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F. Toso, Echi valbormidesi nelle parlate della Basilicata
FIORENZO TOSO
Echi valbormidesi nelle parlate della Basilicata
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Propongo qui in estrema sintesi, e con opportune semplifi cazioni (anche di carattere grafi co e nell’uso della terminologia specialistica), i risultati di un mio lavoro pubblicato nel 2002 relativo all’individuazione dell’area d’origine delle parlate d’origine settentrionale diffuse in alcune località della Basilicata. In base a questa analisi, le condizioni dialettali di tali centri trovano corrispondenza più che in qualsiasi altro dialetto altoitaliano, proprio nelle parlate della Val Bormida ligure, e in particolare della parte più alta (e più conservativa) di tale comprensorio, ove l’infl usso piemontese (peraltro già attivo nel momento in cui i presunti coloni andavano a ripopolare alcuni centri dell’Italia meridionale) si rivela meno forte. Ho omesso in particolare, per non appesantire la lettura, una serie di note e di indicazioni bibliografi che, che il lettore interessato potrà comunque reperire nell’edizione originale di questo scritto: Il galloitalico di Lucania: contributo alla precisazione dell’area d’origine, in Günther HOLTUS e Johannes KRAMER, “Ex traditione innovatio. Miscellanea in honorem Max Pfi ster septuagenarii oblata”, Vol. II, Miscellanea sociorum operis in honorem magistri conscripta, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft 2002, pp. 413-432. Sulle circostanze storiche in virtù delle quali un manipolo di abitatori dell’Italia nord-occidentale, a mio avviso provenienti appunto d’alta Val Bormida, si trovò a dover emigrare verso la Basilicata (con un percorso inverso rispetto a quello che, molti secoli dopo, numerosi lucani si trovarono a compiere per motivi probabilmente analoghi di ricerca di migliori condizioni di vita) permane il mistero più assoluto: oggi si tende ad escludere defi nitivamente l’ipotesi di uno spostamento di eretici valdesi ai tempi di Federico II, e si accredita invece per la zona di Trecchina (sulla scorta della pur labile documentazione storica) un popolamento connesso alla presenza feudale dei signori del Monferrato nella zona di Policastro (circa la metà del sec. XII), successivamente arricchitosi di nuovi apporti, soprattutto in età angioina, che avrebbero contribuito anche al ripopolamento di Potenza e di altre località interne. Il popolamento promosso dai signori del Monferrato si connetterebbe così col trasferimento di altre genti settentrionali in Sicilia, fatto questo che spiega la piena concordanza tra gli esiti dei dialetti altoitaliani di Lucania e quelli ancor oggi parlati in Sicilia. L’auspicio è che questa sintesi susciti l’interesse degli storici locali e degli specialisti dell’area montana della Val Bormida, sollecitando approfondimenti in grado di portare conferme (o smentite) alle ipotesi linguistiche proposte in questa sede.
Il carattere “settentrionale” delle parlate di Potenza, Picerno, Tito, Trecchina e di altre località lucane, è un dato riconoscibile so lo parzialmente nelle loro condizioni attuali. I caratteri alto-italiani che i dialettologi hanno riscontrato in quelle varietà appaiono infatti
controbilanciati dalla presenza di tratti comuni all’area linguistica nel contesto della quale si trovano in seriti, e questa tendenza regressiva era un dato già presente nelle valutazioni del primo studioso che si occupò del problema, Gerhard Rohlfs.
I più vistosi caratteri settentrionali tra quelli indivi duati nel 1931 e nel 1941 dal linguista tedesco nella fonetica e nella morfologia dei dialetti in esame non consentirebbero di valutare con esattezza né la zona di provenienza né la cronologia dello stanziamento di coloni settentrionali in Lucania; altri elementi di ordine fonetico, sostenuti da concordanze lessicali, consentono tuttavia di escludere la Lombardia e l’Emilia, e di restrin gere a Piemonte e Liguria la probabile origine dei dialetti altoitaliani della Basilicata.
Già Rohlfs aveva notato però come i dialetti galloitalici della Lucania tengano distinto l’esito di -L- intervocalico semplice da quello di -LL- e di L- iniziale: mentre -L- si conserva, -LL- e L- passano a d con la possi bilità di una ulteriore, più recente evoluzione in r soprat tutto nel caso della posizione iniziale: pala, téla, contro còd’ ‘collo’, gadina ‘gallina’, stada ‘stal la’, dénua ‘lingua’, duna ‘luna’. Ora, nella maggior parte del Piemonte gli esiti di -L-, -LL- e L- sono unitari, nel senso che la consonante semplice si con serva in posizione iniziale e tra vocali, mentre la doppia si scempia: pala, tèila, còl, galin-a, stala, lènga, lüna. In Liguria invece, e nella fascia meridionale del Piemonte a più diretto contatto con le parlate liguri, si verifi ca il passaggio di -L- intervocalica semplice a r, mentre L- e -LL- si conservano: para, téira, ma còlu, galin-a, stala, lèngua, lün-a. In pratica quindi, anche se con esiti di versi, le condizioni “settentrionali” dei dialetti lucani rifl ettono una situazione che in origine doveva essere analoga a quella “ligure”.
Inoltre, l’area ligure nel suo insieme mantiene le condizioni che sono alla base del trattamen to di -SJ- e di vocale + -CE-, -CI- nelle parlate altoitaliane di Lu cania, dove si dice basc’ ‘bacio’, camisc’ ‘camicia’, noscia ‘no ce’, crosc’ ‘croce’ sulla base di una precedente fricativa palatale sonora che è nel ligure baxu, camixa, nuxe, cruxe, mentre il piemontese ha la s sonora; anche un elemento morfologico di tipo ligure e certamente non piemontese come ngh pronome di terza persona singolare maschile e femminile ‘gli’, ‘a lui’, ‘a lei’ e avverbio ‘qui’ lega i dialetti altoitaliani di Lucania all’area ligure nel suo insieme: nu ngh’lu doggiu ‘non glielo do’, dìnghelu a tò ffrà ‘diglielo a tuo fratello’, nun ngh’vuoggliu gì ‘non ci voglio andare’.
Un’ultima osservazione as socia comunque i dialetti altoitaliani della Lucania più all’area li gure che non al resto dell’Italia settentrionale. Come già detto, queste parlate hanno accolto una buona parte degli esiti fonetici delle parlate lucane nel cui contesto si trovano inserite, anche se i caratteri più vistosi, per così dire costitutivi, della settentrionalità sono rimasti sostan zialmente inalterati: colpisce allora il fatto di non trova re traccia alcuna dello stadio settentrionale della palatizzazione di PL-, BL-, FL-; anche in voci di evidente derivazione settentrionale, i dialetti altoitaliani di Lucania hanno dimostrato in questo caso una notevole capacità di adeguamento alle condizioni locali: chiaga per ‘piaga’, chiana per ‘pianura’, chiazza per ‘piazza’, ghiastéma o iastéma per ‘bestemmia’, ghiangu o iangu per ‘bianco’, hiurì e hiar’ per ‘fi orire’ e ‘fi ato’, hiuhià per ‘soffi are’. Ora, questa regolarità nell’accoglienza degli esiti meri dionali fa pensare che le condizioni ori ginarie del trattamento dei gruppi PL-, BL- e FL- in posi zione iniziale non dovessero essere quelle genericamente settentrionali (e toscane), bensì vicine a quelle liguri, a loro vol ta assai prossime all’esito meridionale, con il quale dovettero facilmente confondersi: in Liguria
abbiamo infatti ciaga, ciana, ciassa, giastéma, giancu, sciurì, sciàu, sciüscià. Questo dato consente di escludere ancora una volta il Piemonte come area originaria dei coloni, ma non la Val Bormida ligure e i territori immediatamente adiacenti del cuneese.
Tutte queste caratteristiche spostano decisamente verso la Liguria la probabile area d’origine dei coloni altoitaliani trasferitisi in Basilicata. Altri fenomeni, tuttavia, consentono di escludere la maggior parte della Liguria stessa come patria d’o rigine dei ripopolatori settentrionali. Il passaggio di -CT- a -chj-, ad esempio, è presente, per quanto in re gresso, nei dialetti altoitaliani di Lucania, in forme come péchjen’ ‘pettine’, fracchjara ‘frittata’: ora, questo esito trova corrispondenza nell’esito -ci- comune in Lombardia con appendici in Monferrato, nel Piemonte settentrionale e in par te dell’Emilia (regioni che restano però escluse dai nostri ragionamenti per altri motivi) e poi tra Liguria e Piemonte lungo la dor sale appenninico-alpina, in una fascia che va da Novi Ligure a Ormea, interessando i dialetti di transizione parlati nella Val Bormida e nell’alta Val Tanaro e scendendo nell’entroterra fi no a coprire un ampio settore del contado di Albenga; non solo si sentono, ad esempio, pec’ per ‘petto’ a Osiglia e p’cinéta, p’cinòta per ‘pettine’ a Osiglia e Altare, ma lace ‘latte’ anche a Castelvecchio di Rocca Barbena ed Erli, faciu a Ca sanova Lerrone e così via.
In questo caso, dunque, gli esiti dei dialetti altoitaliani di Lucania rimandano più in particolare al Ponente ligure interno e all’adiacente area basso-piemontese, e in questa stessa fascia di territorio si verifi ca la concomitanza di altri fenomeni comuni ai dia letti di Potenza e dintorni, come la caduta di -C- tra vocali, soprattutto dopo -i- accentata (come in mia ‘mica, niente’, lardìa ‘ortica’, chjaa ‘piaga’, péura ‘pecora’), che dall’area bassopiemontese scende in Val Bormida e nell’entroterra di Albenga e di Finale, do ve si dice, ancora a Castelvecchio di Rocca Bar bena, fürmìa per ‘formica’, spìa per ‘spiga’, pèrtia per ‘pertica’, urtìa per ‘ortica’ e così via.
Fino ad ora, i caratteri descritti sembrano individuare con discreta approssimazione un dialetto di tipo ligure cen tro-occidentale interno; alcuni elementi, tuttavia, consentono di precisarne meglio la natura, evidenziandone caratteristiche che dimostrano una notevole “apertura” verso il tipo piemontese, caratteristiche presenti sopratut to, nelle condizioni attuali, nella Val Bormida ligure: ad esempio la tendenza alla caduta delle vocali atone e fi nali, tratto della settentrionalità galloitalica estraneo al ligure costiero ma ben rappresentato nelle parlate di transizione dell’al ta Val Bormida, è condivisa dalle varietà altoitaliane della Lucania. In queste parlate si verifi ca anche l’apocope delle desinenze dei participi -ato, -uto, come in truvà ‘trovato’, pagà ‘pagato’, v’stù ‘vestito’, cusciù ‘cucito’ che i dialetti presenti in Lucania condividono con la fascia ligure di confi ne con il Piemonte, ma non con la Liguria costiera, insieme a un tratto morfologico rilevante come la prima persona plurale del pre sente indicativo di essere, che è sómme a Potenza, sum’ a Picerno, sómu a Tito, secondo un modello di tipo “padano” assente in tutta la Liguria tranne in Val Bormida.
Stupisce allora di non trovare tracce della desinenza “piemontese” -è nell’infi nito della prima coniuga zione verbale, ben rappresentata in quella stessa parte del la Liguria; ma qui, essa pare il frutto di una gene ralizzazione successiva alla partenza dei coloni: infat ti, la zona più conservativa dell’alta Val Bormida, con Bar dineto e Calizzano, pur avendo adottato il tipo desinenziale -uma in tutte le coniugazioni, per l’infi nito della prima coniugazione ha anco ra le condizioni “liguri”, condivise dai dialetti di Lucania.
In sostanza dunque, i dialetti di Potenza, di Picerno, di Tito e delle altre località
“altoitaliane” della Lucania presentano caratteristiche composite liguri-piemontesi quali si incontrano oggi essenzialmente in val Bormida, zona di transizione tra il modello ligure più tipico (il geno vese fi no a Savona e il ligure costiero a ovest di Savona) e il tipo “monferrino” e basso-piemontese della parte meridionale della provincia di Cuneo, delle Langhe dell’Acquese.
Ovviamente, un’analisi come quella fi no a qui tentata non è esente da rischi, poiché si basa in primo luogo sull’esame delle condizioni dialettali attuali, che in passato avrebbe ro potuto essere diversamente estese o variamente combinate, ma la corrispon denza tra la loro compresenza in un’area limitata ligure-piemontese e nei dialetti altoitaliani di Lucania consente di effettuare ulteriori conside razioni: dall’esame del lessico ci vengono infatti conferme impor tanti per valutare la colloca zione originaria delle parlate altoitaliane di Lucania nel contesto ligure-piemontese.
Anche in questo caso occorrerà distinguere tra una compo nente lessicale genericamente settentrionale, una comune ai dialetti liguri e piemontesi e una componente che, ancora una volta, rimanda con buona approssimazione a un’a rea più ristretta. Anche gli strati più antichi del lessico altoitaliano in Lucania, quelli che emergono dalla toponomastica, offrono casi di suggestione settentrionale, testimonianza di un radicamento profondo: è stato osservato ad esempio come il tipo d’origine longobarda braida sia diffuso in Lu cania solo nelle zone di popolamento galloitalico e un Monte li Foi a Picerno richiama evidentemente il ligure-piemontese fò ‘faggio’ (plurale foi in Liguria); a Maratea esiste una Vadda d’u virnitu nel quale è facile ricono scere il collettivo di vèrna ‘ontano’, voce ben diffusa in Piemonte e in tutta la Liguria occidentale a ovest di Genova: non sorprende allora di trovare nei dialetti di Tito e di Picerno la stessa voce ligure-piemontese ancora vivente nel signifi cato originario.
Qualche altro toponimo consente di risalire a un’area origina ria più ristretta, che sembra essere, ancora una volta, quella della Liguria centro-occidentale: il toponimo Monte Garbo e la voce di Trecchina gàr’vu ‘buco di un albero’ corrispondono evidentemente al ligure occidentale (da Arenzano a Monaco sulla co sta con appendici in basso Piemonte) garbu, che è ‘buco’ e specifi camente ‘cavo di un albe ro’.
Resta comunque un dato di fatto: nei dialetti altoitaliani di Lucania non sembrano trovarsi voci piemontesi che non siano condivise ampiamente, e da epoca antica, anche dalla Liguria centro-occidentale, e non si trovano voci liguri estranee al piemontese, che siano e stranee all’area ad ovest di Genova-Arenzano.
Da que sto dato sembra emergere una prima conferma, dal punto di vista lessicale, dei dati della fonetica e della morfologia, ma ci sono casi in cui la corrispondenza del tipo lessicale genericamente ligure-piemontese viene meglio pre cisata da particolari condizioni: ad esempio il tipo *BABULU per ‘rospo’ è in Italia di area esclusivamente ligure e piemontese, ma la forma del galloitalico di Lucania, bagghj’ rifl ette evidentemente l’esito ligure di -BL, bagiu, e non quello subalpino, che è babi; il tipo potentino tav’larora ‘pipistrello’, a sua volta, ha certamente una con nessione con il piemontese “comune” ratavulòira, ma se ci si interroga sul motivo della caduta della sillaba iniziale, si deve pensare a un’aferesi suggerita dall’identifi cazione di ra- con l’articolo determinativo femminile singolare del ligure che era e in gran parte è tuttora, appunto, ra: in tal modo, la corrispon denza con forme quali ratavuraùra di Calizzano diventa perfetta; il tipo *FLACCARE per ‘schiacciare’ sembra
in Italia di area esclusivamente ligure e piemontese, ma in Piemonte appare solo in forme semidotte del tipo frachè, mentre la Liguria ha l’esito regolare sciacà: di conseguenza ahi’accà di Picerno e Tito rimanda quasi sicuramente a condizioni liguri, e di conseguenza all’area che ci interessa, ove la voce è vivissima.
Ci sono in ogni caso voci che coprono tutta la Liguria o gran parte di essa – compresa comunque l’alta val Bormida – esclu dendo il Piemonte: frà ‘fratello’ può risalire al tipo ligure frae mentre il Piemonte ha oggi compattamente, come tutto il nord e la Toscana, la forma diminutiva frèl; carrugghj’ ‘pista dei carri’, sembra a Trecchina una specializzazione semantica della nota voce ligure carugiu ‘vicolo’; arr’senù ‘macilento’ corrisponde al ligure arensenìu, e lo stesso si può dire per cèma ‘scintilla’ da confrontare con il ligure zéma, zima, lo stesso vale per chiòtta ‘giumella’ che è da mettere in relazione col genovese ciòta ‘artiglio’, o per fangòttu ‘fagotto’ con epentesi di nasale esclusivamente ligure; ruzze per ‘ruggine’ rivela le condizioni liguri nel trattamento del proparossitono rispetto al pie montese rüsu; l’evoluzione semantica di HUMILE fi no a ‘mor bido’, documentata a Picerno e Tito per ùmm’l’ trova riscontro in tutta la Li guria con ümeru, ümiu; arragattà ‘azzuffarsi’ ricorda l’antico genovese regatar(se) che è entrato come prestito in italiano e in al tre lingue insieme al derivato regata.
Altre voci ancora escludono non solo il Piemonte, come quelle precedentemente citate, ma anche la Liguria a est di Genova, e ci rimandano esclusivamente al Ponente ligure e alle sue appendici lungo la frangia di con fi ne ligure-piemontese: riviglia ‘scopa’ è da confrontare col ligure interno, soprattutto della val Bormida, dvija, devija, devìgia che continua una voce dell’area lombarda; una parola come gaggiana ‘ghiandaia’ si ritrova in maniera compatta solo nell’area ligure centro-occidentale da Varazze verso ovest e nella fascia meridionale del Piemonte (nel resto della Liguria, ove è presente solo sporadicamente, signifi ca esclusivamente ‘gazza’); ancora tra i nomi di uccelli, rifl ettono un tipo ligure occidentale r’gatadd’ ‘rigogolo’ (ligure occidentale reatalu) e r’vèzzu ‘pettirosso’ (ligure rebissu), mentre tettacrap’ ‘caprimulgo’ corrisponde a un tipo comune a tutta la Liguria; ancora, abbr’nz’lù ‘inti rizzito’ trova corrispondenza in abrensurìu, abrensuìu della Val Polcevera e del Savonese, ’nzavaglià ‘agitare un liquido’ di Tito corri sponde a savagià di Oneglia e Ventimiglia, prégghja ‘zipolo della bot te’ appartiene al manipoletto di voci “liguri” legate al vino e alla vite che si ritrovano a Picerno e a Tito, e risulta oggi diffuso nella forma prégia tra Sassello e l’entroterra di Albenga; a sulìu ‘a solatio’ va confrontato con il ligure di po nente, soprattutto interno, a surìu.
Un caso tra tutti di voce presente nelle parlate altoitaliane della Basilicata ha suggerito una serie di approfondimenti storico-documentari dai quali viene ulteriormente confermata la probabile origine ligure dei coloni che in epoca altomiedievale diedero origine a quegli insediamenti: le forme quintana e quintanella, attestate a Potenza ri spettivamente nel 1290 e nel 1274, corrispondono chiaramente al ligure chintana ‘vicoletto’, e cundàna/ cundagna nel senso di ‘strada’ è rimasto ancor oggi nei dialetti altoitaliani di Potenza e dintorni. Chintana è oggi presente qua e là anche nella documentazione piemontese, ma gra zie a qualche ricerca sui materiali latino-medievali e volgari siamo in grado di precisare la diffusione areale della voce in epoca medievale, e i dati in nostro possesso vengono a coincidere in maniera si gnifi cativa con quanto esposto fi no ad ora: in base alla cronologia, appare infatti evidente come la voce dal senso generale di ‘vicolo’, attestata
una prima volta a Savona nel 1178, venne accolta da un lato a Genova, ed ebbe poi un pre cocissimo centro di irradiazione in Albenga, verso l’estremo Ponente ligure da una parte e, solo successivamente, lungo le direttrici commerciali che attraversando il crinale scende vano nel cuneese tra Ceva, Cuneo e Benevagienna, diffonden dosi così nell’attuale provincia cuneese; ma già prima di questa diffusione verso nord, coloni provenienti dalla Liguria occidentale dovevano aver rifondato o ripopolato alcune località della Lucania, introducendo vi tecniche e nomenclature che l’uso di quintana già intorno alla seconda metà del sec. XIII sembra attribuire proprio a genti sciamate da quell’area: Savona 1178, 1179, 1881: quintana; Genova 1193: quintanascum; Savona 1204: in quintanis; Savona 1205: quintana; Albenga SV 1238: quintanea; Genova 1259: quintagnolla; Potenza 1274: quintanella; Albenga SV 1275: quintanea; Potenza 1287: quintana; Albenga SV 1288: quintanea; Potenza 1290, 1293, 1300: quintana; Potenza 1300, 1306: quintanella; Genova a. 1311: quintanna; Benevagienna CN 1327: quintana; Genova II metà del sec. XIV: quintanna; Savona 1345: quintana; Genova 1346: cintana; Albenga SV 1350: quintana; Ceva CN 1357: quintanea; Beinette CN 1358: quintania; Barge CN 1374: quintana; Taggia IM 1381: quintanea; Cuneo 1380: quintana; Peveragno CN 1391: quintanea; Mondovì CN 1415: quintanea; Canale CN 1419: quintana; Centallo CN 1427: quintayna; Boves CN 1430: quintanea; Demonte CN 1444: quintaina; La Morra CN 1461: quintana; Savigliano CN 1465: quintayna; Racconigi CN 1442: quintana; Revello CN 1477: quintana; Bardineto SV 1479: quintagna; Savona 1577: quintanna. La diffusione attuale di chintana, chintagna ‘vicolo’ e ‘condotto’ in Liguria e Piemonte la scia pochi dubbi sulle successive vicende storiche della voce: la si ritrova nelle parlate provenzali e francoproven zali montane del Piemonte ma è ora praticamente scomparsa dall’area cuneese, ove evidentemente non riuscì a radicarsi. Il prestigio del genovese non fu suffi ciente, a sua vol ta, a diffonderla nel Levante ligure, se non in alcuni punti sparsi e con evoluzioni semantiche locali; ma tutto il po nente ligure tra Genova e Monaco, con l’entroterra fi no all’area di transizione dalla quale ebbero forse origine le colonie lucane, ha conservato con visibile compattezza que sta voce, che senza dubbio si connette con una storia remota di migrazioni, sulla quale solo la ricerca storica sarà in grado di fare luce ulteriore.