
42 minute read
LE NUOVE SFIDE: COVID-19 e INERZIA IL DIABETE E LA MORTALITÀ PER COVID-19 IN ITALIA Antonio Nicolucci, Luca Busetto, Agostino Consoli Paolo Di Bartolo, Giuseppe Fatati , Chiara Rossi, Paolo Sbraccia, Andrea Lenzi L’INERZIA È UN COMPLESSO MULTIFATTORIALE Antonio Nicolucci, Paolo Di Bartolo, Domenico Mannino, Chiara Rossi, Federico Spandonaro, Francesco Dotta, Simona Frontoni LE PERSONE CON DIABETE E L’INERZIA Lucio Corsaro, Emanuele Corsaro, Rosaria Ledonne, Gianluca Vaccaro
Diabete, obesità e mortalità per Covid-19
La pandemia da COVID-19 ha evidenziato le fragilità e vulnerabilità delle persone con obesità e diabete. Una nuova sfida per il sistema sanitario e per i clinici.
Antonio Nicolucci – Coresearch; Luca Busetto – Università di Padova, Open Italy; Agostino Consoli – Università G D’annunzio Chieti; Paolo Di Bartolo – AUSL della Romagna; Giuseppe Fatati – IO-NET; Chiara Rossi – Coresearch; Paolo Sbraccia, Università di Roma Tor Vergata, Ibdo Foundation, Open Italy; Andrea Lenzi, Università di Roma Sapienza, Open Italy
INTRODUZIONE L’emergenza Covid-19 ha rappresentato una sfida senza precedenti per il nostro Paese e per il Sistema Sanitario Nazionale, con enormi ripercussioni cliniche, sociali ed economiche. Il prezzo più alto pagato riguarda senz’altro l’elevato numero di vittime causate dalla pandemia: al 25 maggio 2020 erano pervenute alla Sorveglianza Nazionale Integrata COVID-19 coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità 31.573 segnalazioni di decessi in soggetti diagnosticati microbiologicamente tramite tampone rino/orofaringeo positivo al SARS-CoV-2. In data 16 luglio 2020, in un documento congiunto ISTATISS, sono stati resi noti i risultati delle analisi effettuate sulle schede di morte di 4942 decessi associati al Covid19 . I dati provengono da tutte le Regioni e Province Autonome del Paese, fatta eccezione per la Regione Valle D’Aosta, e la loro distribuzione per età e genere è risultata simile a quella del totale dei decessi segnalati alla Sorveglianza. È stato quindi possibile tracciare un quadro molto realistico delle caratteristiche socio-demografiche e cliniche dei soggetti deceduti e di identificare i profili di fragilità associati alle complicanze più gravi della patologia. L’analisi appena pubblicata conferma una maggiore vulnerabilità da parte dei soggetti di sesso maschile, che rappresentano circa i due terzi (63%) dei deceduti. Viene anche confermato il ruolo dell’età avanzata: il 55,8% dei deceduti presentava un’età di 80 anni o più e il 27,5% un’età compresa fra i 70 e i 79 anni. Tuttavia, i soggetti sotto i 60 anni rappresentavano il 5,9% del campione; questa percentuale, trasferita al numero totale di decessi comunicati fino al 25 maggio, indica che sono decedute oltre 1.800 persone sotto i 60 anni. Un altro aspetto importante emerso dall’analisi delle schede di morte riguarda il fatto che il Covid-19 è risultato come causa primaria del decesso nell’89% dei casi, mentre nel restante 11% la morte era da attribuire a cause diverse (soprattutto malattie cardiovascolari e tumori); in questi casi l’infezione virale potrebbe comunque aver aggravato il quadro clinico generale. La quota di deceduti in cui COVID-19 era la causa direttamente responsabile della morte varia in base all’età, raggiungendo il valore massimo del 92% nella classe 60-69 anni e il minimo (82%) nelle persone di età inferiore ai 50 anni. Per quanto riguarda l’analisi dell’11% dei decessi in cui Covid-19 non era causa primaria, nei più giovani (<50 anni) la causa di morte principale è rappresentata dai tumori, che costituiscono circa il 9,3% del totale in questa fascia di età. Nella classe di età 50-59 anni, dopo i tumori (5,7%) il diabete (2,2%) rappresenta la causa iniziale di morte più frequente. Nelle età più avanzate la distribuzione è più eterogenea, ma i tumori restano ancora la causa di morte più comune.
MORTALITÀ PER COVID-19 E COMORBIDITÀ Dati molto interessanti del rapporto ISS-ISTAT appena diffuso riguardano la presenza delle comorbidità fra le persone decedute con diagnosi di infezione da SARS-Cov-2. Un aspetto rilevante è rappresentato dalla mancanza di segnalazione di patologie concomitanti nel 28,2% dei casi (figura 1).
Figura 1. Distribuzione percentuale per numero di concause dei decessi dei pazienti positivi a SARS-CoV-2 nelle diverse classi di età.
Sebbene questo dato possa dipendere almeno in parte dalla mancata registrazione sulla scheda di morte di patologie misconosciute, esso sottolinea come Covid-19 possa essere letale anche in assenza di altre condizioni preesistenti. Del totale dei soggetti deceduti, circa uno su tre (31,2%) presentava una patologia concomitante, mentre il 40,5% presentava due o più comorbidità, con una media complessiva di 2,4 patologie per soggetto. Fra le patologie associate più frequenti, sono da segnalare malattie ipertensive (21,8%), altre malattie del sistema circolatorio (18,1%), diabete (15,8%), cardiopatie ischemiche (13,9%), malattie renali (12,4%) e tumori (12,2%). La prevalenza delle diverse patologie concomitanti varia in relazione alle fasce di età: al di sotto dei 50 anni, le comorbidità più frequenti sono rappresentate dai tumori e dall’obesità, fra i 50 e i 59 anni prevalgono tumori, cardiopatie ipertensive e obesità, dai 60 anni in su sono più frequenti il diabete e le cardiopatie ipertensive (figura 2)
Figura 2. Concause presenti nelle schede di decesso di pazienti positivi al SARS-CoV-2, percentuale sul totale dei decessi, per classi di età. . Questi dati indicano che il profilo di vulnerabilità al Covid-19 è profondamente influenzato dall’età e che alcune condizioni, come l’obesità, risultano particolarmente frequenti come concausa di morte fra i più giovani, mentre il diabete e le malattie cardiovascolari giocano un ruolo più importante dopo i 60 anni. Un altro aspetto rilevante riguarda il riscontro che alcune condizioni, come diabete ed obesità, sono raramente l’unica comorbidità, mentre compaiono spesso in associazione con altre patologie (figura 3)

In particolare il diabete mellito e le cardiopatie ipertensive rappresentano le condizioni più spesso riscontrate in caso di pluri-comorbidità, essendo presenti in circa un terzo dei casi. Questo riscontro suggerisce come il diabete possa rappresentare una causa importante di vulnerabilità al Covid-19 quando gravato da complicanze micro e macrovascolari. A questo riguardo, non va dimenticato che il diabete di tipo 2, che rappresenta oltre il 90% di tutti i casi di diabete, si associa a ipertensione arteriosa nel 70% dei casi e a dislipidemia in circa il 60% dei casi, mentre un eccesso ponderale è presente in oltre l’80% dei casi . Questo determina un rischio cardiovascolare particolarmente elevato fra le persone con diabete, un
Figura 3. Presenza delle concause di morte nelle schede dei pazienti deceduti positivi al SARS-CoV-2, distinguendo tra due gruppi: A) casi con una sola concausa (1.545 decessi) e B) casi con più concause (3.397 decessi). Percentuale sul totale dei decessi, per gruppo.

quarto delle quali presenta una storia di evento cardiovascolare maggiore , e la concomitanza di diabete e malattie cardiovascolari è sicuramente un riscontro frequente fra le persone decedute per Covid-19. Inoltre, il diabete rappresenta una importante causa di insufficienza renale, che a sua volta risulta una frequente concausa di morte nei soggetti deceduti per Covid-19. Considerazioni analoghe possono essere fatte per l’obesità, che risulta spesso associata a disturbi metabolici, ipertensione, dislipidemia, complicanze cardiovascolari, problemi respiratori ed un ampio spettro di altre condizioni morbose, compreso un più elevato rischio di diversi tumori . La bassa prevalenza di obesità come concausa di morte nei soggetti sopra i 60 anni potrebbe essere almeno in parte legata ad una mancata registrazione del dato; infatti, in presenza di multiple condizioni concomitanti, è verosimile che siano state riportate sulle schede di morte le patologie associate all’obesità, piuttosto che quest’ultima. La rilevanza del diabete e dell’obesità come condizioni di vulnerabilità è ribadita nel comunicato della Commissione Europea al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni: Short-term EU health preparedness for COVID-19 outbreaks . Il documento, pubblicato il 15 luglio e prodotto in collaborazione con l’European Center for Disease Control (ECDC), enfatizza la necessità di supporto alle popolazioni più vulnerabili (per comorbidità, basso stato socio-economico o rischio professionale) e invita a prendere misure specifiche per proteggere queste categorie.
CONCLUSIONI L’analisi delle cause di morte fra i soggetti deceduti con infezione da SARS-Cov-2 offre importanti spunti di riflessione. Innanzitutto, i dati mostrano come non esistano categorie completamente scevre dal rischio di subire le conseguenze del Covid-19. Neanche i soggetti giovani, senza evidenti patologie concomitanti, possono considerarsi al sicuro. D’altro canto, non c’è dubbio che il rischio di decesso associato a Covid-19 sia particolarmente elevato nei soggetti di sesso maschile, di età avanzata, e con comorbidità. Da questo punto di vista, è da sottolineare come il cattivo controllo di patologie croniche come il diabete, se da una parte aumenta il rischio di complicanze della patologia, dall’altra è responsabile di una maggiore vulnerabilità nei confronti di eventi acuti quali la pandemia da coronavirus. La drastica riduzione delle prestazioni ambulatoriali durante il lockdown, solo parzialmente compensata dall’attivazione di prestazioni di telemedicina, la forzata inattività fisica e la verosimile modifica dell’alimentazione possono aver determinato un peggioramento del controllo metabolico ed un aumento del peso corporeo in molte persone affette da diabete, di fatto aumentando la loro vulnerabilità nel caso malaugurato di una ripresa della pandemia. Per quanto riguarda l’obesità, la sua frequente presenza fra le concause di morte nei soggetti più giovani sottolinea il suo importante contributo a determinare una condizione di fragilità. Risulta quindi necessaria una profonda riconsiderazione dell’eccesso ponderale come vera e propria patologia, di natura complessa e gravata come il diabete da un elevato numero di comorbidità e complicanze. Questi dati hanno profonde implicazioni, considerando che nel nostro Paese le persone adulte obese (BMI ≥30) sono circa 6 milioni e le persone in sovrappeso oltre 20 milioni . L’implementazione di strategie preventive e di interventi tempestivi nel caso di nuovi focolai di Covid-19 dovrà necessariamente tenere conto dei profili di fragilità emersi dalle analisi in corso, al fine di evitare le conseguenze più nefaste della pandemia. Sarà necessaria una azione incisiva a livello di cure primarie e di cure specialistiche per garantire un adeguato monitoraggio ed un efficace controllo dei più importanti fattori di rischio fra i soggetti affetti da cronicità. Dove possibile, la continuità assistenziale potrà essere assicurata attraverso l’implementazione di modalità assistenziali complementari a quelle tradizionali, facendo ricorso alla telemedicina e alla teleassistenza. Sarà inoltre fondamentale dare priorità assistenziale alle persone che, sulla base del loro livello di fragilità, possono essere più suscettibili alle forme più gravi di Covid-19. Solo ripensando il modello tradizionale di assistenza, con l’introduzione di interventi proattivi e commisurati alle reali esigenze/vulnerabilità degli assistiti e perseverando nella adozione delle misure cautelari per ridurre il contagio sarà possibile evitare che si ripeta la drammatica situazione vissuta nei primi mesi del 2020.

L’inerzia è un complesso multifattoriale
L’inerzia è l’insieme di comportamenti individuali, collettivi e istituzionali che rallentano o bloccano il cambiamento e che provoca effetti clinici, sociali, economici e di politica sanitaria che si ripercuotono sulla qualità di cura e di vita della persona con diabete
Antonio Nicolucci - Coresearch; Paolo Di Bartolo - Associazione Medici Diabetologi; Domenico Mannino - Associazione Medici Diabetologi; Chiara Rossi - Coresearch; Federico Spandonaro - CREA Sanità; Francesco Dotta - IBDO Foundation; Simona Frontoni - IBDO Foundation
Nonostante la disponibilità di un ampio spettro di opzioni terapeutiche efficaci e la dimostrazione dell’importanza di un adeguato controllo metabolico per prevenire o ritardare l’insorgenza delle complicanze del diabete di tipo 2 (DM2), una percentuale elevata di pazienti non raggiunge i target terapeutici desiderati. Ad esempio, i dati degli Annali AMD relativi a circa mezzo milione di persone con DM2 documentano come solo un paziente su due presenti un valore di HbA1c <7,0%, come raccomandato dalle linee guida esistenti, mentre uno su cinque mostra un controllo metabolico francamente inadeguato (HbAc1 >8,0%) [1]. Fra i soggetti in terapia insulinica multi-iniettiva, i valori medi di HbA1c erano di 8,1±1,7%, mentre fra i soggetti in terapia insulinica in associazione con antiiperglicemizzanti orali i livelli medi di HbA1c salivano a 8,4±1,6%. Inoltre, un paziente su quattro presentava valori di HbA1c > 9,0% nonostante la terapia insulinica.
Fra le cause di questi insoddisfacenti risultati, è stata chiamata più volte in causa l’inerzia terapeutica, intesa come mancata o ritardata intensificazione terapeutica in presenza di un insoddisfacente controllo metabolico. Ne forniscono un esempio i dati degli Annali AMD, che avevano documentato una sostanziale inerzia terapeutica sia nell’iniziare la terapia insulinica, sia nella intensificazione del trattamento. Infatti, al momento della prima prescrizione di insulina basale i livelli medi di HbA1c erano di 8,9±1,6%, ma circa la metà dei soggetti presentava valori di HbA1c >8,0% già due anni prima dell’introduzione della terapia insulinica. Inoltre, a distanza di 2 anni dall’inizio della terapia insulinica, quasi il 50% dei pazienti continuava a presentare valori di HbA1c >8,0%, ad indicare una insufficiente titolazione della dose di insulina [2]. Le conseguenze dell’inerzia terapeutica
Diversi studi hanno dimostrato che l’inerzia terapeutica è associata a esiti microvascolari e macrovascolari peggiori. In uno studio di coorte su 105.477 pazienti, i valori medi di HbA1c alla diagnosi erano di 8,1%, il 22% è rimasto in controllo glicemico insoddisfacente per 2 anni e il 26% non ha mai ricevuto una intensificazione terapeutica. Un ritardo nella intensificazione terapeutica di 1 anno, in combinazione con uno scarso controllo glicemico, ha aumentato significativamente il rischio di infarto del miocardio, insufficienza cardiaca, ictus ed eventi cardiovascolari compositi (hazard ratio 1,62 [IC 95% 1,46-1,80]) [3]. Un altro studio ha utilizzato un modello di simulazione al computer progettato per tradurre gli endpoint surrogati in risultati clinici ed economici a lungo termine (IMS CORE Diabetes Model) [4]. Il modello è stato applicato ad una coorte rappresentativa di adulti con diabete di tipo 1 o tipo 2 seguiti in centri per le cure primarie del Regno Unito. I risultati mostrano una significativa riduzione dei costi di circa 340 milioni di sterline nei primi 5 anni, e di circa 5,5 miliardi dopo 25 anni di costante miglioramento del controllo metabolico. La riduzione delle complicanze microvascolari rappresenta il principale fattore che influenza i risparmi sui costi; infatti, nel diabete di tipo 1 il 74% dei costi evitati derivava dalla prevenzione della malattia renale, mentre nel diabete di tipo 2 il 57% dei costi evitati derivava dalla riduzione delle ulcere del piede, delle amputazioni e della neuropatia diabetica [5].
In un recente studio che utilizzava i dati della normale pratica clinica per esplorare il concetto di “memoria metabolica” sulle complicanze del diabete, sono stati valutati pazienti di nuova diagnosi con scarso controllo glicemico e la loro sopravvivenza a distanza di 10 anni [6]. Lo studio ha evidenziato un aumento relativo nella mortalità del
29% nei pazienti con HbA1c dal 7% all’8% nel primo anno dalla diagnosi rispetto a soggetti che avevano mantenuto i livelli di Hba1c al di sotto del 6,5%. L’aumento del rischio di morte saliva al 32% se l’HbA1c era ≥ 9%. Il raggiungimento precoce di un buon controllo glicemico dopo la diagnosi del diabete è quindi in grado di influenzare il rischio a lungo termine di complicanze.
Le cause dell’inerzia terapeutica
Le cause dell’inerzia terapeutica sono complesse e possono essere attribuite agli operatori sanitari, ai pazienti, o a barriere del sistema sanitario (figura 1).
Le barriere a livello degli operatori sanitari costituiscono il 50% delle cause dell’inerzia [7]. Queste includono difficoltà come mancanza di tempo, mancanza di conoscenza e disomogeneità nelle raccomandazioni delle linee guida. Inoltre, giocano un ruolo importante la percezione degli effetti collaterali e l’inesperienza nella gestione della condizione [8].
L’inizio della terapia insulinica rappresenta una importante causa di inerzia terapeutica da parte dei medici. La preoccupazione delle ipoglicemie e dell’aumento di peso, l’introduzione di una maggiore complessità di gestione della patologia, la necessità di un più frequente automonitoraggio domiciliare della glicemia e, nel caso dei medici delle cure primarie, la scarsa familiarità nella gestione della terapia insulinica, rappresentano fattori condizionanti l’avvio o la intensificazione della terapia. La difficoltà ad orientarsi fra le diverse linee guida esistenti o la mancanza di chiari indirizzi per particolari categorie di pazienti possono ulteriormente contribuire al comportamento attendista spesso assunto.
Va inoltre segnalato come spesso gli operatori sanitari tendano ad attribuire ai propri assistiti le ragioni di una ritardata intensificazione della terapia, imputando loro una scarsa compliance, una scarsa accettazione della terapia, la difficoltà di gestione di regimi terapeutici più complessi o la paura della terapia iniettiva [9].
Per quanto riguarda i pazienti, la paura delle ipoglicemie e la preoccupazione di un eventuale aumento di peso sono state più volte riportate come importanti barriere alla intensificazione terapeutica [10]. Le ipoglicemie in particolare, a causa dell’impatto estremamente negativo sulla qualità di vita, possono rappresentare un deterrente alla intensificazione terapeutica. All’inerzia dei pazienti può inoltre contribuire una scarsa consapevolezza riguardo la natura progressiva del diabete o riguardo il rischio di complicanze derivante da un prolungato cattivo controllo metabolico. L’assenza di sintomi può inoltre portare ad un atteggiamento di negazione della malattia e alla mancata comprensione della necessità di modificare il trattamento. Inoltre, l’inizio della terapia insulinica può essere considerato come un indice di fallimento personale nella gestione del proprio diabete, ed essere vissuto come una evenienza da evitare. D’altra parte, il persistere di un inadeguato controllo metabolico può generare frustrazione scoraggiamento e può talvolta portare alla decisione autonoma del paziente di interrompere il trattamento, senza consultarsi con il proprio medico curante. La mancanza di adeguata educazione terapeutica è spesso alla base di queste errate convinzioni e richiama la necessità di destinare agli aspetti di formazione/informazione tempi e spazi dedicati.
Esistono infine barriere di sistema che favoriscono l’inerzia terapeutica. Alcune situazioni, comuni a tutti i sistemi sanitari, sono riconducibili alla carenza di personale e conseguentemente alla difficoltà a garantire una corretta educazione terapeutica a tutti i pazienti. L’affollamento degli ambulatori può inoltre rendere difficile assicurare un numero adeguato di visite, favorendo il ritardo nella decisione di modificare la terapia. Inoltre, le pressioni al contenimento della spesa farmaceutica possono scoraggiare la prescrizione di farmaci innovativi, nonostante un loro miglior profilo di efficacia e sicurezza. Anche aspetti specifici del nostro sistema sanitario possono contribuire all’inerzia terapeutica. La necessità di piano terapeutico per i farmaci di recente introduzione richiede allo specialista un tempo da dedicare agli aspetti burocratici che mal si sposa con il numero elevato di pazienti che quotidianamente afferiscono agli ambulatori di diabetologia. Dal punto di vista delle cure primarie, la impossibilità di prescrivere i nuovi farmaci, con la conseguente necessità di intensificare la terapia utilizzando sulfaniluree o insulina, possono grandemente influire sull’inerzia terapeutica.
Le possibili soluzioni
Le evidenze scientifiche mostrano che una precoce ed efficace gestione del controllo glicemico riducono le complicanze; pertanto è fondamentale superare l’inerzia terapeutica per migliorare i risultati a più lungo termine. Sono stati suggeriti vari approcci per superare l’inerzia terapeutica; questi, ancora una volta, possono essere suddivisi in diverse categorie.
Dal punto di vista degli operatori sanitari, è innanzitutto importante misurare l’inerzia terapeutica, ed identificare i soggetti a rischio più elevato di ritardo nell’intensificazione dei trattamenti. A questo riguardo, diversi studi hanno documentato che un feedback attivo agli operatori sanitari e l’introduzione nelle cartelle cliniche informatizzate di specifici remainder sono in grado di ridurre i tempi dell’intensificazione terapeutica [11].
Anche gli approcci proattivi con i pazienti si dimostrano utili, poiché i pazienti rispondono meglio quando ritengono di contribuire a un risultato positivo [12]. Pertanto, costruire una buona relazione tra operatore sanitario e paziente e fornire un adeguato supporto è vitale per l’ottenimento di un adeguato controllo glicemico.
L’uso di infermieri e farmacisti nella gestione della malattia si è dimostrato a sua volta efficace e libera in generale il tempo dei medici per altri aspetti delle loro consultazioni con i pazienti [13]. Ciò comporta l’utilizzo di membri di team multidisciplinari per aiutare a rispondere alle esigenze e ai problemi dei pazienti in merito alle loro condizioni.
Inoltre, l’istruzione è una delle tecniche chiave per ridurre l’inerzia, educando non solo gli operatori sanitari, ma anche gli studenti sia durante i corsi universitari che nei corsi di specializzazione. Oltre all’istruzione, le informazioni aggiornate sui nuovi farmaci, compresi l’efficacia e le reazioni avverse, devono essere costantemente disponibili per gli operatori sanitari, così come chiare linee di indirizzo che possano guidare le scelte terapeutiche. La scelta di farmaci che si associano ad un bassissimo rischio di ipoglicemie e che non causano aumento di peso può certamente aiutare a superare l’inerzia terapeutica ed accrescere l’accettabilità della terapia da parte del paziente.
Sul versante dei pazienti, interventi educativi che rendano la persona con diabete pienamente consapevole ed in grado di gestire la propria condizione rappresentano un aspetto fondamentale. Sistemi di telemedicina che consentano agli operatori sanitari un monitoraggio da remoto dei valori glicemici negli intervalli, spesso lunghi, fra le visite, possono rappresentare un importante strumento per garantire la continuità assistenziale e ridurre i tempi della intensificazione terapeutica. Il personale infermieristico, come indicato sopra, può aiutare in caso di scarsa compliance e può contribuire a ridurre l’ansia associata a problemi terapeutici, in particolare riguardo l’autosomministrazione appropriata di farmaci iniettabili [14]. È possibile infine migliorare l’aderenza alle terapie attraverso sistemi di reminder e app che supportino il paziente nella gestione del proprio diabete [11].
Le barriere di sistema possono essere superate innanzitutto rendendo i decisori più consapevoli riguardo l’importanza di investire in terapie innovative, considerandole non come costo aggiuntivo, bensì come una importante fonte di risparmio. Una impressionante mole di nuove evidenze scientifiche documenta chiaramente che il trattamento con agonisti recettoriali del GLP1 o con inibitori degli SGLT2 sono in grado di ridurre gli eventi cardiovascolari maggiori, la mortalità, la progressione delle complicanze renali e, nel caso degli inibitori degli SGLT2, dei ricoveri per scompenso cardiaco [15]. Considerando che i ricoveri in ospedale per le complicanze del diabete rappresentano il 50% dei costi diretti del diabete (contro il 7% attribuibile al trattamento del diabete) [16], è evidente come l’impiego di farmaci in grado di ridurre le complicanze maggiori sia acute (ipoglicemie) che croniche (eventi cardio-cerebrovascolari, insufficienza renale, scompenso cardiaco) possono incidere in modo importante sulla spesa, migliorando nel contempo l’aspettativa e la qualità di vita dei pazienti. Purtroppo le politiche di contenimento della spesa oggi in atto tendono invece a concentrarsi sulla spesa farmaceutica, senza alcuna verifica della ricaduta di queste politiche sul ricorso all’ospedale e sulla salute delle persone con diabete.
Una migliore organizzazione dell’assistenza, in base ai principi dei “chronic care models”, faciliterebbe ulteriormente il superamento delle barriere alla intensificazione terapeutica. A questo riguardo, la reale implementazione di PDTA sul diabete consentirebbe di facilitare la continuità assistenziale fra cure primarie e specialistiche, rendendo più agevole e tempestivo l’accesso ai servizi di diabetologia e la prescrizione di farmaci innovativi a coloro che ne hanno bisogno, migliorando l’appropriatezza e l’adesione alle linee guida basate sulle evidenze scientifiche. Altrettanto importante risulta il potenziamento dei team diabetologici, con composizione multidisciplinare e spazi dedicati in modo specifico all’educazione terapeutica. Quest’ultima dovrebbe essere formalmente riconosciuta a pieno titolo, ed adeguatamente remunerata, come prestazione sanitaria, riconoscendone il valore clinico.
Infine, il Sistema Sanitario Nazionale dovrebbe promuovere e facilitare modalità di gestione delle cronicità in linea con gli avanzamenti tecnologici, facendo ricorso a sistemi di telemedicina e teleassistenza in grado di garantire la continuità assistenziale e gli scambi di dati e informazioni fra struttura sanitaria ed assistito.
Conclusioni
Il diabete di tipo 2 rappresenta un problema sempre crescente per i pazienti, per gli operatori sanitari e per l’economia in generale. Sono disponibili ampie prove riguardo l’efficacia e la sicurezza delle nuove terapie; tuttavia, ci sono anche evidenze significative che esistono ostacoli all’intensificazione del trattamento in presenza di un inadeguato controllo metabolico.
Il miglioramento del controllo glicemico nelle prime fasi della traiettoria della malattia produce un “effetto memoria” che ritarda l’insorgenza di complicanze. È quindi fondamentale che gli operatori sanitari promuovano tempestivamente l’intensificazione delle terapie, quando necessario, in pazienti ben informati e coinvolti nella gestione del diabete. Va tuttavia enfatizzata la necessità di un approccio personalizzato; gli obiettivi accettabili per pazienti giovani e senza comorbidità dovranno essere più ambiziosi di quelli per pazienti anziani, con comorbidità multiple e politrattati. In questi ultimi, l’intensificazione può portare a ipoglicemie severe, aumentando quindi il rischio di cadute e deficit cognitivi [17]. Alla luce di ciò, l’inerzia terapeutica è da intendersi non solo come incapacità di intensificare la terapia, ma anche come incapa-
cità di de-intensificare la terapia in modo appropriato, o di sostituire farmaci ad elevato rischio di ipoglicemie con farmaci più sicuri [18].
In conclusione, per garantire benefici a lungo termine per i pazienti con diabete è necessario il superamento dell’inerzia e il raggiungimento dei valori desiderati di HbA1c. L’inerzia terapeutica può essere superata attraverso l’educazione e la consapevolezza di operatori sanitari, pazienti e decisori che si tratta di un fenomeno ad alto rischio che influisce negativamente sulla cura del paziente.
Figura 1. Fattori associati all’inerzia clinica



Le persone con diabete e l’inerzia
Nonostante la disponibilità di un numero sempre crescente di farmaci per il diabete, molti pazienti incontrano notevoli difficoltà a raggiungere gli obiettivi terapeutici desiderati e mostrano scarsa compliance nel raggiungere gli obiettivi prescritti.
Lucio Corsaro, Emanuele Corsaro, Rosaria Ledonne, Gianluca Vaccaro MediPragma
Diabetes Monitor è un osservatorio dell’evoluzione degli atteggiamenti delle persone con diabete riguardo la gestione della malattia e della terapia. La natura continuativa dell’indagine statistica ha permesso di evidenziare quali siano le tendenze più comuni quando si parla di atteggiamento della Persone con diabete rispetto alla propria condizione. Il Diabetes Monitor distingue cinque momenti di analisi e presa delle decisioni da parte della Persona con Diabete: • Attitudine verso la malattia • Diagnosi • Trattamento • Autocontrollo • Fonti informative e associazionismo L’analisi intende evidenziare solo i temi centrali rispetto al ruolo attivo che la Persona con Diabete assume nella gestione della propria condizione. L’approccio adottato ha consentito la definizione di un unico “ambiente di ricerca” in grado di monitorare il percorso compiuto dall’individuo. L’indagine condotta nel 2020 ha riguardato le problematiche relative alla gestione dei pazienti diabetici e la valutazione dell’impatto dell’inerzia clinica e terapeutica sui pazienti con diabete di tipo 2.
L’INERZIA CLINICA
L’inerzia clinica nel diabete tipo 2 è un fenomeno multifattoriale le cui cause sono attribuibili ai pazienti, agli operatori sanitari o al sistema sanitario ed è definibile come un “ritardo nell’ accesso di un paziente ad una cura migliore”. Fra gli elementi citati come possibili cause ci sono quindi aspetti legati alle preoccupazioni dei pazienti per alcuni effetti collaterali dei farmaci, come le ipoglicemie e l’aumento di peso o la scelta di rinunciare a cambiare una terapia per evitare che possa aumentare la spesa personale dedicata alla cura del diabete. Un altro aspetto potrebbe essere legato alla mancanza di comprensione da parte dei pazienti delle possibili complicanze di una evoluzione “silente” della malattia e quindi un sostanziale ritardo nell’iniziare una nuova terapia, nell’intensificarla o nel modificarla. Gli esiti di questi comportamenti o di una scarsa aderenza alle prescrizioni lo ritroviamo, ovviamente, in un aumento degli interventi di assistenza sanitaria, di ricoveri, della morbilità e della mortalità, costituendo un danno sia per i pazienti, sia per il sistema sanitario e per l’economia del Paese. Alcune cause sono legate ai comportamenti del medico che non adotta, per diversi motivi, gli interventi atti ad adattare o modificare la terapia del paziente: in questo caso si parla di “inerzia terapeutica”. Alcune cause dell’inerzia clinica possono, infine, essere riferibili al sistema sanitario come, ad esempio, a specifici modelli di governance o di assistenza che rendono difficile l’accesso alle cure per i pazienti o a possibili restrizioni nazionali o regionali di budget dedicato alla cura della patologia.
LE CAUSE PRINCIPALI DELL’INERZIA CLINICA Le cause principali di inerzia clinica presenti in letteratura riferibili, in particolare, a comportamenti e/o aspetti psicologici dei pazienti sono: • La preoccupazione dei pazienti per alcuni effetti collaterali dei farmaci (resistenza psicologica, fra cui la paura della ipoglicemia DAWN2 (Diabetes Attitudes, Wishes and Needs second study) soprattutto in contesti lavorativi e paura dell’aumento del peso corporeo1; • La crescente complessità di regimi di trattamento, che richiedono familiarizzazione con nuovi metodi di somministrazione e di dosaggio; • La percezione che l’inizio della terapia indichi un aggravamento della malattia, la paura delle iniezioni, i disagi e le difficoltà nella somministrazione dell’insulina, il senso di fallimento o di punizione, stigma e discriminazione; • Le preoccupazioni del paziente legate ai costi del prodotto e le ridotte risorse messe a disposizione dal si-
stema nella cura del diabete; • La mancanza di comprensione da parte dei pazienti della complessità e della natura della loro malattia che può provocare riluttanza a intensificare il trattamento.
La disponibilità del paziente ad iniziare o intensificare la terapia può infatti essere mitigata dalla non percezione o negazione delle possibili complicanze correlate alla progressione “silente” della malattia. In alcuni casi la necessità di intensificare il trattamento può essere vissuta dai pazienti come un fallimento personale, e quindi rifiutata. (AMD 2018); • La scarsa aderenza alle prescrizioni del medico (AMD 2018); • Il ridotto tempo che viene dedicato al colloquio medico-paziente (AMD 2018); • I ridotti controlli e monitoraggi in continuo della glicemia (AMD 2018) Considerando invece le cause principali di inerzia clinica pensando alle “barriere di sistema” possiamo considerare ad esempio: • La mancanza di strategie di sensibilizzazione ed educazione sanitaria e quindi di adeguati programmi di prevenzione e/o promozione della salute; • La carenza di adeguati supporti decisionali ai pazienti per la definizione consapevole delle scelte terapeutiche; • La mancanza di pratiche diffuse di lavoro multidisciplinare; • La carenza di linee guida o di raccomandazioni cliniche (o la mancanza di una conoscenza diffusa delle stesse); • Le limitazioni alla spesa sanitaria dedicata alla patologia sia sul fronte della prescrivibilità/rimborsabilità di farmaci innovativi che sul piano delle risorse organizzative o umane dedicate; • La mancanza o assenza di piani organizzativi adeguati per l’accesso alle cure (liste d’attesa, pianificazione delle visite in specifici periodi di sovraccarico di sistema/emergenza); • L’assenza di piani e procedure adeguate di comunicazione medico-paziente • L’assenza o inadeguatezza di sistemi di raccolta e analisi dei dati sanitari (registri pubblici, data base sanitari) L’INERZIA TERAPEUTICA L’inerzia terapeutica può essere considerata, invece, come effetto dell’atteggiamento del medico che, pur nella consapevolezza che il paziente non raggiunge gli obiettivi del trattamento, non adotta, per diversi motivi, gli interventi atti a risolvere il problema. Qui in sostanza si fa riferimento alla non applicazione di terapie, metodologie e tecnologie nella pratica quotidiana per una insufficiente conoscenza del problema che queste potrebbero gestire o anche la non risoluzione di problemi per la mancanza di conoscenza proprio sulle nuove soluzioni terapeutiche, metodologiche o tecnologiche. Vi è inerzia terapeutica anche quando il medico è consapevole del problema e della terapia disponibile per risolverlo ma non può farlo per limitazioni distributive o burocratiche2 . LE CAUSE Le cause principali di inerzia terapeutica presenti in letteratura e quindi riferibili a comportamenti clinici da parte dei medici3 sono: • Scarsa consapevolezza degli operatori in merito alla “inerzia terapeutica”; • Mancata sostituzione di farmaci quando inefficaci; • Mancanza di coinvolgimento da parte del paziente (esempio seguendo un approccio paternalistico vs centrato sul paziente); • Sistematica sottostima da parte degli operatori sanitari riguardo le conseguenze di un inadeguato controllo metabolico su un ampio spettro di aspetti della vita dei pazienti4; • Mancanza di conoscenza del medico sulle novità terapeutiche/tecnologie per la gestione della patologia (in particolare in campi non specialistici); • Bassa propensione o tempi ridotti nel prendere le decisioni da parte del medico5; • Sopravvalutazione del proprio operato da parte del medico (non si confronta con i colleghi, non segue una metodologia per l’autovalutazione, non lavora in un team multidisciplinare, ecc…)6; • Mancanza di un’adeguata educazione terapeutica e formazione del paziente da parte dell’operatore sanitario; • Basso rapporto di fiducia/feeling fra il medico e il paziente (possibile preoccupazione del medico di rifiuto della nuova terapia da parte del paziente). PREMESSA METODOLOGICA Analisi descrittiva del campione Il report parte da un’analisi descrittiva per provare a fenotipizzare pazienti con Diabete di Tipo 27 per caratteristiche di IMC (27≤ IMC > 30), per valori di Emoglobina glicata (Hb1c > 7%) e per presenza di ipertensione come ulteriore patologia. Alla luce del fenomeno dell’inerzia clinica e terapeutica si è proceduto ad un’analisi descrittiva mirata su questo sotto-campione seguendo il questionario del Diabetes Monitor 2019. Sono state selezionate le variabili ritenute semanticamente più prossime al concetto di inerzia e quelle che mostravano valori statisticamente più rilevanti al fine di indagare possibili correlazioni con il fenomeno in esame. 2 G. Maso “Il fenomeno dell’inerzia terapeutica”, Italian Journal of Primary Care, 2018, Vol. 8, N.2 3 A. Filippi, “Inerzia terapeutica: cosa puo fare il medico di medicina generale”, Rivista della Societa Italiana di Medicina Generale, 2011, N.6 4 A. Nicolucci “I bisogni dei pazienti relativi all’ottimizzazione della terapia insulinica” The Journal of AMD, Vol. 19, N.3 5 G. Maso “Il fenomeno dell’inerzia terapeutica”, Italian Journal of Primary Care, 2018, Vol. 8, N.2 6 P. Di Bernardino, in “Indagine Radar”, a cura dell’AMD (Associazione Medici Diabetologi), 2018 7 Per una maggiore robustezza delle clusterizzazioni in tema di aderenza terapeutica, e sulla base dei dati del Diabetes Monitor 2019, sono stati selezionati 165 casi di pazienti con Diabete di Tipo 2. Questi pazienti sono stati selezionati sulla base di una coerenza tra le variabili rilevanti per il fenomeno dell’inerzia terapeutica e i valori di IMC, Hb1c e ipertensione riferiti dagli intervistati. Rispetto ai 330 pazienti con Diabete di Tipo 2, questi 165 sono quei casi che, per coerenza e completezza interna delle risposte, hanno permesso di effettuare un confronto tra pazienti a rischio e pazienti non a rischio.






Tale campione d’analisi (165 pazienti di tipo 2 con 27≤ IMC >30 + Hb1c>7%) è formato per il 75% da uomini e per il 25% da donne. Il 50% segue una cura insulinica, il 38% una terapia orale ed il restante 12% una terapia combinata. L’età media è di 69 anni e l’età media della diagnosi è di 50 anni, mentre mediamente sono 19 gli anni dalla diagnosi.
Il 71% di questo campione pratica attività sportiva con regolarità e di questi il 58% svolge una camminata di almeno 20 minuti, il 21% ginnastica o pesi, il 4% jogging ed il restante 17% si divide tra ciclismo, tennis, yoga e ballo.







Potrebbe esprimere il suo grado di accordo con la segueente
affer ? mazione?


Il 75% è d’accordo col fatto che mantenere un peso corporeo nella norma contribuisce ad avere un migliore controllo dei propri livelli di glicemia e quindi del proprio diabete e, per tenere sotto controllo il proprio peso, il 63% segue i consigli alimentari del diabetologo, il 33% adotta un tipo di dieta meno calorica ed il 4% segue i consigli alimentari del proprio MMG. Il diabetologo/endocrinologo interno al centro per la cura del diabete è la figura medica che nel 88% dei casi, attualmente, segue questi intervistati nel trattamento del diabete. L’ 83% dei pazienti attualmente trattati con terapia orale, sono abbastanza soddisfatti e del tutto soddisfatti del trattamento così come l’80% gli insulino trattati.
In caso di valori glicemici fuori norma il 46% del campione modifica la terapia farmacologica insulinica, mentre il 38% modifica la propria dieta. L’andamento dei valori glicemici viene monitorato nel 45% dei casi direttamente con lo strumento di controllo attraverso la memoria dello stesso, mentre il 35% trascrive le misurazioni su un diario. L’80% di questi intervistati, infine, non effettua il monitoraggio in continuo della glicemia, mentre il 90% dichiara di non effettuare la conta dei carboidrati. 148





Analisi fra gruppi Pazienti con Diabete di Tipo 2 con e senza fattori di rischio di inerzia clinica o terapeutica Come anticipato, i parametri fondamentali (definiti “fattori di rischio”) da tenere sotto controllo per verificare se si è in presenza di inerzia clinica o terapeutica sono: emoglobina glicata (Hb1c superiore al 7%), Indice di Massa Corporea superiore ai 27 kg/m2 (che esprime una condizione di sovrappeso o obesità) e pressione arteriosa sistolica di 140 mmg/Hg. L’obiettivo è verificare se, e in quali circostanze, ci sono differenze significative tra chi presenta questi fattori di rischio e chi no. La base d’analisi è il campione sopra descritto di 165 pazienti di tipo 2 che per caratteristiche di congruenza e coerenza dei dati ha permesso il confronto fra gruppo a rischio e gruppo non a rischio.
Sulla base di questo confronto fra gruppi sono state identificate le seguenti differenze
CLUSTER 1: Pazienti sovrappreso/obesi e valore di Emoglobina glicata superiore al 7% (143 non a rischio e 22 a rischio) CLUSTER 2: Pazienti con ipertensione e valore di Emoglobina glicata superiore al 7% (141 non a rischio e 24 a rischio) CLUSTER 3: Pazienti che presentano almeno uno dei due fattori di rischio (obesità o ipertensione) associati a valori di Emoglobina glicata superiori al 7% (130 non a rischio e 35 a rischio) Sulla base di questo confronto fra gruppi sono state identificate le seguenti differenze:
Nel Cluster 2 (ipertensione+Hb1c > 7%) si evidenzia una differenza leggera ma costante di spesa mensile per la gestione del diabete a scapito dei soggetti a rischio. Inoltre, i soggetti a rischio sono di meno anche per quanto riguarda l’esenzione dalle spese di gestione del diabete.







Unitamente ad una limitata attività fisica generale, il Cluster 3 si caratterizza per una percentuale più alta di soggetti a rischio che non svolgono alcuna attività fisica rispetto a quelli non a rischio e, anche per la modalità «camminata di 20 minuti» la percentuale dei soggetti a rischio è inferiore.

Nonostante il fattore obesità, i soggetti a rischio di questo cluster sembrano non effettuare un percorso specialistico di cura della propria condizione di sovrappeso o, comunque, si affidano alla stessa figura che li segue per il diabete, ignorando la possibilità di un percorso con specialisti dell’alimentazione.

Tendenzialmente i pazienti ritengono che il loro valore di Emoglobina glicata sia sotto controllo. Il dato interessante è che, per tutti e tre i cluster, i pazienti a rischio (vs i non a rischio) sono consci di avere questo valore fuori dalla norma o, addirittura, dichiarano di non saperlo.

La modifica della terapia farmacologica insulinica, in caso di valori glicemici fuori dalla norma, è una caratteristica maggiormente riscontrabile nei soggetti a rischio, e questo per tutti e tre i cluster.

Nonostante i tre cluster siano caratterizzati dalla presenza di pazienti con valori di Hb1c superiori al 7%, il monitoraggio in continuo della glicemia è una profilassi che, particolarmente presso i soggetti a rischio, non sembra essere molto diffusa e questo è riscontrabile in tutti e tre i cluster.
Nonostante la conta dei carboidrati possa avere benefici sui valori di emoglobina glicata, in tutti e tre i cluster, i soggetti a rischio, non ricorrono a tale profila

CONCLUSIONI
In conclusione si evidenziano delle differenze comportamentali nel confronto fatto fra i gruppi di diabetici di tipo 2 a rischio e quelli non a rischio di inerzia clinica o terapeutica. Questi comportamenti più che indicare delle fattispecie determinate ed evidenti di “comportamenti a rischio”, possono suggerire delle ipotesi di lavoro nell’ottica di voler approfondire il fenomeno dell’inerzia in altre indagini o in specifiche riflessioni. Ci riferiamo in particolare a:
• una ridotta propensione all’attività fisica anche se blanda (“camminata di 20 minuti”) da parte di questi soggetti a rischio; • la mancanza dell’attivazione di un percorso di cura specialistico oltre quello dedicato al diabete, anche per soggetti in sovrappeso o obesi; • la sostanziale insoddisfazione rispetto alla cura con insulina; • una mancanza di consuetudine nel monitoraggio della glicemia come strumento di profilassi; • la poco diffusa pratica della conta dei carboidrati.

CON LA PERSONA PER LA PERSONA

Il diabete colpisce… tutti i livelli
Tutelare i diritti della persona con diabete
Domenico Cucinotta
IBDO Foundation
...per la persona con diabete L’essere affetti da diabete è associato con un rischio significativamente più elevato di sviluppare depressione e altri problemi psicologici rispetto alla popolazione generale. La depressione non solo causa sofferenza all’individuo, ma può anche compromettere l’aderenza al trattamento ed è associata a cattivi outcomes medici ed elevati costi sanitari. Il costo diretto del trattamento medico per gestire il diabete varia all’interno dell’Europa, sebbene quasi tutti i Paesi dispongano di sistemi di assicurazione a copertura delle cure mediche e/o di erogazione pubblica dei servizi sanitari.
Il diabete può influenzare negativamente anche il reddito individuale e si è riscontrato, ad esempio, che nella Repubblica di Irlanda gli uomini e le donne con diabete hanno una minore probabilità di lavorare, rispettivamente del 66% e del 42%.
...per i familiari e le persone che si prendono cura di chi ha il diabete
In alcuni casi il trattamento delle malattie croniche come il diabete non è accessibile, non è disponibile o non è sostenibile economicamente. È quindi possibile che il peso dei costi di trattamento e gestione della patologia spingano le famiglie in uno stato di povertà. Inoltre, i gruppi più anziani e socialmente svantaggiati spesso presentano malattie croniche multiple e molteplici fattori di rischio. Un trattamento efficace spesso richiede numerosi farmaci e infatti gli anziani sono tra i maggiori consumatori di farmaci con obbligo di prescrizione. Per questa ragione, l’aderenza a terapie di lungo termine può costituire una difficile sfida. Anche la stigmatizzazione e la discriminazione svolgono un ruolo significativo e certe malattie croniche come il diabete possono ridurre le opportunità occupazionali16. Tutto questo contribuisce a creare una relazione tra povertà e cattivo stato di salute.
La diagnosi di diabete impone un fardello che dura per tutta la vita e influenza non solo l’individuo ma anche i suoi famigliari, a causa della necessità costante di una gestione pratica ed emotiva della malattia. L’impatto sociale ed emotivo su una famiglia che deve affrontare il diabete spesso supera i costi diretti sostenuti per le cure e derivanti dalla perdita di reddito. Si è dimostrato che il diabete ha un impatto negativo sostanziale sulle relazioni familiari e sulla vita sociale, e porta ad una riduzione della qualità di vita correlata alla salute. La disponibilità di sostegno sociale svolge un ruolo essenziale affinché le persone con diabete siano in grado di aderire al trattamento e gestire la loro condizione con successo.
...per i datori di lavoro e le economie nazionali
Decesso precoce o convivenza con una malattia o una disabilità permanente hanno ripercussioni sulle famiglie e sulla società, ed è crescente anche il costo sostenuto dai datori di lavoro e dalle economie nazionali. Il cattivo stato di salute dei dipendenti provoca perdita di produttività dovuta ad assenteismo, prestazioni non ottimali per problemi fisici e psicologici, pensionamento anticipato e morte prematura.
Gli studi sull’impatto economico del diabete e delle altre malattie croniche sono ancora in fase iniziale, ma è già possibile affermare che i tassi di morbilità e mortalità prematura attribuibili a tali patologie evidenziano che interventi efficaci potrebbero portare ai Paesi vantaggi significativi in termini sanitari ed economici.
Il Manifesto dei diritti e doveri della persona con diabete
L’advocacy, cioè il supporto attivo e la promozione dei diritti della persona con diabete è un è un obiettivo cui devono mirare sia le Associazioni dei Pazienti che le Società scientifiche per garantire alla persona con diabete il pieno accesso alle cure come inalienabile diritto alla salute. La Costituzione italiana riconosce il diritto alla salute definendolo un diritto fondamentale dell’individuo, come recita il I° comma dell’art. 32, ad esso interamente dedicato: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Il contenuto del diritto che la Costituzione riconosce a tutti gli individui è complesso: la situazione di benessere psico-fisico intesa in senso ampio con cui s’identifica il bene “salute” si traduce nella tutela costituzionale dell’integrità psico-fisica, del diritto ad un ambiente salubre, del diritto alle prestazioni sanitarie e della cosiddetta libertà di cura (in altri termini, diritto di essere curato e di non essere curato).
Partendo da questi principi e ispirandosi alla Carta Europea dei diritti del malato, promossa da ACN - rete europea di Cittadinanzattiva, le Associazioni dei pazienti diabetici italiani, di concerto con le Società Scientifiche di diabetologia, hanno inteso realizzare il Manifesto dei diritti della persona con diabete, che è stato firmato in Senato il 9 luglio 2009 da Diabete Italia e dall’ “Associazione parlamentare per la tutela e promozione del diritto alla prevenzione”. Già questa prima stesura ha visto coinvolte le Associazioni di Volontariato delle persone con diabete ((Agd Italia, Aid, Aniad, Diabete Forum, Fand, Fdg, Jdrf oggi Ardi, SOStegno70) oltre alle Società Scientifiche di Diabetologia (AMD e SID) e OSDI. Il Manifesto è stato formulato tenendo conto : – della Dichiarazione dei diritti dell’uomo; – della Costituzione italiana; – della Carta europea dei diritti del malato (promossa da ACN, rete europea di Cittadinanzattiva); – dei risultati dello Studio DAWN. L’obiettivo era di trasformare i principi generali in diritti concreti e di indicare le strade da intraprendere. Il primo documento era formato da 11 sezioni: : Diritti della persona con diabete, Aspettative e responsabilità della persona con diabete e dei familiari, Educazione continua della persona con diabete, Dialogo medicopersona con diabete, Controllo del diabete, Prevenzione del diabete, Impegno nella ricerca, Associazionismo responsabile, Diabete in gravidanza, Diabete in età evolutiva, Immigrazione e diabete. Il Manifesto dei diritti della persona con diabete ha avuto una larga eco: molte Associazioni lo hanno pubblicizzato; è stato frequentemente utilizzato come strumento da usare nel dialogo con le Istituzioni. A volte si è cercato di farlo recepire dalla Regione o dalle ASL, sperando di poter richiamare poi l’Istituzione all’impegno preso (in realtà con scarso successo). Richiamandosi ai diritti della persona, il Manifesto implicitamente richiedeva l’uniformità su tutto il territorio italiano di tutte le azioni in esso indicate e candidava le Associazioni a un ruolo di controllore di queste azioni. Il Manifesto, così aderente alla realtà culturale, sociale e assistenziale italiana, è per sua natura un documento destinato ad evolversi negli anni, anche in considerazione dei cambiamenti contestuali che si verificano. I promotori (Diabete Italia, Comitato per i diritti delle persone con diabete, Italian Barometer Diabetes Obsevatory Foundation) hanno così deciso di procedere ad un suo aggiornamento e rilancio che ha portato al recepimento, da parte della Conferenza Stato Regioni prima, e delle singole Regioni dopo, del Piano Nazionale Diabete. Il 13 aprile del 2015 viene presentato il “Manifesto dei diritti e doveri delle persone con Diabete” con i 13 punti che lo caratterizzano; sono stati aggiunti Il diabete nell’anziano e Territorio e Diabete (due ambiti rilevanti anche dal punto di vista sociale). Ma la differenza sostanziale sta già nel titolo “Manifesto dei diritti e dei doveri della persona con diabete” infatti la nuova versione rappresenta un momento di auto-verifica per le Associazioni e un punto di partenza per il dialogo con l’Istituzione, facendo superare all’associazionismo la logica di “rivendicazione sindacale” per assumere il ruolo di rappresentanza efficace a livello delle Istituzioni; ruolo peraltro sottolineato dal Piano Nazionale Diabete. Il 4 Marzo 2019 un gruppo di lavoro, coordinato dal Presidente dell’ Hub for International Health Research e composto da tutte le Associazioni Pazienti rappresentate a livello nazionale, assieme ai Rappresentanti delle Associazioni Pazienti coinvolti nella stesura del Manifesto nel 2009, si è riunito in occasione dei 10 anni dei Manifesto e ne ha riapprovato i 13 punti, apportando minime precisazioni per renderlo ancora più coerente con la situazione attuale. Oggi il Manifesto dei diritti e dei doveri della persona con diabete rappresenta uno strumento di Advocacy per tutte le associazioni di volontariato che operano nel mondo del diabete: questo è il significato che Diabete Italia dà al Manifesto nel 2019. Al gruppo di lavoro hanno preso parte: Diabete Italia, FAND, FDG, ANIAD, AID, AGD Italia, Diabete Forum, A.R.D.I Italia, CLAD Lombardia, Sostegno 70, Federdiabete Lazio, Cittadinanzattiva, Ministero della Salute, Federazione Diabete Toscana, Comitato nazionale per i diritti della persona con diabete, In occasione della Giornata Mondiale del Diabete 2020il Manifesto è stato inviato al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della Salute dal parte dell’Intergruppo parlamentare Obesità e Diabete come atto di sensibilizzazione delle istituzioni per tutelare l’assistenza alle persone con diabete durante l’emergenza socio sanitaria dovuta al COVID 19. Questa emergenza infatti ha ridotto notevolmente l’accesso alle cure specialistiche per le persone con diabete, come mostrato dai dati di AMD (A. Nicolucci et al., figura 1) e che potrebbe avere conseguenze negative a breve, medio e lungo termine sulla salute e sulla qualità di vita di queste persone.
Figura 1

MANIFESTO DEI DIRITTI E DEI DOVERI DELLA PERSONA CON DIABETE
1. Diritti della persona con diabete
2. Aspettative e responsabilità della persona con diabete e dei familiari
3. Associazionismo responsabile
4. Prevenzione del diabete
5. Controllo del diabete
6. impegno nella ricerca
7. Educazione continua della persona con diabete
8. Dialogo medico-persona con diabete 9. Diabete in gravidanza
10. Diabete in età evolutiva
11. Diabete nell’anziano fragile
12. Immigrazione e diabete
11. Diabete nell’anziano fragile
12. Immigrazione e diabete
13. Territorio e diabete
14. Inerzia clinica
15. Diabete ed emergenze sanitarie e catastrofi naturali
I CAMBIAMENTI
