7 minute read

Fonti proteiche alternative sostenibili

Le tecnologie mettono a disposizione numerose alternative alle proteine animali. Una fonte alimentare è sostenibile quando concilia ambiente, costi e correttezza nutrizionale

Francesca De Vecchi Tecnologa alimentare OTALL e divulgatrice scientifica

Secondo i dati e le elaborazioni dell’ONU, il 15 novembre scorso abbiamo raggiunto la soglia degli 8 miliardi di persone sul pianeta. Nel 2050 – sempre secondo le previsioni – saremo 10 miliardi. FAO avverte che per allora avremo bisogno del 50% di cibo in più, da ottenere riducendo contestualmente la produzione di gas serra e limitando l’aumento delle temperature entro 1,5°C. Dovremo cambiare modello produttivo per garantire cibo a sufficienza, perché i sistemi attuali, in cui le proteine animali rappresentano il principale contributo alle emissioni (in termini di CO2 per 100 g di proteine), non sono sostenibili.

Questo è il presupposto su cui si basa qualsiasi ragionamento sull’innovazione in campo agroalimentare. Dato l’impatto che già oggi sta avendo la filiera dell’allevamento intensivo, in particolare quello bovino, la ricerca sempre più sta cercando fonti proteiche alternative sostenibili per assecondare il crescente desiderio dei consumatori. Una fonte alimentare è sostenibile quando concilia ambiente, costi e correttezza nutrizionale. Su quest’ultimo aspetto è da tempo in atto una presa di coscienza sulla necessità di un bilanciamento della dieta a favore delle fonti vegetali. Le Linee Guida per una sana alimentazione (Crea) consigliano una riduzione dei consumi di carne di pari passo con l’aumento dei consumi di vegetali sia in quantità che in qualità, non solo per aumentare gli apporti di fibra ma anche come fonte proteica alternativa – da bilanciare ovviamente con alimenti che completino l’apporto complessivo.

A livello di popolazione le rilevazioni di questi anni di fatto registrano un aumento delle preferenze verso i cosiddetti plant based food, alimenti vegetali, soprattutto se l’ingrediente vegetale (uno o più) è il costituente principale. In Europa, nel biennio 2018-2020, si è registrata una crescita del 49% nel consumo di prodotti alimentari di origine vegetale, con vendite pari a 3,6 miliardi di euro. Nella primavera del 2021 i dati di vendita dei prodotti a base vegetale, secondo Nielsen Market Track, hanno confermato questo trend nel retail che vede competere grandi multinazionali, da Nestlé a Starbucks, Unilever, Coca-Cola, per non parlare del gran numero di start up in tutto il mondo che si occupano della ricerca e dello sviluppo di nuovi prodotti.

Le Preferenze Dei Consumatori

I consumatori vogliono proteine alternative che siano convenienti, accessibili e buone come i prodotti convenzionali. Nel mese di giugno 2021, ProVeg International – partner insieme ad altri enti di ricerca, università e ONG del progetto europeo Smart Protein, che nell’ambito di Horizon 2020 finanzia la ricerca di fonti proteiche vegetali – ha condotto uno studio, in collaborazione con Innova Market Insights, su più di 7.500 persone in 10 Paesi europei (Austria, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi,

Polonia, Romania, Spagna e Regno Unito) per indagare l’atteggiamento nei confronti del consumo di prodotti vegetali e le attuali abitudini. Il 7% degli intervistati aveva un’alimentazione vegetale, mentre il 30% si definiva flexitariano – seguiva cioè una dieta preferibilmente a base di vegetali con il ricorso sporadico ad alimenti proteici di origine animale.

La ricerca ha evidenziato due tendenze interessanti: poco meno del 40% dei consumatori europei sembra voglia ridurre il consumo di prodotti a base di carne nel prossimo futuro (mentre il 46% di quelli campionati lo aveva già fatto) e circa il 30% pensa di diminuire quello di latticini. Aumenta quindi la curiosità verso le alternative. Secondo la stessa ricerca, infatti, quasi il 30% degli europei è interessato a consumare più prodotti lattiero-caseari e carne a base vegetale (con buona pace delle dispute sulla denominazione legale per questi sostituti) per i quali quasi la metà dei flexitariani (45%) pensa che non ci sia abbastanza scelta nei supermercati, ristoranti, etc., mentre il 50% li percepisce troppo costosi e vorrebbe maggiori informazioni.

La Direzione Della Ricerca

È in questo scenario di cambiamento di abitudini alimentari e di necessità di una transizione verso sistemi di produzione e di consumo sostenibili che si inserisce il progetto Smart Protein (Smart Protein for a Changing World. Future-proof alternative terrestrial protein sources for human nutrition encouraging environment regeneration, processing feasibility and consumer trust and accepta), piano di ricerca finanziato dalla UE e coordinato dall’Università irlandese di Cork, che si prefigge, entro il 2024, di porre le basi per realizzare prodotti proteici innovativi con un impatto positivo su bioeconomia, ambiente, biodiversità, sicurezza alimentare e nutrizione, ma anche sulla fiducia dei consumatori.

Le fonti primariamente prese in esame sono derivate da fave, lenticchie, ceci e dallo pseudo-cereale quinoa: colture “dimenticate” ma che possono soddisfare molti dei requisiti di sostenibilità, secondo Emanuele Zannini, uno dei coordinatori del progetto. Sono adatte alla coltivazione su suolo europeo anche nelle attuali condizioni ambientali, nutrono il suolo migliorando la fertilità. Sono state studiate e selezionate sulla base di un precedente progetto, Protein2food, ormai concluso, sempre finanziato dalla UE.

Tra tutte le colture la quinoa è risultata la più adatta alla coltivazione in

Europa. Ricca di vitamine del gruppo B, magnesio e fosforo, contiene i nove amminoacidi essenziali ed è resistente a condizioni ambientali avverse come la siccità e l’elevata concentrazione di sale. Tutte queste colture sono in Europa sottoutilizzate. “Sono invece importanti fonti di proteine e possono avere un ruolo in una dieta sostenibile”, ha affermato Paloma Nosten, responsabile senior della comunicazione di ProVeg International, che prevede anche la produzione di proteine da biomasse microbiche derivate da funghi commestibili mediante “il riciclo creativo dei flussi di lavorazione laterali dei settori di pasta (residui di pasta), pane (crosta del pane) e birra (lievito esaurito e radichette di malto)”.

UNA FONTE SU TUTTE: I LEGUMI

Trovare proteine alternative a quelle animali è complesso perché sono una fonte eccellente di aminoacidi sia da un punto di vista di biodisponibilità, sia di composizione. Il problema di oggi è quindi come sostituirle, anche parzialmente, in modo da abbassare la pressione sugli ecosistemi mantenendo adeguato l’apporto nutrizionale della dieta.

Per la loro diffusione i legumi, con un contenuto proteico tra il 21 e il 25%, sono ad oggi i più promettenti perché usati ampiamente in ogni parte del mondo. Il loro contributo in termini di CO2 equivalente per unità di massa proteica è di 50-100 volte inferiore, per esempio, a quello della carne vaccina. Per quanto riguarda la qualità nutrizionale delle proteine esiste una grande variabilità. Dal 2013 FAO indica la qualità proteica sulla base del DIAAS (Digestible Indispensable Amino Acids Score), un punteggio basato sulla digeribilità degli aminoacidi essenziali, che pone a 75 la soglia mi- nima di qualità, valore di riferimento al di sotto del quale la proteina non può essere usata come unica fonte proteica.

Lupini e soia (come isolato e come farina), fagiolo azuki, fagiolo mungo verde e arachidi hanno un DIAAS superiore a 75; ceci e proteine concentrate di piselli circa 75; invece per piselli, fave, lenticchie l’indice è inferiore a 75. Le proprietà tecnologico-funzionali dei legumi tal quali sono modeste ma per estrusione, partendo da isolati proteici per lo più di soia o piselli, si ottengono molecole proteiche vegetali con una struttura fibrosa. Variando le condizioni di estrusione è possibile produrre texture diverse; addizionando ingredienti leganti, aromi e coloranti, si ottengono i cosiddetti “analoghi” della carne.

“In alcuni paesi europei, per esempio l’Olanda, questi alimenti rappresentano circa il 20% del mercato dei prodotti a base di proteine animali”, riferisce Edoardo Capuano della Wageningen University (vedi box). Sulla base di diversi indici (CO 2 equivalente, consumo di acqua e suolo) l’impatto di questi prodotti sarebbe inferiore a quello della produzione di carne, ma non dei legumi tal quali (Front. Sust. Food Syst. 2020). Sulla qualità nutrizionale degli analoghi ad oggi sul mercato ci sono ancora pochi dati: i due più diffusi (Beyond Burger e Impossible Burger – il primo commercializzato solo in USA) hanno buoni valori di DIIAS (83 e 107 rispettivamente, in funzione della materia prima, piselli il primo soia il secondo).

Volendo ampliare lo sguardo sugli altri campi di ricerca, alternativa alle fonti vegetali, bisogna citare gli insetti e le proteine ottenute per fermentazione di microrganismi. Tutte queste nel loro insieme sono, per sviluppo tecnologico, conformità normativa e livello nutrizionale, le proposte più coerenti con gli obiettivi di sostenibilità, aggiunge Capuano.

Innovazione

NELL’INNOVAZIONE

Per finire vanno citate quelle che possono essere definite le frontiere della ricerca e che guardano alla produzione di proteine vegetali da fonti non convenzionali. Per esempio le tecnologie che utilizzano batteri

“idrogenotrofi”: microrganismi in grado di usare l’anidride carbonica dispersa nell’aria che, combinata all’ossidazione dell’idrogeno molecolare, permette di ottenere una polvere di proteine da usare come ingrediente per prodotti estrusi. Il processo, già studiato dalla NASA

Alternative Alle Proteine Animali

Nell’ambito di una giornata di studio e divulgazione sul tema delle fonti proteiche convenzionali, alternative e sostenibili organizzata da CREA, Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione, (Fonti proteiche 2050: quale futuro? Roma, 15 novembre 2022) Edoardo Capuano, professore associato in Design of Healthy Foods presso l’Università di Wageningen, ha fatto il punto della ricerca di fonti proteiche alternative a quelle animali convenzionali.

Le fonti alimentari più indagate come proposta alternativa a quelle di stretta origine vegetale sono gli insetti e le proteine ottenute per fermentazione di microrganismi. Queste sono per sviluppo tecnologico, conformità normativa e livello nutrizionale le soluzioni più coerenti – ad oggi – con gli obiettivi di sostenibilità. Efsa ha già dichiarato sicuri per il consumo Locusta migratoria, Tenebrio molitor (larve della tarma della farina) e Acheta domesticus (grillo) (approvato per la vendita sotto forma di polvere parzialmente sgrassata con il regolamento di esecuzione UE 2023/5 della Commissione, pubblicato in Gazzetta Ufficiale comunitaria il 3 gennaio 2023, ndr). Hanno un DIAAS superiore a 50 (determinato su farine di insetto intero) che potrebbe aumentare nel caso di isolati. La prospettiva (per paesi industrializzati) è di essiccarli e usarli come farine da addizionare, per disegnare prodotti con un adeguato profilo proteico. Anche da alcuni microrganismi (batteri, funghi, lieviti, per la produzione di alimenti durante le missioni spaziali, è stato ripreso da alcune start up innovative in USA. A queste si aggiungono le metodiche che permettono di modificare il genoma di organismi microbici (con inserimento di geni ad hoc) per produrre proteine analoghe a quelle animali (per esempio caseina). Promettono alte rese, ma ad oggi sono largamente sperimentali: mancano i dati in base ai quali valutare la reale sostenibilità economica e ambientale del processo, non si conoscono ancora le proprietà funzionali e, cosa fondamentale nel panorama europeo, non esiste una normativa a sostegno che possa costituire un riferimento. “Oggi,” conclude Capuano, “le tecnologie mettono a disposizione numerose alternative alle proteine animali. Occorre però portare la valutazione a un piano più elevato e soppesare, per ognuna delle fonti e in un’ottica di sostenibilità complessiva, anche gli aspetti di opportunità, di sostenibilità economica e di accettazione da parte del consumatore finale”. microalghe), per via fermentativa, è possibile ottenere biomasse proteiche (fino al 70% del peso secco). Un esempio è il micelio del Fusarium Veneatum, che contiene anche beta glucani e chitina. Per estrusione delle proteine isolate si producono prodotti analoghi della carne (oggi presenti sul mercato con il brand QUORN).

Per le microalghe non sono ancora disponibili dati robusti che indichino se la loro produzione è più sostenibile di quella delle proteine animali. Efsa indica come sicure per il consumo umano Spirulina (Arthrospira platensis), Chlorella (Chlorella protothecoides) e Dunaliella bardawil: per ora sono usate per lo più tal quali perché l’estrazione delle proteine contenute nella massa richiede trattamenti tecnologici severi.