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Dallo Spionaggio all'Intelligence
Storia degli agenti segreti
Premessa
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Un esercito senza agenti segreti è come un uomo senza occhi né orecchie
(Sun Tsu, L'Arte del/n Guerrn, V sec. a.C.)
La cosiddetta «arte » dello spionaggio ha origini antichissime. Le sue tracce si perdono nella notte dei tempi. quando l'uomo organinato in gruppi inizia a praticare un'altra cosiddetta «arte »: quella della guerra! Guerra e spionaggio, in effetti, sono apparsi sempre indissociabili e comp lementari. La raccolta di informazioni «finalizzate » è stata ben presto sentita dall'uomo come condi7.ione indispensabile per impostare, avviare e realinare iniziative belliche.
Ma, ci si può chiedere, è utile risalire così lontano nel tempo nel ripercorrere la storia dei Servizi e degli agenti segreti? Rispondiamo con le s uggestive parole di Winston Churchill: " ... più sapremo lontano nel passato, più sapremo vedere lontano nel futuro". Insomma siamo dò che siamo stati e saremo dò che siamo. Ci pare di conseguenza inevitabile guardare all'indietro nel mondo delle informazioni segrete per meglio capire da dove siamo arrivati e come ci prepariamo a sostenere le sfide del futuro.
L'uomo appena evoluto, dunque, si rende rapidamente conto che chi pratica meglio lo «spionaggio» e, secoli più tardi, l'«intelligence», finisce col disporre di un notevole vantaggio rispetto a un nemico che conta magari solo sulla propria potenza e sullo scontro diretto e «cavalleresco». Si constata insomma come l'astuzia, l'inganno c il raggiro finiscano spesso per prevalere sulla forza bruta o, comunque, ne limitino efficacemente i danni. Non solo. Appare anche chiaro che l'informnzione prevenfivn consente una migliore difesa. n "controspionaggio" permetterà così ai Regni e Imperi dell'antichità che lo praticheranno, di durare molto più a lungo rispetto ai concorrenti che vi fanno meno ricorso e non ne coglieranno le potenzialità ai fini della protezione dello Stato dai nemici interni c esterni. Va peraltro detto che risulta particolarmente difficoltoso per gli storici tracciare, seguendo un percorso lineare, l'evoluzione dei servizi segreti dalle origini della civiltà, la cui nascita viene convenzionalmente datata trenta secoli avanti Cristo, in assenza di continuità nelle fonti storicamente valide, in presenza di limitate testimonianze scritte c nella tradizionaJe reticenza a lasciare tracce su questioni segrete o riservate ... Chissà in effetti quanti archivi, quante preziose informazioni, quanti memoriali sono andati distrutti nel corso di tremila anni! Del resto è verosimile che nella realtà non ci sia stata effettiva continuità nella laboriosa linea evolutiva, di fatto piuttosto zig-zagante, dello Spionaggio verso l'Intelligence. Due concetti dei quali non è sempre agevole tracciare una linea divisoria chiara e trasparente. Due categorie che sovente si mescolano e si intrecciano l'una con l'altra, due idee che nel linguaggio com u ne vengono espresse indistintamente, due definizioni che invece non possono essere considerate sinonimi.

Anzi oggi emerge sempre più evidente la tendenza a differenziare il significato dei due termini che, nelle grandi linee, si potrebbero descrivere nel modo seguente: lo spionaggio è ricerca di noti.lie segrete, con metodi non sempre legittimi, essenzialmente per preparare o vi11cere una guerra ovvero per acquisire in maniera indebita vantaggiose poc;izioni economico-commerciali, per mettere in difficoltà un concorrente e dove la commistione con la politica può assumere lineamenti ambigui e pericolosi ... Lo spionaggio tende con facilità a diventare strumento di potere nelle mani di una parte o fazione politica. Assume fatalmente connotazione aggressiva; l'intclligencc (dal latino intus lcgere, cioè leggere dentro, ..,a per leggere il senso delle notizie), invece, è raccolta, seleI.ione e valutazione di informazioni riservate, ma sovente provenienti anche da fonti "aperte", concernenti la sicurezza di un pae<;e per t.>t•itare un guerra, prc?venirc un attacco terroristico, una sconfitta ecor'lomico-commcrciale, una perdita di mercato. Si indirizza quindi verso finalità difensive. L'intelligence, come abbiamo accennato, è diventata oggi una componente essenziale della politica di "icurezza interna ed esterna dello Stato. Può essere ormai definita come un "sistema di sicurezza collettiva".
Lo c;tudio della lenta evoluzione dello spionaggio verso l'intelligence, avvenuta nel corso dei secoli in maniera confusa, non sempre storicamente definibile, con inestricabili e opache connessioni nei momenti in cui l'intelligence riprende i caratteri dello spionaggio ovvero lo spionaggio c;i maschera da intelligence, costituisce precisamente l' oggetto della nostra veloce cavalcata "nel tempo e nello spazio". Consapevo li peraltro delle difficoltà che minano un percorso che si addentra in sentieri dove ciò che appare non è e dove una stessa verità ha non di rado diversi e contradditori volti, tutti peraltro credibili.

La scelta degli argomenti e dei personaggi messi in evidenza nel libro può apparire arbitraria. E in effetti lo è! Ma va considerato che l'ambizione del volume non è quella di porsi come un'enciclopedia dello spionaggio ovvero come un particolareggiato studio accademico. La s ua dichiarata aspirazione è piuttosto quella di rivolger si a una vasta platea di non specialisti, so prattutto giovani e s tudenti , attraverso una rapida , sintetica, coeren te e, mi auguro, accattivante carrellata attraverso i protagonisti, le tecniche e le strategie dei servizi segreti.

Per avvicinare i lettori a un mondo aspro, di non facile comprensione e dai co ntorni incerti, al di là delle affasci nanti semplificazioni cinematografiche e delle s ugges tioni letterarie dei grandi autori di spy-stories.
Per agevolarli nel seguire gli s viluppi del "seco nd o mestiere più antico delmo11do" che, da strumento di potere al se rvizio del principe o del presidente di turno, s i è trasformato in un dispositivo al servizio dello Stato e della Nazione.
Per renderli infine consapevoli delle nuove minacce che incombono s ulle no s tre società e s ulle conseguenti, nuove competenze che devono acquisire gli organismi di intelligence per farvi adeguatamente fronte.
Per aiutarli a ricono sce re - re spingendole -le sempre latenti tentazioni tese a far retrocedere l'intelligence, componente indispensabile della politica di s icureua dello Stato democratico, a mero meccanismo di supporto di parti e fazioni politiche nello Stato autoritario.
Capitolo I

Alfe orighzi
Gli
Egiziani
Malgrado si possa supporre che lungo le coste del Mediterraneo orientale, culla della nascente civiltà umana e, <>oprattutto, nei territori dell'antica Mesopotamia (odierno Iraq) sia stata praticata una certa attività di «informazione finalizzata», solo dall'antico Egitto ci pervengono le prime attendibili, sia pure sporadiche, testimonianze scritte di un'attività informativa in qualche maniera organiz7ata. A partire dalla 18• dinastia (tra il 1500 e il 1300 a.C.), l'im pero egiziano, estesosi su tutto il mondo allora conosci uto, comincia a basare la propria capacità di esercitare il potere, allontanandone le minacce esterne, su una serie di fortezze edificate lungo il tragitto che dal centro porta alle zone «Calde » del paese: le frontiere est e sud. Se infatti pochi sono i pericoli che il Faraone si aspetta in provenienza dalle isole greche e dal Mar Egeo, non altrettanto può prevedere della situazione in Siria, in Palestina e in Mesopotamia, regioni molto agitate e più restie alla domi- nazione eli Tebe. Avamposti quindi necessari per assicurare alla corte imperiale un flusso costante di notizie, indispensabili per prevenire eventi suscettibili di pericolose derive. Attraverso i «messaggeri reali », il Dio-Re può così disporre dei numerosi rapporti preparati nelle varie guarnigioni, abbastanza velocemente trasmessi, accuratamen te raccolti ed elencati in appositi registri , che lo mettono in condizione di indubbio vantaggio rispetto a rivali e nemici esterni.
Esistono alcuni frammenti di un «reg is lro di protocollo », tenuto da un ufficiale di frontiera staz ionato al confine con la Palestina (durante il regno del Faraone Merenptah), che fanno pen sa re a un ufficio la cui organiu:azione non ha niente da invidiare ai moderni archivi ministeriali.
Recita una delle diver se registrazioni inci se su tavolette dell'epoca: «P rot. n. 633 (. .. ) è qui arrivato l'attendente di Nnktnmon, figlio di Tarn ( ... )che v iaggiava fino n oltre Tiro e che aveva con sé due lettere da consegnare in Siria: una per il cap itano di fanteria Penamon, l'n/ tra per l'assistente Ramsesnnkl». O ancora: «Prot. N. 634. È qui tornato il Capo del/n guamigioiU! Pemerklzetem, figlio di Ani, della città di Merenptah-E-Iotepirmn , che si tro va nel distretto di Aram, il quale aveva co n sé due lettere da consegnare: una per il capitano di fanteria Peremhad, l'altra per il suo vice».
Un sistema capillare d i registrazione , controllo e consegna di missive che consente alla corte imperiale di Tebe di ricevere e trasmettere ogni giorno una notevolissima quantità di messaggi contenenti notizie ben ordinate e certamente u lili. Ma siamo ancora lontani dalla nozione di una struttura permanente destinata a conoscere, valutare ed elaborare le informazioni a carattere politico-militare raccolte dalle varie fonti .

Sarà solo con la 19• dinastia, iniziata da Ramsete I, che si capirà l'importanza dello spionaggio militare per influenzare le sortì della guerra e quindi dell'utilità di un'organizzazione a sostegno.
Raccontano le cronache che al quinto anno di governo di Ramsete II, detto il Grande, la combattiva popolazione degli Ittiti incombe ai margini dell'impero, decisa ad arrivare fino a Tebe, l'allora capitale egizia. I due eserciti si ritrovano per lo scontro decisivo alle porte della città siriana di Qadesh, sul fiume Oronte. Gli Ittiti, guidati dall'intraprendente Mawatalli Il, sembrano in netto vantaggio avendo «acceca to », con vari trucchi e inganni, le vedette egiziane, le quali non sono più in grado di seguire i movimenti delle truppe nemiche. Ramsete, preoccupato della piega che stanno prendendo gli avvenimenti, decide allora di servirsi delle stesse "armi" del nemico e, a sua volta, invia un gruppo di fidati «age nti » tra le file nemiche per catturare o corrompere soldati nella speranza di ricevere quelle notizie che non vengono più dalle vedette. L'operazione ha successo: due ufficiali nemici, catturati e sottoposti a stringenti interrogatori, rivelano il dislocamento esatto delle loro truppe e i movimenti previsti. Le indicazioni raccolte peraltro sembrano arrivare troppo tardi, giacché l'esercito ittita aveva già avviato le fasi dell'attacco finale, proprio da dove Ramsete non l'aspettava. Tuttavia, benché tardiva, l'informazione permette al Faraone di evitare all'ultimo minuto il peggio e di ribaltare le sorti di una battaglia che sembrava per lui irrimediabilmente persa. Grazie quindi alle utilissime informazioni carpite e alle grandi qualità di stratega dello stesso Ramsete, gli Ittiti vengono fermati. L'impero egizio è salvo!
Sarà proprio a partire da quel momento che il Faraone si renderà conto dell'utilità di disporre, non in maniera occasionate, bensì continuativa e organizzata, di un «corpo» di spie incaricate di procacdargli notizie utili non solo s ul piano militare, ma anche per difendere la «Sicurezza interna » dello Stato. il «SegretO» entra COSÌ nella gestione degli affari pubblici. Ne deriva di conseguenza la nozione dell'informazione «pro tetta », «rise rvata », «class ificata », in so mma del «segre to di Stato». Viene quindi introdotta la «scri ttura enigmatica», o «esoterica», per na sco ndere il se nso deHe informazioni al lettore casuale, sop rattutto nei testi politico-religiosi (parole, cioè, espresse con un gruppo di disegni le quali tuttavia non sempre significano ciò che i disegni mostrano: ad esempio, il disegno d i una «bocca» p u ò normalmente significare «bocca», ma nella scr ittura enigmatica è solo il suono fonetico della «r» in una parola). Insomma, una forma primordiale di crit tografia.

Insomma, dopo quella dello spionaggio, nasce in qualche modo nell'antico Egitto anche l'idea del controspionaggio.
Viene così istituita all'interno della corte la figura di un alto funzionano chiamato «gli Occhi c le Orecchie del Re», incaricato appunto di seguire le «questioni di sic urezza » interna ed esterna, una sorta di capo dei serv izi ante litteram. Sarà grazie a lui, ad esempio, che Ramsete III riuscirà a sventare la cospirazione detta del «grande harem», una vera e propria rivoluzione di palauo guidata da alcune concubine del Dio-Re desiderose di mettere al s uo posto il figlio di una delle spose predilette. Per merito del lavoro discreto dei «servizi », l'operazione, di cui troppe persone erano al corrente (eterna debolezza dci complotti ... ), viene scoperta. Tutti i congiurati vengono arrestati c presto giustiziati, ma senza fare troppa pubblicità dell'accaduto. Il Faraone non vuole nemmeno conoscere i dettagli dell'esecuzione né approfittarne per lanciare al popolo messaggi politici. Pochi quindi saranno a conoscenza del tentativo di colpo di Stato. n potere imperia le deve apparire sempre forte, ness uno può essere in grado di minacciarlo.

Ram s ete e N e fertari , in s ieme per l 'eternità. Ramsete Il, figlio di Seti l, indubbtamenfe uno dei più grandi Faraoni, 11011 fu solo Wl costruttore visionario, 1111 precursore dell'intellige11ce militare, 1111 lucido stratega, 1111 impareggiabile promotore della propria immagine, ma anche 11n uomo profondamente innmnorato della «prima ::.posa reale », l'affnc;cinnnfc Nefcrtari («la più bella di tutte>>), che I•olle immortalare ad Alm Simbel, dedicmldolc 11110 stupe11do tempio a eterno ricordo della loro unione.
Certo 11011 fu il s110 solo amore. All'epoca era difficilml'llte co11cepibile. Rnmsete reg11ò particolarmente a lungo, per circa m1m (dal 1290 al 1224 a.C.), ebbe almeno sei mogli, ce11to figli e visse per più di ottnllt'mllli, cosa assolutammte eccezio11ale per l'epoca, qua11do l'aspettativa di vita era me11o della metà di quella odiema. Ma Nefertari, morta a quarant'a1111i, si impose 'ili tutte le altre mogli anche per la sua I•im ilztelligen:a e per In sua pro11tezzn di spirito, asszmze11do un molo di assoluto rilievo nell'ambito della corte e dil'mendo «la moglzc per l'etemità», come romanticamente testimoniano i due impressionanti tempi i di Abu Simbel (il più grallde costruito per lo stesso Ramsete e dedicato agli dei di Stato; il più piccolo per Nefertari, dedicato alla Ranrsele Il (19 ° dinastia) dea Hathor) dove, trentadue secoli dopo, si possono ancora leggere nei geroglifici indelebilmente scolpiti nella roccia parole d'arnore: «Ramsete ha costruito un tempio, scavato nella montagua, opera eterna ( ... ) per La prima Regina Nefertari amata da Mut, in Nubia, per sempre e in etemo ( ... )per amore della quale lo stesso sole splende!».


Nefertnri Sul piano militare e della poli/ i ca es/era Ram sete fu essenzialmente impegnato a ripristinare L'influenza egizia nell'area palestinese e a contenere l'irmenza itlita. E con la [!attaglia di Qadesh certamente ci riuscì. Bencllé non si possa considerare una vittoria sul campo piena, come invece volle successivamente far credere la egizia, tuttavia va detto che il deciso stop imposto dal Faraom alle pretese iftite spinse il re Mawatalli l1 a più miti consigli e qualche tempo dopo fu firmata 11na durat11ra pace tra i due regni.
Come costmttore, Ramsete IlOti riempì solo l'Egitto di momtmellfi e palazzi per celebrare la propria eter1zn gloria, ma, come abbiamo visto, disseminò anche Le strade dell'impero di fortificazioni e avamposti per assicurarsi quel flusso di notizie, procurate da LI/l'efficiente rete di spie, che gli garmztivano la «previa conoscenza» di situazioni pericolose e lo mettevano in stato di superiorità nei confronti dei nemici interni ed estemi.
I nu ov i Ass iro - Bab ilo nesi
Se riescono a ben controllare l'irruenza degli Ittiti, gli Egiziani non sara1mo invece capaci di contenere lo strari- pante vigore del nuovo impero, che si formerà nella regione dell'alto Tigri, suJJa scia del forte impulso impresso dal re assiro Assurbanipal (Sardanapalo), nella cui rete finirà per cadere anche la gloriosa e sofisticata Babilonia.
La nuova struttura imperiale, peraltro, molto apprende dall'organizzazione informativa e dai mezzi di comunicazione del Faraone, facendoli propri e anzi migliorandoli notevolmente nell'applicazione pratica. Ad esempio, con l'installazione di una rete di grandi torce sul bordo delle strade maestre, poste a una distanza l'una dall'altra di «Un viaggio di due ore» (l'unità di distanza assira).

Nel momento di dover far pervenire dalla periferia al centro una notizia importante e urgente, le torce vengono accese a cascata, in rapida successione, dalle varie postazioni previste. Con una rapidità stupefacente per l'epoca, l'accensione delle torce già di per sé annuncia a corte l'arrivo di informazioni preziose, mettendo cosl in allarme tutto l'apparato ricettivo e facilitando in maniera determinante la missione dei messaggeri reali, i qualì, attesi ormai nelle varie stazioni a seguito dell'accensione dei fuochi, troveranno tutto predisposto (cava lli, provviste, sostituzioni ecc.) per proseguire celermente e senza indugi il viaggio verso la capitale.
Gli Assiri, inoltre, saranno formidabili costruttori di strade (prefigurando l'expertise che acquisiranno i romani dieci secoli più tardi) attraverso le quali risulta più agevole non solo lo spostamento delle truppe, ma anche, come abbiamo visto, una più efficace e rapida trasmissione delle notizie.
Un servizio considerato talmente importante che i «messaggeri reali » assiri avranno tutti il rango di ufficiali superiori e saranno tenuti in grande considerazione.
Tracce di lettere di militari assiro -babilonesi che fanno riferimento ad attività spionistiche in Armenia, fanno osservare a Francis Dvornik, grande storico inglese autore di un'opera fondamentale in materia (Origins of lntelligence Services), come la macchina informativa assira fosse molto sviluppata, funzionasse validamente e permettesse al re di contare su variegate fonti informative. Precisa Dvornik: «I servizi segreti assiri erano particolarmente attivi in Armenia. Dai rapporti i11viati al re Sargo11 risulta chiaramente come gli agenti assiri fossero informati di ogni movimento effettuato dal re arnte/10».

Del resto una sezione dell'apparato, vera struttura di sicurezza interna, veglia sulla fedeltà al governo dei funzionari reali c degli ufficiali superiori.
In definitiva, benché i reperti storici non siano abbondanti in materia, si può tuttavia ragionevolrTlente pensare che gli Assiro-Babilonesi abbiano con successo costituito la prima impalcatura dello Stato dedicata allo spionaggio e al controspionaggio in tutte le loro forme: raccolta di notizie politiche e militari all'estero, sorveglianza interna, controspionaggio «offensivo», attenzione alle attività di disinformazione nemica, protezione dci segreti dell'impero, perfezionamento dci mezzi di trasmissione delle notizie.
Nell'organizzazione informativa assira si riscontra insomma, in nuce, tutta la gamma sostanziale di un moderno servizio di intelligence.
L'arte de lla guerra assira. Costretti ad aggredire per sopravvivere, decisi nelle loro azioni militari contro gli Ittiti, i Babilonesi, gli Egizimzi e gli Aramei, spietati con i nemici (i prigionieri non aveva11o alcuna chance: ve11ivano impalati o bruciati vivi), gli Assiri diedero vita, tra il lX e VI secolo a.C. a 1111 vasto impero che si estendeva su quelli che oggi sono iterritori di Iran, Iraq, Turchia e Siria.
La loro politica di espansione territoriale ebbe straordi11nrio successo giacché la loro perfetta organizzazione militare beneficiava anche, come abbiamo visto, di una significativa e sempre più precisa attività di intelligence. L'identificazione del loro re co11 In divinità faceva poi il resto, determinando un'assoluta soggezione della popolazione ni disegni politico-strategici decisi dal Semi-Dio e cementandone l'unione.
Contrariamente ai popoli contadini che impugnavano le armi solo in caso di necessità (e suscettibili quindi di essere influenzati all'occasione da improvvisati condottieri), tutti gli uomini assiri erm1o 111vece tenuti n fare il servizio militare (e quindi inevitabilmmte fedeli alla gerarchia militare). Oltre ai coscritti, 1111n buo11a parte de1 soldati assin era composta da professionisti di alto livello tecnico-strategico e rappresentavano una casta sociale elevala, rispettata e a5solutammle devota al Re-Dio.
Gli uomini n cnmllo e gli arcieri sui carri erano le punte nm11:atc, le truppe di élite, ddl'c5ercito assiro. Procedevmw alla massima I•elocitn spiazzmzdo spes.'io il nemico e tutto l'esercito combattc.'Va secondo una tattica militare prestabilita che, cominciando dalla ricognizione di intdligence, finiva con l'accercllinmento e l'assedio del nemico. Il genio dell'esercito d'altra parte az•epa acquisito una particolare expertise nelle tecniche per gli assedi delle città: g/1 ingegneri assiri erano in grado di costruire enormi piattaforme armate che venivano portate fin sotto le mura delle città assediate. Una volta elevate all'altezza giusta, gli arcieri potemno agevolmente tirare le frecce sul nemico all'in temo e lanciare speciali arieti a testa di ferro che demolivaIlO quasi tutto. Abilissimi negli attacchi a sorpresa, gli Assiri utilizzamno otri di pelle, utili n nuotare anche in fiumi impetuosi, per sorprendere il nemico cui non lasciva alcuno scampo.
Una furia distruttrice alla quale era proprio difficile resistere, alme1w finclzé non arrivarono i persiani.

Gli Ebrei
È interessante notare come nella s tessa Bibbia si trovino riferimenti a vere missioni di s pionaggio, portate a termine con metodi di so rprendente attualità dodici secoli prima della nascita di Cristo.
Tutti conosciamo la s toria di Mo sè, incaricato di condurre seicentomila ebrei fuori dall'Egitto verso la terra promessa da Dio ad Abramo e rimasto per quarant'anni (simbolici?) nel Sinai prima di arrivare in vista della regione di Canaan, che comprendeva grosso modo i territori dell'odierna Palestina. Ma non tutti forse ricordano che Mosè, eccellente s tratcga, fu all'origine di una delle prime iniziative di intelligence di s uccesso della Storia. Da buon condottiero ormai vicino alla mèta, Mosè organi.rza un 'o perazione di ricognizione al fine di valutare l'effettiva ricchezza della tanto agognata regione, le reali possib ilità di s tanziamento e, soprattutto, scoprire le difficoltà del passagg io e i pericoli derivanti dalla resistenza delle popolazioni locali. Convoca quindi i capi delle dodici tribù che costituiscono la s ua comunità assegnando loro compiti precisi e di alta responsabilità: dal loro racconto, in effetti, dipenderà la decisione di proseguire o meno il viaggio verso Canaan.
Le consegne sono inequivocabili: «Dirig etevi da questa parte, verso sud, e sal irete sulla mo11tagna. Esami11erete il paese, come è il popolo che vi abitn, se è forte o debole, se è poco o molto numeroso, co111'è il paese dove opera, se è buono o cattivo, come sono le città dove vive, se sono aperte o fortificate, com'è la terra, se grassa o secca, se ci so no o 11011 ci SOJIO alberi.

Abbiate coraggio e riportate la frutta del paese».
Una richiesta di informazioni, tra metafore e riferimenti reali, di indubbio valore strategico-militare-politico. E anche economico, se si riflette alla specifica richiesta di riportare i prodotti del paese per valutarne la quanti- tà, esaminarne la qualità e prevedeme le potenzialità di coltivazione.
I dodici agenti di Mosè si organizzano al meglio in vista della non facile missione. Innanzitutto viaggiano separati per evitare di essere smascherati, in caso di incidenti, tutti insieme. Prendono poi il tempo necessario per espletare il loro incarico, rimanendo quaranta giorni (anche in questo cac;o simbolici?) nella regione di Canaan, mimetizzati utilmente tra la popola7ione locale. Al loro ritorno fanno ai s uperiori gerarchki un'«articolata ed esaustiva» (come si direbbe oggi) relazione su quanto hanno osservato e constatato.
Come però spesso succede quando c;i mettono a confronto diverse fonti informative, se si registra una certa uruformità nella descrizione dei «fat ti » riscontrati, divergono invece le rispettive «interpretazioni». Dieci delle dodici usp ie n concludono infatti la propria analisi negativamente, affermando che il popolo esaminato appare troppo forte e troppo rischioso da affrontare. Parlano addirittura di giganti, figli di Anak, al cui confronto gli «ebrei sembrano delle cavallette». Mentre le restanti due, Giosuè c Caleb, sostengono invece, con convincenti argomentazioni, che vale senz'altro la pena tentare di impossessarsi di un paese eccellente, (<dove scorre il latte e il miele », ruchiarando che l'impresa può essere facilmente realizzata, sempre che naturalmente «l' Eterno ci sia favorevole».

Curiosa discussione, che prefigura non solo i dibattiti politici della nostra epoca provocati da affari ili spionaggio, ma ne anticipa in qualche misura anche le conseguenze.
In effetti gli agenti contrari all'entrata nel paese di Canaan muoiono uno dopo l'altro misteriosamente colpiti da un'implacabile malattia, malattia che altrettanto misteriosamente risparmia invece le due spie meno pessimiste e favorevoli al proseguimento del viaggio, Giosuè e Caleb, le quali verosimilmente dovevano essere risultate molto più persuasive.
Inutile dire che il successore di Mosè nel guidare gli Ebrei verso la terra promessa sarà proprio Giosuè, il quale, avendo bene appreso la lezione di inteUigence, non mancherà, a sua volta, di dare il via a un'altra missione speciale, destinata a valutare la situazione della principale città da conquistare: Gerico.

Assistiamo questa volta alla prima storia di agenti segreti dove emerge come co-protagonista la prostituta dal buon cuore, la donna perduta devota alla «Ca usa », l'eroina per caso. Giosuè invia infatti nel regno di Gerico due sperimentati agenti che molto abilmente si mimetizzano andando ad abitare presso una meretrice di nome Rahab, la quale, convintasi gradualmente della bontà della causa ebraica
(ma avendo anche ottenuto la promessa dai suoi due protetti di essere risparmiata, lei e la sua famiglia, dalla violen- za dell'imminente invasione), riesce a sviare i soldati del re venuti ad arrestare le due spie, nel frattempo denunciate da alcuni viàni. Abilmente, la donna dai facili costumi e dal cuore d'oro confessa di avere sì ospitato i due uomini ricercati, ma afferma con convinzione che essi erano già da tempo partiti e di non sapere assolutamente in che direzione si fossero diretti (erano in realtà nascosti sul tetto).
Grazie al sangue freddo della donna, l' «operazione Gerico » si conclude quindi favorevolmente per gli Ebrei. Giosuè, dal canto suo, manterrà la promessa fatta dai suoi messaggeri: Rahab e la sua famiglia sopravvivranno alla strage conseguente alla presa di Gerico.
L'elemento femminile c la dimensione sentimentale entrano nelle spy-stories ...
I Persiani
La figura del funzionario detto «gli Occhi e le Orecchie del re», così fruttuosamente utilizzata dai Faraoni e ripresa dagli Assiro-Babilonesi, viene perfezionata, ampliata e inserita nell'apparato amministrativo dell'impero persiano ai tempi di Ciro (550 a.C.) e, successivamente, di Dario (520 a.C.).
Grazie allo storico greco Senofonte conosciamo in maniera abbastanza precisa come funzionasse l' «Ufficio Speciale», istituito presso la Corte persiana, alle dirette dipendenze dell'Imperatore. Composto di numerosi informatori lautamente ricompensati, l'Ufficio si trasforma presto in una struttura permanente, costituita cioè di persone che lavorano a tempo pieno nell'interesse dello Stato, prefigurando in tal modo la professionalizzazione dell'agente segreto. L' «Occhio del re» si prefigge d'altra parte di mantenere il contatto con la realtà, di essere cioè presente sul territorio verificando direttamente l'andamento della situazione, in special modo la fedeltà dei capi local i alle direttive del centro. Una volta l'anno, quindi, i funzionari dell 'Ufficio fanno il giro delle numerose satrapie di cui è costituito l'immenso dominio persiano - che nel momento delJa s ua ma ss ima estensione andrà dal Mediterraneo al Kashmir- per «niutnre i Sntrapi che chiedono aiuto, correggere eventuali eccessi, ovviare alle 11egligenze nella riscossione dei tributi, proteggere In popolazione». Quale migliore occasione per ra ccogliere, segretame nte, informazioni utili per l'Imperatore? E quale migliore s trumento di deterrenz a politica?

Anche i Persiani, come gli Egiziani e gli AssiroBabilonesi, comprendono l'importanza di di s porre di un'efficiente rete strada le che consenta l' is tituzione e il funzionamento di un buon se rvizio pos tale, indispensabile alla rapida propa gazio ne delle notizie. In tale prospettiva sarà ulteriormente perfezionato il servizio di trasmiss ione di segna li luminosi, tramite un elaborato s is tema di accensione di fuod1i, per consentire al Re-Imperatore di ricevere, qualche volta addirittura in giornata, le notizie degli avvenimenti più importanti verificatisi nei quattro angoli dci suoi sterminati domini.
Strade percorribili e un apparato pos tale rapido sono all'origine dell'espan s ion e d el sis tema di informazioni riservate, messe peraltro presto al servizio della diplomazia segreta. Come ci insegna la vicenda del confli tto di Ciro con Creso, il ricchissimo, mitico re di Lidia. Questi, nonostante gli appoggi di cui era sicuro di disporre (Egitto e Sparta), si ritroverà al momento cruciale completamente isolato di fronte a un nemico il quale invece, nel frattempo, grazie appunto a un intenso lavoro politico-diplomatico e di intelligence, era riuscito a convincere gli alleati di Creso a non partecipare a una guerra i cui esiti erano scontati: era inutile resistere al rullo compressore persiano! Intelligentemente poi Ciro, invece di bruciare sul rogo Creso come avrebbero voluto i suoi generali, ne farà il suo principale consigliere politico e ne otterrà eterna riconoscenza e sottomissione! Un infiltrato speciale: Zopiro Intelligence, diplomazia segreta, ma anche sviamento del nemico attraverso trucchi e attività di vera e propria disinformazione. Emblematico al riguardo è l'episodio del generale Zopiro, che con i suoi inganni aiuterà il Re-Imperatore Dario I a prendere Babilonia, città rivelatagi fino a quel momento impenetrabile all'assedio persiano.

La sua idea è semplice, ma piuttosto originale per l'epoca. Farsi accettare dai Babilonesi come un loro alleato, incitarli a intensificare la lotta contro i Persiani, aiutarli effettivamente, in un primo momento, per trovare, in una fase 'iuccessiva, la faglia che li induca a commettere l'errore fatale. Strategia certo facile da enunciare, ma più difficile da realizzare.
I Babilonesi sono molto ..,ospettosi, si intendono di spionaggio ed esercitano uno stretto controllo nei confronti di persone di provenienza non chiara se non sospetta. Come convincerli quindi, si chiede scettico Dario? Se l'astuzia non basta, si ricorrerà al trucco, all'inganno platealc, incalza convinto Zopiro.
Questi in effetti si presenta un giorno davanti al suo capo supremo con le orecchie e il naso orrendamente tagliuzzati, il corpo martoriato di frustate e i vestiti zuppi di sangue. Al cospetto dell'attonito Dario, Zopiro espone la sua incredibile operazione di «copertura». Così conciato, afferma con foga, non avrà difficoltà a convincere i

Babilonesi della sua sincerità, della sua volontà cioè di farla finita con l'interminabile guerra dei persiani e anzi, visto come è ridotto, della su a voglia di vendicarsi contro i suoi ex-alleati.
Anche questa volta però Dario esita, non è ancora del tutto convinto.
Le gravi ferite, che il suo intraprendente e convincente generale si è auto-procurato, hanno tuttavia il potere di eliminare rapidamente i dubbi residui. Non si tratta in effetti di una manipolazione sia pure ben confezionata: qui siamo di fronte a pura realtà, le lesioni sono genuine.
Zopiro aveva visto giusto. TBabilonesi, pur con iniziale circospezione, finiscono col cadere nel tranello. Non possono rinunciare a un abile e sperimentato ufficiale che dice di essersi convertito alla loro causa. Lo mettono così rapidamente alla prova, affidandogli un comando di minore importanza. Zopiro si fa valere c si batte contro i «Suoi» con coraggio c convinzione, riportando una vittoria dopo l'altra e accreditandosi definitivamente come il «Salvatore» dei Babilonesi. Nessuno sospetta nulla.

Come immaginare che le perdite subite dai Persiani, i suoi ex-commilitoni, siano il frutto dell'accordo segreto tra Zopiro e Dario per dare credibilità all' «Operazione
Babilonia»? Una storia che richiama alla mente (affinità storiche di certe operazioni!) quanto avvenne con la «Rete Prospen> durante l' occupazione tedesca del nord della Francia nel 1944. Una rete di partigiani scientemente sacrificata dal britannico SOE
(Specia/ Operation Executive, branca speciale per l'Europa dei servizi segreti inglesi) per rendere credibile l'informazione destinata a sviare i tedeschi sul luogo dello sbarco alleato per l'apertura del «secondo fronte». La rete era del tutto convinta che lo sbarco sarebbe avvenuto nella zona di Calais- e non in Normandia- e tale informazione dettero, sotto atroci torture, i suoi agenti. Soddisfatti e impressionati dell'efficienza di Zopiro, i Babilonesi finiscono per l'affidargli l'incarico di comandante in capo delle loro truppe. Sarà quindi un gioco da ragazzi per Zopiro mettere l'esercito di Dario nelle migliori condizioni nel corso dell'attacco finale. Vengono così lasciate scoperte due porte importanti di accesso, viene facilitato l'ingresso dei soldati, vengono discretamente eliminati i principali difensori della città. In simili condizioni Babilonia cade rapidamente e viene assorbita nell'impero persiano.
Il primo atto delle nuove autorità consisterà nel nominare il governatore persiano della città. Che naturalmente sarà Zopiro: giusto compenso per la sua spericolata azione di infiltra.tione e di doppio gioco, con il premio aggiuntivo, come risarcimento per la defigurazione cui si era scientemente sottoposto, di essere e<>entato dal pagamento delle imposte alle autorità centrali.
Ulteriori testimonianze ci fanno capire con q uanta abilità i Persiani utilizzassero l'arma dell'informazione c della disinformazione.
Racconta Erodoto, nella sua Storia, un episodio di cui è protagonista Serse, il figlio di Dario. Catturate alla frontiera tre spie greche colte in flagranza di reato, Dario è deciso a condannarle a morte. Serse, tuttavia, consiglia al padre di non farlo. Con argomenti assolutamente convincenti - e straordinariamente attuali- gli fa capire che tre nemici in meno non cambierebbero certo il rapporto delle forze con- trapposte, mentre la testimonianza che i tre, rientrando in patria, daranno circa l'organizzazione e la potenza delle forze armate persiane, potrebbe invece essere molto più utile e potrebbe addirittura dissuadere i Greci dal continuare a contrapporsi ai Persiani (una prova di deterrenza psicologica in piena regola). Così le tre spie, non solo non vengono passate per le armi, ma vengono liberate per essere rinviate a casa, seguendo l'astuto consiglio di Serse, non senza aver fatto loro consta tare- e apprezzare- lo schieramento delle forze, la qualità e la quantità delle armi disponibili, la determina7ione dei soldati al combattimento.

Astuzie utilizzate dai Persiani anche per assicurarsi la riservatezza delle comunicaz ioni. Si racconta al riguardo di un satrapo locale che, dovendo far pervenire un'importantissima lellera a Ciro e temendone l'intercettazione, fa uccidere un coniglio e lo fa sventrare per nascondervi il prezioso documento. Dopo aver fatto ricucire ad arte l'animale, dà precise istruzioni al messaggero di consegnare il coniglio solo a Ciro, il quale, a sua volta, dovrà di persona procedere al recupero della missiva.

Si narra anche di Isteo, zio di Aristagora, il tiranno di Mileto, il quale, volendo spingere il nipote all'insurrezione, gli fa pervenire le proprie indicazioni con un metodo alquanto ingegnoso. Convoca il suo schiavo più fedele, gli fa radere completamente la testa e sul suo cranio scrive le consegne per Aristagora. Una volta ricresciuti i capelli, lo invia a Mileto. Qui il Tiranno Aristagora farà di nuovo radere i capelli allo schiavo per leggere infine la «lettera classificata» dello zio.
Realtà storiche o leggende? (Il secondo episodio, soprattutto, non ci pare molto verosimile, sia per i tempi tecnici per la riaescita dei capelli- che mal si conciliano con una informativa urgente - sia per le poche parole che si possono scrivere- e con quale tecnica poi?- sul cranio di una persona). Difficile filtrare nei racconti pervenutici- in assenza di inoppugnabili riscontri storici - la parte romanzata o le aggiunte fatte a posteriori ai fini della coerenza di una tesi da dimostrare o di una vivacità letteraria da conservare. Si tratta in ogni caso di testimonianze che confermano quanta importanza i persiani annettessero all'«arte dello spionaggio» c quanto fossero abili nel praticarla.
Alessandro Magno
Nelle sue stupefacenti conquiste attraverso l'Asia Minore, la Siria, la Mesopotamia e la Persia fino alle valle deii'Indo, nella prospettiva di creare un impero universale dove fondere l'elemento ellenico con quello orientale, Alessandro il Grande (356-323 a.C.) si mostra deciso a fare uso, per raggiungere i propri obiettivi, delle stesse strutture e degli stessi metodi dei Persiani nel campo dcll'intelligence. Soprattutto con riferimento al sistema delle comunicazioni, che consentono ai messaggi di arrivare fin nelle più sperdute lande dell'Asia, e all'esplorazione avanzata, con l'invio di pattuglie in ricognizione profonda. Del resto fin da quando, adolescente, faceva le veci del padre Filippo in campagna militare, Alessandro assillava, avido di notizie, i visitatori provenienti da terre lontane (e che più tardi avrebbe conquistato) con domande di vera e propria intelligence. Quanti erano gli abitanti, quanto erano produttivi i terreni coltivati, quali erano i percorsi delle strade e dei fiumi, le posizioni esatte delle città, dei porti e dei capisaldi, quali le caratteristiche personali e le tendenze politiche degli uomini più importanti ecc. Insomma, un utilissimo data base personale da utilizzare più tardi al momento opportuno.
Tale continuità tra i sistemi di intelligence persiani e quelli di Alessandro ci viene indirettamente confermata dallo stesso Senofonte nel capitolo m dell' Anabasi, dove, nel descrivere l'epica ritirata dei mercenari greci nel 401 a.C. nella spedizione organizzata da Ciro il giovane contro il fratello Artaserse II per i1 controllo del trono di Persia, segnala la necessità di una «intelligence militare », raccontando di essere stato lui stesso, combattente prima che storico, stratega di un corpo speciaJe di uomini scelti. Unico scopo del nuovo distaccamento era quello di esplorare in avanscoperta terreni sconosciuti, individuare la posizione e la forza delle truppe nemiche, sondare i sentimenti e la predisposizione psicologica delle popola.lioni indigene nei confronti dei greci. Sulla base di tale ampia raccolta di notizie, gli ufficiali decidevano a ragion veduta l'ulteriore corso delle loro iniziative, evitando così possibili trappole c proteggendo il grosso delle truppe da attacchi improvvisi. Si tratta in sostanza del metodo che seguirà successivamente anche Alessandro, perfe.lionandolo peraltro, nella sua smisurata visione politica, attraverso l'illuminato utilizzo delle indicazioni provenienti dai diplomatici-spie e dagli agenti informatori civili, potendo in tal modo prefigurare gli scenari politici e amministrativi delle terre conquistate. È il metodo che gli consentirà di conseguire straordinarie vittorie militari e sorprendenti affermazioni politiche.


Le istituzioni persiane (strade, sistemi di comunica?ione, raccolta e valutazione delle preventive informazioni) sopravvivranno anche nel regno dei successori di Alessandro, il cui genio peraltro avrebbe senza dubbio contribuito a un'ulteriore, significativa evoluzione di tali servizi, se la morte non lo avesse colto giovanissimo a Babilonia. n suo sogno di impero c di cultura universali durerà quindi lo spazio di pochi anni. l suoi genera li si confronteranno presto per raccoglie me 1' eredità, fino ad arrivare a vere guerre fratricide da cui nasceranno tre grandi monarchie: Tolemaica in Egitto, Seleucide in Asia e Macedone in Grecia.
Ma lgrado tullavia il notevole livello di performance dei sistemi di intelligence e di comunicazione (che certo possono in determinati momenti «accompagnare» la Storia, ma difficilmente possono «deviarne» il corso), i reg ni orientali non po t ranno evitare di lasc iare gradualmente la scena mondiale all'Europa che, con la Grecia prima e Roma dopo, ne sarà la grande protagonista per i succe.,.,ivi venti secoli.
Tre padri della Storia, tre stili divers i: Erodoto, Tucidid e e Senofonte. Erodoto è lo storico immaginifico, dallo stile brillante e accattivante. Del resto i suoi testi erano destinati a essere recitati in pubblico. È i11somma, direm111o oggi, lo storico che <<Si fa Leggere» anche dai non addetti ai lavori. È l'lndro Montrmelli dell'anticlzità. A pofte, è vero, si fa prendere La mano dalla fantasia e dal desiderio di sorprendere e di meravigliare il/ettore cedendo al gusto della Leggenda, ma le sue Storie contengono in buona parte dati e riferimen ti assolu- tamente certi, frutto di una sua conoscenza personale degli avvenimenti acquisita durante il suo peregrinare lungo tutto l'arco orientale del Mediterraneo o dovuti anche alle testimonianze dirette raccolte ovvero n un'accurata selezione delle fonti. Peregrinare che gli consente del resto di scoprire usi, costumi e caratteristiche delle popolazioni incontrate e che farà di Erodoto anche u11 eccezionale e prezioso etnografo. Nato e morto ad Alicamasso (484-425 a.C.) in Grecia, Erodoto descrive negli ultimi tre libri delle sue 11ove Storie i conflitti armati tra In Grecia e la Persia, dall'egemonia alla liberazione, svoltisi dura11te il V secolo a.C.

Senza avere alle sue spalle tradizioni storiogrnfiche né precedenti metodologici, [rodato ùnposta il StiO sistema storiografico nella convinzione che In Storia sin guidata in qualche modo dal fato e dagli dei, i quali celano all'uomo la direzione e il senso del suo destino. Tuttavia, seguendo In ragione e l'esperienza, l'uomo è libero di scegliere le proprie azioni: libertà che fa la dignifll degli uomil1i civili (i Greci), distinguendolo dai «barbari» (i Persiani).

Tucidide è invece lo storico «Scientifico», che cerca di non riferire gli eventi sotto l'influenza della propria opinione e no11 considera buone tutte le fon ti per il solo fatto cl te si tratta di testimonianze dirette. È lo storico che vaglia scrupolosamente opinioni e testimonianze in maniera obiettiva, razionale, con riscontri incrociati, con una rigida selezione di fatti e cause, eliminando per quanto possibile dal resoconto la propria emotività. La Storia, in defin iti va, 11011 come narrazione di vice11de su eu i pla nn un a misteriosa direzione sovrannaturale, ma come descrizione di fatti determinati esclusivamente dall'uomo e quindi indagabili e spiegabili razionalmente. È il Sergio Ronzano dell'antichità.
Con Tucidide la storiografia antica raggiunge il suo acme. Non solo per il contenuto (nell'analisi della «causa storica», dove si disgiungono le ragioni profonde dalle occasioni contin- genti), ma anche per lo stile snello ed essenziale, e alla fine letterario, delle sue opere. Nato e morto in Atene (460-400 a.C.), Tucidide narra nftral'erso le sue Storie le varie fasi della guerra cil,ile del Peloponneso: lo scontro tra le due principali città greche, Sparta e Afe11e; la sventurata spedizione degli ateniesi in Sicilia, terminata con la distruzione della loro flotta ad opera degli spnrtnni e In prosecuzione dd conflitto fino al 411 a.C.
Ln Storia, secondo Tucidide, deve fornire ni dirigenti politici del/n comunità g/1 strumenti per interprt.>tare il presenti! e prevedere lo svolgersi degli avvenimenti futuri (secondo un'idea ciclica della Storia). Se quel/n di Erodoto era insomma una conce::ione in qualche modo colljessionnle della storia (inft'n'ento della dil'inità), quel/n di Tucididt• è decisamente Laica (i fatti vanno analizzati oggettivamente e con una lente di ingrandimento razionale, oggettiva, scientifica, laica npp1111lo).
Senofonte, dal canto suo, è l'im,into speciale sul fronte di guerra, o meglio il combattcutc elle unrra iu prima persoun le vicende cui partecipa. Con stile cl1e si direbbe «giornalistico», garbato e senza pretese letterarie, nella sua famosissima (almeno per gli allievi dd liceo classico!) Anabasi (Spedizione), narra le vicende dell'epica ritirata dei diecimila Grl!ci e/w, al comando d1 Clearco da Spnrta, npemno accompagnato Ciro il Giovane nella lo/ tn, eone/ usa si poi negntivnmc?lltl!, contro il fratello maggiore Artnserse Il per il predominio dell'impero persiano. Dopo la sconfitta di Ciro e In morte di Clearco, i Greci si ritrol.'ano senza comandante, in territorio ostile e n circa diecimila chilometri dalle Loro città. Grazie tuttavia a intelligwti condottieri e strateghi, tra cui lo stesso Senofonte, i mercenari greci sarm111o in grado, attraverso faticose marce forzate e percorsi strategici ben individuati, di riwtrare in patria. Nato ad Archein nel 430 a.C. e morto a Corinto (o forse Atene) nel 355 a.C., Smofonte anticipa, rna forse con meno vigore, snellezza e vivacità di spirito, il Giulio Cesare del De Bello Gallico.

Senofonte è ricordato anche per aver scritto un trattato, considerato tuttora di riferimento da tutti coloro che si interessano di tecniche militari e di strategia: il Coma11do del/n cavalleria. Si tratta in definitiva di un combatte11te-giornnlistn ante Zitteram, che racconta le proprie visioni e le proprie esperienze di guerra. Fa pe11sare a Winston Churchill, giovane e talentuoso corrispondente di guerra a Cuba, in India e in Sud Africa.
Capitolo II

Atene e Roma
Se nei Regni e negli Imperi orientali il ricorso all'intelligcnce e allo spionaggio fu, come abbiamo vi'ito, abbastanza frequente e gradualmente sistematico, Atene c Roma non mostreranno lo stesso interesse e la stessa propensione. Ciò con ogni probabilità a causa delle dissimili origini e finalità politiche che differenziarono significativamente le monarchie dell'Est dai sistemi repubblicani dell'Ovest.
Ytentre, cioè, gli Egiziani, gli Assiri, i Babilonesi c i Persiani utilizzavano tutti i mezzi a loro disposizione (compresi quindi l'intelligence e lo spionaggio) secondo una costante direttiva di espansione territoriale e di difesa delle rispettive dinastie, la Grecia e la Roma repubblicana si svilupperanno inizialmente sulla scia di piccole città-stato, gelose della loro indipendenza e della loro autonomia, e quindi meno protese verso l'esterno. Per un lunghissimo periodo, in effetti, ]'attività di «intelligence», s ia nelle città-stato greche sia nell'Urbe alle prese con le prime conquiste nel Lazio, si identificò con la semplice ricognizione del terreno o con la mera raccolta di notizie militari a fini esclusivamente operativi.
Sarà solo con l'avvento di Giulio Cesare, soprattutto al momento dell'invasione della Gallia e della Britannia, che i Romani scopriranno l'importanza dell' «arte dello spionaggio», e del suo utilizzo su base regolare, non solo ai fini delle conquiste militari, ma anche del controllo della situazione interna, dando origine, come constateremo più avanti, alle prime forme di «polizia politica».
Del resto anche le tattiche militari erano diverse. Le città greche davano assoluta priorità alla fanteria pesante, fino ad adottare la cosiddetta riforma oplitica, cioè all'introduzione della figura dell'oplite, un fante pesantemente armato (lancia e spada) e ben protetto (corazza, elmo c scudo), che non agisce mai solo, soldato simbolo della guerra greca. Gli oplili avanzavano a passo cadenzato, stretti l'uno all'altro, per una profondità di dieci l dodici file contro una massa di soldati nemici armati e organizzati in maniera analoga. Al momento dell'impatto il gruppo più pesante e più forte faceva indietreggiare l'altro, determinando i presupposti della vittoria. Una strategia e un tipo di combattimento, quindi, che privilegiano lo spirito di corpo, la pesantezza dell'armamento, la forza pura, lasciando poco spazio all'iniziativa individuale, all'astuzia, all'immaginazione, caratteristiche che accompagnano la pratica dello spionaggio e del controspionaggio. Anche i Romani del resto all'inizio della loro splendida avventura storica, che li vedrà trasformarsi nel corso dei secoli da pacifici contadini in straordinari soldati, daranno priorità alla forza collettiva, all'organizzazione tattica, all'avanzare irresistibile della massa di centurioni ben protetti (corazza, elmo e scudo) e potentemente armati (giavellotto e gladio). Rispettosi della

«buona fede» nei rapporti internazionali e restii al ricorso alla frode negli scontri militari.
Sa l amina
Ai Greci tuttavia non saranno sconosciute le tecniche della disinformazione (quelle che oggi vengono chiamate infoxicntion dai francesi c deception dagli inglesi), come ci ricorda il caso della celeberrima battaglia navale dell'isola di Salamina (480 a.C.), dove la coalizione delle città greche in lotta contro l'espansionismo persiano, pur disponendo di un numero inferiore di navi (380 contro più di 500}, si impose splendidamente contro Scrsc, grazie appunto a una riuscita iniziativa di deception.
Cosa successe dunque a Salamina, importante base della flotta alleata greca, nel corso della seconda guerra persiana?

li generale ateniese Temistocle era riuscito a far pervenire a Serse, successore di Dario, notizie fuorvianti, tese a fargli credere che parte della flotta greca era pronta a passare al nemico o quanto meno a lasciare la base navale a causa di contrasti irreparabili sorti all'interno della coalizione.
Alla luce di tali notizie abilmente filtrate, i comandanti persiani avevano quindi fatto avanzare con fiducia la loro flotta verso Salamina, fino ad addentrarsi in canali così angusti che la difficoltà della manovra rischiava di togliere loro il vantaggio della superiorità numerica. Senza preoccuparsene troppo però, convinti di doversi confrontare semmai con una piccola parte della flotta greca. Le cose, come sappiamo, andarono diversamente. I Greci, grazie alla maggiore mobilità delle loro triere (tre schiere di rematori) rispetto alle più pesanti e lenti navi fenicie (con due sole schiere di rematori). senza aver subìto defezioni e avendo scelto il luogo a loro più favorevole per il confronto (golfo di Eleusi), distrussero letteralmente la flotta nemica, impantanata in manovre dall'esito spesso sfavorevole. Una pesantissima sconfitta dei persiani dovuta quindi all'errore di valutazione dei servizi segreti di Serse, i quali, caduti nel tranello della disinformazione, avevano giudicato attendibile la notizia conoscendo i contrasti effettivamente esistenti nella coalizione greca, composta da varie città spesso in competizione reciproca: Atene, Sparta, Corinto ecc. Una valutazione pur tuttavia superficiale. Una valutazione più meditata e più «politica » dell'informazione ricevuta avrebbe dovuto spingerli ad affinare ulteriormente il ragionamento: le contrapposizioni all'interno della coalizione esistevano certo, ma erano cosl forti da far prevedere un'esplosione della coalizione stessa? Evidentemente no, o quanto meno non ancora. L' «intossicazione informativa» greca era perfettamente riuscita; l'intelHgence persiana non era stata, questa volta, all'alteaa della situazione. l greci mostrarono anche una certa tendenza ai travestimenti c all'illusione. Tendenza che ritroviamo nell'llinde e l'Odissen attraverso le imprese di Ulisse. Omero però ci prec.enta il re di Itaca più come un astuto avventuriero, un personaggio "dai mille trucchi", che non un vero 50ldato greco, un eroe della stessa tempra di Achille.
L'intossicazione informativa, ma anche la cospirazione - come «mezzo speciale» di guerra - sarà qualche volta utiJizzata dai greci, presso i quali l'informazione finalizzata, intesa come valutazione politico-militare delle notizie raccolte, non sarà in via di principio mai prioritaria e non raggitmgerà il livello di organizzazione concepito dagli egiziani, dagli assiri e dai persiani.

Un esempio di «cospirazione riuscita» ci viene dalla caduta della città di Chio, controllata dai persiani, nel 494 a.C. Racconta al riguardo Enea il Tattico, autore di Tattica e Assedio delle città: «Uno degli n/ti ufficiali (passato segretamente alla causa greca) co11vinse i colleghi che, vivendo ancora in tempo di pace (evidentemente l'assedio greco non era ancora cominciato), convmi·ua mettere ad asciugare sul/n terra ferma la catena del porto, pnssarla nl catrame ( ... ) restaurare le rimeo;se delle navi, i depositi In torre dove abitamno gli alti ufficinlt. Ciò n/ fine di nl'ere wtn scusa per procurarsi, tra l'altro, delle scale per i soldati che nt'rebbero dovuto occupare tali edifici. Consigliò anche di licenziare In maggior parte degli uomi11i della gunmigione per ridurre la spesa del/n città (. .. ) Con motivazioni simili convinse i colleghi ad adottare delle rnisure elle avrebbero aiutato successivnmentf! gli nc;snlilori n prendere In pinzzn».

La minore importanzn attribuita dai Greci all'intelligence- al di là degli specifici episodi che abbiamo appena visto- era in effetti dovuta a due fattori. Il primo era di tipo psicologico: l'eroe greco possedeva due qualità fondamentali: il senso dell'onore e la sottomissione alla volontà degli dei. Come avrebbe potuto abbassarsi allo spionaggio, agli equivoci del doppio gioco, ai trucchi della disinformazione?
L'altro fattore era dovuto alla «caratterizzazione» dello scontro: per secoli le città greche si erano combattute tra loro, troppo piccole per vivere l'una accanto all'altra senza darsi fastidio, pur condividendo una lingua e una cultura comuni. Ciò che quindi interessava era solo di conoscere le intenzioni e i movimenti immediati della città nemica: per questa esigenza qualche pattuglia di ricognitori, presi dalla cavalleria leggera, era sufficiente. Ma in tali condizioni le notizie raccolte potevano essere solo «visive», prese a distanza ravvicinata, di portata e significato assai limitati, ben lontani, quindi, dalla raccolta e dalla valutazione politico-strategica di informazioni riguardanti il nemico, reale o potenziale. Un'informazione preventiva molto limitata. Abbiamo constatato come la storia dello spionaggio nell'era antica non si presenti lineare, o almeno come la ricostruzione che se ne può fare non possa seguire un' ordinata sequenza per mancanza di continuità nelle fonti storiche c documentali disponibili. Abbiamo pertanto constatato come determinate tendenze siano coslcllate di eccezioni, che non è sempre chiaro se confermino o meno la regola, e abbiano seguito una direzione piuttosto zig-zagante.
Dopo Atene, troviamo infatti autorevoli riferimenti allo spionaggio anche a Sparta. Senofontc molto insiste nell' Anabasi sul ruolo dello spionaggio nel buon andamento delle iniziative militari: «Conviene che il comandante si preoccupi, dura11te la pace, di familiarizzarsi sia col paese amico sia col paese nemico. Se questa conoscenza gli manca, che prenda alme11o con Lui uomini che conoscano al meglio ciascun posto (.o o) Prima della guerra bisogna preoccuparsi di avere al proprio servizio delle spie negli Stati neutrali e tra i mercanti, giacché tutti coloro che portmzo qualcosa sono sempre bene accetti ilz tutti gli Stati (o o.) l falsi transfughi sono a volte utili. Tuttavia non bisogna mai, alla luce di quanto raccontano le spie, abbassare la guardia».
D'altra parte proprio a Sparta, nel IV secolo a.C., la proiezione delle informazioni riservate e la conseguente cifratura dei messaggi fanno un salto di qualità notevole.

Fino ad allora in effetti i «codici» consistevano in scritture convenzionali, note a pochi e che si cercava di proteggere alla bell'e meglio. L'invenzione spartana, la «Scitala lacedemonica», risulta invece molto più efficace, segnando il passaggio dalla steganografia (tecnica per nascondere il messaggio) alla crittografia (tecnica per nascondere il significato stesso del messaggio).

Come funzionava la sci tala?
Su un rullo di legno opportunamente inciso, si avvolge una sottile striscia di papiro su cui viene scritto il messaggio. Tolta la banda dal rullo, il messaggio è incomprensibile, ric:.ultando le lettere discontinue, e potrà essere letto solo se il destinatario disporrà di un rullo identico (inciso cioè allo stesso modo) a quello utilizzato per la cifratura. Ma lasciamo la parola al Plutarco delle Vite parallele: «Gli efori (i dirigenti politici spartani) all'atto di inviare all'estero un genera/c, prendono due pezzi di lexno rotondi e perfettameute uxuali sia inlzmgllczza sia in larghezza(. .. ). Di questi pezzi di legno( ... ) uno lo conservano loro, l'altro lo COlisegnano al partente. In seguito allorché vogliono comunicare qualche cosa di grande importanza ( ... ) taglimto wz rotolo di papiro lungo e stretto come una cinghia e l'm'volgono intomo al/n .:;citala ( ... ). Compiuta questa operazione, scrivono :;ul papiro così come si trova disteso sulla scitnln ciò che vogliono e una 'l.'oltn scritto tolgono il papiro e lo mandano senza il bastone. Il generale, quando lo riceve, non può leggere le lettere di seguito, poiché non hanno alcun legame tra loro e rimangono scomzesse, finché aneli 'egli non prende ln scitnla e vi avvolge ùt giro In striscia di papiro. Così la spirale torna n disporsi nel medesimo ordine in w i fu scritta e le lettere si allineano via via di modo che l'occhio può seguire la lettura attomo al bastone e ritrovare il senso compiuto del messaggio».
Insomma, una sorta di macchjna «Erugrna» artigianale!
En ea detto il Tatti co . Enea il Tattico è probabilmente il primo stratega greco co11osciuto, vissuto intorno al VI secolo a.C., della cui vita peraltro poco si sa. Secondo accreditati studiosi si trattava di uno di quei capi mercenari che all'epoca erano molto in voga. I cittadini greci, in effetti, stanchi del peso delle guerre cui erano continuamente confrontati, tendevano sempre più spesso a delegare la loro difesa a militari professionali. Enea è ricordato per aver scritto un trattato di tecnica militare, Poliorketica, dedicato essenzialmente ai procediiJienl i per assediare con successo le città e dove d'altra parte non trascura gli aspetti psicologici della guerra e l'importanza dell'«npproccio indiretto»: spionaggio, diserzioni provocate o tradimenti. Si preoccupa anche de/In sorveglia11za interna della città e, anticipatore, preconizzn il co/lfrollo sistematico degli stranieri che vi soggiomn11o.
Lo storico Polibio gli nttrilJIIisce l'invenzione di un particoLare sistema di comtmicnzio11e in tempo reale, ww sorta di «Gioco d'acqua», che grosso modo nella maniera segue11te. Sia il mittente che il desti11atario dovevm1o essere in possesso delle stesse cose, e cioè: due grandi recipienti colmi d'acqua co11 un foro simile 11ella parte inferiore; due basi di sughero co11 diametro inferiore a quello dell'apertura dei recipienti; due aste suddivise i n sezioni riportanti ciascuna gli stessi messaggi pre-defiltiti (es.: nn·iva11o i cavalieri, oppure arriva la cavalleria pesante o la fanteria leggera ecc.). La trasmissione avveniva così: l'asta veniva inserita nella base del sughero e messa a galleggiare nel recipie11te; il mitte11te quindi alzava la torcia e altret tanto faceva il destinatario. A quel punto il mittente illiziava n far uscire le11tar11ente il liquido dal recipie11 te provocando l'abbassame 11 to della base di sughero e dell'asta; quando la parte dell'asta co11 il messaggio che voleva trasmettere arrivava al bordo del recipiente, alzava la torcia per dare il segnale che aveva fermato la fuoriuscita del liquido. Il destinatario era allora in grado di individuare quale fosse l'esatto messaggio chi! il mittente voleva trasmettere tra tutti quelli contenuti nell'asta. Con procedura Gllalogn il destinalario pote·m rispondere n/mittente.

Sistema ingeg11oso, certo, ma di limitata efficacia (con pochi me55aggi preconfezionati e co11 distanze n vista di torcia), poco affidabile (come essen• sicuri dci tempi di fuoriuscita de/liquido?) e suscettibile di creare pericolosi equivoci (rischio cioè di «leggere)) il messaggio sbagliato ... ).
Non bisogna tuttavia dimenticare che parliamo di ull'inve nzio ne concepita cillque/seicellto anni prima del/n 11ascitn di Cristo e a quell'epoca il «Gioco d'acqua)) di Enea poteva rivelarsi un'invenzione di grande utilità.

I Romani
All'inizio della loro s toria, nemmeno i Romani danno molta importanza allo spionaggio. In quel periodo essi si rivelano piuttosto agricoltori che lavorano la terra, vivono dei suoi frutti e non hanno visioni egemoniche. Costretti tuttavia difendersi dai nemici esterni, dai barbari, da popolazioni ostili, dai Cartaginesi, si trasformeranno col tempo nei più temibili guerrieri del mondo conosciuto. Ma per lungo tempo ai Romani resta estranea la «mentalità inteWgence», dell'informazione preventiva, dell'inganno strategico, come chiaramente dimostra il sempre ricordato- e fatale- episodio delle oche del Campidoglio. n cartaginese Annibale era stato più volte sul punto di vincere proprio perché disponeva di informazioni geografiche, topografiche e militari - normalmente assai difficili da procurarsi in quel periodo- che solo un'efficiente rete d i spie e di agenti poteva fornire. E difatti, prima dell' offensiva vittoriosa che Io porterà alle porte Roma, aveva dato vita, in Spagna, a un'organizzazione spionistica che riferiva molto fruttuosamente dall'Italia. Un'organizzazione fatta anche di travestimenti, di contraffazione di documenti, di linguaggi convenzionali, di spedizioni protette di documenti segreti, di sapie nte correzione di eventuali errori di intelligence en cours de rou te. Un'organizzazione efficiente e operativa. Un'organizzazione che invece faceva pericolosamente difetto ai romani. Ma come abbiamo più volte constatato, lo sp ionaggio pub accompagnare il corso della storia, difficilmente deviarlo.
Nel IV secolo a.C., i Calli di Brenno (chi non ricorda il suo famoso« Vae victis », «Guai ai vinti?») assediano Roma. Tutta la popolazione si è rifugiata sul colle del Campidoglio, ultimo bastione di resistenza. I barbari invasori hanno però fretta di concludere e una notte tentano la sortita sperando di sorprendere i romani nel sonno. Ma il forte starnazzare delle oche (unici animali risparmiati dagli ti in quanlo sacre a Giunone) buttatesi tra i piedi dei Galli svegliano in tempo i difensori, i quali, venuto meno l'elemento sorpresa su cui invece contavano gli assalitori, daranno tempo ai rinforzi di arrivare e riusciranno a respingere un pericolosissimo attacco. Oche provvidenziali!
Leggenda o realtà che sia, l'episodio mostra tuttavia chiaramente come la trasformazione dei romani da contadini in combattenti non fosse ancora del tulto completata. Come spiegare altrimenti che gli assediati del Campidoglio non avessero previsto nemmeno una rudimentale rete di sentinelle o turni di guardia in una situazione di così evidente pericolo? Militari professionali non avrebbero certo commesso un errore del genere, rimanendo senza alcuna informazione o ricerca di informaàone sulle intenzioni nemiche. In effetti i Romani, malgrado le oche alleate, furono successivamente obbligati ad arrendersi e a trattare con Brenne, il quale, su una bilancia (peraltro truccata!) pretese onerosi tributi.

Ancora troppo rispettosa della bona .fides nei rapporti internazionali, bisognerà attendere le guerre puniche perché Roma comprenda l'importanza di disporre di un' organizzazione tesa a raccogliere informazioni utili allo svolgimento delle operazioni belliche.
La Città Eterna in definitiva la scamperà bella. Ma i s uoi generali non trascureranno di apprendere la lezione di intelligence data da Annibale il cartaginese, una delle più illustri personalità del mondo antico per perizia nell'arte della guerra, per intelligenza politica e per l'uso dell' intelligence militare.
Scipione l'Africano, iJ vincitore di Annibale, sarà il primo a capirlo e a trarne grande profitto.

Annibale ins egna lo spionaggio ai romani . Figlio di Amilcare Barca, uno dei più illustri generali cartaginesi, Annibale succede al padre, che aveva fatto della Spagna una sorta di regno personale, nel221 a.C., n 26 anni. Particolarmente portato per l'arte degli artifici e gli inganni, il giovane comandante utilizza spesso parrucche e travestimenti che gli consentono di spostarsi da u11 campo all'altro senza essere riconosciuto, per poter meglio giudicare lo stato d'animo dei soldati e prevenire possibili sedizioni. Ma ovviamente si preocwpa mtche delle difficoltà "esterne".
Prima dell'offensiva contro Roma, nemica storica di Cartagine (Tunisia), elle avvierà a partire dalla Spagna dal218 al 216 a.C., ha in effetti già disseminato in Italia spie di vario geuere che lo informeranno esattamente sulla situazione del paese elle sta per invadere. Nel mome11to i11 cui dà il via alle operazioni, Annibale è così ben informato, su l piano militare, topografico e geografico, elle riesce a evitare il combattime11to con l'armata rommzn del Rodmto e attraversare le Alpi quando la 11eve ha già comillciato a imbiancare i colli. Avvisato in anticipo dai suoi agenti reti che un'armata rommra era sbarcata Marsiglia e clte lo stava i11seg uendo, il cartagi11ese sarà così efficiellte nelnascolldere i movimenti delle sue truppe che solo tre giomi dopo aver lasciato le posizioni francesi i rommti arriveranno all'accampamento ... oramai però vuoto! A11nibale attiverà anche una serie di "osservatori" in diverse postazioni marittime che lo terran11o al corrente di tutti i principali "arrivi e partenze". La sua expertise nelle tewiche dello spionaggio gli permetterà di comunicare con i suoi alleati persi110 11elle città controllate dai romani, senza che questi se 11e accorgano. Ma tutto questo non sarà sufficiente a cambiare il corso della Storia. È Roma oramai l'inarrestabile potenza emergente della Storia e niente potrà fermarla. Roma finirà dunque per trionfare su Cartagine, non senza però aver appreso con l'occasione le lezioni di Annibale sullo spionaggio!

Giulio Cesare
Con l'avvento di Giulio Cesare il ricorso all'intelligence diventa finalmente sistematico, la preventiva raccolta di informazioni gioca un ruolo indispensabile nello svolgimento delle operazioni militari, il «servizio» si consolida e si profesc,ionalizza.
Racconta lo storico Svetonio a proposito dell 'i nvasione della Brita11nia a opera delle truppe del grande stratega romano tra il 55 e il 54 a.C.: <<Durante le sue spedizion i non era mai chiaro se Cesare avesse successo a causa della c;ua prudenza otrt•ero del/n sua temerarietà. Mai i11 t•erità co11dusst: il suo esercito su strade poten:ialmente pericolose senza aver prima ben studiato la disposizione dei luoghi e lo trasportò nella Britannia solo dopo avere studiato nei dettagli i porti, In navigazione, i mezzi per sbarcare nell'isola». In effetti ogni movimento delle sue truppe era preceduto da una meticolosa preparazione ricognitiva, logistica e militare, alla luce anche delle informazioni prese sui luoghi di destinaz ione, s ui popoli da sottomettere, sulle tecniche di guerra in uso tra gli autoctoni. Così avvenne in vista dell'invasione delle isole britanniche, quando appunto Cesare affidò a Caio Voluseno una vera missione di intelligence che oggi saremmo tentati di chiamare, con facile gergo spionistico, «operazione Britannia». Per prima cosa Voluseno, d'accordo con Cesare, volle radunare al nord della Gallia, già da tempo sottomessa, i mercanti che abitualmente si recavano dall'altra parte della Manica. Quindi ini .dò a interrogarli, senza peraltro nascondere loro le ambizioni espansionistiche di Roma (con l'intenzione forse di condizionare i destinatari indiretti del messaggio, dando per scontato che i mercanti avrebbero riferito tutto ai britannici? Non è da escludere). Le notizie raccolte non si rivelarono, sul momento, molti utili. Si trattava in effetti di gente interessata a concludere i propri affari solo nell'ambito dci villaggi situati sulla costa, non osando addentrarsi nel retroterra e facendo presto ritorno alla regione di provenienza. Non conoscevano di conseguenza l'interno del paese. Continua Svetonio: «Voluse11o non poté appurare molto circa l'estensione dell'isola, In sua natura, il numero delle nazioni che In abitano, né il/oro modo di fare In guerra o le loro istituzioni né i loro porti che erano comunque capaci di ricevere gra11di quallfità di navi». La prima fase della missione apparve quindi un semifallimento: non se ne sapeva molto più di prima. Del tutto insoddisfatto Cesare ordinò allora a Caio Voluseno di effettuare persona lmente una «missione ricognitiva d'insieme» con una nave da guerra sulle coste delJa Britannia per verificare la conformazione dei suoi porti, le sue eventuali fortificazioni costiere e di «ritornare al più presto a riferire». Insomma, Cesare non voleva rischiare di sbarcare al buio, teneva a proteggere le sue truppe. Non era passato molto tempo dall'imbarco del suo luogotenente che si presentarono dal grande stratega alcuni emissari britannici i quali, avendo saputo delle mire romane, si affrettarono a manife- stare segnali di pace e di collaborazione. Che avesse funzionato l'intelligence psicologica esercitata da Caio Voluseno? Oppure si trattava di forme embrionali di controspionaggio? Chissà? TI Grande Gioco ha certo origini antiche.



Ma, come sappiamo, Roma non cercava l'amicizia dci popoli: ne pretendeva la sottomissione, salvo poi offrire loro forme di autonomia nel nuovo contesto politoco-istituzionale. Cesare quindi prese tempo, in attesa del ritorno di Caio Voluseno. Questi, cinque giorni dopo la partenza, riferì al suo comandante notizie assai precise, pur non essendo potuto sbarcare ed essendosi dovuto accontentare di osservare «da vicino )) le coste nemiche, probabilmente nella regione del Kent, notizie che si sarebbero comunque rivelate di grandissima utilità per le successive operazioni militari.
Le popolazioni britanniche peraltro non furono le sole a fare le spese del lavoro di spionaggio degli emissari di Cesare. I Galli lo erano stati qualche anno prima e probabilmente in maniera ancora più clamorosa. Una del1e principali ragioni della loro sconfitta era stata infatti proprio l'insufficiente attività informativa nelle loro iniziative militari, tese piuttosto a realizzare forme di guerriglie e situazioni di terra bruciata. Lo dimostra l'esito della celebre battaglia di Alesia (52 a.C.), quando le truppe galliche, venute in aiuto di Vercingetorige ivi assediato, si gettarono sui Romani senza aver fatto una minima attività ricognitiva e si trovarono presto in grande difficoltà, avendo trovato i legionari sorprendentemente pronti a combattere su due fronti, anziché farsi chiudere a tenaglia, sia cioè verso l'hlterno sia verso l'esterno della città gallica.
Anche i Galli, come i Greci, preferivano combattere lealmente a viso aperto: si buttavano cioè convinti nella mischia, odiavano le imboscate e le trappole, detestavano servirsi eli spie, si battevano senza troppa tattica, affidandosi in definitiva al valore individuale e al ben volere degli dei. In ogni caso la loro limitata attività di intelligence - che alcuni autori pur riconoscono ai Galli- non si concretizzò mai nella sistematica ricerca dell'informazione «utile », «preventiva », da sintetizzare e analizzare, ma fu piuttosto casuale e intermittente.
Tutto il contrario dei Romani, i quali avevano invece imparato a far ricorso a una panoplia di interventi molto più sofisticata sul piano politico, diplomatico, tattico, psicologico e di effettiva intelligence. Basti pensare che gli Elvetici furono oggetto di un'intensa attività spionistica prima ancora che il generale conquistatore si muovesse da Roma. Qui in effetti, tramite un'efficiente rete spionistica, accumulò preziose informazioni sulle loro tradizioni, modi di vita, abitudini, tecniche di combattimento, impostando la futura spe dizione in funzione appu n to delle indicazioni raccolte. Insomma con Giulio Cesare il ricorso all'intelligence assume contorni di metodicità. Si consolida tanto da richiedere l'utilizzo di una speciale cifrario - detto appunto il «cifrario di Cesare» - per la protezione delle numerose informazioni sensibili ottenute dalla varie fonti attivate. Un cifrario che oggi può apparire semplice nella sua concezione (come ci racconta Svetonio, ogni lettera era sostituita da quella che la seguiva di tre posizioni nell'alfabeto), ma che all'epoca rifletteva un alto grado di sofisticazione e serviva bene allo scopo. L'intelligence era oramai entrata a far parte delle variabili s u cui ogni valido stratega romano doveva riflettere prima di prendere decisioni importanti.
Molti anni dopo la morte di Cesare, il comandante/ filosofo di origine greca, Onosandro, scrisse sulle tecniche dello spionaggio interessanti parole: «Normalmente le spie vanno condannate a morte. Ma se l'esercito è in buono stato e superiore a quello de/nemico, esse possono essere graziate, risparmiate e rimandate indietro non senza aver prima fatto loro osservare la consistenza e l'organizzazione delle truppe>>. Visione moderna dell'uso strumentale e finalizzato dell'informazione che peraltro richiama, sorprendentemente, i consigli che Serse d ava al padre Dario sul miglior utilizzo possibile delle spie.

Onosandro si pose inoltre il problema, per così dire, dalla prospettiva oppo!,ta: «Il generale prudente diffida del transfuga nemico, di c/11 offre di svelare segreti importanti( ... )

Il ge11erale intellzgmte der'e tuttavia ben valutare le circostallze riferite( .. .) e se le co/lszdern probabili, deve assicurarse11e di persona, portare la spia con sé, piedi e polsi legati, e promettergli la liberazione se lza detto la verità o il supplizio se !tn melitifo>>. Parole- ci pare- che potrebbe aver pronunciato un alto ufficiale della !,econda guerra mondiale.
A lesia, l 'i m po rta n za de ll o spionagg io m ili tare. Se i Gal/z at 1essero praticato 1111 11111111110 di spio11aggio militare, 11011 si sarebbero certo fatti sorpre11dere ad Alesia dalla reazio11e dei Rommzi, pro11ti a combattere su due fronti, pur impegllnfi Ileil'assedio della città.
L'esercito romano circo11da, 11el 52 a.C., Alesin (oggi AliseSainte-Reine), dov'è riu11ifo il grosso delle truppe della coalizione gallica, al comando del giovane re Vercingetorige. t il momento decish'O della conquista romana della Gallia. Se Alesia cade, Giulio Cesare potrà agilmente completare la conquista del paese; se l'assedio fallisce, tutta la campagna militare romana verrà rimessa in discussione, con conseguenze politiche anche sui delicati equilibri del Senato di Roma. Una città che può rappresentare una buona occasione di resistellza a oltranza per i Galli e clze al contrario si trasformerà, grazie alla abilità di Cesare, llella loro trappola definitiva. l Romani in effetti non si limitano a schierarsi classicamente per l'assedio, cercando in tutti i modi di penetrare in città, ma vi costruiscono tutt'intorno solide fortificazioni per ostacolare l'arrivo di rifonzimenti e rinforzi: le cosiddette «circonvallazioni», veri gioielli di ingegneria militare.
Nonostante gli attacchi della cavalleria di Vercirzgetorige che cerca di ostacolare l'iniziativa, Cesare porta n buon fine il completamento dei lavori. Alesia risulta completamente isolata. L'unica speranza per i Galli consiste ora nell'arrivo dei rinforzi. Ma, anticipmzdo proprio tale eventualità, Cesare fa innalzare una seconda linea di fortificazioni, la «Controvnllazione», rivolta questa verso l'esterno e mettendo così le sue truppe nelle condizioni di combattere riparate uel mezzo di due serie di fortificazioni.
Quando finalmente arrivano i rinforzi tanto attesi di Commio, i Galli troveranno i Romani ben protetti, non schierati per farsi prendere alle spalle e anzi pronti a passare nl conlrnltacco nei due sensi. Vercingetorige, dal cnnto suo, non riesce n oli repnssare le circonvallazioni romane per ricongiungersi n/le truppe venute in aiuto, nella speranza forse di chiudere le legioni romane n tenaglia. Malgrado quindi La superiorità numerica, sulla quale molto contnmno, i Galli cadono nella trappola preparata da Cesare e Pengono sterminati. Vercingetorige 11011 può che deporre le armi e arrendersi. La Gallia diventa romana: Cesare ha ora nelle sue mani La stessa Roma.

Se solo m:essero raccolto w1 po' di informazione «finalizzata», se solo apessero reali::ato unn sin pur limitata nftillità di spionaggio tattico, gli antenati dei francesi avrebbero visto e capito, deviando probabilmente il corso degli avvenimenti. Commio avrebbe cioè impostalo la sua offensiva in maniera diversa e l'assedio di Alesia avn'bbe potuto concludersi in mmtiera impret'edibile, consentendo n Vercingetorige di resistere ancora per chissà quanto tempo, tenendo peraltro Cesare lontmw da Roma ...
Ma In storia 11011 si racconta con i «Se». l Galli, piuttosto digiuni di tecniche di intelligence, preferirono scommettere esclusimmrlltr sulla poft'lt:n e la forza, con le conseguenze che conosciamo.

Dag
li «specu l atores» ag li «ex pl ora t ores»
La costante attenzione ri-,ervata allo spionaggio dai generali romani avrebbe determinato con il tempo la «professionalizzazionc» di tutta l'attività informativa. I Jrunrentarii, intermediari e commercianti incaricati dell'approvvigionamento delle truppe, furono sempre più spesso incaricati, proprio in ragione dei loro contatti con potenziali fonti sensibili, di raccogliere informazioni e valutazioni utili sul piano militare, economico, tattico e strategico. Finirono cosl per sostituire gli speculntores, le avanguardie delle truppe in movimento che svolgevano compiti di limitata attività ricognitiva sul campo. Col passare del tempo quindi si produsse un' inevitabile mutazione professiona le: da intermediari commerciali i frumentarii si trasformarono in veri agenti informativi. Insomma, la funzione creò l'organo.

La rete spionistica dei frumentari i funzionò così bene che divenne gradualmente- altra mutazione geneticaun'efficiente polizia politica, tesa a combattere la «sovversione» in tutte le sue forme. Per l'impero romano la sovversione fu rappresentata - in un determinato periodo della sua storia - soprattutto dai cristiani. Erano loro il nemico principale da tenere d'occhio. Erano loro i "sovversivi" dell'ordine imperiale. I frumentari di conseguenza praticarono con successo forme di infiltrazione finalizzate. Col preciso intento di distruggere i gruppi che si riunivano segretamente nelle catacombe per pregare quel nuovo, strano e temibile Dio che pretendeva di mettere sullo stesso piano spirituale lo schiavo e l'imperatore, persone pericolose che predicavano la solidarietà, il perdono e l'uguaglianza, mettendo in dubbio la natura semi-divina della massima istituzione imperiale.
Incaricati però troppo spesso di «missioni speciali», sempre più temuti e odiati dalla popolazione che finì per considerarli come una sorta di Gestapo dell'epoca, i frumentari furono soppressi dall'imperatore Diocleziano (284-305 d.C.), nell'ambito di grandiose riforme tese a modernizzare la gestione dell'impero, separando in particolare l'Amministrazione civile da quella militare. Ma non perché questi volesse fare a meno dei servizi informativi. Al contrario.
Memore della lezione di Giulio Cesare, consapevole dell'evoluzione dei tempi, desideroso di porre un limite ai preoccupanti eccessi deifrumentarii, Diocleziano diede vita a un vero e proprio corpo dello Stato, un nuovo Dipartimento dell'Amministrazione imperiale, una struttura al servizio degli interessi nazionali costituita da persone qua- lificate, inquadrate e affidabili, i cosiddetti Agenfes in rebus, autentici agenti di intelligence. Venne successivamente perfezionata la sorveglianza delle frontiere imperiali, dove sempre più spesso furono stazionate truppe specialmente addestrate, tra le quali si distinsero i procursatores, per ricognizioni a breve raggio davanti all'esercito e gli explorntores, agenti incaricati di più ampie ricognizioni in territorio nemico e attivi sia nello spionaggio tattico (puramente operativo) sia in quello (più "politico", per consentire cioè ai capi militari di avere una visione generale della situa7ione prima di una guerra o di una campagna).

Con l'inizio della decadenza dell'impero, le truppe speciali c<fronterizie » si confrontarono con sempre maggiore frequenza con le temibili incursioni delle popolazione barbare del Nord, desiderose di impossessarsi delle ricchezze del Sud e della gloria di Roma, imitandone anche lo stile di vita. Aumentò quindi vertiginosamente la richiesta di uomini per integrare i ranghi delle armate sottoposte al primo impatto degli inva<;ori. Ma, contraddizione che avrà effetti deleteri sulla tenuta complessiva delle forze romane, <;i decise - in mancanza di effettivi e data l'urgenza - di ricorrere al reclutamento anche di elementi barbari (in genere ottimi combattenti), anzi furono ingaggiate intere Lribù, pensando (a torto!) che quello fosse il modo migliore per assicurame un inserimento graduale e senza traumi nell'organizzazione militare e bellica romana.
In realtà si trattò di un drammatico errore di valutazione. I singoli combattenti barbari finirono per sentirsi legati solo ai loro rispettivi capi, i quali naturalmente assunsero uno status e una autonomia decisionale che con il tempo misero in crisi tutto il sistema militare imperiale. Saranno in effetti proprio questi «eserciti stranieri», vere enclave strutturate all'interno del dispositivo milita- re romano che, consapevoli della loro forza, decideranno alla fine di spartirsi il bottino dell'impero, determinandone l'inarrestabile crollo.
La caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476 d.C.) provocherà la sco mparsa di molte sue istituzioni: tra queste anche il sistema informativo e di spionaggio che invece continuerà a sop ravvivere nell'Impero Romano d'Oriente e nel mondo arabo, dove l'arte della guerra risulterà nettamente s uperior e. Così, durante tutto il periodo che convenzionalmente va fino alla scoperta dell'America (1492), l'arte dello spionaggio sarà ignorata, sacrificata sull'altare dell' «etica cavalleresca)), tipica del mondo medioevale.
Tacito, l'arte della «brevitas». Publio Cornelio Tacito (55-117 d.C.), tra i pitì grandi storici dell'antichità, è ricordato anche per il suo stile esse11zinle, la sua prosa viva, senza frasi di COli tomo, mai sciatta, sempre chiara e precisa, in t l/In visione della storia e/te si attiene scrupolosnme11te al/n cro11ologin dei fa l'ti: «Il mio proposito è di riferire (... )senza ostilità e parzialità, dal momento che non 11e lto motivo». Il suo modo di scrivere scarno e spezzato, acquista u11a particolare forza espressiva, una speciale drammaticità emotiva, tanto che l'aggettivo «tacitinno» è diventato sinonimo di stile stri11gnto, conciso, senza opportunità di replica. U11a brevitas che colpisce il/ettore molto di più dell'amplificazione retorica alla Cicerone. in genere, per gli autori di Storia essere definiti «facitiani» dovrebbe essere llll complimento. Ma ciò non sempre avviene: per gli amanti delle espressioni ricercate, del periodare lungo e <<arioso», che costringono il lettore n faticose prove di decifrazione sintattica, probabilrnente non lo è, essi si senti rebbero "se mplificati", quasi diminuiti. Lo stile di Tacito dovrebbe, invece, servire da modello per molti storici contemporanei, i quali dovrebbero avere tutto l'interesse a farsi <<leggere» prima e a farsi «citare» poi, evitando di essere citati prima, per ... non essere letti dopo. Ma a volte, appunto, lo stile non segue e... il lettore nemmeno. Attraverso le sue maggiori opere- gli Anna/es e le Historineriviviamo le vice11de dell'impero romano del I secolo, dalla morte di Augusto (14 d.C.) alla scomparsa di Domiziano (96 d.C.). Analizzandone In genesi, Tacito 11011 nasconde il suo profolldo pessimismo storico, rimpiangendo amaramente l'nus/era morale repubblicana.

Capitolo III

IL Medio Evo: miserie e splendori dello spionaggio
Il disinteresse per la riflessione strategica che s i riscontra nel mondo medievale è dovuto anche al generale analfabetismo, alla ristrettezza degli orizzonti e alla povertà culturale di cui soffrono le popolazioni che hanno abbandonato le città diventate pericolose dopo le intrusioni barbariche e vivono disperse, isolate, con ridotte possibilità di comunicazione e di contatti. Pochissime in effetti sono le persone in grado di leggere e scrivere, uno straordinario privilegio riservato essenzialmente agli uomini di chiesa, i quali difendono il loro monopolio- significativo strumento di potere- mantenendo in vita la lingua latina, sempre meno accessibile alle masse incolte. Per circa mille anni, in pratica, in Europa si leggerà e si scriverà poco, con un preoccupante oscuramento intellettuale. E non è certamente un caso che nello stesso periodo, le arti della guerra e dello spionaggio saranno molto più sviluppate nel mondo bizantino e nelle regioni arabe, dove invece la scrittura è conservata, praticata e svil uppata.
I combattenti feudali del resto danno prova in Europa di crassa ignoranza (nel migliore dei casi sono appena capaci di leggere un te s to elementare), il che impedisce ai comandanti di elaborare una solida cultura sto ri ca e militare, base di ogni concezione strategica. È per questa ragione che al momento- in mancanza di fonti che possano confutare una tale lettura storica - i ricercatori, segnatamente nel campo militare, continuano a considerare i secoli del medioevo come «bui», menh·e altri settori, come si sa, sono sta ti ampiamente «r ivalutati» e «ill uminati ». Anche in questo caso, tuttavia, non mancano eccezioni. Eccezioni peraltro di notevole sign ificato storico, che conferma no ancora una volta la difficoltà di disegnare, secondo uno svil uppo lineare, l'evoluzione dello spionaggio nel corso dei secoli: i Vichinghi e i Templari.

Il quadrato magico del Sator. Si fratta del rebus, del testo cifrato piiÌ celebre del Medioevo, da allora mai svelato con siwrezza, 110/lostnnte le i11numerevoli co ngetture fatte al riguardo nel corso dei secoli. Sono cinque parole latine che dmwo luogo a LI/I palindromo (t-1.1/n frase cioè che può essere letta, senza variare, da sinistra n destra e viceversa. Qumtdo si legge da destra, si colltincia dal basso 11nturalme11te... ). Ma 11011 basta. Le parole ilz questiolze si ripetono anche se ve11gono lette dall'alto verso il basso e viceversa, co11 i11oltre In parola TENET che forma una croce nel mezzo del quadrato.
Sator Arepo Te Net Opera Rota S
Curiosa e intrigante iscrizione, rinvmuta in diversi paesi
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d'Europa, da Cirencester OnRililterra) a Rochemaure (Francia), da Siena (sulla parete del Duomo) a Santiago de Composte/a. Ma il più antico ritrovamento è senza dubbio quello avvenuto durante gli scavi di Pompei, nel 1936, dove la ritroviamo incisa sulle scanalature di una colomin della Grande Palestra.
Che voleva esprimere il «quadrato»? Che significato nascondevano le cinque parole latine? Perché una frase tanto oscura si sparse per tutta l'Europa?
Per alcuni si trattava senza dubbio di un codice, di una parola d'ordiue a uso dei misteriosi Cavalieri Templari, i quali, come ·uedremo, avevauo dato vita a un 'efficiente rete informativa in dit1ersi paesi europei (ripresa dnll'mztica Roma, avrebbero diffuso l'uso della formula nel Medio Evo). Oppure si trattava di un'i11dicazione religiosa per i fedeli, o di 1111 motto laico nl tempo dell'impero romano di cui succcssivmnente si ern perso il significato? Un codice segreto per iniziati? Tutte le congetture SOIIO possibili.
Per la scrittrice Sih 1a11a Zane/la, se si leggono Le ci11que pai'OIe cambiando il verso di percorrenza a ogni riga, la frase da illferpretare diventa «SATOR OPERA TENET AREPO ROTAS».

Andrebbe benissimo, solo e/w la parola AREPO 11011 è u11a parola Latina. Se tuttavia la si considera come w1a contrazio11e della parola AREOPAGO, allora In frase avrebbe u11 se11so compiuto abbastmzza credibile: «Il semÌIIntore decide dei suoi lavori quotidimli, ma il tribunale supremo decide il suo destino», ovvero «L'uomo decide le sue azio11i quotidiane, ma Dio decide il suo destino». Insomma, 1111 semplice gioco di parole per i11dicare una massima, un motto, 1111 impegno morale e religioso, con esclusione di misteriose, cabalistiche, negromanticlze finalità. Lnterpreta:::.ione sensata, ma che non spiega tutto, basandosi su una forzatura iniziale, e elle lascia sem:n dubbio aperta la porta ad altre spiegazioni.
Il mistero rimane. No11 si tratta forse di un «quadrato magico»?
I Vichinglti
Dall'originaria Scandinavia i Vichinghi, sicuramente i migliori marinai e guerrieri del loro tempo, colonizzeranno presto una parte dell'Irlanda, successivamente tutta la Normandia, da dove poi daranno l'assalto alla prospiciente Inghilterra. Ma non si fermeranno lì: arriveranno ad assediare Parigi, a conquistare la Sicilia, a creare il regno di Kiev e anche, secondo molti storici, a scoprire, partendo dalla Groenlandia, l'America (pur non rendendosene conto) cinque secoli prima di Cristoforo Colombo.
In tutte le loro spedizioni (salvo evidentemente quella che li avrebbe condotti sulle coste della Nuova Inghilterra), i Vichinghi non partiranno mai senza aver prima raccolto una sufficiente messe di informazioni sui luoghi da «visitare». Dalle basi costituite lungo le rotte marittime da loro presceltc venivano generalmente organiuate operazioni di attenta ricognizione, con sbarchi addirittura di piccoli gr uppi ricognilori sulle coste <<nemiche» per esp lorazioni di più ampio raggio e per raccogliere quante piCt informazioni di intelligence possibili.
Jn questa loro attività ricognitiva sicuramente aiutati dalla manovrabilità e dalla leggerezza dei famosi Drakkar, le tipiche imbarcazioni in legno di quercia, con chiglia leggermente incurvata, non grandissime (venticinque metri di lunghezza per cinque di larghezza), senza uno specifico equipaggio marinaro (nel singolo vichingo le figure di marinaio e di combattent e coincidevano).
Ma dove i Vichinghi si mostreranno pienamente consapevoli dell'utilità di ricorrere alle tecniche dello spionaggio e dei «mezzi speciali» sarà in occasione della conquista dell'Inghilterra, agli inizi dell'Xl secolo (1066).
Approfittando del matrimonio di una delle loro principesse con un re inglese, all'inizio del millennio, i vichin- ghi-normanni riusciranno, con lusinghe, corruzione, legami di parentela e minacce, a «penetrare» efficacemente la Corte di Londra. Un flusso costante di informazioni inonderà così le coste normanne: dal segretario privato del re ad alti funzionari di corte, dallo stesso vescovo di Londra a importanti comandanti di piazzeforti, tutti riferiranno ai «Se rvizi » normanni. E per rendere ancora più efficace la rete spionistica, il duca Guglielmo (al quale il re Edoardo, suo cugino, aveva promesso che sarebbe stato suo succe<,sore sul trono d'Inghilterra), invia una serie di agenti che si stabiliscono in diversi porti inglesi e che cominciano a operare con ampi mezzi (battelli e denaro). E sarà proprio da uno di questi agenti che il duca normanno, successivamente definito cd i Conquistatore», apprenderà la brutta notizia della morte di Edoardo e del mancato mantenimento della promessa a suo tempo fatta, essendo salito sul trono inglese il conte del Wessex, il quale, naturalmente, si aspetta la reazione normanna e si prepara ad affrontarla. Ora, sul piano dello spionaggio, Guglielmo si trova in netto vantaggio, conoscendo nei dettagli lo stato delle truppe c l'organizzazione dell' cca mministrazione» inglese. ll conte del Wesse:-. - nel frattempo diventato Aroldo II d'Inghilterra- sa invece molto meno dei Normanni e cerca disperatamente di rimediare. Invia allora alcune spie nel porto di Dives, base navale avversaria, dove sfortunatamente queste vengono immediatamente intercettate e catturate. Rinunciando a metterle a morte, Guglielmo, seguendo i precetti di alcuni condottieri dell'antichità, le rilascia, non senza aver mostrato loro tutto il potente apparato offensivo normanno pronto a riversarsi sulle coste inglesi (per indebolire il morale degli avversari) e facendo capire loro che ha deciso di attaccare, ma senza precisare quando e dove (per creare confusione e incertezze, circostanze foriere di errori e sfasamenti). n 20 settembre 1066 i norvegesi passano all'attacco. Aroldo va Joro incontro con il grosso delle sue truppe che, pur stremate da faticosissime marce forzate, ottengono una brillante vittoria. Lasciando tuttavia a Gugliemo tutta la libertà di salpare dalla Normandia verso l'Inghilterra meridionale e di conquistare facilmente il porto di Hastings, che si trasforma presto in un'utilissima testa di ponte dove potranno tranquillamente sbarcare i rinforzi


In qualche modo una situazione inversa a quella dello sbarco in Normandia del giugno del1944, quasi un millennio dopo, allorché saranno i tedeschi a non sapere «quando e dove» gli alleati avrebbero toccato terra in Francia.
Conoscendo bene la potenza e l'organizzazione della marina anglosassone e sapendo quanto filo da torcere le truppe inglesi potrebbero dargli, Guglielmo, attraverso un delicato gioco politico, sa sapientemente suscitare un assalto all'Inghilterra in provenienza dal nord da parte del re vichingo-norvegese Harald, sicuro, come poi in effetti avverrà, di costringere l'usurpatore inglese a combattere su due fronti, indebolendolo strategicamente e tatticamente.

Intanto la rete spionistica normanna funziona a pieno ritmo. Il povero Aroldo sarà letteralmente sommerso da indicazioni contraddittorie e dalle manovre di intossicazione di Guglielmo, che con i suoi metodi speciali finirà col metterlo in gravi difficoltà. Travestito da cameriere, ad esempio, manipolerà di persona un gruppo di spioni inviati dal suo antagonista inglese, facendo credere di aver loro fornito preziose notizie. Tutte invece- occorre precisarto?- false e fuorvianti.
Alla vigilia dell'attacco della diversione norvegese, Aroldo in definitiva non potrà fare a meno di ritirare la sua flotta dalla Manica, posizionandola alla foce del Tamigi, pronta a essere eventualmente inviata a nord, per fronteggiare il norvegese Harald o a sud per fermare il normanno Guglielmo.
Appresa la notizia, Aroldo, già in affanno, organizza in tutta fretta una nuova marcia forzata in direzione delle truppe normanne occupanti. Intanto il sistema di ricognizione e di spionaggio di Guglielmo non smette di funzionare, ad esempio tramite pattuglie di ricognitori formate di cavalieri che agiscono sempre in coppia (uno può così rimanere in contatto con il nemico, mentre l'altro corre a riferire ai propri capi, per ritrovare successivamente il collega pronto a sua volta a ripartire con gli aggiornamenti 'iulla situazione). Si moltiplicano in tal modo le infiltrazioni nelle retroguardie nemiche e aumentano i posti statici di sorveglianza.
Curiosità storica c sempre con riferimento allo sbarco in Normandia del 1944: uno dei principali protagonisti di tali operazioni di «prevenzione e sorveglianza>> è Rogcr de Montgomery, il capostipite di una famiglia di illustri militari da cui discenderà «Monty», il celebre generale Bcrnard La\v \ltontgomery, uno dei liberatori dell'Europa.
Le truppe di Aroldo, sfiancate dallo scontro con i norvegesi, demoralizzate dalle continue manovre di «intossicazione informativa» c di spionaggio portate avanti dai Normanni, oggettivamente indebolite da una diversa organ iuazione militare dei due eserciti (quello normanno era già basato sul sistema di leva feudale che coinvolgeva direttamente i ricchi feudatari e poteva quindi contare sulla più imponente arma da guerra medioevale, la cavalleria pesante; quello sassone, invece, era ancora formato di «milizie popolari», senza coinvolgimenti diretti dei nobili, dotato di conseguenza di minori mezzi ed equipaggiamenti), perderanno ad Hastings, in poche ore, una delle battaglie più gravide di conseguenze sull'evoluzione della storia europea.

Due mesi dopo la vittoria (ottobre 1066), Guglielmo è incoronato re d'Inghilterra a Westminster, nel corso di una festosa e sfarzosa cerimonia, che anche simbolicamente rappresenta il compimento della promessa fattagli dal cugino .
Anche nel caso di Hastings si può affermare come lo spionaggio abbia, se non modificato, sicuramente «accompagnato» utilmente il corso della Storia.
I poeti sca ldi : tutto quanto fa sp ionagg i o. Poeti e combattelli i, gli scaldi raccontava/lo le saglle eroiclte dei guerrieri Vichi11ghi. Spostandosi i11 contilwazione per le terre scandinave, mettevano in versi Le gesta dei re, le scoperte di nuove contrade, le battaglie più famose, ma anche i fatti della vita giomaliera. Versi per la verità alq11anto complessi, pie11i di rime incrociate, ricchi di metafore e a/lusio11i mitologiche, creati con tecllica poetica virtuosislica, al JHll'i dell'arte jig11raliva vici tinga, che non dovevano essere di fncile lett11 ra né di facile ascolto. Gli scaldi godeva11o di imme11sa reputazione e di protezione assoluta. Si lasciava illfatti credere e/te la loro arte fosse Il/l dono del dio vichiltgo Odino e che di co11seguenza avesse caratteri di sacralilà. Date tali premesse, quale migliore «copertura» per L'effettuazioue di missio11i di spionaggio? Citi avrebbe potllto toccare i sacri scaldi? Rispettati, protetti e co11siderati portatori di un'arte sacra, chi avrebbe osato negare loro un accesso, chi avrebbe ardito nascondere loro un'informazione? Agenti di i11telligence, in definitiva, loro malgrado.
Solo per citare alcuni esempi conosciuti: Alfredo il Gra11de, nel X secolo, si prese11ta come poeta scaldo e non ha difficoltà a entrare nel campo nemico; Golet, scaldo di corte, aiuta Guglielmo,futuro conquistatore dell'Inghilterra, a scoprire un complotto che si tramava contro di lui a Bayeux; nel1010 lo scaldo is/an- dese Gwmlaug infonna dettagliatamente il re inglese Ethelred sulla situazione in Russia e a Bisanzio.

Una pratica che divenne talmente ricorrente che ci si può chiedere: ma si trattava di poeti spioni o di spioni poeti?
I Temp l ari
Le spedizioni dei Crociati non avranno riflessi di grande rilievo sull'evoluzione dell'arte della guerra, né tanto meno sulle tecniche dello spionaggio o sull'applicazione dell'intelligence. Animati, come si sa, da motivazioni composite (fede, avventura, gloria, denaro), non sempre singolarmente decifrabili, provenienti da paesi con diverse tradizioni militari e sociali, con difficoltà di comprensione linguistica, confusamente coordinati da un incerto «Comando internazionale» (un problema che in qualche modo si ritrova anche ai nostri giorni quando si tratta di coordinare, per operéVioni Onu ad esempio, truppe provenienti da paesi non abituati al coordinamento militare intema/ionale, come invece non avviene alla Nato, che dispone di comandi integrati permanenti), i Crociati non riusciranno mai, nei due secoli di durata del Movimento (dal 1096 al 1314), a stabilire una presenza cristiana continuativa in Oriente. Lo spirito cavalleresco che li caratterizza del resto li porterà spesso a trascurare non solo le tecniche dei «mezzi speciali))' ma anche le più elementari regole tattiche della guerra. Come nel caso del tentativo di ripresa di San Giovanni d'Acri (oggi Akko, in Israele), l'ultimo baluardo cristiano in Medio Oriente, quando il re di Francia, Filippo Augusto, durante la terza Crociata, trascura di organizzare una stretta sorveglianza delle strutture e del materiale da utilizzare per il previsto assedio. Non sarà così difficile per gli assediati, nel corso di una ben coordinata azione nottur- na di commando, distruggere i preziosi approVVIglOnamenti con il fuoco. Circostanza che influenzerà pesan temente il corso dei successivi eventi, ritardando e complicando l'iniziativa dei Crociati. Al contrario, gli avversari mu s ulmani compenseranno con l'astuz ia, l'inganno, col ricorso insomma alla «guerra non convenzionale», la loro relativa debolezza di fronte alla forte e ben protetta cavalleria crociata.

Unica eccezione in campo cristiano, i Templari (ordine nato sulla scia delle Crociate per proteggere le strade della Terra Santa) provvederanno invece a innalzare il livello dell'intelligen ce occidentale, agendo nella loro triplice natura di monaci, so ldati e agenti informativi.
Stabilitisi inizialmente a Gerusalemme in quello che si credeva l'antico Tempio di Salomone (da cui il nome di Cavalieri del Tempio o Templari), si struttureranno pres to secondo precise gerarchie e, grazie anche alle consistenti donazioni degli aderen ti, raggiungeranno un livello di ricchezza fuori dal com un e, dando vita a un origi- l Templari, i Cavalieri del Tempio, cos tituiron o tramite i loro com>enti, monasteri e chiostri, la piii formidabile rete di mtelllgence del Medio Evo naie e inedito ordine di monaci-combattenti: i «difensori della fede», e non solo in senso ideologico e dottrinale.

Ora, chi meglio dei Cavalieri del Tempio, con la loro rete sparsa in tutta Europa e costituita di abbazie, conventi, monasteri, chiostri (dove vivono in genere le persone più colte dell'epoca), con le loro possibilità di viaggi e contatti (privilegio di pochissimi in quel periodo), con i loro mezzi finanziari, potrà raccogliere c dare informazioni «riservate .., welare insomma i segreti del mondo? I Tcmplari in effetti saranno un po' dappertutto: in Francia, in Germania, in Italia, in Portogallo, in province riavvicinate dall'appartenenza al comune Ordine e dal rispetto delle stesse regole e misteriose formalità. Le sedi dei Templari si troveranno inoltre sulle strade che portano in Terra Santa o nei porti da dove ci si imbarca per il Medio Oriente, lungo cioè le grandi direttrici di comunica.òone del Medio Evo, al centro quindi delle principali fonti informative delJ'epoca.
Il Gran Maestro dell'Ordine dispone insomma di una struttura informativa capillare e bene organizzata, nonché di una messe di notizie paragonabile a quella su cui oggi potrebbe contare il capo di un moderno servi/io segreto. Tanto che papa Clemente V, pensando di lanciare una nuova crociata nel 1306, chi convoca preventivamente per essere informato sulla situazione politica e militare in Terra Santa e per valutare le possibilità di successo della missione? Jacques de Molay, naturalmente, il Gran Maestro dell'ordine dei Templari, che evidentemente di cose doveva sapeme tante e di segreti doveva custodirne in quantità. abbastanza, tuttavia, per salvarsi dal patibolo, come spesso accade con i capi dei servizi segreti, che rischiano in ogni momento di trasformarsi da preziosi consiglieri in capri espiatori da sacrificare sull'altare della legittimità istituzionale e delle finalità politiche, interne e internazionali, del governo.

Jacques de Molay, l'u ltimo Templare. A Parigi, sul lato occidentale del Pont Neuf (in realtà il ponte più antico della città), nell'ile de la Cité, c'è una lapide che ricorda l'esecuzione sulla piazza pubblica, nel 1314, di Giacomo di Molny, l'ultimo Gran Maestro dell'Ordine dei Templari. Un'esewzione che ancora oggi suscita perplessità e interrogativi.
Perché fu giustiziato de Molay?
Vittima probabilmente del proprio successo, l'Ordine aveva acquisito troppa potenza, troppo controllo del territorio, troppo potere politico: co11 le sue ricchezze, le sue capacità di intelligence, in sun rete di fiorenti monasteri, la sua forza militare, faceva concorre11za agli Stati nnzio11ali che andavano faticosamente emergendo, in particolare la Francia. l Templari, dopo essere stati Ìl1vocati ed esaltalnti come i protettori della fede, ora fanno piuttosto paura. La stessa Chiesa ne diffida, il popolo li considera con timore, i grandi sovrani ne prendono le distanze. Filippo IV di Fra11cia guarda con sempre minore simpatia I'Ordinl!, avendone ricevuto ilz prestito grandi somme e non essendo in grado di restituir/e. Meglio quindi ridimensionare i Templari. Non è difficile del resto raccogliere pesanti accuse sul Loro conto: pratiche eretiche, idolatria, sodo ndn, terribili riti di iniziazio11e, il sospetto che sim1o i gelosi depositari del Sm1to Grna/: citi pitì ne lta, pi lÌ ne metta.
De Molay protesta, il Papa ùzJerviene senza troppa convÌIIzione. Nel frattempo Filippo IV lta già fatto arrestare i maggiori responsabili dell'Ordine (compreso lo stesso de Molay da poco trasferitosi da Cipro a Parigi per operare in Europa) e fatto seq uestrare tutti i Loro beni. Non c'è certo metodo migliore di estinguere un debito che impossessarsi dei beni del creditore. Le torture e le confessioni estorte fara n no il resto. Svanì ti i ricordi delle epiche battaglie, sco mparsi gli stati latini in Oriente, la funzione dei Templari sembra orma i superata. jacques de Molay si difende: «Le eresie e i peccati che ci vengo- no attribuiti non sono veri. La regola del tempio è santa, giusta e cattolica. Sono degno della morte e mi offro di sopportar/a perché prima ho confessato solo per paurn delle torture».

I Cavalieri della Croce di Cristo non interessa11o più. jacques de Molay viene bruciato ·pivo, segnando con la sua morte la fine dello stesso Ordine e il disfacimento di una formidabile rete di intelligence cristiana, attiva e ben fullzionante in Europa e ilz Oriente.

La Guerra dei Ceut'auui e i prodromi dei servizi segreti organizzati
Solo negli ultimi due secoli del Medio Evo, in Occidente, la pratica dello spionaggio, caduto nel periodo precedente al suo li vello più basso tanto sul piano concettuale che operativo, torna a esser praticato sull'onda degli intensi avvenimenti intema7ionali europei. Sarà in effetti la Guerra dci Cent'anni (in realtà 116 anni, dal1337 al1453) che gli darà un nuovo e decic;ivo impulso.
All'inizio del XIV secolo Francia e Inghilterra si affrontano in un conflitto senza esclusione di colpi e che sembra non avere mai fine. Le pretese territoriali di Londra su Parigi, gli interessi politici cd economici totalmente opposti dei due paesi nelle Fiandre, avranno l'effetto di scatenare in Francia un furiosa guerra civile tra i difensori della famiglia Orléans (Armagnncs) e i favorevoli alla corte di Borgogna, la quale finirà per allearsi con gli inglesi (Bourguignons). Un quadro e un terreno ideali, come si vede, per le spie, gli agenti speciali, gli «uomini di influenza».
Guerra complicata sul piano politico e complessa sul piano strategico e tattico. Gli scontri infatti si svolgono non solo tra inglesi e francesi sul suolo francese, ma anche tra la stessa Francia e la Borgogna.
L'Inghilterra occupa ancora buona parte del sud ovest del territorio francese, la punta della Bretagna con Brest, la punta del Cotentin con Cherbourg e una parte del Nord, intorno alla città di Calais. Tutti luoghi da dove è agevole per gli occupanti organizzare offensive militari e campagne di spionaggio. Londra si trova insomma in buona posizione per tenersi al corrente dci movimenti dell'avversario, per sondare gli umori delle popola7ioni nelle città e testarne la fedeltà all'avversario nonché la capacità di far fronte allo sforzo di guerra, per fare in definitiva dello spionaggio.
Così Edoardo ili d'Inghilterra è spinto dagli stessi avvenimenti a concepire una prima, rudimentale struttura di agenti segreti, come si deduce anche dalla contabilità reale, conservata negli archivi inglesi, dove ci sono alcune inequivocabili annotazioni sul fun.donamenlo c sul costo del servizio. A Frank Hale- ad esempio - capitano della città di Calais, si versano 110 monete d'argento « per diversi messaggi e spiate per conoscere la volontà e i fatti dei nemici in Francia ». Un piccolo proprietario terriero francese si vede accordare, il 25 ottobre del 1378, la somma di 50 monete d'argento per aver reso «Serv izi particolari » e altri casi ancora.
Oltre agli «illegali», Edoardo ru si serve anche della facile copertura che offrono la numerosissime «a mbasciate» che i belligeranti si scambiano nei momenti meno tesi del conflitto. Tutto è utile per la vittoria.
Anche il ricorso alle «talpe » viene accentuato. In considerazione dei possedimenti sul continente europeo, non è difficile a Londra reclutare spie francesi o di altre nazionalità che parlano le lingue delle regioni dove devono operare, conoscono gli usi e costumi delle popolazioni nel cui ambito si devono mimetizzare, occupando magari impor- tanti funzioni nel luogo di residenza per poter offrire informazioni ancora più preziose. Quando poi la presenza di un «capo settore» è ritenuta necessaria nella capitale britannica per fare rapporto allo stesso re, nessuna problema: lo si fa imbarcare a Wissant, ai piedi delle scogliere di Calais, e da lì verso Dover, attraverso il punto più stretto della Manica, totalmente controllato dagli inglesi. n via-vai delle spie inglesi attraverso il Channel sarà abbastanza intenso. n fenomeno dello spionaggio, e delle «talpe» in particolare, si diffonde, anche se è difficile quantificarlo in mancanza di sufficienti riscontri storici. Tuttavia risultano innumerevoli in quel periodo le denunce per spionaggio e si può pensare che addirittura vi fosse una sorta di psicosi nei confronti delle spie, quando si leggono le decisioni reali che assolvono dei criminali la cui difesa si basava sul fatto di aver «Solo ucciso una spia inglese!».

Poco a poco anche i francesi cominciano a organizzarsi e non tardano a reagire all'offensiva spionistica inglese, avviando un «grande gioco» ante litteram con la creazione di una rete di talpe e agenti illegali operanti in Inghilterra, Scozia e Galles.
Gli inglesi a questo punto conoscono qualche difficoltà, si rendono conto che la sicurezza del loro paese è in pericolo e s pingeranno il re a porre le ba si, dopo quello dello spionaggio, anche del servizio di controspionaggio. I capitani, i sindaci delle città di mare, gli albergatori, tutti coloro insomma in contatto con stranieri, sono invitati a raddoppiare la vigilanza onde segnalare si tuazioni anomale o sospette, cooperando per individuare e arrestare gli agenti nemici.
Decisamente i primi vagiti dello spionaggio e del controspionaggio organizzato e moderno, nell'Europa occidentale, vanno ricercati a Londra.

Giovanna d' Arco, eroina della Guerra d ei Cent'anni. La Guerra dei Ce11t'anni riceve uno scossone salutare a favore della Francia con L'entrata in scena di Giovanna d'Arco. È notissima la tragica, epica ed eroica vicenda della Pulzella d'Orléans, icona protagonista di innumerevoli libri, film, lavori teatrali, opere liriche ecc., assurta a simbolo dell'unità nazionale e territoriale della Francia e dichiarata Santa dalla Chiesa cattolica.
Le rivalità tra armag11acchi (armagnacs) e borgognoni (bourguignons) hanno sprofondato il paese in un'interrninabile guerra civile. Gli i11glesi, alleati dei borgognoni, ne hanno approfittato per invadere il paese. Parigi è già nelle mani dei borgog11oni e le truppe di Londra assediano Orléans, ultimo bastione di difesa degli nrmngnacchi e ultima speranza di Carlo VII, rifugiatosi a Chinon, di essere Wl giomo consacrato re di Francia. Siamo nel 1429.
Una ragazza lorenese di appena diciassette a1111i e di origine con tndi11a , «invia/a di Dio», con l'ilzcarico «Celeste» di salvare la rrancia dal dominio straniero, da molti considerata pazza ma ritenuta invece perfettamellte srwa di mente da numerosi e importanti teologi, co nvince Carlo VII elle è arrivato il momento della riscossa, del risveglio nazionale. L'aspirante re, disposto oramai n giocare qualunque carta pur di non perdere il regno, le mette a disposizione, pur se con 11 na buona dose di scetticismo e senza troppo entusiasmo, una parte dell'esercito. Si produce allora quello che viene considerato il vero miracolo di Giovanna d'Arco: aver cioè deviato il corso della Storia, senza peraltro fare miracoli ... Vestita da solda to, animata da una fede incrollabile, convin ta di dover portare a compimento una missione divina, In giovanissima jean11e riesce a imporsi agli esperti e nobili comandanti armagnacchi e n nwtivare le truppe co11 un entusiasmo tale da superare qualsiasi tecnica militare, iniziativa di intelligence, rapporto di forze. l soldati hanno ora la loro causa: la liberazione della Francia. Hanno la loro eroina: Giovanna. Chi potrà fermarli? Come posso11o resistere a tale forza d'urto militari per lo più professionali e mercenari?

In effetti Orléans viene presto liberata da Giovanna grazie n11che a un fonnidnbile effetto sorpresa e n u1z istintivo utilizzo del renseignement. Da 1111a parte infatti gli inglesi non dispongono ancora di un servizio di ricognizione in grado di prevedere le mosse dell'avversario. Ciò che avvantaggia in defili il ivn i francesi. Dall'altra, Giomnna fa prova di possedere un senso innato dd/o sfruttamento delle notizie di lntelligence. Lo dimostrerà in piiÌ occasioni, in particolare quando decide di come disporre in batteria l'artiglieria o come le truppe per meglio po.;izionarle di fronte n/nemico. Come ciò sia potuto avvenire da parte di lllln pastore/la di 17 anni, nnnlfabeta e totalmente digiu1w dell'arte del/n guerra, rimane 11110 dei tanti misteri (o miracoli) nella vicenda del/n Pulzella d'Orlén11s.
Insomma alla guida di Giovanna d'Arco i francesi trionfa-
G1ovmma d'Arco, motivò misll'riosamente le truppe francesi fillo n/la t•ittoria. Fu poi l•ittima di una operazione di "spionaggio 11ero" no. 11 fiacco Carlo VII viene finalmente incoro11ato re di Francia, la nazione francese si ritrova in se stessa e, esauritasi l'alleanza del Duca di Borgogna con gli inglesi, il paese viene progressivamente liberato dalla presenza straniera. Finisce la Guerra dei Cent'anlli. A Londra rimarrà per circa Ull secolo u11 icamen te Calais, fì no al 1558.


Ma Giovanna, come si sa, noll può assaporare La gioia della vittoria e la soddisfazione della missione compiuta. Ferita, tradita probabilmente da qualche commilitone prezzolato, viene catturata dalle forze borgognone ne/1430, durante In battaglia di Compiègne, vicino Parigi. La futura eroina nazionale francese, nuovamente tradita dai suoi stessi COilllGZionali, abbaHdonata da Cnr/o VIl che pure doveva avere qualche motivo di riconoscenza nei suoi confronti, viene letteralmente venduta agli inglesi, i quali, perfidamente, affidano In sua sorte (già segHata) al vescovo di Beauvais, Pierre Cnuchon (il quale si presta viglinccnmen te all'operazione) affinché, ulteriore trndi111ento e umiliazione, siano gli stessi fral/cesi a determina me il castigo.
Accusata di eresia per aver preteso di parlare direttamente con Dio, di atti illeciti per aver vestito abiti mnscllili, di aver scnndalosnnzente (ulln donna!) incitato gli uomini n/ combattimento, di stregoneria e altro G/lcora, jeanne d'Are viene condannata da L/Il tribunale ecclesiastico a essere bruciata viva nella piazza principale di Rouen, i11 Normandia. Muore il 30 maggio de/1431. Ha appena diciannove anni.
Venticinque mmi dopo La sua morte verrà riabilitata e riconosciuta iwwcente. Nel 1920 verrà proclamata Santa da Benedetto XV. Personaggio storico inclnssificabile, testimonianza della determinante influenza della motivazione (o della fede) sullo svolgimento delle operazioni belliche, al di là di tattiche, strategie e intelligence, Giovanna d'Arco è ancora oggi considerata il punto di riferimento del sentimento nazionale dei francesi e, nello stesso tempo, u11a delle più significative Sante nella storia della Chiesa cattolica.
Capitolo IV
Uno sguardo all'Intelligence delle regioni orientali

La Citta
È curioso riscontrare come nel periodo antico, diversi secoli avanti Cristo, in Cina si ritrovino concetti analoghi a quelli più volte emersi nel mondo mediterraneo e mediorientale sull'utilità dello spionaggio e sull'opportunità di usare gli agenti segreti, pur trattandosi di mondi all'epoca alquanto impenetrabili l'uno all'altro. Leggendo infatti il trattato fondamentale sull'Arte della Guerra del generale cinese Sun Tsu (V secolo a.C.), sempre citato quando si fa riferimento alla storia della strategia e dello spionaggio in Estremo Oriente, si rimane sorpresi nel constatare analogie con alcuni precetti già messi in evidenza nel caso degli Assiro-Babilonesi o degli stessi Persiani. Si registrano in effetti tali affinità che viene da chiedersi se non vi sia stato un qualche «travaso » di idee da un mondo all'altro ovvero se, più verosimilmente, i mHitari e i dirigenti politici dell'epoca siano arrivati aHe stesse conclusioni autonomamente, parallelamente, sull'indissolubile legame spionaggio-guerra.
Quando ad esempio Su n Tsu scrive: «Se scoprite delle spie nemiche, guardatevi dal farle morire. l loro giorni devono esservi infinitammte preziosi. Esse serviranno, senza che ne siano consapevoli, n trasmettere a/nemico informazioni tratte da iniziative calcolate, propositi insidiosi che avrete fatto in modo di portare a loro conosce1zza», non sembra di sentire Serse che consiglia al padre Dario di non mettere a morte le spie scoperte, ma di utilizzarle a fini di deterrenza psicologica?
Quando Sun Tsu stabilisce un legame certo tra azione politica e azione armata, definendo buon stratega col ui che sotto mette il nemico senza impegno militare, non sembra riecheggiare la strategia di Ciro nei confronti di Creso, abbandonato dopo un intenso lavorio diplomati co persiano, dai s uoi alleati e quindi sottomesso senza praticamente comba ttere?
Sun Tsu poi va ancora più lontano nell'indicare il sofisticato utilizzo delle sp ie, s uUe cui azioni ritiene si basino le probabilità della vittoria militare, fornendo s uggerimenti di sorpren dente attualità: «I sig11ori illuminati e i saggi generali vi ncono dovu11que muova no e si distinguo11o per l/leriti dalla massa grazie alla preveggenza. Tale dote 11011 si prende dagli esseri sovrannaturali né si ottiene lirnitandosi a ra.ffro11tare gli eventi e a verificare i calcoli. La colloscenza della si tua zione nemica viene invariabilmente ottenuta attraverso gli uomini. Le spie da utilizzare sono di cinque tipi: spie native (dei terri-
Sun Tsu (V sec. a.C.), generale cùrese tori nemici), infiltrati interni

(ufficiali nemici che possono essere persuasi di rimanere nei propri ranghi ma disposti a tradire) doppiogiochisti (spie rivoltate), spie votate alla morte (elementi cioè da sacrificare perché la loro cattura e il loro sacrificio fanno parte di un piano previsto di «intossicazione»), spie destinate a vivere (in grado di tornare indietro a riferire dopo una ricognizione in profondità nei territori nemici). Se i cinque tipi di spie operano insieme seguendo vie che nessrmo conosce, si parla di "intreccio sovrannaturale", esse sono w1 tesoro per il sovrano». Prima delle stesse ostilità, per Sun Tsu, le spie devono operare per cercare di dividere gli alleati dei nemici, spargere falc;i rumori, informazioni '>bagliate, corrompere i funzionari nemici c suscitare rivalità interne. Insomma l'indispen<;abile «fattore umano» posto al cuore della strategia militare cinese, un fattore che ancora oggi non cessa di essere al centro delle attività di intelligence nonostante i fantastici progressi della scienza, della tecnologia e dell'informatica.
Ma come dovrebbe essere l'agente ideale secondo Su n Tsu? Intelligente, ma apparire stupido, forte nel cuore ma esteriormente debole, coraggioso e capace di sopportare la fame, il freddo c l'umiliazione. Insomma, un superuomo? Certamente no. La spia-modello dovrebbe essere un uomo «indispensabile», giacché, come abbiamo anticipato all'inizio, «U/1 esercito senza age11ti segreti è come un 1101110 senza occhi né orecchie».

Pagine, quelle di Sun Tsu, che ancora oggi si possono leggere con diletto (lo stile è limpido), con interesse (molti degli insegnamenti contenuti appaiono tuttora validi) e non senza prendere dallo c;tupore per la straordinaria attualità delle teorie enunciate.
In Cina quindi il ricorso allo spionaggio e l'utilizzo strategico delle spie sin dall'antichità fanno parte dell'insieme dei mezzi a disposizione dei militari e dei dirigen- ti politici per vincere le guerre e per proseguire una politica di conquista e di dominazione. l/libro si presenta sotto forma di commenti ni 36 stratagemmi cinesi utili a vincere il 11emico ricorrendo preveutivamente alla disinformazione, all'astuzia, allo spionaggio, all'i n te/l ige11ce piuttosto che all'impiego iniziale della forza bruta e nl cornbattimellto aperto. Dal primo stratagemma ("attraversare il mare> iuganuando il cielo", cioè spostare l'ntteuzioue de/nemico su particolari poco importa11ti) all'ulti111o ("lo stratagemma migliore è la fuga", quando cioè il nemico si mostra troppo pote11 te, è opportu/lO ritirarsi), il libro contiene Ima messe di inseg11nmenti strategici e tattici, tecniche di spionaggio e controspionaggio, indicazio/li di intelligence, una summa insomma di istruzioni che dovrebbero assicurare la vittoria ai comandanti che 11e fallno tesoro.
La " Bibbia" dei 36 Stratagemmi. La contilluità, l'utilità e l'attualità dei principi de/l'intelligence appaiono ancora più sorprendenti quando si rilegge il classico Trattato dei 36 Stratagemmi, opera anonima cinese, scritta intorno al 450 a.C. e <<modemizzata» in un 'aggiornata versione del1930. Una preziosa Bibbia per gli addetti ai lavori.
Una rijlessio11e strategica il cui successo è dipeso dal fatto che i lettori contemporanei vi trovano un certo llltmero di ricette utilizznbili sia per la guerra classica, sin per quella «rivoluzio naria », sia per la lotta economico-commerciale e persino per la gestione manageriale. U11a riflessione che sembra peraltro e1Itrare in rotta di collisione con le ultimissime teorie, tendenti a dimostrare invece che, detto in poche parole, l'il/formazione preventiva in guerra non servirebbe a granché in quanto conterebbero alla fine solo i reali rapporti di forza. Come fa john Keegan nel suo Intelligence (2006), dove ricorre abbai/dantemente a una vecchia tecnica utilizzata dai polenzisti esperti.

Prima, cioè, parte comodame11te da una tesi considerata scolifata (<<l'illtelligence, lo spio11aggio e le tecniche collegate sono stati assolutamente determinanti per l'esito dei conflitti») per poi distruggerla a piacere (portando esempi di avvenimenti bellici dove il possesso delle hiformazioni preventive non ha impedito alle forze armate del paese cui erano state rubate di vincere conwm7ue la battaglia, sulla base appunto della supremazia finale delle armate e degli armamenti). Per Keegan di conseguen::.a <<la conoscenza prel'entipa non è una protezione prePentil'a contro i disastri, e Te iliformazioni i11 tempo reale 11011 sono mai abbastanza reali. Alla fine conta soltanto la forza».
Il problema, tuttavia, elle /leSSl/110 ha mai sostenuto che f'intellige11ce - intesa nell'accezione più ampia del termine - c;ia del tutto determinante nelle vicende belliche. f.ssa non cambia certo il corso della Storia, come 11011 ha il potere di annullare la potenza nemica. Ma come dubitare che le tecniche e gli stratagemmi dell'iutclligcucc aiutino e anche parecchio? Se 11011 altro per difmderc;i dall'intelligellce avversaria, che altrimenti potrebbe mettere nelle condizio11i più favoremli di agire le proprie forze armate c i propri sistemi di spio11aggio. Se l'intelligence quindi, di per sé, no11 cambia il Se11so della storia, spesso però Lo i11dirizza sigllificativamente. Come sembrerebbero dimostrare proprio i 36 stratagemmi cinesi, la eu i applicaziolle, anche in avvenimenti recenti, ha confermato, in barba all'ambigua tesi di Keegan, quanto siano utili le tecniche dello spionaggio e della disinformazione in tempo di guerra.
Prendiamo, ad esempio, lo stratagemma n. 34 (<<Strntagernma dell'autolesionismo))), indurre cioè allo sviamento il nemico, anclze a costo di sacrificare eleme11ti del proprio campo. Da Zopiro (di cui abbiamo già parlato) al generale cinese Zlw Yu, che nel 297 a.C. fa torturare in pubblico U/10 dei suoi rnigliori collaboratori per renderne credibile il passaggio al nemico; dal bombardamento tedesco di Coventry durante la seconda guerrn molldiale

(quando, secondo alcuni storici, Churchill, saputo in anticipo dell'iniziativa nazista, non volle far evacuare la città altrimenti i tedeschi avrebbero capito che i loro ·messaggi Enigma erano decifrati e sarebbe venuto meno per Londra uno strumento considerato essenziale per gli esiti finali del conflitto) alla consapevole distruzione della rete partigiana Prosper nel Nord della Francia nel 1944 (per far credere ai nazisti che il grande sbarco alleato sarebbe avvenuto n Calais e non in Normandia). Numerosi insomma so/lo gli esempi di ricorso allo stratagemma 34, elle ha fornito le chiavi del successo ai suoi utilizzatori.
Ulteriore esempio, lo stratagemma n. 35, detto del <<falso documento col/fermato», una ma11ovra consistente nell'indurre il nemico a lavorare inconsapevolmente contro se stesso, creando le condizioni di 1111n sorta di auto-disinformazione. Deve qui11di trattarsi di un «falso documento» ma confeziOtmto con assoluta autenticità e «Confermato» da diverse fonti. Famosissima al riguardo è rimasta l'operazione mincemeat («came tritata») durante la seconda guerra mondiale. Con «nute11tìci» falsi documenti (lettere scritte dai veri generali che le firmavano, contenenti però notizie di fantasia), con l'autentico cadavere di un <ifnlson ufficiale della Royal Nnvy, gli alleati ingawzmw i nazisti sul luogo dello sbarco nel sud dell'Europa de/luglio 1943. Berlino, in base ai falsi autentici documenti che crede di aver recuperato fortwzosamente, si convince che lo sbarco allento proveniente dal Nord Africa riguarderà la Grecia e non la Sicilia, da dove quindi viene ritirato buona parte del dispositivo di difesa.

Stratagemmi che hanno dato i loro frutti.
Validità di tecniche derivanti da antichissime strategie elle llOn hanno perso della loro intrinseca saggezza, nonostante il tempo passato, mostrando anzi tutta la loro attualità in un mondo dove l'informazione e la disitiformazione, la propaganda e l'indottrinamento, co11dizionano sempre di più, su scala mondiale e in tempi reali, non solo le vicende militari, ma anche la nostra vita quotidiana.
Bisanz io basta peraltro teorizzare l'attività informativa, bisogna anche darsene i mezzi per praticarla sistematicamente. I bizantini, consapevoli di tale elementare esigen- za, organizzano presto un servizio di spionaggio permanente, continuando la tradizione romana iniziata da Giulio Cesare, come si può dedurre dai racconti dello storico Procopio di Cesarea: «Da tempo immemore molte persone erano mantenute a spese dello Stato. Queste si recavano presso i nostri nemici, in particolare nel regno di Persia, con la scusa di attività comrnerciali (evidentemente la copertura prediletta) o con qualsiasi altro pretesto, esploravano tutte le cose co11 la più grande cura e di ritomo in patria, erano in grado di riferire tutti i segreti del nemico al nostro govemo che, ben informato in anticipo, stava sempre in guardia e niente di imprevisto gli poteva accadere».
Se l'Impero Romano d'Occidente, nato dalla divisione decisa da Teodosio nel 395 d.C., crolla nel 476, ponendo fine a un'irripetibile epopea storica e a una grandiosa avventura umana, l'Impero Romano d'Oriente, con la sua raffinata capitale, Bisanzio (diventata Costantinopoli dopo che Costantino il Grande vi fissò la sua residenza nel 330) resisterà per i successivi dieci secoli, fino alla conquista turca del 1453.
L'impero bizantino, eternamente minacciato da popolazioni ostili che attentano da diverse direzioni alla sua integrità territoriale, sarà obbligato a rimanere in costante stato di allarme, pronto a opporsi a possibili attacchi. Quasi naturalmente, quindi, si svilupperà un servi7io di raccolta di informazioni, provenienti soprattutto dalle poco sicure frontiere (ma anche dall'interno dei territori nemici), teso non soltanto ad acquisire in anticipo notizie sulle intenzioni degli avversari, ma anche a dar vita a vere operazioni di «guerra psicologica»- come si direbbe oggi- per spiazzare, indebolire, dividere i potenziali avversari con l'astuzia e l'inganno. Operazioni che costituiranno una delle grandi «specialità» dei bizantini.
Scrive Ibn Hawqua1, una sorta di Marco Polo arabo vissuto intorno al 900 d.C., nel suo libro di viaggi: «Hanno inviato le loro navi riempite di merci in territorio musulmmzo. Gli equipaggi lum11o percorso il paese Jaceudo i loro negozi e lo lzmmo visitato con cura, assumendo segretmnente infonnazioni. Successivame11te so11o ritornati e hanno riferito queste informazioni ai loro compatrioti». Commercianti quindi con compiti di spionaggio.

Siamo in questo caso di fronte a spie professionali che si fingono commercianti. Il salto di qualità è evidente, il filo di continuità con Roma più trasparente.
Il racconto di Procopio mette inoltre bene in evidenza l'evoluzione che si realizza nell'organizzazione bizantina, offrendo tutto il senso della sua modernità. A Bisanzio, inc;omma, nei primi secoli dell'era cristiana, opera già un servizio civile che impiega, su base permanente, agenti informativi, preparati c addestrati allo scopo (diretti eredi dei romani agentes in rebus), la cui unica funzione è di praticare lo spionaggio. Lo stesso servizio poi dispone, nei paesi vicini e rivali, di agenti infiltra ti e integrati nella realtà socio-economica locale, in grado di raccogliere e fornire notizie utili (akritai).
È del resto sintomatico che una delle prime forme di spionaggio economico sia stata realizzata proprio a Bisanzio sotto il regno dell'Imperatore Giustiniano, nel 552 d.C. È nota la storia- o la leggenda?- dei due monaci particolarmente intraprendenti e coraggiosi, originari della regione di Samarcanda e buoni conoscitori della Cina, i quali, sotto la copertura di una non ben specifica- ta missione ufficiale, vengono in realtà incaricati dall'imperatore Giustiniano di recarsi nuovamente nell'impero del Sol Levante per carp i re il segreto della produzione della preziosa seta. Sempre secondo la vulgata (non meraviglia che di furti così importanti ufficialmente commissionati non siano rimaste tracce scritte e documentate), i due monaci avrebbero nascosto in canne di bambù diversi esemplari del minuscolo insetto, riuscendo a passare attraverso i rigidi controlli dei cinesi, gelosissimi custodi del segreto della coltivazione del baco da seta. Tornati in patria i due religiosi avrebbero affidato le larve a e'>perti agricoltori, i quali, alla luce dell'intelligence economica resa disponibile sulle tecniche e le fasi della coltivazione, avrebbero posto le basi per l'avvio di una fiorentissima produzione di eleganti tessuti, richieslissimi dalle donne bizantine e dalla stessa imperatrice Teodora.

La seta è arrivata in Europa. Giustiniano, gra.1..ie a una spregiudicata azione di spionaggio economico, sarà in grado di rimettere un po' d'ordine nel disastrato bilancio imperiale.
!\:on è forse questo un quadro di attività spionbtichefatte le debite proporzioni storiche - simile a quello che si riscontra oggi in molti paesi? Un servizio in effetti particolarmente efficace, se si pensa che l'aggettivo (( bizantino», diventato nel corso dei secoli sinonimo di sottile, ingannevole e insidioso, ben si attagliava al lavoro delle spie, de- gli infiltrati e dei doppiogiochisti dell'Impero d'Oriente. gi elle viene naturale soltolineame il para l/el ismo.

Ma a Bisanzio si è verosimilmente andati anche più in là del mero spionaggio. In diverse occasioni verranno infatti realizzate iniziative di integrazione politico-diplomaticomilitare che delineano le prime forme di quella che oggi si definisce intelligence. La stessa imperatrice è all'origine di una solida rete di agenti che le forniscono incessantemente notizie politiche, diplomatiche, economiche, militari e le consentiranno di salvare il trono e il marito.

Un impero, in defin itiva, durato quasi un millennio grazie non solo a un solido apparato burocratico, a un sistema fisca le funzionante, a un'organizzazione militare tecnicamente avanzata, a una colta tradizione diplomatica, ma anche a un eccellente servizio di spionaggio-intelligence, sapientemente esercitato nelle zone di confine c all'interno dei territori nemici.
Come Evita, in effetti, anche Teodora era di umili origini e dagli n1111i giovanili «equivoci». Come Evita, miche Teodora fu un'attrice dì scarso talento. Come Evita, anche Teodora era stata Ì/1 odore di prostituzione.
Elltrambe poi sarnllno anche vittime della maldicenza dei loro llemici. Lo storico Procopio di Cesarea, ad esempio,
L' imp era tri ce T eo do ra, l 'Ev ita Pero n dell 'an ti chi tà. L'accostamento 11on sembri bislacco. Tante e tmzto sorprendenti, in effetti, sono le analogie e le asso1za11ze tra i due personagL'Imperatrice elle aveva motivi di rancore nei confronti di Giustiniano, scrive della giovane Teodora nella sua Storia Segreta: «Spesso giungeva n presentarsi a pranzo con dieci giovanotti, o anche di più, tutti nel pieno delle forze e dediti al mestiere del sesso; trascorreva l'intera notte co11 tutti i commensali, e quando erano giu11ti tutti allo stremo, quella passava ai loro servitori, che potevano essere una trentina: s'nccoppiam con ciascuno di loro, ma neppure co-.ì riusàt!n a soddisfare In sua lussuria». Un po' esagerato, forse, per una futura imperatrice ... Come e"ngerate erano le voc1 sull'esercito di nmmzti cl1e avrebbe avuto Evita, la quale peraltro era con ogni probabilità frigida ...
Come Evita, anche Teodora fu all'origine di notevoli opere socinl1 e assistenziali, in particolare promuovendo la costruzio11e di ce11tn di raccolta e di ricovero per i più bisognosi. Come [vita, Tedora fu più coraggiosa del marito. Entrambe seppero in diverse occasioni infondere ai rispettivi consorti (il generale Per6n e l'imperatore GiustimmLD) quella dose di coere11zn intellettuale e di ardimento eire i11 certi mome11fi faceva loro difetto (per Giusti11inno, ad esempio, in occasione della rivolta della Nikn, nel 532, quando l'imperatrice lo convince a 11011 ritirarsi ma n resistere con dignità in attesa di riconquistare In citti'l). Come Evita, anche Tcodora seppe• dare al marito eccellenti co11sigli di 11nturn politica, dando così vita a una sorta di diarchia. Come Evita, anche Teodora amnm apparire elegante, ingioiellntn e con 'l'estiti di rara raffinatezza (a Teodorn i11 sostanza sr deve l'illtroduzione della seta in Europa, avendo persuaso lei il marito ad andare avanti con In celebre operazione dei due monaci spie-industriali ante litteram). Come
EP1In Per6n

Evita, anche Teodora fu in qualche modo, tenendo conto dello sfasamento temporale, promotrice dell'emancipazione femminile.
Come Evita, anche Teodora morirà di cancro.
Semplici coincidenze senza particolare significato? Affinità di destini che si ripetono nel corso dei secoli? Somiglianza di personaggi dal carattere analogo? Difficile dirlo.
Ci è sembrato comunque interessante rilevare la circostanza.
Ge11gis Klra11
Lo spionaggio giocherà un ruolo essenziale nella strategia mongola e nelle campagne militari che permetteranno al principe Gengis Khan (soprannome di Temucin), nel XIII secolo, di dominare gran parte dell'Asia, creando un impero dalle dimensioni colossali, uno dei più estesi della storia, da Samarcanda a Pechino fino alla stessa Russia.
Uomo misterioso e riservato, Gengis Khan («Capo Supremo») passa la prima parte della sua vita a sottomettere le tribù sparse nella regione na lì a con l'obiettivo di formare una federazione mongola, sicuro di avere una precisa missione storica da compiere. Si consolida la sua fama di genio militare c allo stesso tempo di condottiero senza pietà, che fa del terrore uno strumento «politico di deterrenza» per favorire la sottomissione delle popolazioni prese di mira.
Le effettive risorse belliche su cui Gengis Khan potrà gradualmente contare saranno sempre relativamente limitate in rapporto alle sue smisurate ambizioni e visioni continentali. Ogni operazione militare deve quindi essere preparata e organizzata con la più grande cura, a cominciare dall'invio nei territori da sottomettere di «ricognitori» e spie che si infiltrano anche diversi anni prima dell'azione prevista. Gli uomini dell'imperatore, di diverse nazionali- tà (mongoli soprattutto, ma anche cinesi, russi e polacchi) si spacciano per mercanti e si spostano con le carovane, raccogliendo quante più notizie possibili sulle condizioni economiche, sociali e religiose delle contrade da conquistare e trasmettendole al consiglio militare dell'imperatore per le opportune valutazioni politico-strategiche.

Come abbiamo visto in più occasioni, l'utilità dell'informazione dipende anche dalla rapidità con cui può essere trasmessa.
Gengis Khan, dominando un territorio immenso, si rende conto della necessità di disporre di un «Servizio postale» rapido ed efficiente. Tutto il territorio de11'impero sarà così disseminato di stazioni di posta bene organizzate e spesso controllate da ispettori, con centinaia di migliaia di cavalli pronti a dare il cambio per assicurare il seguito del viaggio. Un'organizzazione che permette ai messaggeri di recapitare lettere importanti a una velocità favolosa per l'epoca. Alcuni tra i "pony express" mongoli più resistenti riescono a percorrere duemila chilometri in soli dieci giorni, scendendo da cavaJJo solo ... per cambiarlo! Rapidità di trasmissione che diventa fondamentale quando gli agenti e le spie inviate in avanscoperta si trovano a centinaia di chi lometri dalle temibili colonne della cavalleria mongola. I generali dispongono in tal modo con buon anticipo di una conoscenza eccezionale del terreno, della sua natura, · delle truppe del nemico, della loro composizione, de1Ja loro potenza, dei loro punti deboli ecc .
Informa- zioni invero preziose, che consentono ai generali di Gengis

Khan di applicare spesso, con successo, la strategia basata su complessi movimenti accerchianti per chiudere il nemico «a tenaglia», senza !asciargli scampo.
Alcune testimonianze (in particolare quella del francescano fiammingo Guglielmo de Rubruk, inviato alla corte mongola da Luigi IX di Francia) ci precisano inoltre che i mongoli praticavano con abilità anche il controspionaggio, di cui, si racconta, fossero addirittura autentici virtuosi. I visitatori c gli stessi ambasciatori alla corte imperiale venivano alloggiati separatamentc senza potersi mai incontrare, e soprattutto venivano sottoposti a puntigliosi interrogatori e continue verifiche. Altre informazioni preventive per i generali in vista di future campagne. Un sistema di integrazione politico-militare-intelligence, insomma, di sorprendente attualità, così ben funzionante che porterà i mongoli fino alle porte di Vienna c di Venezia. Solo la morte del successore di Cengis Khan, Ogatai, li fermerà nella loro stupefacente corsa alla conquista del mondo.
N inja, una t rad i zio u e sp i o n is t ica tu tta giappo nese. Come i cavalieri medioevali europei, a11clle i Snnwrni giapponesi avevano w1 alto senso etico del combattimento e quindi erano riluttanti n far ricorso allo spionaggio, agli intrighi, ai trucchi, alle trappole, preferendo lo scontro leale e palese n/le trmne segrete. l Snmurni disprezzavano le spie. l comandrznti militari le evitavano. Atteggiamento certamente nobile e lodevole. Ma ciò non voleva dire che i giapponesi disdegnassero lo spionaggio. Anzi. Solo che il «lavoro sporco» veniva affidato ad «agenti privati», a «Coloro che si muovevano in segreto», o anche più semplicemente a «coloro che praticavano l'arte marziale del Ninju-tsu», senza quindi far parte di quello che oggi chiameremmo il servizio pubblico.

La nobiltà feudale, la pubblica amministrazione, insomma, non si sporcavano direttame11te le mani, ma ipocritamente ricorrevano a sicari e a spie professioniste, di w1 rango sociale forse llOn molto elevato ma perfettamente addestrate fin da bambini allo scopo: i guerrieri dell'ombra, i mitici Ninja, appunto. La scuola Ninja, ispirandosi ai precetti del generale cinese Sun Tsu, insegnam 11011 5olo le tecniche dell'uso delle armi e della lotta n mani nude, ma anche le discipline dello spionaggio atth,o: come mimeti::::.::nrsi, pcdiunrc, raccogliere informazioni e n/lo stesso tempo disinformare iluemico, come utili::::.::::.nre codici c iuchiostri iuvisibili, maneggiare veleni. Pronti all'omicidio, i Niuja Jrequentnvnuo persino corsi di recitazione ed erauo mentalmente preparati ad affrontare qualsiasi situazione. Non combattevflllo mai n viso scoperto, <>i muovevano in silenzio, quasi iuvisibili, pronti a colpire la vittima designata. Se cnlfurafi, si suicidavano per non S'l'e/nn• i loro segreti o denunciare soflo tortura i loro compagni. Ctrcoudnfi da U/1 alone di mistero e di terrore, sempre piiÌ specializzati nelle arti dello spionaggio, i Niujn t 1issero la loro epoca d'oro tra il1200 e il1300. Succe5.;;ivmnente iui::iò ww lenta, graduale normnliz::::.azione del servizio, che comportò l'assorbimento degli agenti Nilzja nella polizia e uelle forze armate. Ma il mito -e per molti il fascino -è rimasto, diffuso pL•raltro n dismisura (curioso destino per feroci uomini dell'ombra), a partire dagli mmi sessa n la, dai cartoons giapponesi.

Arabi e P ersia n i
Se i Crociati praticano poco le tecniche e le astuzie dello spionaggio, non si può certo dire la stessa cosa dei loro avversari musulmani, costretti dalla loro intrinseca debo lezza a ricorrere sempre più spesso all' «approccio indiretto». Di fronte a cavalieri ben armati, ben protetti e dotati di temibili armi in ferro, ai musulmani non rimane che contare sulla guerra "non convenzionale".
Gli strateghi arabi intendono chiaramente tale nece ssità, tanto che nel 1360 Ibn Hodeil El-Andalusy scrive: «Le astuzie sono più efficaci delle azioni. Una decisione presa n ragion veduta è più fruttuosa di un gesto avventato e violento». È questa, del resto, l'epoca in cui circola una sorta di trattato, di autore sco nosci uto, dal titolo li libro delle astuzie, dove si indica se nza alcuna ri serva di «aver cura di impiegare l'inganno in guerra perché vi permette di arrivare allo scopo in maniera più certa di 1111 sanguinoso combattimento corpo n corpo», oppure, in altro capitolo: «bisogna attaccare appena si consta ta che l'operazio ne è possibile; indietreggiare appena si vede che In ritirata è nec essaria; non entrare in un posto dove non vi sin una possibilità di usc ita; dirigersi prima verso l'uomo debole e pigro e assestargli un colpo tanto terribile da terr orizzare anche il cuore dell'uomo coraggioso. A quelnwmento nvvici11arsi all'uomo coraggioso e uccider/o».

Indicazioni che a prima vista posso no se mbrare in qualche modo ovvie. Ma non dimentichiamoci che s tiamo parlando di attività c tecniche di circa se tte secoli fa e che a quell'epoca il cosiddetto «a pproccio indiretto » non era affatto scontato. Non per niente dobbiamo agli Arabi non soltanto un uso raffinato ed esteso della cifratura dei messaggi, secondo il principio della sostituzione (ridistribuzione delle lettere dell'alfabeto, con la complicazione, nel caso degli Arabi, dell'aggiunta di altri simboli), ma anche l'invenzione della criptoanalisi, cioè la capacità di decifrare un messaggio senza conoscerne la chiave. «Cifra », del resto, è un parola araba, e i testi letterari arabi includono in genere anagrammi, rebus, indovinel1i e altri giochi di parole.
Un'abilità e un'expertise che vengono da molto lontano e che andranno di pari passo con il consolidamento del- l'abilità militare degli Arabi. In effetti già intorno all'anno 1000, in Persia, Quabus Ibn Iskandar scriveva nel Libro dei consigli: «non trascurare mai di inviare spie per informarsi circa le disposizioni del nemico (... )non rallentare mai la vigilanza».
Due secoli più tardi, il gran califfo Khadjeh Nassir AlDin Tussi sarà ancora più preciso: «Il Principe deve proteggere i suoi segreti per salvaguardare le sue capacità di manovra ed evitare contraddizioni. Se il nemico viene in possesso dei suoi segreti, deve immediatamente adottare contromisure appropriate. Le sue spie e i suoi informatori devono informarsi instancabilmente su tutto ciò che è considerato segreto, soprattutto per quanto conceme i nernici, la loro situazione, le loro attività, il loro stato d'animo e i loro progetti. L'arma più efficace per combattere un nemico è di conoscere i suoi progetti e le sue intenzio11Ì». Una valida lezione, insomma, sull'utilità della informazione preventiva, che è alla base delle moderne strutture di intelligence.
Non mancavano poi precise istruzioni per il bravo 007: ((È attraverso l'mzalisi dei gesti e del parlare- anche banale- dei bambini, degli schiavi, dei servitori, delle perso11e insomma vicine e di fiducia del nemico e del suo harem, clze si può accedere ai segreti più custoditi. Per raggiungere tali risultati il migliore mezzo è di moltiplicare gli incontri e le conversazioni. Bisogna saper sfruttare tali contatti, attraverso i quali si potrà conoscere In verità nascosta, il pensiero interiore, spesso ben occulto». Si potrebbero offrire migliori direttive a un agente operativo dei nostri giorni?
Sulla base quindi di secolari esperienze, gli Arabi istituiranno un sistema di intelligence ben funzionante e ben strutturato. Oltre poi a essere diventati grandi esperti nel cifrare e decifrare i messaggi, essi, con grande stupore dei cronisti europei delle crociate, utilizzeranno anche singolari mezzi di trasnùssione dei messaggi stessi: i piccioni viaggiatori e le segnalazioni ottiche.

Si può in conclusione essere d'accordo con gli autori che sottolineano come il raffinato utilizzo delle tecniche dell'intelligence, il ricorso sistematico alle reti di spionaggio, l'efficiente sistema di ci fratura-criptoanalisi abbiano senza dubbio favorito l'espansione arabo-musulmana in Europa e nel Mediterraneo.
Gli indiani
Sarà sotto il regno del Maharaja Bhonsle Shivaji (16271680), sovrano indù vincitore dell'impero Moghul, che lo spionaggio conoscerà in India uno sviluppo sen7a precedenti.
Nella prospettiva di liberare il proprio paese dal giogo musulmano, questo sovrano dell'India centrale attiva un efficientissimo servizio di sp ionaggio e di sabotaggio per appoggiare opportunamente le sue azioni militari e diplomatiche e condurre tutto il popolo indiano alla vittoria.

La strutt u ra immaginata da Shivaji si componeva in pratica di quattro Dipartimenti:
"O reccllio nll'nscolto", incaricato di ascoltare tutto c iò che si dice in giro, dagli oscuri corridoi alle sale di udienza pubbliche, dai salotti alle cucine ...
"Occhio in agguato", addetto alla valutazione delle truppe nemiche e del loro armamento nonché all'esame dello stato dei porti, delle piazzeforti e delle strade;
"Pettegolezzi", con la missione di raccogliere tutti i rumors che circolano nei bazar, nei mercati, nei luoghi pubblici per delineare lo stato d'animo della popolazione;
"Sabotatori", servizio di agenti operativi incaricati di realizzare operazioni sabotaggio nel campo nemico per favorire l'azione delle truppe del sovrano. Ulteriore, specifico compito è quello di procurarsi tutte le nuove armi in
Maharaja Bhon5le SJzimji circolazione. Ciò che "i sabotatori" faranno molto bene in Afghanistan, presso i principi di Samarcanda, gli imperatori persiani e i commercianti stranieri operanti sulle coste dell ' India. Shivaji avrà così conoscenza di quanto di meglio si fa ed è di s ponibile nel mondo in materia di armamenti.
Come si può constatare, un sistema di spionaggio/ intelligence ben organizzato, efficiente e sorprendentemente moderno, frutto di una lenta evoluzione inLdata secoli prima

L'nrreo Concorde. Costmifo dnlln Acrospotiale di Tolosn per 1111 corr<;orzio
Il supersonico sovietico Tupolev TU144. Ln clonazione del Concorde mrglo-frnncese non potrebbe essere più et•idente
