26 minute read

Prefazione degli editors in chief

Next Article
Country Report

Country Report

Renato Lauro

Presidente IBDO Foundation Paolo Sbraccia

Vice Presidente IBDO Foundation e Coordinatore dell’Italian Obesity Barometer Report

Spesso ci si interroga su quali siano le iniziative più idonee che possono garantire efficacia e risultati nella lotta all’obesità e tutti sono concordi nel sostenere che la prevenzione sia ancora da considerare come un caposaldo sul quale basare le politiche sanitarie. Una prevenzione che riguarda sia la popolazione generale che le persone ad alto rischio alle quali vanno offerte assistenza e trattamenti adeguati. Ma la prevenzione senza risorse adeguate rimane solo un buon proposito e le politiche correlate restano delle chimere soprattutto nella lotta all’obesità. L’obesità rappresenta oramai un problema enorme di salute pubblica e di spesa per i sistemi sanitari nazionali, spesa che diverrà insostenibile se non vengono adottate politiche di prevenzione adeguate, non disgiunte da programmi di gestione della malattia in grado di contenere il fardello delle comorbidità (diabete, ipertensione, dislipidemia, malattie cardio- e cerebrovascolari, tumori, disabilità). Il mondo sta vivendo una trasformazione epocale di tipo demografico, sociale, economico e ambientale. L’epidemia dell’obesità e delle malattie non trasmissibili, insieme all’invecchiamento della popolazione, minaccia seriamente i sistemi sanitari. Per pensare di avere successo nel fronteggiare questa sfida bisogna agire in modo diverso dal passato ed essere in grado di concepire policy aggressive e coraggiose. Per noi e per le generazioni future è giunto il momento di mettere in pratica i buoni propositi indicati in molte delle policy nazionali ed internazionali degli ultimi 15 anni che sono serviti più a sensibilizzare che ad attuare. In Italia, i dati ISTAT, ci indicano che ci sono oltre 22 milioni di italiani sovrappeso e 6 milioni di obesi e questo si traduce in un costo annuo di ben 22,8 miliardi di euro, dei quali il 64% per ospedalizzazioni Sebbene dal 2000 in poi si sia assistito ad una lenta ma progressiva presa di coscienza dei governi del mondo occidentale sull’esigenza di dare risposte concrete alla pandemia di obesità, le politiche intraprese non sono apparse in grado di incidere concretamente sull’evoluzione del fenomeno. L’Italian Obesity Barometer Report 2020, realizzato da IBDO Foundation incollaborazione con ISTAT e CORESEARCH e il contributo di esperti, evidenzia non solo i dati italiani e globali dell’obesità, ma prende anche in esame le politiche sanitarie di contrasto all’obesità intraprese in Italia permettendo una analisi critica che permette di evidenziare i risultati e i limiti delle strategie attuate. L’ambizione del report e dell’azione complessiva dell’IBDO Foundation è quello di animare il dibattito tra i vari “attori” coinvolti nella lotta all’obesità, partendo dai dati disponibili, per arrivare a trovare soluzioni che migliorino la qualità di vita delle persone con obesità.

Il Punto di vista delle Istituzioni

Roberto Pella

Presidente Intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete” Vicepresidente vicario ANCI e Sindaco di Valdengo

Le città coprono soltanto il 2% della superficie terrestre ma rappresentano l’evoluzione futura del nostro mondo. Sono i luoghi che già oggi ospitano il 54% della popolazione globale, consumano il 78% dell’energia prodotta a livello mondiale e sono responsabili del 60% delle emissioni inquinanti del pianeta. Al contempo, le aree metropolitane producono più di due terzi della ricchezza mondiale, anche in termini di innovazione e sviluppo culturale e sociale le cui tendenze si riverberano positivamente su territori che si estendono ben al di là dei confini della città che li produce. Anche l’Italia sta vivendo questo processo di urbanizzazione, in una permanente tensione tra coloro che vivono nelle aree interne, montane o rurali, e nei piccoli comuni del Paese e il trend, in crescita, del 34% della popolazione che risiede nelle 14 aree metropolitane. Si tratta, per queste ultime, dei territori più dinamici a livello nazionale, tali da poter svolgere una funzione di traino nella crescita del Paese. In termini demografici, ad esempio, queste aree mostrano, un incremento del 12% di famiglie residenti in 10 anni, dato superiore a quello nazionale del 2,2%. In termini economici, le Città Metropolitane, al momento della loro costituzione, producevano oltre un terzo del PIL nazionale e presentavano un tasso di incremento delle imprese positivo. Un potenziale di innovazione sostenuto dalla concentrazione di infrastrutture per l’istruzione e la ricerca scientifica, dalla connessione in banda ultra larga, da un’organizzazione logistica di molto superiore al livello medio del Paese. Al contempo, tuttavia, si tratta anche dei territori in cui più acute sono le sfide relative all’inclusione sociale, alla sostenibilità ambientale, alla rigenerazione urbana e alla salute dei cittadini. Scegliere di partire da queste considerazioni, alla luce della volontà di occuparci di obesità in qualità di decisori politici e amministratori pubblici, ci spinge a interrogarci su quanto il contesto di vita e di lavoro – il contesto urbano in questo caso, determini i fattori di rischio per la prevalenza e l’insorgenza della malattia e sul tipo di approccio, multidisciplinare e multilivello, che dobbiamo adottare nel momento in cui decidiamo di affrontarne la cura e la prevenzione dell’obesità nel rispetto delle responsabilità politiche che ricopriamo. È sulla base di tali premesse che, nel corso di questa XVIII Legislatura, insieme a un gruppo di Deputati e Senatori appartenenti a tutti i gruppi politici, ho inteso costituire l’intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete” che s’impegna per dare impulso e concretezza, attraverso gli strumenti legislativi a disposizione degli organismi parlamentari, alle istanze provenienti da tutti i soggetti operanti nel mondo dell’obesità, intervenendo specificamente su determinanti e fattori di rischio in ambito urbano. La struttura dell’Intergruppo, che include al proprio interno un Comitato Sociale e un Comitato Scientifico di cui IBDO è parte qualificante con ruolo di coordinamento, intende coinvolgere tutte le Istituzioni, anche a livello locale, per rendere partecipi del processo conoscitivo, informativo e decisionale tutti i cittadini. Il primo importante risultato che abbiamo raggiunto è stato l’approvazione, lo scorso 13 novembre 2019, di una Mozione: un atto parlamentare, adottato all’unanimità, che ha avuto la forza di impegnare il Governo sul riconoscimento dell’obesità come una malattia, sulla redazione di un Piano Nazionale e sull’attivazione di campagne e azioni divulgative a contrasto dello stigma. Il II Italian Obesity Barometer Report è il documento fondamentale, a livello nazionale, di cui disponiamo per assumere la consapevolezza delle proporzioni che hanno raggiunto i numeri sull’obesità in Italia, con particolare riferimento all’età infantile e adolescenziale, ed é lo strumento più efficace per sensibilizzare il dibattito politico e l’opinione pubblica sul tema, a partire da dati univoci, elaborati e interpretati secondo un modello multifattoriale determinante l’obesità. Per sconfiggere quella che sia l’Organizzazione Mondiale di Sanità sia l’European Association for the Study of Obesity hanno ripetutamente definito “un’emergenza sociosanitaria”, destinata a crescere nel continente Europeo, dobbiamo lavorare per offrire strumenti di cura e prevenzione che passino per una migliore pianificazione di città in salute e per la salute. E per garantire altrettanti strumenti per combattere fenomeni discriminatori, adeguando il nostro linguaggio e i nostri atteggiamenti, oltre ai piani di salute pubblica, aumentando la consapevolezza dei diritti della persona con obesità e migliorando la nostra conoscenza dell’impatto che l’obesità ha sulla salute delle persone con obesità, dei loro famigliari e dei caregivers. Le città potranno essere, a questo scopo, perfetti laboratori all’interno dei quali agire fattivamente per renderli salutari e inclusivi per ciascuno, in particolare nei contesti

dove è testimoniata una maggiore fragilità sociale. Studiare e monitorare le diverse dimensioni che determinano il livello di qualità di vita nelle città, e riflettere su come migliorarne vivibilità, sostenibilità e capacità di crescita e inclusione, è fondamentale per poter prevenire le esternalità in termini di salute pubblica. Ai decisori politici, a tutti i livelli istituzionali, spetta il ruolo di determinare un nuovo modello di governance in grado di gestire tale complessità e garantire nel tempo la sostenibilità delle scelte adottate per farvi fronte, per costruire città che vogliano dirsi resilienti per quelle generazioni che devono ancora venire e che tutti siamo chiamati a far progredire.

Gian Carlo Blangiardo

Presidente dell’Istat

Con la pubblicazione di questo secondo Barometro italiano dell’Obesità, viene messo a disposizione del pubblico uno strumento che unisce alla elevata qualità dei dati, molto dettagliati e aggiornati annualmente, e all’accuratezza dell’analisi, anche una notevole capacità comunicativa e divulgativa.

L’Istat, che collabora da tempo con la Fondazione IBDO, contribuisce al Rapporto mettendo a disposizione informazioni ed elaborazioni mirate, fondate anche su serie storiche, che consentono di tracciare le profonde trasformazioni avvenute negli ultimi decenni in questo delicatissimo aspetto della vita delle persone.

Il nostro Istituto è particolarmente attento ai temi del benessere, della salute, degli stili di vita, delle politiche e dei servizi sanitari. Siamo impegnati a fornire le basi conoscitive necessarie per raggiungere il traguardo della salute per tutti, per contribuire a contrastare e azzerare le disuguaglianze, anche profonde, che ancora caratterizzano il nostro Paese: disuguaglianze di genere, geografiche, di età, di reddito, di livello di istruzione, che si riverberano tutte sulla salute e sulla qualità della vita.

La questione dell’obesità rappresenta una preoccupazione prioritaria, una seria ipoteca sul nostro futuro. Tra i 12 indicatori di benessere e sostenibilità che sono entrati a far parte del ciclo di programmazione della politica economica del Governo, è stata inserita anche la percentuale di cittadini in eccesso di peso. Inoltre, nell’ambito delle statistiche internazionali che consentono di monitorare i progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile (i Sustainable Development Goals - SDGs), la prevalenza dell’obesità è inserita tra gli indicatori del secondo obiettivo (Fame Zero).

Le statistiche sociali prodotte dall’Istat tracciano un ritratto continuamente aggiornato delle condizioni di salute, delle abitudini alimentari e degli stili di vita della popolazione, con particolare attenzione al consumo di alcol e al fumo; della loro propensione a praticare attività motorie, fisiche e sportive, nonché della salubrità negli ambienti domestici e di lavoro. Fin dagli anni Novanta, rileviamo annualmente informazioni circa l’eccesso di peso nella popolazione adulta e dal 2000 ciò è stato esteso anche ai minori, con dettaglio territoriale almeno a livello regionale. Questo ci ha consentito, tra le altre cose, di mettere a fuoco l’evoluzione dei comportamenti e seguire nel tempo la condizione di bambini e ragazzi, che si è andata trasformando anche in corrispondenza di cambiamenti nella struttura familiare, nella organizzazione del lavoro, delle scelte di consumo. Oggi, in Italia, un minore su quattro, fra 3 e 17 anni, è in eccesso di peso e oltre il 46 % della popolazione adulta è decisamente in sovrappeso o obesa, con un aumento di incidenza che è stato circa il 30% nell’arco degli ultimi 30 anni. Tuttavia solo un terzo di questo incremento può essere attribuito all’invecchiamento della popolazione. Le nostre fonti documentano come l’eccesso di peso si accompagni regolarmente a situazioni di svantaggio culturale, economico e sociale e come siano profonde e persistente le differenze tra gruppi di popolazione e nei territori. I nostri strumenti sono continuamente rinnovati e sempre più capaci di integrare informazioni derivanti da più fonti: indagini, archivi amministrativi, perfino Big Data. Questo ci permette di rispondere sempre più efficacemente alla complessità dei fenomeni, ai loro rapidi mutamenti, di rilevare l’impatto dei diversi contesti familiari, territoriali, socioeconomici sul benessere e sulla salute, offrendo così ai decisori pubblici un supporto conoscitivo adatto a disegnare misure mirate, incisive, flessibili e di lungo periodo.

Il Rapporto del Barometro Italiano della Obesità è una prova eccellente di equilibrio fra l’alto livello tecnico delle informazioni e l’immediatezza e l’accessibilità dei messaggi essenziali che rivolge ai lettori non tecnici. Esso costituisce per noi un esempio encomiabile di buona comunicazione scientifica per una buona causa.

Walter Ricciardi

Direttore Osservatorio Nazionale per la Salute nelle Regioni

Obesità: una nemica da combattere

Sovrappeso e obesità, congiuntamente alla scarsa attività fisica, influenzano in maniera importante lo stato di salute della popolazione. Sono, infatti, tra i principali fattori che determinano l’insorgenza di patologie non trasmissibili (Non Communicable Diseases-NCDs) tra le quali le malattie ischemiche del cuore, l’ictus, l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito tipo 2 e l’osteorartrite. Tali patologie rappresentano sempre più la principale causa di morte a livello mondiale, nonché un enorme costo economico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità si è da tempo mobilizzata per affrontare il problema delle NCDs, richiedendo ai singoli Paesi di rafforzare il loro impegno mediante una leadership strategica che punti alla prevenzione. In particolare, i Governi e le comunità sono invitati ad agire sui fattori di rischio mediante opportune scelte politiche da applicare a tutti i livelli. La prevenzione è un importante cardine su cui concentrare gli sforzi; si calcola, infatti, che per 1$ dollaro investito in interventi di comprovata efficacia per la riduzione delle NCDs è possibile ottenere un guadagno di 7$ derivante da migliori condizioni di salute e riduzione della morbi-mortalità. L’alimentazione e l’attività fisica sono, sicuramente, fattori di resilienza verso il rischio di insorgenza di NCDs. Fare una stima del costo dei cattivi stili alimentari e della scarsa attività fisica è difficile, nonostante sia chiaro il loro legame con un aumento nella spesa sanitaria. Mentre ciò che è noto è la quota di esposti al rischio a causa dell’eccesso di peso tra gli adulti e, soprattutto, tra i bambini e gli adolescenti. L’eccesso ponderale rappresenta, a livello mondiale, il 5° fattore di rischio per decessi, determinando ogni anno la morte di circa 2,8 milioni di persone ed è strettamente condizionato da fattori ambientali e socio-economici e da stili di vita per la gran parte modificabili. L’obesità a livello mondiale è considerata una vera e propria epidemia: in 30 anni il fenomeno è più che raddoppiato. Anche in Italia, i numeri riconducibili alle cattive abitudini alimentari e alla sedentarietà presentano un quadro preoccupante e meritevole di porre in atto delle misure preventive per arginare la problematica. I dati italiani più recenti disponibili, relativi al 2017, mostrano come nel nostro Paese più di un terzo (35,4%) della popolazione di età 18 anni ed oltre sia in sovrappeso, mentre poco più di una persona su dieci (10,5%) sia obesa. L’eccesso ponderale interessa, quindi, complessivamente il 45,9% della popolazione, quasi la metà della popolazione adulta. Ugualmente preoccupante risulta essere la problematica dell’eccesso di peso nei minori che riguarda, in Italia, il 24,2% dei ragazzi di età compresa tra 6-17 anni. Di questi si stima che più di un terzo dei bambini e più della metà degli adolescenti in sovrappeso mantengano la condizione anche da adulti. Le Linee Guida per una sana alimentazione assegnano un ruolo centrale alla varietà di alimenti. Tra i diversi gruppi alimentari spiccano, in modo particolare, Verdura, Ortaggi e Frutta (VOF). Per tali alimenti vi sono, infatti, forti evidenze di associazione con la riduzione del rischio di malattie cardiovascolari e risultano importanti per la capacità di veicolare sostanze antiossidanti nell’organismo umano. Alla luce di ciò e in riferimento alle indicazioni internazionali, consumare giornalmente 5 porzioni e più di VOF rappresenta un obiettivo di politica nutrizionale ed è, perciò, oggetto di sorveglianza. I dati del 2017 mostrano come circa tre quarti della popolazione di età 3 anni ed oltre consumi giornalmente frutta (74,9%); più basso risulta, invece, il consumo di verdura (53,1%) e di ortaggi (46,4%). Complessivamente, la quota di popolazione che assume almeno 1 porzione di VOF al giorno si attesta su 83,3%. Il consumo è maggiormente diffuso nelle regioni del Centro-Nord per quanto riguarda la verdura e gli ortaggi, mentre al Meridione e al Centro si osservano prevalenze più elevate per il consumo giornaliero di frutta. Nonostante ciò, l’Italia è ancora lontana dal benchmark delle 5 porzioni giornaliere. Infatti, il consumo si attesta, principalmente, tra le 2-4 porzioni con alcune regioni (PA di Bolzano, Calabria, Campania, Sicilia e Molise) nelle quali circa un quarto della popolazione consuma solo 1 porzione al giorno di VOF. Tenendo in considerazione i risvolti che l’obesità determina in termini di morbi-mortalità, è chiaro come la situazione possa rappresentare un vero allarme per la Sanità Pubblica e sia meritevole, quindi, di attenzione a tutti i livelli. Il problema dell’eccesso di peso presenta delle differenze per quanto riguarda il genere colpito (prevalentemente maschile), l’età (al crescere della quale aumenta la percentuale di popolazione in condizione di eccesso ponderale) e la distribuzione geografica con il ben noto gradiente Nord-Sud (le regioni del Mezzogiorno presentano una più alta prevalenza). In un Paese come l’Italia, che può vantare una cultura secolare del cibo, con un modello di dieta, la Mediterranea, oggetto di numerose pubblicazioni scientifiche che ne dimostrano i tratti benefici, la situazione fin qui delineata non è accettabile. Serie politiche di prevenzione e di gestione del fenomeno sono necessarie per migliorare lo stato di salute della popolazione. Il problema va affrontato nella sua complessità, non puntando solo sul ruolo delle Istituzioni, ma responsabilizzando la popolazione e promuovendo lo sviluppo di una forte cultura della prevenzione e di educazione ai corretti stili di alimentazione.

Ketty Vaccaro

Direttore Welfare e Sanità Fondazione CENSISi

La dimensione sociale dell’obesità

Nella nostra attuale concezione della salute, così legata alla centralità del ruolo individuale, la dimensione sociale appare davvero centrale. In essa, infatti, uno degli aspetti più enfatizzati è proprio la responsabilizzazione di ognuno: ciascuno, con le sue caratteristiche specifiche e le risorse anche sociali, economiche e culturali di cui dispone, viene considerato il protagonista della promozione e del mantenimento della propria salute, attraverso comportamenti di controllo di fattori di rischio e scelte di adesione a stili di vita sani. In questo contesto, l’obesità si trova al centro di una operazione culturale che ne enfatizza la dimensione negativa e determina lo stigma sociale nei confronti dei soggetti che ne sono affetti. Si tratta di un meccanismo legato a due aspetti convergenti. Un primo elemento è relativo alla distanza dell’obeso dall’immagine corporea considerata desiderabile socialmente, che è quella del corpo snello e atletico, l’altro, al fatto che la condizione di obesità, con le difficili condizioni di salute che spesso l’accompagnano, viene attribuita allo scarso impegno del soggetto obeso nella scelte di promozione della sua salute. La centralità nell’immaginario collettivo di un archetipo di corpo snello, spesso coincidente con un corpo sano, è testimoniata da vari indicatori, uno per tutti può essere qui richiamato, tratto da una indagine Censis del 2018 relativa alle donne italiane dai 45 ai 65 anni. Solo il 22,3% del campione afferma di piacersi così come è, e sempre alla desiderabilità del corpo magro è riconducibile quel 42% di donne che nell’ultimo anno ha seguito una dieta per perdere peso. E sono proprio i determinanti sociali della condizione di obesità, come lo status socio-economico che certo impatta sulle opportunità di vita e di alimentazione sana, insieme ai condizionamenti psicologici ed alle vulnerabilità culturali, che finiscono per venire ignorati. Eppure, i quasi 2 milioni di italiani rilevati dal Censis nel 2017 che si definiscono “amanti dello junk food”, così come i cosiddetti “ingordi”, 1milione e 200mila italiani che tendono ad abusare in termini di quantità di cibo, sebbene caratterizzati da classi di età molto diverse (da una parte i più giovani, dell’altra gli over 64enni) hanno una caratterista comune, che è l’appartenenza a livelli socio culturali meno elevati. Il prevalere di un modello culturale egemonico e di una immagine sociale negativamente connotata spiega anche i dati rilevati in una recente indagine del Censis, secondo cui un terzo della popolazione totale, circa 21 milioni di Italiani, ha affermato di ritenere giusto che le persone che compromettono la propria salute a causa di stili di vita nocivi, come i fumatori, gli alcolisti, i tossicodipendenti e anche gli obesi siano penalizzati con tasse aggiuntive o limitazioni nell’accesso alle cure del Servizio sanitario. La penalizzazione si lega alla supposta carenza di impegno personale, mentre la bassa adesione al modello estetico prevalente e desiderabile traghetta i soggetti obesi nella categoria dei soggetti “diversi”, di coloro che non si omologano alle indicazioni dominanti. Non è un caso che soprattutto i giovani obesi si ritrovino spesso al centro di episodi di bullismo e cyberbullismo. I dati che raccolgono le opinioni di oltre 900 Dirigenti scolastici, relativi al 2018, mettono in luce come episodi particolarmente ricorrenti nella quotidianità del vissuto scolastico siano proprio gli episodi di bullismo (indicati dal 75,9% degli intervistati) e di cyberbullismo (67,3%). Particolarmente interessanti sono le indicazioni sulle vittime più comuni, che sono i ragazzi più deboli psicologicamente, sia nel caso del bullismo per così dire tradizionale (86,0%) sia nel caso del cyberbullismo (78,0%), ma anche i non omologati rispetto al gruppo (rispettivamente nel 55,0% e nel 52,4% dei casi). Pregiudizi e stigma sociale possono continuare nelle fasi successive della vita della persona obesa, ed anche nell’accesso all’attività lavorativa e nelle possibilità di progressione di carriera, il weight bias (pregiudizio sul peso) continua a creare anche in età adulta difficoltà e discriminazioni. Dal punto di vista sociale questa condizione si trova, dunque, in una posizione scomoda, in bilico tra una sorta di condanna sociale più o meno implicita ed una altrettanto marcata tendenza a sottovalutarne la complessità e le implicazioni non solo cliniche ma anche esistenziali. L’obesità ha dunque bisogno di essere analizzata ed affrontata tenendo conto delle sue caratteristiche di malattia a forte impatto clinico e sociale, che come tale richiede un approccio multidimensionale, in grado di coniugare le risposte sanitarie ed assistenziali con una nuova attenzione alla dimensione psicologica e culturale.

Aandrea Lenzi

Presidente del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita (CNBBSV) della Presidenza del Consiglio dei Ministri Coordinatore Italia dell’Obesity Policy Engagement Network (OPEN)

Obesità una sfida per tutti

Solo all’inizio del terzo millennio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità a livello europeo, comincia ad interrogarsi sull’impatto che l’obesità poteva a vere sui rischi della salute e sulle generazioni future, pubblicando European Health Report 2002 che di fatto accendeva un faro sull’obesità come vera e propria epidemia che riguardava tutto il ”vecchio continente”. Il rapporto evidenziava come l’obesità era un problema sanitario evidente ma fortemente sottovalutato nelle politiche sanitarie di tutti i governi. Molte Nazioni avevano dati preoccupanti con più della metà della popolazione adulta sovrappeso e più i un quarto obeso. Ma il report poneva l’accento sulla rapida crescita dell’obesità infantile con chiare conseguenti sulle generazioni future. Il report apriva di fatto uno squarcio spostando di fatto l’ago dell’attenzione dall’aspetto meramente estetico a quello clinico, sociale e politico-sanitario. L’obesità cominciava ad essere vista come una nuova minaccia per la sostenibilità dei sistemi sanitari, soprattutto per il fardello di comorbidità correlate. Un problema nuovo che affondava le radici non solo negli aspetti genetici, già osservati a livello di ricercatori, ma in una generazione cresciuta in una bolla di sviluppo urbanistico, tecnologico e alimentare che di fatto hanno finito per produrre rapide mutazioni a livello metabolico nella generazione cresciuta nel dopoguerra. Una generazione più propensa a stili di vita sedentari, dove l’attività motoria veniva sostituta da una mobilità su mezzi di locomozione sempre più tecnologici. Il camminare, il correre, l’andare in bici veniva sostituito dall’automobile, dalle motociclette, dalla metropolitana. La tecnologia forniva alle nuove generazioni nuove comodità sconosciute nei propri genitori. Il telecomando diventa un propagine del proprio corpo, l’ascensore uno strumento di mobilità del proprio corpo. Una generazione vittima e protagonista di uno sviluppo urbano, spesso irrazionale e che finiva per creare città di fatto obesogene. Una generazione che modificava rapidamente il proprio modo di alimentarsi, che approcciava i pasti in maniera differente da quella dei propri genitori. Dalla privazione si passava all’abbondanza, il gusto veniva sostituito dalla golosità, nascevano nuove tipologie di fornitori di cibo, i fast-food diventavano la maniera rapida ed economica per nutrirsi, sviluppando allevamenti intensivi e spostando l’aspetto dietetico-alimentare sulle proteine nobili della carne rispetto a quelle di provenienza vegetale, finendo per generare un vero tsunami alimentare. I bambini e gli adolescenti sostituiscono, nella loro alimentazione, frutta e verdura con merendine, patatine fritte, hamburger, finendo per dimenticare e non conoscere la stagionalità di quanto ”madre terra” ci dona attraverso i prodotti agricoli. Il “contagio sociale” finisce per alimentare l’obesità, con una epidemia si espande sulle influenze sociali, le norme comportamentali, finendo per condizionare l’immagine che ciascuno ha di sé stesso. Oggi Lancet dice chiaramente che quella visione dell’inizio del secolo, potrebbe diventare un incubo per le generazioni future se non si attuano politiche di contrasto all’obesità. Per la prima volta nella storia dell’umanità potremmo avere una generazione che vivrà meno dei propri genitori. Obesità, denutrizione e cambiamento climatico oggi rappresentano le più grandi minacce per la popolazione mondiale. L’obesità deve essere considerata una malattia che va combattuta con le politiche sanitarie mirate, con una pianificazione urbana migliore, con una promozione di stili di vita salutari e con una clinica in grado di garantire soluzioni terapeutiche sempre più avanzate. La sfida di questo terzo millennio si chiama obesità e i datici indicano come i costi relativi adesso a livello globale sono in aumento e sovrapponibili a quelli derivati dalle guerre, dal terrorismo e all’uso delle armi. Ma affrontare una sfida del genere e vincerla non è possibile se si continua ad agire a silos, dove ognuno è depositario di un pezzo della cosiddetta “verità”. Bisogna passare dalla creazione di network virtuali a quello di network virtuosi, in grado di integrare saperi e competenze, dove le Istituzioni debbono colloquiare con i clinici e le Università, con il tessuto sociale e con l’industria in un modello moderno di cross-sector partnership. Per questo come nel 2002 il report dell’OMS ebbe il merito di far aprire gli occhi sull’obesità, oggi l’Italian Obesity Barometer Report dell’IBDO Foundation, annualmente ha il merito di consentirci di approfondire l’impatto che questa malattia del terzo millennio ha nel nostro Paese.

Iris Zani

Presidente Amici Obesi Onlus

“Insieme - Amici Obesi” nasce nel 2005 per colmare il gap informativo sull’Obesità in quanto malattia istituzionalmente NON riconosciuta e sui possibili percorsi di

cura per affrontarla.

Evolve in “Amici Obesi Onlus” nel febbraio 2015.

Il silenzio e i pregiudizi nei confronti delle persone con obesità, viste come esseri pigri, deboli, poco attendibili, capaci solo di abbuffarsi e privi di auto-controllo, esseri umani di serie B, capaci di suscitare sentimenti di disgusto, di fastidio o, nella migliore delle ipotesi, di pietismo, non sempre permettono di considerarli come malati veri e propri, in qualsiasi ambiente. Questo stigma sociale li costringe quasi sempre alla solitudine e all’isolamento, condizioni che non possono che peggiorare il loro stato d’animo innescando un circolo vizioso che trova nel cibo l’unica fonte di consolazione alle loro sofferenze e frustrazioni. L’unico per colmare il loro vuoto.

Cosa possiamo fare per aiutare le persone con obesità?

La nostra risposta è l’auto-aiuto perché solo chi è stato obeso può comprendere chi ha vissuto o vive sulla propria pelle questo dolore e può capire e conoscere i meccanismi che si innescano. Gli incontri che organizziamo sul territorio, servono a confrontarsi, ad essere di sostegno l’uno per l’altro, a condividere sensazioni e sciogliere nodi emozionali, a sentirsi compresi e, finalmente, parte integrante di un gruppo di persone che realmente può capire il tuo malessere perché lo vive o lo ha vissuto. Attraverso il nostro sito www.amiciobesi.it e soprattutto le nostre pagine Facebook: “Amici Obesi (gruppo fb di

Amici Obesi)”, “La chiusura del cerchio, percorsi di chirurgia plastica postbariatrica o dopo un eccesivo dima-

grimento” ed i diversi gruppi facebook locali le persone possono dialogare, confrontarsi e sostenersi anche online senza mai la pretesa di sostituirsi all’indispensabile lavoro del medico di riferimento.

Se non cambiamo, non cresciamo. Se non cresciamo, non stiamo davvero vivendo.

L’associazione Amici Obesi Onlus ha un grande obiettivo: dare voce alle persone con obesità e liberarle dalla paura di affrontare la malattia favorendo lo scambio e il confronto fra pazienti obesi e/o ex-obesi perché il muro del silenzio e della solitudine sia abbattuto. Vogliamo aiutare tutti coloro che vogliono trovare la strada più idonea per affrontare questa malattia in forma volontaria, nel rispetto del senso civico morale, con un impegno concreto e gratuito. Dopo più di 15anni di attività siamo recentemente giunti a dei grandi ed importanti risultati. L’ottobre scorso, infatti, in occasione dell’evento nazionale “ObesityDay” (che appoggiamo da diversi anni), abbiamo firmato (insieme ad altre 12 organizzazioni scientifiche, politiche e di cittadinanza) la “CARTA DEI DIRITTI E DOVERI DELLA PERSONA CON OBESITA’”. Questo ha rappresentato un grande passo in avanti per dare dignità a persone che fino ad oggi hanno creduto di essere i soli colpevoli della propria patologia. Questo traguardo ci stimola e ci impegna come Associazione a rafforzare il nostro lavoro nel dare piena voce ai nostri diritti, unendo le nostre forze con organizzazioni di cittadinanza, istituzioni, comunità scientifiche, sistema sanitario, persone con obesità, familiari e la società tutta. Lo stigma è un groviglio di informazioni errate sulle persone con obesità, un grumo di pregiudizi e false credenze, un’erronea percezione di questa malattia che bisogna superare. Ed è per questo che l’informazione, la formazione, l’educazione e una svolta culturale sono indispensabili per il percorso di cura al fine di facilitare la consapevolezza sia della persona con obesità che del suo contesto sociale, familiare e medico specialistico, aiutandoli nella comprensione della patologia. L’accesso alle cure per la persona con obesità (che spesso ha anche altre patologie associate) è fondamentale: sono necessari percorsi più articolati, multidisciplinari, graduati in base alla gravità della malattia. Il paziente con obesità deve poter riferire la propria condizione senza essere oggetto di pregiudizi, diffidenze o discriminazioni. Chi vive con l’obesità ha bisogno di una maggiore frequenza delle visite e dei contatti con il personale specialistico, evitando giri burocratici e ritardi nelle prenotazioni, facendo in modo che la persona si senta veramente accolta, presa in carico e motivata a continuare il suo percorso di cura, aderendovi quanto più possibile. Non va dimenticato ovviamente che la persona con obesità deve dimostrare l’impegno in tutto il suo percorso. Deve essere consapevole sin dall’inizio ed in ogni successivo step che non seguire il percorso individuato dagli specialisti peggiorerà la sua salute e qualità di vita. L’Italia ha poi recentemente aderito alla rete “OPEN, Obesity Policy Engagement Network”, una Organizzazione

Internazionale già presente in 13 Paesi del mondo. Amici Obesi Onlus è orgogliosa di far parte di questo team che comprende diverse eccellenze nell’ambito dell’organizzazione politica, amministrativa, economica, scientifica e della società civile e volontariato, all’interno della quale la nostra associazione è considerata la voce

ufficiale delle persone con obesità.

Condividiamo le nostre esperienze, il lavoro svolto, i risultati, gli studi ed i progetti con gli altri paesi coinvolti per un lavoro di sinergia, puntando all’obiettivo del ri-

conoscimento dell’obesità quale malattia e problematica

sociale che porti a un piano d’azione per ogni paese interessato. Grazie a questo arduo lavoro siamo giunti alla presentazione e discussione della “Mozione sulla prevenzione e cura dell’obesità” lo scorso novembre alla Camera dei Deputati. Mozione cui il Governo ha espresso parere favorevole all’unanimità Per le persone con obesità questo significa un grande risultato: finalmente si parla in modo serio e concreto di obesità, finalmente si ascoltano i pazienti, finalmente le istituzioni cominciano a capire che l’obesità non è un problema del singolo ma una problematica sociale, sanitaria ed economica da affrontare pluralmente. Migliorare la qualità di vita delle persone con obesità, investire nella prevenzione, informazione, formazione e cura dell’obesità è un percorso che va affrontato in parallelo con le Istituzioni, soprattutto per combattere lo stigma sociale Tutti questi grandi risultati per noi e per la nostra associazione sono stati possibili grazie all’instancabile e perentorio lavoro della nostra compianta presidente Marina Biglia che in tutti questi anni si è battuta per fare sentire la nostra voce e che fino ai suoi ultimi giorni ha lottato per il riconoscimento dell’obesità come reale malattia. In suo onore continueremo il nostro lavoro assieme a chi ci ha ascoltato non lasciandoci soli ed affinché sia definitivamente “cambiato il modo in cui il mondo vede, previene e tratta l’obesità”.

This article is from: