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VIAGGIO A CHANDIGARH TRA PIANO URBANO E CITTÀ ABITATA

CITTÀ DI FONDAZIONE

VIAGGIO A CHANDIGARH TRA PIANO URBANO E CITTÀ ABITATA

SETTANT’ANNI DOPO, LA VITA REALE DELLA CAPITALE DEL PUNJAB COESISTE CON LA NATURA ASTRATTA DI UN PROGETTO NATO PER VOLONTÀ POLITICA E DISEGNATO SECONDO I PRINCIPI DEL RAZIONALISMO

Testo e foto di Silvia Monaco

Interno della Torre delle Ombre

Per chi ha studiato architettura negli anni Ottanta, Chandigarh è impressa nella memoria visiva attraverso le foto in bianco e nero del Complesso del Campidoglio sulle sudate pagine di un volume di storia. Poche immagini sgranate sufficienti per accendere il desiderio di visitare la città, prima o poi nella vita. Nel 2025, per prepararsi al viaggio, ci si può abbuffare e perdere in una sterminata bibliografia disponibile in rete. Ma nulla prepara davvero all’incontro fisico con la città e l’architettura.

Alta Corte di Giustizia, particolare

Appena usciti dall’aeroporto, la strada verso il centro è la negazione assoluta dei principi della Carta di Atene: un rettilineo caotico dove veicoli e esseri viventi di ogni specie – camion, biciclette, tuk-tuk, pedoni e sacre mucche – si contendono e si scambiano le carreggiate.

Ci spiegano nei giorni successivi che questo fenomeno è un’applicazione del concetto filosofico di ‘spazio negativo’: uno spazio senza attributi e senza gerarchia, insomma senza tutte quelle definizioni che la mente umana produce e che allontanano lo spirito dalla realtà ultima (Brahman o Nirvana).

In contrasto con questo caos, si entra nel primo viale con il cartello ‘Welcome to Chandigarh the City Beautiful’ che rivela la griglia ortogonale del piano di Le Corbusier. La città è suddivisa in settori rettangolari (800x1200 metri), delimitati da grandi viali alberati con corsie per veicoli, piste ciclabili e marciapiedi. Ma l’impressione immediata è che inevitabilmente la natura, per quanto meticolosamente progettata, abbia ripreso il controllo dello spazio, così come i mezzi di trasporto.

Abitanti di Chandigarh al lago Sukhna

Ogni settore era pensato come un’unità autosufficiente, con scuole, negozi e aree verdi. Le residenze, progettate dal team guidato da Pierre Jeanneret, sono un’applicazione dei principi di Le Corbusier sulla qualità dell’abitare, adattati alle condizioni climatiche e sociali della nuova capitale del Punjab. Ma i brise-soleil di mattoni che schermano le logge, con funzione di raffrescamento, sono stati tamponati con ogni mezzo.

Proseguiamo nei settori più a nord, dove si trovavano le residenze dei funzionari dello Stato. Anche qui, il tempo e i cambiamenti sociali ed economici hanno depositato una pesante patina sulle sobrie residenze razionaliste: rivestimenti in marmi veri e finti, parapetti in vetro, tetti a falda, timpani, fregi e colonne doriche.

Per ritrovare un po’ di sollievo si va nel settore 5 a visitare la casa museo di Pierre Jeanneret, che vi abitò per alcuni anni durante la costruzione della prima fase della città.

Nella casa Tipo 6J si può entrare in contatto fisico con spazi di vita ancora attuali, definiti dalla combinazione tra elementi architettonici modernisti perfettamente armonizzati con materiali locali, pietre e mattoni.

La casa-museo di Pierre Jeanneret, 1956

Poco lontano si trova il lago Sukhna, un bacino artificiale integrato nel sistema dei parchi. Sul lungolago, nel tardo pomeriggio di venerdì, gli abitanti della City Beautiful si godono il paesaggio. Protetto da queste aree naturali si trova il Complesso del Campidoglio, nel settore 1.

Dal 2016 patrimonio Unesco, la zona è oggi delimitata e visitabile solo su appuntamento con una guida autorizzata. La distanza si sente, perché l’Alta Corte, il Palazzo dell’Assemblea, la Torre delle Ombre e gli spazi aperti che li circondano, erano concepiti come una prosecuzione della città, dove tutti gli abitanti potevano entrare in contatto con le funzioni civiche e governative.

Dettaglio della loggia della casa di Jeanneret, con il rise-soleil di mattoni

i volumi scavati degli edifici, le facciate disegnate con luce e ombra, il grigio uniforme del cemento, gli accenti di colore, i grandi vuoti che li separano, lo skyline dell’Himalaya sullo sfondo, mostrano tutto l’ottimismo eroico di un momento della storia nel quale si pensava che l’architettura avesse la possibilità di realizzare un’ideale di vita civile.

La Torre delle Ombre e sul fondo il Palazzo dell'Assemblea, 1952-56

Dopo la solennità del Campidoglio, un tuktuk a 30 km all’ora nella corsia per i mezzi veloci ci porta nel settore 17, cuore pulsante della città. La piazza è delimitata dal Cinema Neelam di Aditya Prakash, purtroppo abbandonato, e dagli edifici porticati nei quali l’architettura ha perso la sua missione ordinatrice e fa solo da contrappunto alla vitalità dello spirito commerciale dei suoi utilizzatori, in un carosello di insegne, merci, luci colorate.

Il Cinema Neelam, oggi abbandonato

Per cercare di fare ordine mentale dopo avere visto le mille sfaccettature di Chandigarh, il nostro viaggio si conclude con una visita all’Architecture Museum.

L’edificio, progettato da Shivdatt Sharma nel 1997 seguendo le linee guida di Le Corbusier, si trova nel settore 10, quartiere culturale della città che si inserisce nel parco lineare della Valle dei piaceri. Qui si ricostruisce la storia del progetto: dal lavoro iniziale degli americani Mayer e Nowicki incaricati dal primo ministro Nehru, al subentro di Le Corbusier, affiancato da Maxwell Fry, Drew e Jeanneret. I documenti originali raccontano anche l’iter che portò alla scelta del maestro svizzero, dopo un tour della delegazione indiana che intrattenne una vasta corrispondenza con le ambasciate europee, compresa l’Italia, il cui possibile candidato era Vittorio Ballio Morpurgo.

Il Museo dell'Architettura di Chandigarh

Usciamo dal museo e torniamo al presente. Impossibile dire cosa sopravviva oggi della Chandigarh pensata sette decenni fa. Forse la sua vera eredità è proprio la possibilità di suscitare domande e riflessioni sul ruolo della pianificazione e del progetto di architettura. Oltre alle sopravvivenze materiali della città disegnata e organizzata che ne fanno, come si legge sul sito della Municipalità, ‘la città più pulita dell’India, secondo uno studio del governo nazionale ’.

LA CONSERVAZIONE DEL MODERNO. INTERVISTA A DEEPIKA GANDHI

Deepika Gandhi

Deepika Gandhi è laureata in architettura e urbanistica, è stata docente al Chandigarh College of Architecture e direttrice del Chandigarh Architecture Museum. È impegnata nella promozione del patrimonio culturale della città attraverso pubblicazioni, attività didattica nelle scuole e come membro di numerose associazioni. Presiede la sezione di Chandigarh della Women’s Indian Chamber of Commerce and Industry.

L’Architecture Museum di Chandigarh ha molto spazio dedicato al piano di Mayer e Nowicki. Quanto ha influito questo primo progetto sul lavoro di Le Corbusier?

A dire il vero fu Albert Mayer a svolgere la maggior parte del lavoro preparatorio per Le Corbusier: all’inizio c’era soltanto un terreno vuoto, qualche villaggio sparso, qualche albero. Mayer elaborò il concetto da zero, partendo dai dati numerici e realizzando un programma dettagliato. Nei suoi archivi abbiamo trovato studi che dimostrano quante analisi abbia condotto, affiancato dai migliori esperti come Clarence Stein, ha eseguito calcoli di densità, stime del parco auto e del numero di persone, definizione delle dimensioni dei settori, progettazione delle unità abitative. Le Corbusier ha apportato indubbi miglioramenti, ma di sicuro aveva già uno schema di base da cui partire.

Quali sono oggi i principali strumenti di controllo urbanistico a Chandigarh? Esistono normative che tutelano l’architettura?

Esistono leggi e controlli: si stabiliscono altezze massime da non superare, ma non si impone uno stile architettonico. L’unico vincolo sui materiali o sul vocabolario formale riguarda gli edifici pubblici. Per gli edifici privati, invece, il limite è solo volumetrico.

Le ville progettate da Pierre Jeanneret sono tutelate? Qual è la situazione?

Tecnicamente dovrebbero essere protette, soprattutto quelle della zona nord vicino alla residenza di Jeanneret. Il problema è che spesso vengono assegnate a giudici o ufficiali che poi autorizzano modifiche e ristrutturazioni anche molto invasive. Per esempio, la villa accanto a quella di Jeanneret è stata completamente trasformata dal giudice che ne ha preso possesso. Quando ho curato il restauro della casa di Jeanneret, l’edificio era in condizioni completamente diverse: era stato diviso in due, le finestre erano state chiuse, le facciate alterate. Il restauro ha ricostruito l’originale, ma dobbiamo considerare che dagli anni Cinquanta in poi sono cambiate le esigenze abitative: più bagni, più camere da letto.

Come è cambiato nel tempo il profilo sociale degli abitanti di Chandigarh?

Chandigarh nacque come città amministrativa, pensata per funzionari governativi di classe medio–alta. È però diventata vittima del suo stesso successo: la domanda di terreni ha fatto lievitare i prezzi al punto che oggi la classe media non può più permettersi di vivere in città e si è spostata nei sobborghi. Molti hanno venduto le proprie case a imprenditori facoltosi provenienti da Punjab o Delhi.

Cosa attrae oggi gli abitanti di Chandigarh?

In realtà l’economia locale è debole: poche industrie, non ci sono grandi imprese, opportunità di carriera insufficienti rispetto a metropoli come Delhi o Bangalore. A meno di non avere un patrimonio personale e avviare un’impresa, chi ha alte qualifiche tende ad andarsene. Chi invece rimane, come me, è perché dà priorità alla qualità della vita.

Chi vive oggi nei sobborghi che si sono sviluppati oltre la fascia verde pensata come limite della città?

La maggior parte è impiegata in uffici governativi. Vive però lontano dai servizi e dagli spazi verdi che hanno rappresentato la forza del progetto di Chandigarh.

Cosa rimane dell’utopia di Chandigarh?

Mi piace pensare che non si tratti di un’utopia, ma di una dimensione umana riflessa nell’architettura. Prenda l’edificio del Parlamento nel Capitol Complex: la sua progettazione mira a suscitare nel visitatore un senso di responsabilità non solo verso i propri simili, ma verso l’intero cosmo.

Negli ultimi anni si è registrata una rinascita di interesse internazionale per Chandigarh. Come è percepita questa attenzione globale da lì?

Ultimamente in tutto il mondo si parla di Chandigarh – pensi al film ‘The Utopia’ [The Power of Utopia. Living with Le Corbusier in Chandigarh, documentario di Karin Bucher e Thomas Karrer, Magetfilm 2023, NdA] – mentre qui in India c’è chi, persino in Parlamento, nega il valore dell’eredità moderna. Secondo l’Archaeological Survey of India, infatti, un patrimonio deve avere almeno cento anni. È paradossale: il mondo ci guarda come a un caso unico di città pianificata del Novecento, e noi rischiamo di perderne la memoria perché un membro del nostro Parlamento ha cercato di dimostrare a Delhi che non abbiamo bisogno di alcun comitato per la tutela della città. Abbiamo bisogno di persone che scrivano di noi. Dobbiamo diffondere gli articoli che escono nel mondo per far capire cosa sta accadendo ■

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