volta Israele, venni a sapere che Olek si trovava nel kibbutz degli ex combattenti ddghetto di Varsavia, situato a trenta chilometri a nord di Haifa, e andai a trovarlo.
Da allora siamo sempre rimasti amici. Ogni volta che vado in Israele, passo qualche ora o una giornata nel suo kibbutz. Olek ha ripreso il suo vecchio nome di famiglia, Jitzchak Stemberg, ed è stato eletto segretario del kibbutz. Si è sposato e ha due bei bambini. Non somiglia più al ragazzo spaventato che capitò nella mia baracca nel 1943.
Nell'aprile 1964 mi invitò ad andare nel suo kibbutz chiedendomi di raccontare ai ' suoi compagni qualc~a del mio lavoro. Dopo la conferenza, venni chiamato al telefono. Un uomo di nome Heinz Jakob, che viveva in un kibbutz vicino, aveva saputo che mi trovavo là e voleva parlarmi. Era molto importante... poteva venire subito?
Heinz Jakob mi disre di essere nato in Gennania e di essere emigrato in Pa:lestina con i genitori nel I 933. Era biondo, con gli occhi azzurri, e aveva un aspetto assolutamente tedesco. Era molto abbronzato; aveva le mani grosse e robuste e i gesti lenti dell'agricoltore. Verso la fine del 1963 era andato in Germania. Era la prima volta che tornava nel suo paese natale. C'era andato per seguire le pratiche relative alla restituzione dei beni di famiglia confiscati dai nazisti. Nel suo scompartimento sul treno diretto a Berlino, c'era un tedesco che doveva essere sulla settantina, alto e dall'aria distinta. Cominciarono a chiacchierare. Il vecchio signore chiese a Jakob da dove venisse, e quando Jakob gli rispose che veniva da Israele lo guardò SOI1preso e compiaciuto al tempo stesso.
« Lei non sembra un ebreo, Herr J akob. » Il vecchio signore tedesco si presentò come barone Evert von Freytag-Loringhoven.
Jakob si mise a ridere. « Molti dei nostri giovani israeliani non sembrano ebrei, se è questo che lei intende dire. Molti bambini nei nostri kibbutz sono biondi e hanno gli occhi azzurri, proprio come i ragazzini della Scandinavia o del Texas. Però si sentono ebrei... e questo è quello che conta. »
Il barone annuì. D.ì$e che quella era la prima volta che parlava con un cittadino d'Israele; aveva passato la maggior parte della sua vita in campagna. Era cresciuto nella vecchia tenuta di famiglia in Lettonia. Ciò, naturalmente, prima che i bolscevichi arriv~ro nel I 9 I 9 ed espropriassero i grandi proprietari terrieri. Il barone aveva conosciuto parecchi ebrei a Riga. Disse che erano le per· sone più colte della città, che amavano l'architettura, la musica, le arti.
Nel 1919, il barone era fuggito in Germania, dove più tardi ave· va ereditato due tenute nella Prussia Orientale. Diresse le sue fat. torie a Grodno e Merakowo fino al 1945. Poi tornarono i ruS&.
Parlarono di tutto questo e di come entrambi f ~ro fuggiti, il barone tedesco dai ruS& e l'ebreo tedesco dai tedeschi. Il barone disse a Jakob che suo fratello era stato Ùfficiale nell'esercito del Kaiser, e poi nella Wehrmacht.
« Da secoli nella nostra famiglia il figlio maggiore si occupa delle terre e gli altri abbracciano la carriera militare. Mio fratello era un ardente nazionalsocialista, prima che Hitler giungesse al potere. Come molti ufficiali, aveva risentito l'umiliazione patita dopo la prima guerra mondiale. Pensava che i nazionalsocialisti avrebbero ricreato una grande Germania... »
Il barone scosse le spalle con un gesto di rassegnazione. « Ma in breve il mio povero fratello dovette disilludersi. Quando vide quello che le SS fecero prima e durante la guerra, diventò un nemico at· tivo del regime. Si unì ai patrioti che ,cospirarono contro Hitler il 20 luglio 1944. Lei avrà sentito parlare di quella ~ongiura fallita. » Heinz Jakob annuì. Si chiedeva perchè il vecchio aristocratico, che non era evidentemente un chiacchierone, raccontasse tutto questo a un casuale compagno di viaggio.
« Mio fratello procurò gli esplosivi per la bomba del conte Stauffenberg. Lei sa quello che accadde dopo. Mio fratello si suicidò. Forse fu meglio così... altrimenti avrebbero impiccato anche lui nella prigione di Ploetzensee a Berlino. Io fui arrestato a Berlino dalla Gestapo e passai parecchi Il.lesi nella prigione della Alexanderplatz, ma venni rilasciato per l'intervento di un amico, un gerarca nazista. Dopo la guerra dovetti nascondermi di nuovo perchè i russi mi cercavano. Un ufficiale polacco, che era stato nel campo di concentramento di Stutthof, presso Danzica, mi salvò la vita. Sembra strano, non è vero? Nel settembre del 1945 riuscii a procuranni dei documenti falsi e finalmente raggiunsi il paesetto del1'.A&<;ia dove vive mia sorella che è vedova. Ora dirigo una piccola fattoria. Non è una gros.sa azienda, ma l'agricoltura è la sola cosa che conoscà. »
Il barone si piegò in avanti. « Herr Jakob, io non credo nelle coincidenze. E non ci crederebbe neanche lei se avesse vissuto la mia vita. Non può essere solo per una coinc idenza che io e lei ci siamo incontrati in questo scompartimento. Raramente io lascio la mia fattoria, e lei è il primo ebreo che incontro .da anni. Conosco le cose terribili che noi tedeschi abbiamo fatto agli ebrei perchè Je ho viste con i miei occhi. Li ho visti uccidere donne innocenti... Fino ad oggi non ho mai parlato con nessuno di queste cose, ma continuo a vederle nei miei incubi. Non posso dimenticare il mio segreto e non voglio portarlo con me nella tomba... »
Si passò le mani sugli occhi. « Vedo ancora una donna ebrea che lavorava nella mia fattoria di Merakowo. Una signora molto colta, di Praga. E ricordo la giovane di Budapest, che era medico e che aveva messo su un ospedaìe improvvisato nella piccola scuola di Grodno. Non aveva più di trent'anni, ed era molto graziosa. Le dissi che avrei cercato di nasconderla e che forse più tardi avrebbe potuto fuggire. Mi ringraziò, ma mi ri spose che voleva rimanere con i suoi pazienti. Finì uccisa insieme con loro. Voglio pensare che per lo meno qualcuno di loro si sia salvato, e se avessi i loro indirizzi vorrei poterli aiutare. »
Il barone guardò in viso J acob e disse : « Mi dia il suo indirizzo. Non posso parlarne oggi, ma le scriverò. »
Sternberg, Heinz Jakob ed io eravamo seduti nel giardinetto del kibbutz circondato da piante di cedro. Jakob mi consegnò le lettere del barone Freytag-Loringhoven.
« La storia è tutta qui. Ci scriviamo continuamente. Vede, quando cominciò a parlare delle < terribili cose>, come le chiamava, pensai automaticamente a lei. Dissi al barone: <Questo potrebbe interessare Simon Wiesenthal > e . gli parlai del suo lavoro. Il barone mi parve sorpreso e disse: < Ora so che questa non è una coindd enza. Uno dei campi di lavoro dove accaddero alcune delle cose peggiori si chiamava Wiesenthal, dal nome di un villaggio presso Thorn. La prego di mettersi in contatto con questo signor Wiesenthal e di dargli tutto il materiale. > »
Quella notte non dormii. Fuori c'era una gran pace. Attraverso la finestra aperta della stanzetta riservata agli ospiti, veniva il profumo d'Israele, un misto di zagare e di fiori, che avrei potuto riconoscere in qualsiasi momento ad occhi chiusi.
Le,ggevo le lettere del vecchio aristocratico tedesco, nelle quali era cqntenuto quello che egli chiamava il suo « terribile segreto». Il peggio è che egli non avrebbe mai parlato se non avesse incontrato un giovane ebreo che gli era riuscito simpatico. Mi domando spesoo quanti altri segreti rimangano inconfessati.
Un giorno del novembre 1944, 2800 donne ebree stipate nei carri bestiame arrivarono alla stazione di Merakowo, presso Thom in Polonia. Il capostazione, un uomo di nom e Zacharek, che vive ancora a Merakowo, ricordava benissimo quel carico e più tardi ne parlò al barone Freytag-Loringhoven. Le donne e rano deboli ed emaciate. Alcune erano addirittura a:gonizzanti. Il viaggio era stato lungo e terribile. La maggior parte di loro venivano dall'Ungheria, altre dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia, dalla Romania, dall'Olanda, dall'Austria e dalla Francia. Erano già passate per diversi campi di concentramento in Le ttonia e in Lituania, poi erano state trasferite via mare a Danzica e di là al campo di concentramento di Stutthof. In seguito, furono mandate a Merakowo. Dalla stazione ferroviaria di Merakowo le donne vennero condotte nella grande tenuta che il baron e allora possedeva a circa due chilometri da Grodno. Egli in seguito dichiarò ad '?no dei miei collaboratori :
Da Grodno le donne vennero trasferite in quattro campi d i lavoro: Malven, presso Strassberg; Grodno, presso Thorn; Shirokopas, presso Kulm; Wiesenthal, presso Thom. A capo di quel contingente c'era lo SS-Obers turm fii.hrer Ehle. A Grodno fu ordinato alle donne di scavare trincee anticarro. Vivevano nelle tende lasciate d a i membri della Hitlerjugend, che in precedenza avevano scavato trincee nella regione. Alcune vennero mandate a lavorare nelle fattorie vicine. Circa 135 di loro furono mandate nelle mie tenute e lavorarono nelle stalle, o a raccogliere patate nei campi.
La maggior parte delle donne quasi non avevano abiti quando arrivarono. Molte usavano come vestito delle vecchie coperte mili tari; ne portavano upa intorno alle spalle e l'altra drappeggiata intorno fianc hi, come una sottana. Erano così affamate che corsero nei campi a mangiare le foglie d elle barbabietole. Le donne che erano troppo deboli p er lavorare vennero uccise dalle SS che le colpirono alla nuca con i manganelli. Il comandante delle SS Ehle mi spiegò in seguito che quello era un sistema molto pratico. Mi disse : « Nessuna autopsia potrà mai stabilire la causa del decesso. »
Le donne venivano uccise su una penisoletta nel Mare di Grodno. Venivano gettate in una fossa comune da altre donne che poi finivano uccise a loro volta. Ogni giorno Ehle dava ordine di uccidere da otto a venti donne. Il 16 o 17 gennaio 194-5 uccisero II8 donne: poco prima che arrivassero i russi. A quel tempo una delle donne diede alla luce un bambino. Cercai di salvare il neonato con raiuto di due operai polacchi. Ma fu impossibile. Ehle scoprì la madre e il figlio. Lo vidi con i miei occhi uccidere l'una e l 'altro ...
E quella cronaca di orrori continuava. Una donna venne costretta a rimanere in ginocchio per due ore sul fiume gelato « fino a che il ghiaccio non le si fu rinserrato intorno alle ginocchia».
Le gua.r,die erano tedesche e ucraine. Il barone ne parlava come dei « peggiori rifiuti esistenti sulla terra ». Picchiavano le donne col calcio dei fucili. Se una donna per disgrazia arrivava qualche minuto più tardi sul lavoro, inventavano « ogni sorta di sadiche punizioni». Come sempre, dove c'è l'orrore c'è anche l'eroismo, come quello della dottoressa che rifiutò l'aiuto del barone.
Il barone Freytag-Loringhoven nascose altre due donne in casa sua, una sarta di Buda:pest e una donna di Praga, moglie di un pellicciaio. Il suo fattore polacco nascose una ragazza ebrea di Lodz che aveva diciannove anni. Dieci donne lavoravano nelle stalle, dove accudivano al bestiame gioyane. Il barone ordinò che venisse dato loro latte e patate, sebbene sa,pesre che ciò era stato prc_>ibito da Ehle. Una detenuta, moglie di un mugnaio dei dintorni di Praga, gli diede una lista contenente i nomi di 500 prigioniere. In seguito, quando Freytag-Loringhoven viveva in Polonia sotto falso nome, venne perquisito da un soldato ru~ che gli prese la lista e gliela strappò. Il barone continuava :
Il 18 gennaio 1945, le donne che restavano furono portate via. Secondo le voci che circolavano, vennero portate a Danzica, dove furono gettate in mare ... Ci sono molte altre cose che vidi .e che sono disposto a ripetere. Questa è la verità. Desidererei tanto sapere se qualcuna di quelle donne è sopravvissuta e auguro alle fortunate ogni bene sulla terra.
Posai sul tavolo le lettere del barone. Ero venuto laggiù per visitare un giovane amico, per vedere i ragazzi e le piante del kib. butz. Ma anche qui non potevo sfuggire al p~ato.
I problemi erano due. Primo, Ehle era ancora vivo e saremmo riusciti a trovarlo? Secondo, il barone Freytag-Loringhoven avrebbe confermato in tribunale la sua storia? Più di una volta mi ero trovato di fronte a testimoni che si erano rifiutati di parlare davanti al giudice e al pubblico ministero. Spesso la deposizione di un solo testimone non è ritenuta sufficiente per processare un uomo. Ma il barone Freytag-Loringhoven sarebbe stato un testimonio inattaocabile. Non aveva alcun motivo personale per testimoniare, se non quello di servire la giustizia; non era ebreo; e non aveva conosciuto in precedenza l'uomo che accusava. Non era quello il caso della parola di un uomo contro quella di un altro. Il vecchio adagio in dubio pro reo non trovava applicazione in questo caso. Ehle era stato SS-Obersturmfuhrer in un campo di concentramento. Lo sapevano tutti che uomini del genere non passavano il tempo a scrivere poesie o a giocare a scacchi. Il vecchio aristocratico tedesco non poteva essere accusato di es.5ere prevenuto nei confronti dell'imputato. Dei crimini che erano stati commes& nella sua tenuta, egli era stato testimone oculare. giurata del barone. Vedrò se posso procurarmi una fotografia di Ehle. Se il barone è in grado di identifi carlo, avremo effettivamente una solida accusa. »
Riposi le lettere nella mia ·borsa. Se aves&mo trovato Ehle, avremmo avuto solidi argomenti contro di lui.
Quando tornai da Israele, chiesi a Michael Lingens, uno dei miei collaboratori di Vienna, di mettersi in contatto con il barone. La madre di Lingens, che era cristiana e nuora del capo della polizia di Colonia, era stata mandata ad Auschwitz perchè aveva aiutato degli ebrei. &5a è ora presidente del Comitato di Auschwitz.
Lingens parlò con il b arone Freytag-Loringhoven e in seguito anche Frau Lingens andò a trovare il vecchio signore. Egli si dichiarò subito disposto a deporre in tribunale. Disse che era suo dovere farlo. Non voleva morire con un peso cosi terribile sulla coscienza. Scrivenuno all'Istituto Storico Ebraico di Varsavia e chiedemmo documenti e nomi di testimoni, ma all'Istituto non risultava nulla. Una identica richiesta inviata alla polizia d'Israele ebbe lo stesso esito negativo. Perfino gli esperti israeliani di crimini nazisti non avevano mai sentito parlare della uccisione in massa delle 1500 donne di Grodno. Scrivemmo una relazione e la mandammo al Dipartimento Centrale della Giustizia a Ludwigsburg.
Del caso venne investito il pubblico ministero Riickerl. Poichè le donne provenivano dal campo di concentramento di Stutthof, il magistrato cominciò a controllare i nomi delle guardie di Stutthof. Sull'elenco c'era il nome dell'Obersturmfuhrer Paul Ehle. Si venne a sapere che Ehle lavorava come meccanico a Kiel. N~no laggiù sapeva nulla del suo passato.
« Quello che mi tormenta di più in questo caso è che n essuno ne sapeva nulla, » mi disse Riickerl. « Se lei non ce ne avesse infonnati, il barone avrebbe potuto morire con il suo segreto. » Gli dissi che perfino dagli archivi polacchi e israeliani riguardanti i crimini nazisti non risultava niente.
« Mi metterò in contatto con il barone Freytag-Loringhoven, » disse Riickerl. « Quello che egli scrive nelle sue lettere a Jakob , verrà considerato in tribunale solo come una <informazione>. Per interrompere la prescrizione 1 abbiamo b isogno della testimonianza 1 V. Appendice.
Alcun e settimane più tardi, il barone Freytag-Lòringhoven rilasciò una deposizione confermando tu tto qu ello che aveva scritto nelle sue lettere. La pratica venne inviata al giudice istruttore di Kiel e l'ex SS-Obersturmfilhrer Paul Ehle venne arrestato. Egli non cercò di negare i suoi delitti. Sarebbe stato processato, e credo condannato, se non fosse morto in carcere ne~ settembre 1965.
Nel novembre 1965, venti anni dopo che quei delitti erano stati compi uti nella Prussia Orientale, le autorità polacche annunciarono di aver trovato « la fossa comune sulla piccola penisola del Mare di Grodno » di cui aveva parlato il barone Freytag- Loringhoven.
Capitolo Xii
Una Sposa Per Il Dottor Babor
La gente viene spes.so a parlarmi di ogni sorta cli problemi connessi con il regime nazista. Mi considerano una specie di praticone capace di curare tutti i mali le cui radici sono negli anni cupi che IleS.$Uno ama ricordare. Spcs.so coloro che vengono da me hanno solo un'idea approssimativa cli quello che è il mio lavoro. Hanno letto qualcosa sui giornali, ricordano il mio nome, sperano che aiutarli, consigliarli, proteggerli. Sanno che non parlerò di loro con nessuno. Il caso del dottor Karl Babor è un esempio tipico. Non ne avrei mai saputo nulla, se una donna che viveva in una città del1'Austria e che non mi aveva mai conosciuto non avesse letto qualcosa a proposito di questo signor Wiesenthal sui giornali e non avesre detto a sua figlia di venire a trovarmi.
Il problema della ragazza era sorto parecchi mesi prima che ella venisse a trovarmi. La chiamerò Ruth , sebbene questo non sia il suo vero nome. Ruth vive ancora in Austria; quando la conobbi, verso la fine del 1963, aveva circa venticinque anni, era giovane, graziosa e vivace : capelli scuri, occhi sognanti e una figuretta di quelle che gli austriaci cavallerescamente chiamano vollsc hlank ( « falsa magra » ). Ruth mi disse cli essere « una incurabile romantica », convinta che la vita fos.5e una affascinante avventura. In seguito ammise francamente che tutto era cominciato perchè aveva voluto provare il piacere dell'avventura, quell'avventura che non poteva avere nella cittadina austriaca in cui viveva con la madre. Il lavoro d'ufficio l'annoiava, e così pw·e i giovanotti che incontrava nelle rare festicciole. Due anni prima era andata a trovare il fratello che lavorava nel Kenya. Aveva partecipato a un safari nella savana e si era entusiasmata di tutto: i rumori insoliti dei boschi, gli animali, l'atmosfera, il mistero. Quando, dopo tre mesi, tornò a casa, la vita nella sua città natale le sembrò insopportabilmente noiosa e il lavoro d'ufficio più arido che mai. Quando batteva a macchina la ventiquattresima o la venticinquesima lettera che cominciava: « Egregio signore, ci pregia- mo informarLa... » provava quasi un disgusto fisico per la macchina da scrivere. Questo era il suo stato d'animo quando le capitò ,di leggere sul K urier di Vienna un avviso matrimoniale.
Ruth mi disse che era un pomeriggio piovoso di domenica, uno di quei pomeriggi in cui non si sa cosa fare. L'annuncio diceva:
MED1co, quarantaduenne, ottima posizione all'estero, desidera intrattenere corrispondenza con ragazza bella presenza scopo matrimonio. Scrivere Casella n ...
« Non ebbi il minimo dubbio che <all'estero> significasse Africa,» mi disse Ruth. « Non so come spiegarlo; era qualcosa di più di un presentimento: era una precisa sensazione. Dissi a mia madre che volevo rispondere a quell'annuncio e lei si mise a ridere. Mamma mi conosceva. Ma pensò che non ci fosse nulla di male a scrivere una lettera, <semprechè non ti aspetti una risposta>. Mamma non è una ottimista. Comunque, scrissi la lettera, la impostai il lunedi mattina, andando in ufficio, e per qualche giorno non feci altro che pensare a quella faccenda. Ma non arrivò nessuna risposta, proprio come aveva predetto la mamma, e dopo un . po' mi dimenticai di quella storia. »
Tre settimane dopo, arrivò una lettera per lei. Era stata scritta dall'ingegner Babor di Vienna.
L'ingegner Babor scriveva con uno stile cerimonioso e antiquato. Diceva di aver letto attentamente la sua lettera e che sarebbe stato onorato di poterla conoscere. Voleva parlarle di suo figlio Karl, che faceva il medico·ad Addis Abeba, Etiopia. Karl era bene affermato e fra i suoi pazienti c'erano diversi membri della famiglia dell'imperatore Ailè Sellassiè.
« Ne parlai con mia madre,» mi disse &uth. « Decidemmo che non ci sarebbe stato nulla di male se fossi andata a parlare con quel cortese signore. Non che pensassi a lui come al mio futuro suocero. La cosa mi sembrava ancora uno scherzo. Le mie colleghe in ufficio mi dissero: < Vedrai, Ruth, fra un anno avrai un marito e una bella casa ad Addis Abeba e decine di servi e automobili. Sarai invitata a cena dall'imperatore, fortunata te! > E poi si mettevano a ridere, perchè tutte sapevano che non ero fortunata. Mi ero già innamorata prima, ma avevo sempre scelto gli uomini sbagliati. O erano innamorati di qualcun'altra o, peggio, erano già sposati. In ufficio mi chiamavano <la ragazza sfortunata>. »
La settimana seguente, l'ingegner Babor andò a farJe visita. Era un simpatico anziano signore, proprio in carattere con la lettera che aveva scritto. Sembrò molto soddisfatto quando vide R uth e le fece un complimento. Le diS5C di aver ricevuto un mucchio di lettere « alto così » - e sollevò la mano una ventina di centimetri al di sopra del tavolo - e di avere apprezzato più di tutte Je altre la sua. Poi, con galanteria tutta viennese, aggiunse: « E posso dirle che lei mi piace anche più della sua lettera. »
Le raccontò che lui e la moglie vivevano a Vienna e che il loro unico figliolo, Karl, si era trasferito in Etiopia con la moglie, che nasceva baronessa Babo - « molto curiosa la somiglianza dei nostri cognomi » - e ch e era morta laggiù nel 1 960 in seguito a un incidente automobilistico. La coppia aveva avuto una sola figlia, Dagmar, che aveva venti anni e studiava a Parigi. Il dottor Karl Babor era ginecologo, « il migliore di Addis Abeba », precisò il padre, e lavorava ali' ospedale Menelik, che era stato donato all'Etiopia dai sovietici, e inoltre aveva una moderna clinica privata con un reparto di radiografia e un laboratorio. Di quando in quando, il dottor Babor veniva invitato al palazzo imperiale.
« D opo la morte dell a moglie, nostro figlio si è sentito molto solo, » diS5C il vecchio. « Ma poichè non -pu ò lasciare i suoi pazienti e tornarsene in Europa, gli consigliai di mettere un'inserzione su un giornale di Vienna. Gli dissi che forse avrebbe trovato qualcuno. » Sorrise a Ruth e aggiunse: « E non mi meraviglierei se avesse davvero trovato qualcuno. »
« Signor ingegnere, devo ripeterle, » si affrettò a dire Ruth, « quello ch e ho già scritto nella lettera. lo sono ebrea... »
« Ma cara signorina, questo non fa alcuna differenza. Noi siamo cattolici e abbiamo sempre nutrito sentimenti liberali. Mi oreda, in casa nostra l'antisemi tismo era sconosciuto. » Guardò Ruth e aggiunse: « Scriverà direttamente a mio figli o, non è vero?»
E questo fu l'inizio di una lunga, intensa relazione epistolare. Ogni lunedì mattina il postino le recapitava ua lunga busta per posta aerea con su dei bei fran cobolli (il postino le diceva: « Se non ha bisogno dei francobolli ... »); mittente: dottor Karl Babor, Casella Postale 1 761, Addis Abeba.
Dopo qualche settimana, Babor le inviò una su a fotografia. Ruth vide un uomo di media statura, con i capelli biondo-scuri, gli occhi tristi, piuttosto snello e dall'aspetto giovanile. Le scriveva di sentirsi molto solo. Sua figlia, diceva, pas.5ava la maggior parte del tempo a Parigi. La boscaglia era vicina e a lui piaceva cacciare, ma non si divertiva ad andare a caccia da solo. Due mesi più tardi concludeva una lettera « baciando le mani» alla sua « cara Ruth ». Lei gli rispose cominciando « Caro Karl ». Le sembrava ormai di conoscerfo molto bene. In ufficio non scherzavano più sul suo trasferimento in Africa.
Il padre di Karl la invitò a p~e una giornata a Vienna, la condusse a teatro e poi in una trattoria dove bevvero del vino e chiacchierarono di Karl. Ruth si meravigliò che l'ingegner Bahor non le facesse conoscere la moglie.
« Quando gli chiesi di lei, fu evasivo, » mi disse. « Pensai che alla madre di Karl non fosse andata a genio l'idea dell'annuncio matrimoniale. Intanto Karl ed io continuavamo a scrivexci e le sue lettere erano cortesi e affettuose. »
Un anno dopo aver scritto la prima lettera, il dottor Bahor' invitò Ruth ad andare ad Addis Abeba. Le disse di avere acquistato un biglietto di andata e ritorno Vienna-Addis Abeba « nel caso che non le piaccia il posto; ma spero proprio che non sia così ». Le disse anche di aver chiesto a sua figlia Dagmar di incontrarsi con Ruth a Vienna « in modo che possiate venir giù insieme».
Qualche giorno dopo, Dagmar arrivò e andò a trovare Ruth. Le due ragazze si piacquero subito. Dagmar era una graziosa fanciulla con gli occhi tristi. « Pensai che non dovesse avere avuto molto affetto in casa,» mi disse Ruth. Una settimana più tardi erano tutte e due su un aereo che le portava da Vienna ad Addis A,beba.
Il dottor Babor era ad attenderle all'aeroporto. Fu molto cortese, le baciò la mano e abbracciò Dagmar. Ma Ruth non lo trovò quale lo aveva -immaginato. C'era in lui qualcosa di strano, che metteva quasi paura.
« Non era per nulla come lo avevo immaginato dalle sue lettere, » mi disse Ruth. « Era strano e riservato: quasi sinistro. »
Era un pessimo guidatore. Durante il tragitto dall'aeroporto alla città, per due volte rischiò uno soontro frontale mentre guidava contromano. Ruth gli chiese con un'aria un po' scherzosa se voleva ammazzarsi, e Jui, molto seriamente, le rispose che più di una volta aveva cercato di farlo. Ruth pensò che fosse affaticato dal lavoro e che attraversasse un periodo di depressione. Sapeva che i bianchi in Africa vanno spesso soggetti a esaurimenti nervosi. Ma rimase sorpresa quando Babor le disse, con un'aria di cupa soddisfazione, di avere avuto negli ultimi due anni cinque incidenti automobilistici. Lei gli gettò uno sguardo indagatore. Come mai non gli avevano ritirato la patente?
« Mia cara, ho aderenze al palazzo imperiale. Sono i più grande medico di Addis Abeba.»
Il dottor Babor fermò l'automobile davanti a un edificio scuro, che sembrava disabitato. Il posto era fresco e Ruth voleva rrposarsi. Il viaggio era stato lungo e lei si sentiva un po' stanca.
« Andiamo un'oretta nella boscaglia,» disse Babor.
« Ora? » chiese Ruth sorpresa.
« Perchè no? È solo una passeggiata. Si cambi le scarpe mentre io prendo il fucile. »
La boscaglia era distante qualche chilometro. Ruth si sentì di nuovo afferrare dal fascino dell'Africa, ma le fu difficile assaporarlo. Babor guidava come un pazzo, al punto che Ruth si spaventò e gli disse che, se avesse continuato a guidare in quel modo, sarebbe scesa dall'auto.
« Si mise a ridere, » mi disse Ruth. « Rideva come se avessi detto qualcosa di buffo. Cominciavo ad avere un po' paura di lui. »
« Non sia sciocca, » le disse. « Questa non è la Ringstrasse, dove si può scendere quando si vuole e prendere il tram suocC$ivo. » E si mise a ridere di nuovo. Poi le disse che l'avrebbe portata a vedere il suo fiume preferito. « È infestato di coccodrilli. » Ruth pensò che stesse scherzando. Ma a un certo punto lui fermò l'auto, le disse di scendere e la guidò lungo lo stretto sentiero che conduceva al fiume. Nell'acqua scura e fangosa, Ruth vide i coccodrilli.
« Non sono animali graziosi?» le chiese Babor. Ruth si ritrasse. «Torniamo,» le disse Babor. « Voglio farle conoscer.e il migliore amico che io abbia qui in Etiopia.»
« Ci fermammo davanti alla caserma della polizia ed entrammo nel recinto. Sotto un albero c'era un vecchio leone sdraiato. Fui presa dalla paura, ma Karl mi disse che non c'era motivo di spaventarsi, che il leone era come un animale domestico e che loro erano buoni arnici. Poi andò a mettere la mano netla bocca del leone. Quando tornò indietro, vidi che aveva il braccio insanguinato. < Mio Dio, > gridai, < l'ha morso!> Karl sogghignò e disse: <Non fa niente. .È il mio migliore amico... Andiamo a casa. > »
La stanza di soggiorno del dottor Babor era umida e fredda . Non c'era niente di pronto da mangiare e la ghiacciaia era vuota. Dagmar aprì una scatola di carne. Il dottor Babor disse di essere stanco e se ne andò in camera sua senza nemmeno scusacrsi. Ci fu un silenzio imbarazzante, poi Dagmar le disse che l'esaurimento del padre andava sempre peggiorando.
« Deve aver fatto delle esperienze spaventose durante la guerra, ma non ne parla mai. Però si vede che il ricordo lo perseguita. Quando era ancora viva la mamma era più tranquillo. In certi periodi era quasi felice, ma dopo... » Dagmar scrollò le spalle con un gesto di scoraggiamento. « Aveva molto bisogno della mamma. Poi ci fu l'incidente. E ora... lei lo ha visto. Sono preoccupata. »
Ruth la interrogò con tatto a proposito dell'incidente automobilistico. La signora Babor guidava la macchina in una notte scura e senza luna quando andò ad urtare contro un'auto parcheggiata. Accanto a lei era seduto il marito. Non si riuscì mai a chiarire come fosse potuto accadere l'incidente. Sembra che la signora Bahor non avesse fatto alcun tentativo di sterzare per evitare la collisione. Non aveva nemmeno frenato. Era stato come se avesse voluto buttarsi addos.50 all'auto parcheggiata. La signora Babor era morta sul colpo e il marito era rimasto gravemente ferito.
Quella notte Ruth non dormì. Pensava alle simpatiche, affettuose lettere di Karl e al suo sguardo brutale, al modo in cui aveva ficcato la mano nella bocca del leone. Fu lieta di non incontrarlo a colazione. Il dottor Babor era uscito presto per andare in clinica. Lei uscì con Dagmar. Quando tornarono a casa, nel pomeriggio inoltrato, lo trovarono seduto nel soggiorno. Guardava fu.so davanti a sè e non si alzò quando loro entrarono nella stanza.
Ruth sali in camera sua. Dabbasso, padre e figlia stavano discutendo. Ruth sentì Dagmar dire di aver fame e lamentarsi che non ci fosse nulla da mangiare in casa. Poi il dottor Babor gridò qualcosa che Ruth non capì, e Dagmar gli rispose sullo stesro tono; improvvisa:mente tutto tornò tranquillo. Dopo un po', Ruth vide Karl che usciva di casa e saliva in macchina. Tornò mezz'ora dopo con della roba da mangiare, ma non sedette a cena con loro. Dagmar le disse che il padre non mangiava quasi nulla.
La sera dopo, la moglie di un funzionario etiopico portò il suo bambino ammalato dal dottor Babor. Fu Dagmar ad aprire la porta, e la donna le disse che il bambino aveva la febbre e che lei non era riuscita a rintracciare il pediatra. Voleva essere così gentil.e il dottor Babor da visitare lui il bambino?
La ragazza venne ad avvertire il padre che c'era fuori una cliente con un bambino.
Il dottor Babor si alzò di scatto.
« Aveva gli occhi iniettati di sangue e la faccia quasi contratta dall'odio,» mi disse Ruth. « Era orribile. Gridò a Dagmar che non avrebbe toccato il bambino con la punta di un dito, che odiava j b~bhu e che pÙ quanto lo riguardava potevano crepare tutti. <Non ho mai curato bambini e mai li curerò. Fuori! > Dagmar rimase lì allibita, poi mi guardò con aria supplichevole. Allora dissi a Babor: <Karl, lei è medico, non è così? Quel bambino è ammalato. Per favore, vada a dargli un'ocdùata. >
« Allora si rivoltò contro di me. Mi disse di non inunischianni. Mi disse che non aveva bisogno dei consigli di una sporca e grassa ebrea. Rimasi senza fiato. Mi gridò: <Non mi guardi in quel modo! Odio i bambini. Odio tutti gli esseri umani. Bisognerebbe ammazzare la gente con il gas... ucciderla il più presto possibile. Gli uomini non servono a nulla. Gli animali sono molto migliori degli uomini. Gli animali devono essere salvati!> »
Si voltò e corse fuori nella notte. La donna se ne tornò via con il suo bambino.. Il vecchio servitore di casa disse a Ruth che il dottor Babor probabilmente era andato allo zoo. Lei gli chiese che cosa andasse a fare allo zoo a quell'ora. Il servitore le rispose che quando il dottor Babor « stava male ed era preoccupato», andava a giocare con il leopardo dello zoo. Si divertiva a colpirlo e a ficcargli la mano fra le fauci. La mattina dopo, Ruth notò che la mano sinistra di Babor era bendata.
« Mi resi conto che era ammalato, » mi disse Ruth. « Lo informai con tutta calma che avevo intenzione di tornare a Vienna. Diventò furioso. Gridò che non avevo il diritto di parlargli in quel modo. Che nessuno gli aveva mai parlato in quel modo. Che lui era un grand'uomo, un uomo importante, il medico più famoso di Addis Abeba. Sorrisi e gli risposi con calma: < Karl, io penso che lei sia il peggior pazzo di Addis Abeba> e me ne andai. Ma mentre mi allontanavo sentii il suo respiro affannoso e mi voltai. Si era alzato e aveva gli occhi pieni di sangue. Temetti che volesse strangolarmi. Allora non ne potei più e mi misi a gridare: <Fuori! Fuori di qui subito! Non si azzardi a toccarmi!>
« Fu curioso. Non appena cominciai a gridare, lui si ritrasse. Le spalle gli si incurvarono e sembrò che stesse per crollare a terra. Mi sembrò un pupazzo di gomma pieno d'aria che si sgonfiasse. Girò sui tacchi e uscì senza dire una parola. Il vecchio servitore aspettò che Babor se ne fosse andato, poi entrò nella stanza e mi fece un profondo inchino. Io avevo alzato la voce e avevo dimostrato di essere più forte del suo padrone. Il servo mi disse che la moglie di Babor lo schiaffeggiava quando gli prendeva <uno di questi attacchi> e dopo lui si acquietava e diventava <molto simpatico>. Il servo sog- ghignò. Telefonai all'aeroporto e prenotai un posto per il primo aereo in partenza il giorno successivo. »
L'aeroplano partiva la mattina seguente alle dieci. Quando Ruth scese dabbasso con le valigie, Dagmar le disse .che lei e il padre erario invitati a colazione al palazzo imperiale e che non potevano accompagnarla all'aeroporto.
« Ad Addis Abeba una donna bianca non può andare da sola in truci, » mi spiegò Ruth. « <Dio sa dove mi porterebbero questi autisti indigeni,> dissi a Dagmar. < Mi dispiace, ma dovrete prima accompagnare me all'aeroporto; dopo, potrete andare dal vostro im~ratore. >
« A questo punto sentii un rumore e· lo vidi. Se ne stava fermo sulla porta, immobile. Poi cominciò ad avvicinarsi lentamente. Pensai che volesse uccidermi. Istintivamente, lo colpii forte sul viso: due, tre volte, non ricordo. Lui si lasciò colpire senza fare un gesto. Quel che è peggio, credo che ci provasse piacere. Poi ·disse che avevo ragione a schiaffeggiarlo, che non meritava altro, che era un disgTaziato, che voleva morire, che da quando sua moglie era rimasta uccisa non aveva desiderato che di morire. »
Ruth chiuse gli occhi. « Fu una scena ·penosa... e quel che è peggio si svolse in presenza di sua figlia. Dopo, non ci furono difficoltà Mi aocornpagna:rono all'aeroporto. Dagmar piangeva. Avrebbe voluto che rest~i. Lui non mi salutò nemmeno, e io ne fui contenta. .Mi avviai verso l'aeroplano mentre loro se ne andavano a colazione dall'imperatore. Quando ebbi preso posto in cabina, chiamai la host~ e le chiesi qualcosa da mangiare. »
Appena scesa all'aeroporto di Vienna, Ruth andò a trovare il padre di Babor per raccontargli quello che era succes.50. Venne ad aprirle la porta una donna i;mziana, che evidentemente era la madre del dottore; non appena vide Ruth, ohiamò il marito e se ne andò.
« Io ero piuttosto nervosa. Gli dissi che non avrebbe dovuto farmi andare bggiù. Non sapeva che suo figlio era ammalato e avrebbe dovuto essere ricoverato in manicomio? Come poteva Karl ~e medico e nello stesso tempo rifiutarsi di curare i bambini e proclamare di odiare gli uomini? Aveva detto che .bisognava ammazzare la gente con il gas, che lui amava solo gli animali selvaggi... Insomma, gli raccontai ogni cosa. Il vecchio si scusò. Disse che Karl aveva avuto un esaurimento nervoso durante la guerra, ma che loro speravano che ormai si fosse rim~. Aveva cosi bisogno di una persona forte ed energica che si prendesse cura di lui.
« Si,» aveva replicato Ruth. « Una grassa sporca ebrea che lo picchi.»
« Mi dispiace, cara. Spero che lei possa dimenticare tutta questa faccenda, » disse l'ingegner Babor.
Ma Ruth non riuscì a dimenticaxe. Nei suoi incubi notturni non faceva che rivedere il dottor Babor. Aveva ripreso il suo monotono lavom di ufficio, ma i suoi dattiloscritti erano pieni di errori. La gente diceva che sembrava cambiata, e lei non era capace di raccontare quello che le era successo. Era come un episodio letto in un libro ma mai accaduto nella realtà. Solo sua madre sapeva tutto ed era preoccupata. Una sera, quando Ruth tornò a casa, la madre le disse: « Credo che dovresti raccontare tutta la storia a qualcuno che sia in grado di capirla. Ho letto sul giornale di un certo Simon Wiesenthal. Perchè non vai a Vienna a parlargli? »
Ruth scrollò le spalle con rassegnazione. « So che questa faccenda sembra incredibile, Herr Wiesenthal. Ma è vera, glielo giuro. »
Le dissi che lo sapevo. « Da anni conosco il dottor Karl Babor. Ho avuto modo di vederlo molto prima di lei. »
Mentre Ruth mi raccontava la sua storia, mi era tornata in mente un'altra cosa, una scena che non dimenticherò mai. Una stanzetta dalle pareti grigio-scure. A sinistra la porta d'ingresso, in mezzo alla parete di fondo quella d'uscita. La porta d'uscita conduceva direttamente al forno crematorio del campo di concentramento di GrO&Srosen vicino a Breslavia.
L'ambiente è nudo, c'è solo un tavolino con su diverse siringhe e alcuni flaconi pieni di un liquido incolore. Accanto al tavolo una sedia... una sola. Nell'aria c'è un leggero odore di carne bruciata. Siamo nell'anno 1944. Il momento preciso della scena potrebbe essere in qualunque ora del giorno o della notte. Questa è l'anticamera del forno crematorio di Grossrosen. Non ci sono camere a gas in questo campo di concentramento. Al forno crematorio è addetto un prigioniero russo soprannominato « Ivia.n il nero» perchè il fumo gli ha annerito la faccia e le mani. Ivan ha davvero un aspetto terribile, ma sono ben pochi i detenuti che riescono a vederlo. Quando capitano sotto le mani di « Ivan il nero», ormai non hanno più paura di nulla. I van trasporta le loro ceneri in un campo vicino, dove vengono usate come concime dagli ortolani che coltivano legumi per la cucina del campo di concentramento. So tutto questo perchè io ero fra i detenuti assegnati a lavorare nell'orto.
Ora in mezzo alla stanza c'è un giovanotto che indossa il camice bianco sopra l'uniforme delle SS. Molti prigionieri hanno già visto prima il giovane «dottore», perchè egli è membro del « consiglio di selezione·». Ai nuovi detenuti, non appena arrivati al campo, si ordina di scendere la rampa e di fermarsi sull'attenti davanti al piccolo tavolo. Il « dottore », seduto dietro il tavolino, muove l'indice a destra (vita) o a sinistra (morte), mentre una SS spunta i nomi su una lista. Talora il « dottore» si sofferma a esaminare meglio i rottami umani che ha di fronte. « Apri la bocca! Di più! » Poi fa un cenno di assenso col capo. C'è qualcosa che vale in quel detenuto: tre denti d'oro. Con un carboncino, il « dottore» traccia una grossa croce nera sulla fronte del detenuto. « Abtreten! » Tutti coloro che sono stati marcati così devono presentarsi alla fureria del calmpo, dove viene presa nota in duplice copia delle loro protesi. I denti d'oro non sono più di loro proprietà, ma viene loro consentito di usarli ad interim ... fintanto che saranno in vita. Chi dice che le SS sono inumane? Non hanno mai pensato di togliere i denti a un uomo finchè questi è in vita.
Di li a poco i prigionieri che sono stati messi nel gruppo di sinistra si troveranno di nuovo di fronte al giovanotto con il camice bianco. t molto abile nel suo lavoro : riempie una siringa e dice al paziente (che sta a torso nudo) di sedersi sulla sedia. Due SS trattengono il paziente mentre il giovanotto gli si avvicina e con un gesto rapido e preciso gli conficca l'ago nel cuore. La siringa contiene una dose letale di acido fenolico.
« Herr Doktor Babor » è molto stimato dai suoi superiori delle SS che lo chiamano « Herr Doktor » sebbene sappiano ·che quando si arruolò era ancora studente in medicina all'università di Vienna.
« Preferisco sempre darne loro un po' di più della dose letale, per essere ben sicuro, » ha detto ai suoi superiori. Il « dottore » è un uomo pieno di umanità. Talora i prigionieri sono colti dal panico quando egli somministra loro il colpo di grazia con l'acido fenolico, ma non hanno molto tempo per pensarci su. Altri pazienti stanno aspettando. I corpi dei morti sono subito trascinati via e di lì a poco la gente di fuori vede il forno che comincia a uscire dalla ciminiera del forno crematorio.
Dopo che Ruth mi ebbe raccontato la sua storia, rimasi a lungo a pensare seduto dietro la mia scrivania. Quante volt~ avevo veduto uscire il fumo dalla ciminiera mentre lavoravo nell'orto d.el campo di concentramento? Dio aveva voluto che non dovessi sedemù anch'io sulla sedia davanti allo « Herr Doktor » Karl Babor.
Non c'è un trattato di estradizione fra Austria ed Etiopia. In molti paesi africani il termine di prescrizione per gli omicidi è di dieci anni. Secondo le leggi etiopiche, i delitti di Babor non erano più punibili.
Diedi un'occhiata al curriculum di Babor dal dopoguerra. Era stato rinchiuso in tin campo di' concentramento alleato come uno dei tanti « pesci piccoli» che non avevano fatto « nulla di grave». Nel 1947 passò diversi mesi nel carcere giudiziario di Vienna, ma le prove raccolte contro di lui non vennero ritenute sufficienti e fu rilasciato. Babor er,a fortunato. Su di lui vennero fatte solo indagini superficiali e il suo caso fu archiviato. C'erano molti altri casi da risolvere, ben più importanti del suo.
Nel 1 948, Karl Babor riprese gli studi di medicina all'università di Vienna. L'anno seguente, dopo aver superato tutti gli esami, ricevette nell'Aula Magna dell'univeTSità la laurea di dottore in medicina. Egli giurò solennemente « di servire l'umanità». Il dottor Babor fece il suo periodo d'internato presso l'Ospedale Municipale Gersthof di Vienna e in seguito esercitò la professione nella graziosa cittadina di Gmunden, nel Salzkammergut. Sembra che riuscisse molto simpatico ai suoi pazienti. Ma il dottor Babor non si sentiva sicuro a Gmunden. Un giorno del 1952, due uomini si recarono a casa dei suoi genitori a Vienna e chiesero di lui. Erano due ex internati del campo di concentramento di Grossrosen. Quando il padre di Babor disse loro che suo figlio non c'era, i due se ne andarono direttamente alla polizia e presentarono una formale denuncia contro il dottore. Probabilmente, non fu per una coincidenza che Babor scomparve di lì a poco da Gmunden con la moglie e la figlia. L'anno dopo, le autorità austriache raccolsero altre prove sulle attività di Babor durante la guerra. ·Egli era accusato di aver provocato la morte di un numero imprecisato di persone mediante iniezioni di sostanze mortali. Contro di lui venne spiccato un mandato di cattura. Ma il suo domicilio era sconosciuto: si supponeva che vivesse nel SudAfrica. ·
Poichè sapevo che nessun tribunale etiopico avrebbe processato il dottor Karl Babor e che egli non sarebbe mai tornato spontaneamente a Vienna per affrontare un processo, non -c' era che un solo modo per costringerlo a tornare. Telefonai al corrispondente viennese del New York Times. L'articolo che uscì sul giornale ebbe vaste ripercussioni in America e in Etiopia. L'ambasciata etiopica a Washington convocò in fretta e furia una conferenza stampa per in- formare l'opinione pubblica che il dottor Babor non era mai stato il medico ufficiale di Sua Maestà il Negus. Si ammise tuttavia che aveva curato vari membri della famiglia imperiale.
Quando un mio scritto dal titolo « Babor deve giustificarsi » fu pubblicato su un giornale di Francoforte, il direttore del quotidiano ricevette una lettera da un insegnante di storia che scriveva: .
Dopo la fine della guerra, nel 1945, mia moglie lngeborg, sua madre (ora defunta) e sua sorella si recarono in Austria e presero alloggio all'Hotel Post di Stuben am Arlberg. Alcune case più in là, abitava un certo dottor Karl Babor, di Vienna, con la moglie Helga e la figlia Dagmar. Babor camminava con le grucce: mi disse che era stato ferito alla fine della guerra. Agli inizi del 1946, mia madre e la sua famiglia si trasferirono a Zug, un piccolo villaggio nei pressi di Lech am Arlberg, e presero alloggio in una vecchia casermetta della Wehrmacht, divenuta proprietà di un contadino del posto. Poco dopo furono raggiunti da Babor e dalla figlia, che rimasero con la famiglia di mia moglie sino alla fine del 1946. Logicamente, vivendo insieme in uno spazio tanto ristretto, i loro rapporti divennero confidenziali. Karl Babor disse a mia moglie e ai suoi parenti di essere stato Lagerartz [medico di campo] in parecchi campi di concentramento. · Mia moglie aveva allora ventidue anni, non sapeva niente di ciò che era realmente accaduto iI) quei campi e pensò che i « medici di campo» svolgessero funzioni e compiti umanitari come i normali dottori. Più tardi lavorò come infermiera nel Sanatorio Helios di Davos, che era stato rilevato dal Comitato di Soccorso Ebraico. Vi venivano curati gli ex internati ammalati di tubercolosi. Gli orrori che i pazienti descrissero a mia moglie, e i fatti che in seguito scoprl su quel periodo - io insegno storia - le aprirono gli occhi. Ora ella ritiene di dover contribuire alla cattura di Karl Babor: e qualcosa può fare, perchè lo ha conosciuto molto bene. Desidera fornire a Herr Wiesenthal tutte le notizie di cui dispone, e la prega di inoltrare questa lettera al Centro di Documentazione perchè non conosce l'indirizzo di Herr Wiesenthal...
Anche ad Addis Abeba il raoconto del New York Times ebbe ripercussioni. I corrispondenti tedeschi e aust<riaci invitarono il dottor Babor a difendersi dalle mie accuse. Nel corso di una conferenza stampa, Babor disse indignato ai corrispondenti che egli « non aveva mai svolto alcuna attività in un ,campo di concentramento». Ammise, però, di essere stato a Braslavia in qualità di Truppenartz (modico militare).
Un corrispondente gli chiese: « Dottor Babor, perchè non querela Wiesenthal per diffamazione? »
« Non posso farlo. Dovrei andare a Vienna, e non ho denaro da buttar via. »
Quando lessi questa affermazione nei giornali tedeschi e austriaci, telegrafai a Babor: PREGOLA RITIRARE BIGLIETTO AEREO AVIOLINEE
ETIOPICHE ADDIS ABEBA STOP ALLOGGIO ET VITTO PAGATI IN VIENNA STOP WIESENTHAL. Non ritenni opportuno aggiungere che alloggio e vitto gli sarebbero stati forniti gratuitamente in un carcere giudiziario dalle autorità austriache, che avevano ancora in piedi contro di lui un mandato di cattura. Comunicai il testo del telegramma ai giornali locaH. Volevo es.sere certo che Babor non potC$C accampare la scusa di non· averlo ricevuto.
Il telegramma rimase senza risposta. Babor non voleva venire a Vienna. Decise invece di fare un altro viaggio. F ece testamento, pagò i conti in sospeso, mise meticolosamente in ordine tutte le sue carte, e se ne andò in macchina nella boscaglia, fino al suo posto preferito, lungo il fiume infestato dai coccodrilli, dove aveva condotto Ruth la sera del suo arrivo ad Addis Abeba.
Lì fermò l'automobile, si tolse tutti i vestiti e li mise nella macchina. Si portò dietro solo il fucile. Faticosamente s'inoltrò nel fiume, circondato da quegli animali che gli piacevano tanto. Continuò a camminare finchè l'acqua gli giunse qu~i al petto, poi si sparò al cuore.
Forse aveva sperato che i coccodrilli si accorgessero di lui, ma non fu così. Alcuni giorni dopo, alcuni turisti americani che partecipavano a un safari videro il corpo che galleggiava sull'acqua limacciosa. Comunicarono la loro scoperta alle autorità etiopiche. Le indagini della polizia accertarono senza pos.sibilità di dubbi che il dottor Karl Babor si era suicida to. In Germania, un giornale nazista pubblicò un servizi o in esclusiva secondo il quale Babor era stato u cciso « da agenti di Wiesenthal ». Al fun e rale, che ebbe luogo alcuni giorni dopo, erano presenti molti membri della colonia austriaca e tedesca. Il console generale austriaco depooe una corona sulla tomba del dottor Babor.
Capitolo Xiii Lo Sterminio Degli Zingari
Scoprii il tel egramma per caso, in un giorno del settembre 1 964, a Praga, mentre esaminavo certi documenti nazisti. Il telegramma era stato spedito dal comando della Gestapo di Berlino, in data 1 3 ottobre 1939, all'uffi cio della Gestapo di Mahrisch-Ostrau nel Protettorato della Boemia-Moravia (oggi Moravska-Ostrava in Cecoslovacchia). Era destinato alla particolare attenzione del tenente Wagner, « per l 'immediata consegna al capitano del:le SS Eichmann » e diceva:
COLONNELLO SS NEBE TELEFONATO IL 12-10-39 E CHIESTO QUANDO POSSIBILE PROCEDERE INVIO ZINGARI DI BERLINO. DETTOGLI PAZIEN· TARE UN PAIO DI GIORNI PER DARMI POSSIBILITÀ TROVARE CAPITANO SS EICHMA.l\'N ET DIRGLI DI METTERSI IN CONTATTO CON COLONNELLO SS NEBE. SE TRASPORTO ZINGARI BERLINESI SARÀ ULTERIORMENTE RINVIATO, LA CITTÀ DI BERLINO DOVRÀ COSTRUIRE CAMPO SPECIALE PER ZINGARI CON GRANDI SPE SE ET ANCOR PIÙ GRANDI DIFFICOLTÀ. COLONNELLO SS NEBE PREGA TELEFONARGLI, BRAUNE
Il successivo messaggio era un altro telegramma, URGENTE, in data I 6 ottobre, diretto da Eichmann, « SD Donau » (Servizio di Sicurezza della Gestapo a Vienna), alla « ATTENZIONE DEL CAPITANO OUNTER, GESTAPO MAHRISCH-O S TRAU » e diceva:
RIFERIMENTO TRASPORTO ZINGARI LA INFORMO CHE VENERDÌ 20- I 0-39
PARTIRÀ DA VIENNA PRIMO CONVOGLIO EBREI. A DETTO CONVOGLIO SARANNO ATTACCATI TRE O QUATTRO VAGONI DI ZINGARI. ULTERIORI TRENI PARTIRANNO DA VIENNA, MAHRISCH-OSTRAU E KATOWICE [Polonia]. S ISTEMA PIÙ SEM PLICE EST ATTACCARE ALCUNI VAGONI ZINGARI AD OGNI CONVOGLIO. POICHÈ DETTI CONVOGLI DOVRANNO SEGUIRE UN ORDINE PRESTABILITO, S I PREVEDE REGOLARE EFFETTUAZIONE
Nel settembre d el 1964 ero andato a Praga per esaminare i documenti nazisti contenuti in quattro c~ metalli che che erano state rinvenute in fondo al lago è emé Jezero, nella Boemia del sud. Mentre ero a Praga, le autorità cecoslovacche mi mostrarono gli archivi della Gestapo scoperti <la poco a Moravska-Ostrava. Erano i primi documenti che vedessi sullo sterminio degli zingari. Evidentemente, l'operazione era stata diretta da Adolf Eichmann, mentre il responsabile era stato un certo « Braune ».
Naturalmente, non era un mistero che gli zingari fossero considerati una razza « inferiore» in Germania dopo l'avvento al potere di Hitler nel r 933. Tre anni dopo venne istituito dalla SD uno speciale ufficio « ricerche », incaricato di fare « indagini » sugli zingari: qualcosa di simile all'Ufficio per gli Affari Ebraici, pres.so il quale Eichmann aveva lavorato dal 1937. L'applicazione delle leggi di Norimberga concernenti gli ebrei era già stata estesa agli zingari. I matrimoni fra zingari e tedeschi erano proibiti. Nel settembre 1939, dopo l'inizio della guerra con la Polonia, Himmler aveva ordinato che tutti gli zingari che vivevano « nella Grande Gem1ania » fossero trasferiti in Polonia. Questo ordine colpì circa trentamila zingari; due terzi di essi vivevano in Germania, i rimanenti nel Burgenland austriaco e nella Boemia-Moravia.
Avevo saputo che in al cuni campi di concentramento c'erano speciali recinti riservati agli zingari. Un grande campo per gli zingari era stato creato ad Auschwitz Birkenau. Allo sterminio degli zingari fu brevemente accennato nel corso del grande processo sui fatti di Aruschwitz celebrato a Francoforte s ul Meno agli inizi del 1960.
Cominciai ad ìnterc~rmi all'argomento, dato che nessuno aveva mai pensato di farlo. Gli zingari non sono bene organizzati; si spostano cont inuamente da un posto all'altro; molti sono analfabeti. Non hanno un Centro di Documentazione, e nessuno si era mai preoccupato in maniera particolare dèlle loro vicissitudini fino a che non trovai, per puro caso, i docum enti negli archivi della Gestapo a Moravska-Ostrava.
Due giorni dopo l'invio del telegramma di Eichmann all'ufficio della Gestapo di Mahrisch-Ostrau, a proposito dei primi trasporti di zingari, ci fu una « conversazione » per telescrivente fra il capitano (SS-Hauptsturmfiihrer Walter) Braune a Berlino e il capitano SS Gtinter a Mahrisch-Ostrau. Esistono copie della conversazione nel!'archivio della Gestapo. Fra l'altro, è detto:
PRECOLA INFORMARE CAPITANO NEBE AUT MAGGIORE WERNER IMPOSSIBILITÀ METTERCI IN CONTATTO CON LORO. FRATTANTO SPEDIAMO
MESSAGGIO cosrl. PROSSIMO CONVOGLIO DA MAHRISCH-OSTRAU PREVISTO MERCOLEDÌ 25-10-39. FORSE ZINGARI POTRANNO ESSERE AGGREGATI CONVOGLIO. GUNTER
Il capitano Braune da Berlino rispose « GEHT I.O. » « I.O. » significa in Ordnung, 05.Sia. « STA BENE ». Braune aggiunse: .
INFORMERÒ CAPITANO NEBE AUT MAGGIORE WERNER. CHE c'È DI NUOVO cosrl? OSSESSIONATO DA TABELLE STATISTICHE.
Il capitano Giinter rispose :
SPEDIAMO OGGI PRIMO CONVOGLIO 901 EBREI DIRETTO NISKO [Polonia]. ANDRÒ PROSSIMAMENTE A KATOVICE. ALTRI IOOO PARTIRANNO DI LÀ VENERDÌ MATTINA. SIGNORINA LEITNER EST ARRIVATA?
Il capitano Braune tr.asmise :
SÌ. SIGNORINA LUKASCH EST ARRIVATA?
Al che il capitano Giinter rispose :
SÌ. SARÒ REPERIBILE A MAHRISCH-OSTRAU. MIO SOSTITUTO EST CAMERATA BRUNNER PERFETTAMENTE AL CORRENTE DI TUTTO.
Il capitano Braune, da Berlino, volle sapere :
QUANDO VERRÀ QUI IL CAPITANO EICHMANN?
E Giinter rispose :
PROBABILMENTE INIZIO PROSSIMA SETTIMANA. COLONNELLO MULLER
METTERÀ AEREO A SUA DISPOSIZIONE. HH! GUNTER
HH significa « Heil Hitler!» E Braune concluse doverosamente, la conversazione con un:
HH! BRAUNE
Facemmo copie di tutti i documenti relativi alle deportazioni e allo sterminio degli zingari. Gli originali sono conservati nell'archivio di Stato cecoslovacco a Praga. Nel giugno 1965 mandai la documentazione completa al primo procuratore Schule, presso l'Ufficio Centrale di Ludwigsburg. Sia qui che a Bonn, nessuno aveva mai saputo niente di questo aspetto poco documentato dei genocidi nazisti. Riuscii a identificare lo Hauptsturmfuhrer Braune. Lo SS-Oberfuhrer Nebe, capo dello SS-Reichskriminalpolizeiamt, gli aveva affidato il compito di portare a termine l'eliminazione degli zingari. Altri appartenenti ;ùle SS citati nei documenti erano un certo tenente Wagner, il capitano Giinter, il maggiore Wern er, il colonnello Miiller, Heinrich Miiller (superiore di Eichmann), un membro del partito di nome Briinner e due donne chiamate Leitner e Lukasch.
Si ignora se Braune, il principale responsabile, sia ancora vivo.
A partire dal 1964, abbiamo trovato qua e là del materiale relativo allo sterminio degli zingari in diversi archivi ebraici di tutto il mondo, ma molti particolari rimangono ancora sconosciuti. Per esempio, non si sa con precisione dove gli zingari siano stati uccisi. Molti furono confinati nei ghetti con gli ebrei, specie a Varsavia, a Lublino e a Kielce, in Polonia. Spesso furono deportati con gli ebrei e subito eliminati dai carnefici delle SS. Nei rapporti delle unità SS incaricate degli stermini in Ucraina, abbiamo trovato molti riferimenti alle uccisioni di zingari.
La deportazione degli zingari dalla Germania settentrionale cominciò nel maggio 1940. Altri convogli partirono dalla Baviera e dal Burgenland austriaco, presso il confine con l'Ungheria. Dopo l'invasione tedesca dell'Unione Sovietica, l'Einsatzgruppe D ebbe ordine di annientare tutti gli zingari dell'Ucraina e della Crimea. Nel 1942 continuarono le depòrtazioni dall'Europa occidentale e sud-occidentale, e gli zingari vennero smistati nei campi di concentramento della Polonia. L'ultimo atto ebbe luogo, probabilmente, nel 1944, ad Auschwitz. Nessuno saprà mai quanti zingari vennero uccisi. Ce n'erano forse centinaia di migliaia nei territori conquistati dai nazisti.
Nel mio rapporto all'Ufficio Centrale di Ludwigsburg ho fatto presente che le prove dovrebbero essere sufficienti per aprire una nuova serie di processi per genocidio.
La lettera veniva dalla Nuova Zelanda. La grafia era difficile da decifrare, ma il significato era chiaro. La veccha signora si scusava : sapeva che di solito non mi occupavo di casi del genere; ma non sapeva a chi rivolgersi. Aveva già scritto parecchie lettere a Vienna, ma nessuno era stato in grado di dirle niente. Era stata portata via nel r 939. Erano entrati nel suo appartamento nel Primo Distretto di Vienna. « Mi diedero esattamente cinque minuti per prendere il S<>prabito e la borsa, » diceva. Non aveva denaro, e aveva già dovuto disfarsi dei gioielli. Era rimasto solo l'appartamento, con le belle cose che conteneva.
... Avevo fatto molti sacrifici per conservare l'appartamento esattamente come me lo avevano lasciato i miei genitori: le porcellane di Meissen e le tabacchiere della collezione di mio padre, i mobili Biedermeier, la vetrina con le tre statuette di SMes, i vecchi candelieri e l'argenteria. Dopo il 1920, durante l'inflazione, quando soffrivamo il freddo e la fame, ero stata costretta a vendere alcune cose per comperare cibo e carbone. Ma non avevo toccato i quadri. E fra questi ce n'era uno che prediligevo perchè sapevo che significato avesse avuto per mio padre...
Sull'uscio, si. era voltata per dare un'ultima occhiata alla casa: fu quella l'ultima volta che vide i suoi tesori. Quando tornò, nel r 946, non c'era rimasto più niente. Un noto nazista aveva preso possesso del suo appartamento poche settimane dopo che lei era stata portata via. Immediatamente prima della fine della guerra, il nazista e la sua famiglia erano scappati portandosi via molte cose, ma nessuno aveva saputo dirle che fine avessero fatto. La gente era occupata a cercare amici e parenti, e non aveva tempo di pensare alle porcellane di Mei.sren, alle tabacchiere e ai candelieri. In seguito, la signora era emigrata in Nuova Zelanda, dove vive grazie all'aiuto di alcuni lontani parenti.
Mi sono rassegnata alla perdita di tutte le mie cose; altri hanno perso molto di più. Ma vorrei sapere che ne è stato di quel quadro. Un amico facoltoso vorrebbe comperarlo e ha promesso di lasciarmelo finchè vivo. Il denaro mi farebbe comodo. Sto invecchiando e ho qualche debito ...
Aveva scritto a diverse organizzazioni viennesi. chiedendo notizie del quadro. Le ci vollero due anni solo per riuscire a scoprire il posto dove venivano conservati i quadri « senza proprietario » : allo Hofburg, nei depositi del Bundesdenkmal.amt (Sovrintendenza ai monumenti). Scrisse a questo ufficio, e le risposero che doveva presentare un certo numero di documenti, perchè in caso contrario non avrebbero potuto dirle nemmeno se il suo quadro era in deposito.
Non era la prima volta che sentivo parlare di quel deposito di quadri. Qualche tempo prima avevo ricevuto una telefonata da un avvocato di Vienna. Un profugo viennese, che viveva in Inghilterra, gli aveva chiesto di cer,care di recuperare un quadro prezioso conservato nello Hofburg.
« È strano, » disse l'avvocato. « Mi sembra di brancolare nella nebbia. Tutti si comportano come se volessi rubare qualcosa. Dovrebbe occuparsi della faccenda, Wiesenthal. Ho il sospetto che ci sia qualcuno o qualcosa dietro questi quadri. »
Qualcuno c'era infatti. Appena cominciai a indagare in quel campo in cui non avevo alcuna esperienza, i risultati furono molto interessanti. Alla fine della seconda guerra mondiale, l.,t questione dei tesori d'arte europei era in pieno caos. I nazisti avevano organizzato il più colossale furto di oggetti d'arte della storia. Dopo che Hitler, Goering e Ribbentrop avevano rivelato un sorprendente interC$C per le belle arti, il « collezionismo » era diventato non solo un segno di distinzione per i gerarchi nazisti, ma anche uno svago, più proficuo della caccia e della pesca. Il Fiihrer era il maggiore collezionista, e accarezzava il grandioso progetto di dare alla sua diletta città natale, Linz, la più grande galleria d'arte del mondo: di gran lunga più importante del Louvre, degli Uffizi e del Prado. Sarebbe stato quello il più grosso affare, nel campo artistico, di tutta la storia. Venne creato un Einsatzstab (ufficio speciale) sotto la guida dell'infaticabile esperto culturale di Hitler, Alfred Rosenberg, che aveva il compito di fare man bassa su tutti i tesori d'arte nei paesi occupati dai nazisti. Il personale dell'ufficio venne reclutato fra i direttori di musei, gli esperti e i mer.canti d'arte.
Le « collezioni » naziste venivano create o ricorrendo semplicemente alla confisca o mascherando l'operazione con una parvenza di legalità. Un amico che vive in Olanda mi ha parlato recentemente di questo secondo metodo.
« Si sapeva che possedevo un bel Frans Hals. Non ce ne sono molti di proprietà privata. Gli esperti di Rosenberg vennero a trovarnni in un certo giorno del 1941, con due compari della Gestapo. Guardarono il mio Hals e naturalmente lo trovarono bello. Mi proposero di acquistarlo per il costituendo ~useo del Fiihrer: era un grande onore e uno straordinario privilegio per me contribuire a quel supermuseo. Mostrarono di apprezzare il dipinto offrendomi quello che secondo loro era <un buon prezw >. » lt mio amico si mise a ridere. « Dopo il 1930, negli anni della · crisi, il quadro era stato valutato 1 50.000 marchi. Loro mi offrivano 1 500 marchi. Dissero che non volevano approfittare di me. Uno degli uomini della Gestapo mi disse che per lui il quadro era stato valutato 1500 marchi di troppo. Mi dette sessanta secondi per pensarci. Accettai. »
« E se avessi rifiutato la proposta?»
Rise di nuovo. « Conoscevo un tale che era ostinato. La Gestapo gli prese i quadri e si portò via anche lui. Non è più tornato. »
Dopo la guerra, alcuni esperti incaricati delle restituzioni cercarono di mettere ordine nel caos. I quadri che erano stati rubati dai musei e dalle gallerie pubbliche vennero facilmente identificati e restituiti. Per quanto riguardava le collezioni private i cui proprietari erano scomparsi, la faccenda fu meno facile. E il problema si dimostrò d ifficilissimo per quei pezzi appartenenti a privati che avevano posseduti uno, due o tre quadri solamente. Costoro non avevano una precisa documentazione, come i grandi collezionisti.
Le .autorità della Germania Occidentale cercarono di rintracciare i proprietari o i loro eredi; restituirono anche ali'Austria i quadri che erano appartenuti a cittadini austriaci. Gli austriaci furono più lenti. Consegnavano le opere d'arte ai legittimi proprietari che potevano provare il loro buon ruritto, ma non fecero nulla per trovare le persone, o gli eredi delle persone cui erano appartenuti i dipinti, i disegni, le sculture che ora sono immagazzinati allo Hofburg. Sapevano bene che i proprietari erano stati persegui t ati per motivi razziali o politici. Ma affermavano che molti casi erano « c.omplicati »
Talvolta gli antichi proprietari erano stati costretti a « vendere » le opere d'arte, ,così come il mio amico _ olandese aveva «venduto» il su o Hals. Spetta ai tribunali decidere se queste vendite siano legali. Un dipinto poteva essere stato «requisito» da un nazista dopo la deportazione del proprietario ebreo, . e poi successivamente « requi- sito » da altre persone dopo la fuga precipitosa del nazista . Era kompliziert (complicato).
Cominciai con lo studiare l'elenco dei principali dipendenti del1'Einsatzstab di Rosenberg cui era stato affidato il compito di traf ugare i tesori d'arte. Non fui troppo sorpreso quando scoprii che alcuni di coloro che presero parte al grande furto di opere d'arte erano tornati ad occupare alte cariche nei musei e nei ministeri; altri erano diventati facoltosi mercanti d'arte. Due membri dell'ufficio di Rosenberg sono oggi noti mercanti d'arte di una grande città della Germania meridionale. Uno dei massimi esponenti del Bundesdenkmalamt di Vienna era stato NS Guskunstwart (una specie di Gauleiter per le belle arti) in Carinzia. Aveva fatto parte di una commissione volante delle SS che viaggiava per tutta la Jugoslavia col compito di scegliere i pezzi per il museo del Fi.ihrer.
Cercai di stabilire esattamente quanti dipinti fossero conservati allo Hofburg e che genere di dipinti fossero. Non fu facile. Esistevano degli elenchi, ma erano custoditi come fossero testate atomiche (forse per timore del loro contenuto esplosivo). Telefonai a Frau Dr. P., Staatskonservator (direttrice del Museo di Stato), per chiederle un appuntamento. Chi ero? Che cosa volevo sapere?
« Desidererei un elenco dei quadri senza proprietario che sono depositati allo Hofburg. »
Una lunga pausa. « Chi le ha detto di rivolgersi a me?»
Spiegai che ,m'interessavo alla cosa per conto di alcuni proprietari. Frau Dr. P. mi disse brevemente che era molto oocupata e mi invitò a passare da lei « fra una decina di giorni».
Così feci Frau Dr. P. mi chiese quali fo~ro esattamente i quadri che m'interessavano. Risposi che m'interessavano tutti i quadri.
« Ma è impossibile. Non possiamo dare un'informazione del genere a un privato cittadino. »
Le chiesi se. preferiva che ne informassi la stampa. Poteva sempre smentirmi, le di.sm.
Alla parola «stampa», la direttrice del Museo di Stato si irrigidi. Mi disse che la faccenda non rientrava nelle sue competenze, e mi consigliò di andare al Ministero delle Finanze.
Al Ministero delle Finanze, il funzionario competente non mi ricevette nerruneno. Mi fu detto di parlare con il suo assistente. Costui era un uomo simpatico. Mi f ea sedere, mi offrì una sigaretta e mi disse che era lieto di conoscere il beruhmter (celebre) Herr Wiesenthal.
Gli risposi: « Vuol dire il beruchtigter [famigerato] Wiesenthal. »
La sua cordialità cominciò a svanire. Che cosa poteva fare per me? Riproduco qui di seguito il dialogo il più fedelmente possibile:
W: « Quanti sono i quadri di proprietari sconosciuti che avete in deposito?»
Lui: « Be', è difficile dirlo. Bisognerebbe fare un inventario aggiomato. Sa, ci sono continui movimenti. Abbiamo non solo quadri di proprietari perseguitati per motivi razziali o politici, ma anche quadri di provenienza ungherese e cecoslovacca, capitati qui durante la guerra. »
W : « Quanti quadri appartengono a perseguitati razziali o politici... duecento? trecento? »
Lui : « Direi molti cli più! »
W: «Duemila?»
Lui : « Be', forse duemila è troppo. »
W: « Fra questi, ci sono quadri cli valore?»
Lui:« Dipende da ciò che si intende per <valore>. Non c'è niente sul piano di un Rembrandt. »
W: « Ma ce ne sono di pregevoli?»
Lui : « Be'... sì. »
W: « Perchè non avete mai pubblicato un elenco di questi quadri? Ciò consentirebbe ai proprietari sparsi per tutto il mondo di chiederne la restituzione. »
Lui: « Ma, caro Herr Wiesenthal, non c'è bisogno di pubblicare un elenco del genere. I mercanti e i collezionisti sanno tutto sui quadri più importanti. Das spricht sich herum [la cosa si viene a sapere]. »
W: « Supponga che non lo si venga a sapere in un paesino ·della Nuova Zelanda dove una vecchia signora ebrea vive di carità. Potrebbe vendere il quadro e godersi in pace gli ultimi anni di vita. »
Lui : « ..• Ehm. »
W : « So che avete restituito alcuni quadri a persone che hanno provato di esserne i proprietari. Ma ho saputo che i quadri non re- . clamat\ entro il 1968 diventeranno proprietà dello Stato. »
Lui: « E lei che cosa proporrebbe? »
W : « Proporrei di fare un catalogo di tutti i quadri e delle opere d'arte. Lei sa quanto sangue e quante lacrime siano CO!Slate queste opere. Una volta stampato, il catalogo dovrebbe essere spedito ai consolati austriaci in tutti i paesi del mondo. Gli interessati potrebbero cosi consultarlo per vedere se i loro quadri sono fra quelli immagazzinati nello Hofburg. »
Lui (tormentandosi le mani): « Si rende conto di ciò che significa? Saremmo sommersi da un mare di lettere. »
W: « Ne sarebbero contenti i filatelici austriaci.»
Lui: « Non capisce. Tutta questa faccenda è kompliziert. Abbiamo cominciato a trattare con gli ungheresi. Poi parleremo con i cechi. Ma non abbiamo il tempo di parlare con ogni singolo proprietario: E non abbiamo nemmeno il personale per farlo. »
· Reticente fu anche l'atteggiamento dell'ufficio per la Vermogenssicherung (coQ.Serv.azione dei beni). Mi disrero che un catalogo dei quadri ·avrebbe suscitato una vera e propria « battaglia cartacea» scatenando cause a non finire. Era impossibile « limitarsi a mostrare » i quadri alle persone che affermavano di esserne i proprietari,
« Lei non sa che cosa è successo dopo la partenza delle truppe alleate nel 1955. Restituimmo gli oggetti confiscati a coloro che dimostrarono di esserne i proprietari. Ma subito dopo vennero fuori altre persone che reclamavano i loro diritti .sugli stessi beni. Bontà divina, non ha idea di quel che accadde. Fatto strano, le contestazioni vertevano sempre sugli oggetti di maggior valore. Nessuno reclamava la paccottiglia. »
« Ciò significa, » gli dissi, « che intendete aspettare fino a che queste opere diventeranno proprietà dello Stato?»
« Le domande di restituzione dovevano essere inoltrate entro la fine del 1956. È impossibile prendere in considerazione le richieste pervenute in data posteriore. »
. E se i proprietari avessero ignorato quel termine di t empo? Oh, sarebbe stata una cosa spiacevole, ma non c'era proprio niente da fare.
Non rimaneva che fare appello ai massimi esponenti del governo e al popolo austriaco. Scrissi al ministro delle Finanze, al ministro dell'Istruzione e al ministro degli Affari Esteri, chiudendo le lettere con . queste parole: « Sono convinto che la Repubblica Austriaca non intende trci profitto da opere d'arte che grondano sangue e lacrime. » .
Mandai tutte le notizie di cui disponevo sull'argomento, con copie delle mie letter~, alla. stampa. Per un po', nessuno pubblicò nulla. lJn _illto funzionario ministeriale . mi comunicò che « la complessa qyestione .era allo studio».
Nell'.ottobre 1965, l' Express di Vienna pubblicò un servizio -sul « Museo delle lacrime»> Qualche altr.o giornale seguì il suo esempio. Il ministro degli Esteri, dottor Bruno Kreisky, mi scrisse che appog· giava la mia proposta di pubblicare un catalogo dei tesori d'arte da mandare ai ·consolati austriaci in tutto il mondo, così che i presunti proprietari potessero desumerne ogni utile informazione.
Il I 6 aprile 1 966, il dottor Wolfgang Schmitz, ministro delle Fi· nanze, mi scrisse che l ui e il ministro dell'Istruzione avevano esa· minato a fondo la questione.
« Il problema da lei esposto, » scriveva il ministro, « sarà risolto con una nuova legge federale che probabilmente verrà chiamata Kunstgut-Bereinigungsgesetz [legge per il riordinamen to delle opere d'arte]. Ho già dato ordine di preparare il relativo disegno. La legge permetterà agli interessati di far valere i loro diritti entro un certo termine dal momento in cui diventerà operante. Spero che apprezzerà l'intenzione... »
Forse non sarà troppo tardi per la vecchia signora della Nuova Zelanda.
Quando ero studente, passavo spesso qualche settimana nella località montana di Zakopane, nei Carpazi (Polonia). D'estate c'erano i boschi, il sole, la tranquillità. D'inverno, c'erano buoni campi di sci. Zakopane è tornata ad es.5efe una nota stazione di sport invernali. Poco distante c'è la cittadina di Rabka. Qui viveva un tempo un bambino ebreo, di nome Sammy Rosenbaum. Sentii parlare per la prima volta di Sammy Rosenbaum una mattina del settembre 1965, quando una certa signora Rawicz di Rabka venne nel mio ufficio di Vienna. Stavo cercando delle persone che potessero testimoniare in un processo che sarebbe stato celebrato in Germania per certi crimini perpetrati dai nazisti a Rabka.
La signora Rawicz aveva conosciuto bene Sammy Rosenbaum. Disse che era « un bambino fragile, col viso pallido e smunto e due grandi occhi neri che lo facevano apparire molto più grande di quel che era: come accadeva a tanti bambini che imparavano troppo presto a conoscere la vita e che non ridevano quasi mai ». Sammy aveva nove anni nel 1939, quando i tedeschi occuparono Rabka, nei primi giorni della campagna polacca, e l'esistenza divenne un incubo per gli ebrei di quel paese. Fino a quel momento la vita era stata abbastanza normale... se si poteva chiamare normale la vita di un povero ebreo in Polonia. Il padre di Sammy era un modesto sarto, che lavorava molto e guadagnava poco. La gente come i Rosenbaum erano una selvaggina ideale per le autorità, e la stagione della caccia in Polonia durava dodici mesi all'anno.
I Rosenbaum vivevano in un miserabile appartamento di due camere e un cucinino in una casa vecchia e buia. Ma erano felici, e molto religiosi. Sammy imparava a dire le preghiere. Ogni venerdì sera andava col padre alla sinagoga, dopo avere acceso le candele in casa. La madre e la sorella di Sammy, Paula, maggiore di lui di tre anni, rimanevano a casa a preparare la cena.
Questo genere di vita diventò solo .un ricordo dopo l'occupazione della Polonia da parte dei tedeschi. Nel 1940, le SS installarono nelle caserme dell'ex esercito polacco, nei boschi intorno a Rabka, una cosiddetta « scuola di polizia». Non era una scuola come le altre. Era un centro di addestramento p er i futuri assas.5ini delle SS. Era la prima fase del piano di stermini o. Le esecuzioni venivano effettuate da plotoni di SS che sparavano alle loro vittime. Talvolta dovevano fucilare cinquanta, cento, anche centocin~uanta persone al giorno. A Rabka venivano temprati g li uomini délle SS perchè non crollassero dopo poche settimane di servizio. Dovevan o diventare insensibili alla vista del sangue, alle grida strazianti di donne e bambini. Il lavoro doveva essere svolto con il minimo chiasso e con la massima efficienza. Era un Fuhrerb efehl, un ordine del Fiihrer.
Lo SS-Untersturmfuhrer Wilhelm R osenbaum di Amburgo fu nominato comandante della sc uola. Rosenbaum era una SS perfetta : cinico, brutale, convinto della sua « missione ». Girava per il paese con un frustino da cavallerizzo. « Quando lo vedevamo per la strada, ne eravamo tanto terrorizzati che ci ~ugiavamo nel portone più vicino,» ricordava la donna di Rabka. All'inizio del 1942, la SS Rosenbaum ordinò che tutti gli ebrei di Rabka si present~ro alla scuola locale pèr CS5ere «registrati ». Gli ebrei sapevano che significato avesse quest'ordine. I malati e i vecchi sarebbero stati deportati subito. Gli altri avrebbero dovuto lavorare per le SS, per la Wehrmacht, dovunque avessero voluto mandarli.
Mentre le operazioni di r egistrazione volgevano al termine, arrivò lo SS-Fuhrer R osen baum, accompagnato dai du e vice-comandanti, Hermann Oder e Walter Proch. ( Entrambi miei «clienti» subito dopo la guerra. Scovai Proch nel 1947 a Blombetig-Mondsee, un villaggio nei pressi di Salisburgo. Fu condannato a sei anni di carcere. Oder, anch'egli austriaco, fu arrestato a Linz n ella grande villa che aveva « requisito » al pre cedente proprietario ebreo. In seguito gli americani lo rimisero in libertà, e oggi è un fa coltoso uomo d'affari di Linz. Lo SS-Fuhrer Rosenbaum scomparve dopo la guerra, ma il suo nome fu sempre fra i primi nell a mia lista di « ricercati ». )
Nell'aula scolastica di Rabka, lo SS-Fuhrer R osenbaum esaminò i nomi degli ebrei. « Improvvisamente sbattè con violenza il frustino sulla tavola, » mi disse la donna di Rabka. « Tutti sobbalzammo, come se fossimo stati sferzati. La SS Rosenbaum urlò: < Cos'è questo? Rosenbaum? Ebrei! Come osano questi uerdammte Ju den di portare il mio bel nome tedesco? Bene, ci penserò io., » Forse lo SS-Fuhrer Rosenbaum sarebbe rimasto sorpreso scoprendo che il suo bel nom e tedesco è di solito co nsiderato un nome ebreo, anche se, naturalmente, vi sono dei Rosenbaum che non sono ebrei. ' Sbattè l'elenco sul tavolo e uscì a gran passi. Da quel momento, tutti a Ràbke capirono che i Rosenbaum sarebbero stati uccisi; era solo questione di tempo. Si sapeva che in altri posti degli ebrei erano stati arrestati e uccisi pen:hè si chiamavano « Rosenberg », o perchè avevano nome Adolf o Hermann. ·
A quel tempo, circolavano già a Rabka voci raccapriç.cianti sulla scuola di polizia. Si diceva che gli uomini si esercitassero alle esecuzioni su una spianata in mezzo ai boschi. Gli allievi delle SS sostenevano gli esami sparando sulle loro vittime mentre lo SS-Fuhrer Rosenbaum e· i suoi assistenti osservavano con occhio clinico le reazioni degli allievi. I bersagli viventi per questi esami erano ebrei e polacchi rastrellati dalla Gestapo. Sè un allievo si mostrava esitante, veniva tolto .dal plotone di esecuzione e spedito in prima linea.
La signora Rawicz sapeva quel che diceva. Dopo la registrazione, era stata mandata come inserviente alla scuola cli polizia. « Quando le SS tornavano dalla spianata nel bosco, dovevo pulire i loro stivali, che erano ,sempre sporch i' di sangue. »
Era un venerdì mattina; un venerdì del mese di giugno. I testimoni oculari, due dei quali vivono oggi in Israele, non ricordano la data esatta, ma sanno che era un venerdi. Uno dei testimoni stava lavorando nella casa al di là del campo di gioco, di etro la scuola. Vide ciò che accadde. Due SS scortavano « l'ebreo Rosenbaum », la moglie e la figlia quindicenne. Dietro di foro veniva lo SS-Fuhrer Rosenbaum. ·
« La donna e la ragazza avevano appena girato l'angolo della scuola quando sentii alcuni colpi, » disse il testimone sotto giuramento. « Vidi che la SS Rosenbaum c~minciò a picchiare il nostro Rosenbaum con il frustino, grid'ando: < Sporco ebreo, t'insegnerò io a ,portare il mio nome tedesco!> Poi la SS estrasse la rivoltella e sparò al sarto Rosenbaum. Sparò due o tre volte. Non potei contare gli spari,' ero atterrito. »
In precedenza, Te ',SS erano andate per prendere ·i Rosenbaum con uz:i furgoncino. Il sart~, la r:noglie e la figlia erano seduti a tavola a far colazione. Sammy si trovava già nella gra1,1d e cava ~i pietra vicino a Zakryty, dove era stato man d a to a lavorare quando av.eva compiuto i d~ie:i anni. Tutti gli uomini ebrei dovevano lavo- · rare, ed oramai Sammy era considerato un uomo. Ma era debole e denutrito, e ,l'unico Javoro che poteva fare era quello di scegliere le pietre e caricare le più piccole su un carrello.
La SS mandò un poliziotto ebreo disarmato· alla cava per prendere Sammy. Mandavano s~ poliziotti ebrei ad arrestare altri ebrei, quando erano troppo occupati con l'addestramento alla scuola di polizia. Il poliziotto ebreo raccontò in seguito alla inserviente della scuola ciò che accadde di preciso. Era andato a Zakryty con un carretto tirato da un cavallo. Aveva femiato l'animale e aveva fatto un segno con la ;mano a Sammy Rosenbaum. Tutti alla cava smisero di lavorare per guardare : i lavoratori ebrei e Je due SS di guardia. Sammy posò sul carrello la grossa pietra che aveva in mano e si avvicinò al carretto. Sammy sapeva ciò che sarebbe successo.
Sammy guardò il poliziotto ebreo. « Dove sono?» chiese. « Papà, mamma e Paula. Dove sono?»
Il poliziotto non disre nulla, si limitò a scuotere la testa.
Sammy capì. « Sono morti. » Parlava a bassa voce. « Lo sapevo da tanto tempo che sarebbe successo. Perchè ci chiamiamo Rosenbaum. »
Il poliziotto deglutì, ma Sammy parve non accorgersene.
« E adesso lei è venuto per me,» disse calmo. Non c'era emozione nella sua voce. Salì sul carretto e sedette accanto al poliziotto ebreo.
Il poliziotto non riusciva a dire una parola. Si era aspettato che il ragazzo piangesse, oppure che cercasse di scappare. Lungo tutta la strada che lo portava a Zakryty, il poliziotto aveva pensato a come avrebbe potuto avvertire il ragazzo, farlo scomparire nei boschi, dove poi i partigiani polacchi avrebbero potuto aiutarlo. Adesso era troppo tardi. Le due guardie delle SS li osservavano con i fucili in pugno.
Il poliziotto disse a Sammy quello che era accaduto la mattina. Sammy chiese se potevano fermarsi un momento a casa sua. Quando arrivarono, scese ed entrò, lasciando la porta aperta, nella stanza dove i suoi avevano fatto colazione. Guardò fa tavola su cui erano rimaste le tazze semivuote. Poi guardò l'orologio. Erano le tre e mezzo. Papà, mamma e Paula erano già sotto terra, nessuno aveva acceso una candela per loro. Lentamente, metodicamente, Sammy sparecchiò la tavola e vi mise sopra i candelieri.
« Lo vedevo benissimo da fuori, » disse più tardi il poliziotto ebreo alla donna. « Si mise in testa la papalina e cominciò ad accendere le candele. Due ~r il padre, due per la madre, due per la sorella. E pregò. Vedevo il movimento delle laibbra. Disse il kaddish per loro.»
II kaddish è la preghiera per i defunti . . Papà Rosenbaum aveva sempre recitato il kaddish per i suoi genitori morti, e Sammy aveva imparato la preghiera dal padre. Adesoo, lui era l'unico uomo superstite della fa.miglia. Rimase ll in piedi tranquillo, a fissare le sei candele. Il poliziotto ebreo, dall'esterno, vide che Sanuny scuoteva lentamente la testa, come se a un tratto gli fosse venuto in mente qualcosa.. Poi Sanuny mise altre due candele sulla tavola, prese un fiammifero, le accese e pregò.
« Il ragazzo sapeva di essere già morto, » disse in seguito il poliziotto. « Cosi accese le candele e disse il kaddish anche per sè. »
Poi Sammy uscì, lasciando la porta aperta, e tranquillamente si mise a sedere sul carretto, vicino al poliziotto che piangeva. Il ragazzo non pianse. Il poliziotto si asciugò le lacrime col dorso della mano e tirò le redini. Ma le lacrime continuavano a scorrergli sul viso. Il ragazzo non disse una parola. Toccò piano il braccio dell'uomo, come se volesse consolarlo perdonargli di averlo portato via. Poi si avviarono verso la spianata nel bosco. Lo SS-Fii.hrer Rosenbaum e i suoi « allievi > aspettavano il ragazzino...
« Era ora! » disse la SS.
Dissi alla donna di Rabka che ero informato circa la scuola di polizia delle SS fin dal 1 946. Parecchi anni prima avevo fomito alle autorità di Amburgo tutte le prove e le testimonianze per il proc~ contro la SS Wilhelm Rosenbaum. Ora ci sarebbero state le testimonianze per una nuova incriminazione.
« Dove è adesso la SS Rosenbaum? » mi chiese la donna.
« Wilhelm Rosenbaum fu arrestato nel 1964, ed ora è in carcere ad Amburgo in attesa di processo. »
Lei sospirò. « A che serve? Sono morti tutti. E l'~o è vivo.» Firmò la deposizione giurata. « Non c'è scopo.»
Nessuna pietra tombale porta il nome di Sammy Rosenbaum. NC$uno lo avrebbe ricordato se la donna di Rabka non fosse venuta nel mio ufficio. Ma ogni anno, in un giorno di giugno, vado ad accendere due candele per lui e recito il kaddish.