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CHI BEVE BIRRA camperà cent’anni?

Sono definite come “bioattive” le molecole considerate non indispensabili nella dieta, che hanno la proprietà di determinare un beneficio alla salute, contrastando e/o inibendo la comparsa di alcune patologie. Quando sono presenti in un alimento o in una bevanda, si assiste ad una semplificazione che porta ad estendere le loro proprietà terapeutiche all’alimento che le contiene.

Anni fa fu la volta del resveratrolo, sostanza fenolica assai diffusa nel mondo vegetale con riconosciuta attività cardioprotettiva; isolata anche nei vini rossi sarebbe tuttavia necessario, per raggiungere gli effetti desiderati, un consumo che si potrebbe definire spropositato. Molecole bioattive sono state isolate anche nella birra quasi a voler confermare il proverbio che “chi beve birra campa cent’anni”. Alcune di queste provengono direttamente dalle materie prime, altre sono il risultato dell’interazione e dall’effetto sinergico che si realizza tra di esse. In molti lavori scientifici è stato proposto che l’elevato contenuto di polifenoli sia nel vino sia nella birra contribuisca ad ottenere effetti benefici sulla salute con il vantaggio che la birra, rispetto al vino, presenta mediamente un contenuto alcolico inferiore.

I polifenoli, gli oli essenziali o le vitamine nella birra presenti in concentrazioni maggiori nei luppoli, sono però componente minoritaria tra gli ingredienti della birra e sono, per loro natura, soggetti ad ossidazione e termolabili, il che, tendenzialmente, li porta a perdere parte delle loro proprietà funzionali durante la bollitura del mosto. È anche bene ricordare che ogni varietà, utilizzata per la realizzazione dei differenti stili birrari presenta caratteristiche compositive geneticamente determinate ma che dipendono anche dalle condizioni colturali, dal clima, dalla natura del suolo o dall’altitudine alle quali le piante vengono coltivate. Alla luce di queste evidenze e del fatto che le quantità mediamente utilizzate rispetto agli altri ingredienti sono di poca entità (in alcuni casi 200 g ogni 100 litri di mosto) la tipologia e la concentrazione di sostanze, con attività potenzialmente benefica nella birra finita, sono estremamente variabili.

I benefici del luppolo

Tra le varie molecole presenti generalmente nei luppoli e delle quali sono note le proprietà farmacologiche troviamo la 8-prenilnaringenina, un fitoestrogeno presente anche nella soia o nel trifoglio, che avrebbe un ruolo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, dell’osteoporosi e dei tumori al seno. Secondo alcune sperimentazioni inoltre, quando assunto come integratore alimentare, produce una riduzione significativa dei sintomi della menopausa. È chiaro che si tratta di risultati ottenuti utilizzando molecole in purezza, con quantitativi e protocolli standardizzati sia per la preparazione dei campioni sia delle persone sottoposte al test. Alcuni autori hanno però riscontrato un effetto positivo anche nella riduzione del rischio di malattie cardiovascolari, demenza e di- sturbi cognitivi, derivante dal consumo moderato di birra. Effetto che è stato correlato all’assunzione diretta del fitoestrogeno ed anche dalla possibilità che un suo precursore, sempre proveniente dal luppolo, possa essere convertito in questa molecola dal microbiota del tratto intestinale del consumatore.

Tecnologia produttiva

Anche questo aspetto può avere una influenza nella quantità e qualità di molecole che possono permanere nella forma bioattiva nella birra. Un esempio è rappresentato dalla luppolatura in fermentazione o post fermentazione (dry hopping) che le preserva dall’effetto dannoso delle alte temperature. Quando poi la birra viene sottoposta a rifermentazione in bottiglia, si stima che le cellule di lievito che residuano dopo il processo rilascino una buona percentuale di proteine (45-60%), sali minerali, vitamine del complesso B, β-glucani, oligosaccaridi e altri preziosi componenti. Per quanto riguarda i β-glucani, la parete cellulare, nel genere Saccharomyces sp. ne contiene circa il 55-65%; esiste un’ampia bibliografia che ne sottolinea la funzione immunomodulatoria antitumorale, ed altri effetti come le attività antiossidanti, antimicrobiche e positiva sulla salute delle vie respiratorie superiori. Lo studio della ecologia microbica attraverso l’isolamento, la classificazione e la caratterizzazione tecnologica dei fermenti da matrici biologiche di differenti domini alimentari, come nel caso delle paste acide, rappresenta un altro serbatoio di notevole importanza, in virtù della potenziale produzione di molecole bioattive tra le più diverse.

I probiotici

Un altro dei modi in cui il consumo di birra può essere combinata con l’ideale effetto benefico sulla salute è quello relativo all’uso nel processo di produzione di microrganismi probiotici. Le fonti tradizionali di microrganismi probiotici sono i prodotti lattiero-caseari rappre- sentati da batteri lattici dei generi Lactobacillus, Bifidobacterium, Enterococcus o Streptococcus a cui viene riconosciuto un effetto positivo sulla salute del tratto gastrointestinale.

L’uso di lieviti probiotici nella produzione di birra non è stato studiato in maniera approfondita, ma non mancano casi studio dai quali trarre degli spunti interessanti. In particolare è stata verificata la possibilità di utilizzare un lievito della specie Saccharomyces cerevisiae var. boulardii che ha dimostrato possedere la capacità di proteggere le cellule epiteliali intestinali dalle infezioni causate da batteri come l’Escherichia coli o da quelli appartenenti al genere Clostridium

Resta inteso che secondo le normative vigenti, le bevande che contengano concentrazioni superiori all’1,2% v/v di etanolo non possono essere considerate tra i prodotti probiotici. Pertanto, l’utilizzo di questo microrganismo nella tecnologia brassicola deve necessariamente essere inteso solo nella realizzazione di birre analcoliche.

Aggiunta di mosti

Un’altra possibilità di aumentare la presenza nella birra di sostanze benefiche consiste nell’aggiungere mosti di uva o altre varietà di frutta (fermentate o meno), di spezie o di erbe spesso derivanti dalla tradizione agricola locale.

Una pratica che trova ampia applicazione nel movimento birrario artigianale che, se da un lato permette una notevole diversificazione dell’offerta sul mercato di prodotti diversi, dall’altra amplifica la difficoltà nell’attribuire in maniera generica “alla birra”, nella sua accezione comune, proprietà benefiche. L’aggiunta di uva in ricetta come avviene per alcune birre appartenenti allo stile Italian Grape Ale porta ad aumentare in maniera significativa la concentrazione dei polifenoli in ricetta, e la conseguente attività antiossidante rispetto ad alcune birre industriali. Questo lo osservammo in un lavoro realizzato nel 2014 insieme alla collega Vanna Sanna dell’Università di Sassari, dove confrontammo alcune birre artigianali con mosto d’uva e altre maturate in botte anche con alcuni vini ottenuti da uve sia a bacca bianca sia a bacca rossa.

Birre funzionali

L’ideale potrebbe essere raggiunto con la realizzazione di birre che possano essere considerate alla stregua di bevande funzionali. In Italia sono definite tali quando contengono sostanze con una specifica attività fisiologica, da cui derivi un effetto benefico per la salute. Queste possono includere tra le altre vitamine, minerali, erbe o integratori alimentari e devono essere presenti in quantità significative rendendole riconoscibili per questa funzione dalle altre bevande. Non basterà ovviamente fare riferimento a delle presunte attività benefiche sull’organismo di un determinato ingrediente; sarà invece necessario che questa venga riconosciuta da prove sperimentali certificate e che gli ingredienti siano riportati in etichetta in termini sia qualitativi che quantitativi.

La salubrità alimentare non riguarda solo l’assunzione di molecole potenzialmente benefiche, ma anche il saper evitare quelle potenzialmente dannose. In questo senso, anche le birre senza o con una bassa concentrazione di alcol assumono un sempre maggiore interesse tra i consumatori e proposte con maggiore frequenza anche tra i produttori di birra artigianale.

La diffusione delle birre funzionali ha la possibilità di contribuire a costruire il profilo di un nuovo tipo di consumatore che sarà sicuramente più esigente rispetto alle problematiche legate alla salute. Tuttavia è bene ricordare che la composizione chimica e sensoriale alla base dei profili delle birre analcoliche è influenzata dalla tecnologia che si sceglie di utilizzare per ottenerle. Quelle basate sulla rimozione fisica dell’alcol etilico si dimostrano non selettive determinando un generale impoverimento nel profilo attribuibile alla componente degli esteri, aumentando la percezione acida.

Quando il processo è basato sull’evaporazione, oltre ad una bassa intensità aromatica le birre si caratterizzano per una percezione di un corpo scarso; mentre nel caso delle fermentazioni controllate, gli zuccheri residui rappresentano la frazione sensorialmente più rilevante, indirizzando la percezione sensoriale verso un maggiore corpo. Il compito della ricerca sarà in questo caso prezioso nell’aiutare i mastri birrai ad ottenere prodotti funzionali, di bassa gradazione alcolica, ma con profili sensoriali del prodotto su livelli di elevata qualità. ★

Che siano per calici per la birra artigianale o tumbler per una strawblond, i bicchieri creati da RASTAL sono pensati per enfatizzare l’esperienza multisensoriale del consumatore e al contempo soddisfare le esigenze pratiche dei professionisti della ristorazione.