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Esportare il made in Italy

Negli ultimi anni i benefici dell’ampliamento a mercati esteri del raggio d’azione dei nostri produttori-esportatori sono stati evidenti, soprattutto verso l’Est Europa e i Paesi Arabi. Eppure, l’internazionalizzazione delle imprese italiane si scontra contro alcune difficoltà comuni, assai difficili da superare

Maurizio Pedrini

Come ben sappiamo - nonostante i brillanti risultati maturati nel tempo - non è affatto semplice, per le PMI italiane del professional cleaning, impegnate nella produzione di tecnologie per la pulizia e la sanificazione professionale, approcciare con successo i mercati esteri. Non lo era in passato, anche se grazie alla tenacia, alla determinazione e alla creatività dei suoi imprenditori, il Made in Italy del settore ha saputo posizionarsi quasi in tutti i continenti; non lo è ora - a maggior ragione - per una molteplicità di problemi che, solo in parte, sono risolvibili con lo spirito e i mezzi degli anni migliori vissuti dalle nostre esportazioni. I mercati esteri sono sostanzialmente diversi da quelli che vediamo sotto i nostri occhi, con le loro normative, talvolta assai diverse dalle nostre, i loro canali logistici, le loro dogane. Se facciamo una panoramica sulle aziende che hanno resistito alla crisi da Covid-19 riusciamo ad isolare quattro principali fattori di successo: innovazione, flessibilità, differenziazione delle attività, internazionalizzazione.

Sull’internazionalizzazione delle imprese italiane del nostro settore ci sarebbe molto da dire: un Sistema Paese complesso e, a volte, incapace di sostenere l’immane sforzo compiuto dalle aziende, lasciate sole nel combattere la sfida con l’agguerrita e talvolta sleale concorrenza delle industrie degli altri Paesi; la carenza di alleanze e reti di imprese capaci di svolgere azioni di marketing e promozione strategica delle nostre produzioni, eccezion fatta per lo sforzo compiuto gli anni scorsi da AFIDAMP e dall’ICE, quest’ultimo peraltro assai altalenante. Non solo: all’interno dell’organico aziendale delle PMI spesso sono assenti le figure dell’Area e dell’Export Manager, o altre dotate di specifiche professionalità deputate a tali compiti. La pandemia di Covid di marzo-aprile 2020 (come riporta ISTAT) ha sì ingenerato un calo dell’export per le imprese italiane, ma ha anche messo in luce il vantaggio di essere una multinazionale. Inoltre, a giugno 2020, l’export è ripreso regolarmente con un notevole rimbalzo che sembra perdurare nel tempo.

I benefici dell’ampliamento a mercati esteri del raggio d’azione dei nostri produttori-esportatori sono stati evidenti, soprattutto verso l’Est Europa e i Paesi Arabi. Eppure, l’internazionalizzazione delle imprese italiane si scontra contro alcune difficoltà comuni. Vediamo di prenderle brevemente in esame: difficoltà a trovare partner locali adeguati. È veramente complesso, infatti, aprire nuovi canali commerciali quando non si sa a quali entità rivolgersi. Non solo in termini di logistica, servizi e distributori, ma anche quanto a referenti veri e propri. Un altro grosso ostacolo è costituito, come accennavamo, dalle normative import/export, che non sono sempre immediate, quindi all’impresa serve una conoscenza approfondita degli Incoterms prima di inaugurare le proprie operazioni estere. Stando ad un’analisi de Il Sole 24 Ore, il 42% delle imprese italiane si ferma di fronte alla contrattualistica, quando si rivolge a mercati esteri. Esiste inoltre il non trascurabile ostacolo legato alla difficoltà della lingua: un particolare non da poco