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Giacomo Deiana

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Nebbioso

Nebbioso

Si chiama “Single” il nuovo album del chitarrista e cantautore. Non vedente dall’età di 12 anni, l’artista sardo unisce le trame strumentali di una chitarra solista alle canzoni che incontrano anche la partecipazione di Andrea Andrillo, Max Manfredi, Pierpaolo Liori e Giuliana Lulli Lostia

“Single” è il tuo secondo album. Vorrei sapere che elementi di novità hai introdotto e percepito rispetto al tuo esordio, e anche la ragione del titolo. Single è la continuazione del mio primo disco. Più che elementi di novità prosegue un discorso. Mentre il primo disco è suonato con una sezione ritmica sempre presente e con tanti strumenti, questo disco è suonato solo con la chitarra. Quindi è un disco completamente diverso, mentre quello è un disco corale, questo è un disco unico con un’unica voce. Magari è più difficile estrimere i concetti ma proprio per questo è stato più affascinante. Single, intanto perché è un disco che suona con un unico strumento, con degli ospiti che vengono a fare visita però la voce è unica e anche perché al momento della scrittura di questo disco era la mia situazione sia sentimentale sia musicale. Come sono andate le lavorazioni del disco? Le lavorazioni del disco sono state rapide e molto rilassate. Forse rapide perché moto rilassate. In

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realtà la maggior parte dei brani sono stati registrati in un solo pomeriggio, in uno studio piccolo, quindi in un ambiente molto intimo. Eravamo io, i microfoni ed Emanuele Pugeddu che è il fonico. E così è venuto molto naturale anche l’inserimento degli ospiti. E’ stato proprio un disco “rilassato”, è la cosa che mi sento di sottolineare: nessuna fretta, nessuna scadenza, e proprio per questo in realtà è stato molto veloce. Vuoi raccontare qualcosa rispetto agli ospiti di questo album? Per quanto riguarda gli ospiti: sì c’è qualcosa da dire. Andrea Andrillo canta “Tutto tramonta”: desideravo sentire una mia canzone cantata da un artista che non fossi io. Il giorno stesso che presi questa decisione andai a teatro a sentire un concerto di Andrea e lì fui folgorato e mi dissi “Questo è un brano per la sua voce”. Non mi sbagliavo perché la sua interpretazione io la trovo assolutamente adorabile, lui è un artista di prima categoria che meriterebbe dei palchi direi internazionali, ma questi sono i tempi e quindi anche i

grandi performer e i grandi artisti hanno spesso dei piccoli pubblici. Però sono felicissimo del lavoro che ha fatto. Max Manfredi non ha bisogno di presentazioni, ci siamo conosciuti sul palco nell’agosto del 2018, durante un concerto che prevedeva la presenza di molti artisti e c’era anche lui. Tra l’altro un aneddoto simpatico: mi venne presentato come “Massimo”, e continuammo a chiacchierare e a farci una birra insieme. Sul palco, quando ha iniziato a cantare ho riconosciuto questa voce, poi ho riconosciuto le canzoni e solo allora mi sono reso conto che si trattava di un cantautore che io seguivo. Poi andammo a cena insieme e più tardi mi venne l’idea che “Il valzer della domenica”, che non avevo ancora scritto, fosse adatta a lui e non mi sono assolutamente pentito, anzi. Pierpaolo Liori, fisarmonicista che ha già collaborato con me nel primo disco e mi segue dal vivo, è un artista dalla sensibilità e dalle competenze molteplici perché lui è anche un bravissimo arrangiatore e compositore, e quindi ogni volta che metto un mio brano in mano sua dice sempre: “Mah, non so, ho provato a metterci lì una cosa, vediamo se ti piace...” ed è sempre una gran figata! Giuliana Lulli Lostia ha nel suo repertorio un mio brano, tratto dal mio primo disco e quindi è stato praticamente automatico nel momento in cui ho deciso di inserire una voce femminile in Serena rivolgermi a lei. Anche perché nell’ultimo anno lei si è presa cura della mia “vociaccia” che se non viene tenuta sotto controllo inizia a fare i fatti suoi. Quindi fa anche un gran lavoro con me come insegnante. Tre nomi di chitarristi che ti hanno cambiato la vita? Desidero dare due risposte a questa domanda. Inizio come Giacomo come persona: il primo nome è Alessandro Cocco, mio cugino, anche se lui non fa il chitarrista di mestiere è quello che mi ha insegnato il giro di do. Il secondo è Pero Alfonsi, il mio maestro, che mi ha mostrato cosa si può fare con una chitarra classica, mi ha portato fino al diploma. A lui devo tanto, anche della mu-

sica che poi ho ascoltato, la mia apertura a generi diversi dal rock e dall’hard rock, dal jazz al jazz acustico, a tutta la musica che si muove tra il classico e l’improvvisazione. Il terzo nome è Flavio Sala, che secondo me attualmente il chitarrista classico vivente più in gamba e più bravo e più completo che c’è. L’ho conosciuto a Siena all’Accademia Chigiana e mi ha aiutato a capire quello che volevo e quello che non volevo fare. Ho capito per esempio che la carriera del concertista classico non era la mia strada e grazie a lui ho preso il coraggio di portare la tecnica e la voce della chitarra classica nella canzone. Parlando di grandi maestri ti faccio tre nomi a bruciapelo: Alirio Diaz, Andrea Braido, Dean Murray, uno dei due solisti degli Iron Maiden. In questi giorni si è citato spesso Cecità di Saramago. Tu che conosci davvero la sensazione come stai vivendo questi giorni e che giudizio hai delle reazioni? Sì, si è citato spesso e onestamente devo dire a sproposito: chi ha letto il libro sa che la cecità di cui parla Saramago è metaforica. Sarebbe stato bene citare già da una decina d’anni questo libro perché la cecità del mondo in cui viviamo non è epidemica e fisica quanto morale. Non sono trascinato dall’ansia di apparire sui social, per far vedere che esisto anche se nessuno mi vede, sto approfittando per stare tranquillo, riprendermi e riflettere su alcune cose importanti. Per esempio sto cercando di ricordarmi e far ricordare alle persone i nomi dei politici che non hanno mai parlato di ricerca, cultura e istruzione. E questo sarà bene ricordarcelo in un futuro perché non si può parlare di ricerca in campo medico solo quando è troppo tardi. Le epidemie erano già previste, non c’era un se ma un quando. Sto tappandomi le orecchie il più possibile e sto cercando di prendere il meglio, riflettendo anche sulla condizione dei lavoratori dello spettacolo che non sono tutelati, vengono chiamati a tenere compagnia al popolo alle ore 18, però poi quando si fa il decreto i lavoratori dello spettacolo non ci sono...

NICOLA DENTI

“Egosfera” è il nuovo disco del musicista, un viaggio strumentale attraverso le allucinazioni di Ekow, personaggio alla ricerca della propria dimensione

Hai un percorso musicale estremamente ricco e prestigioso. Come sei arrivato all’idea di un disco a tuo nome? Ho sempre lavorato con band sia live che in studio e devo dire che la dimensione “band” è molto coinvolgente per la condivisione delle idee, ma avevo bisogno di dare una mia personale visione della musica e la voglia di fare sentire la mia “voce”. Fare tutto da soli è molto impegnativo, ma entusiasmante allo stesso tempo e ho pensato che il modo migliore fosse fare un Crowdfunding; un mio caro amico è uno dei fondatori di BeCrowdy e ho così ho fatto una campagna di raccolta fondi che mi

ha permesso di raggiungere buona parte della cifra che mi è servita per realizzare il disco. E’ stata un’esperienza fantastica, che mi ha dato una carica pazzesca per procedere nel migliore dei modi alla registrazione di Egosfera. Egosfera è un concept album strumentale. Ci spieghi come sei arrivato all’idea del disco e alla sua realizzazione? Ho sempre amato i concept album per il loro potere di trasportarti per la totalità del disco in un’altra realtà, e ho sempre desiderato scrivere un concept come primo album. Il disco parla di Ekow, una persona che soffre di allucinazioni e deliri che parte per un viaggio alla ricerca della propria dimensione simboleggiata da Egosfera. L’idea è partita da un periodo molto negativo della mia vita vissuto parecchi anni fa e avevo bisogno di un modo per parlarne, è stato più forte di me, era una storia che dovevo raccontare, non con le parole ma con la musica. Il progetto è stato congelato per parecchi anni, per i tanti impegni musicali e di insegnamento ed è

sempre stato rimandato, poi un bel giorno di tre anni sono partito con le idee chiare e mi sono posto l’obiettivo di portare a termine l’album, il primo brano che ho ultimato è stato The Project e da lì non mi sono più fermato. Le idee arrivavano in ogni momento della giornata, anche senza lo strumento in mano. E’ stato un anno pieno di creatività che ho sintetizzato in Egosfera, penso di avere scartato altrettanto materiale per scrivere un altro album intero. Forzando un po’ il concerto di Egosfera, non trovi curioso che oggi per cause di forza maggiore siamo tutti un po’ chiusi nella nostra Egosfera, eppure sembra starci così stretta che stiamo riscoprendo l’esigenza di socialità “vera”? Ho sempre visto Egosfera come un concetto più ampio, la dimensione dove trovare il proprio equilibrio, ma non necessariamente un luogo dove siamo da soli con noi stessi. Mi piace pensare che in questo momento siamo tutti in viaggio verso Egosfera, in un qualche modo penso che queste restrizioni ci stiano facendo riscoprire noi stessi, iniziano a mancarci i contatti umani, quelli veri, stiamo ricominciando a dare un po’ più valore alle piccole cose, abbiamo il bisogno di sentirci più comunità. Il mondo non si ferma mai e non abbiamo mai il tempo di pensare, prendiamo questo periodo negativo almeno come una occasione di risveglio collettivo. Nel disco collabori con molti nomi eccellenti. Ti va di parlarci di loro? Prima di tutto ho avuto la fortuna di lavorare con Fausto Tinello e Mirko Nosari che hanno mixato il disco, hanno saputo dare perfettamente carattere e forma a quello che avevo in testa. Il primo

musicista che ho coinvolto è stato Federico Paulovich, batterista dei Destrage davvero incredibile, abbiamo registrato le batterie in un solo giorno e devo dire che ha saputo interpretare fantasticamente ogni brano e soprattutto zero editing, era già tutto perfetto. Ho avuto l’enorme piacere di avere anche Bryan Beller, un mostro vivente del basso che suona con Aristocrats e Joe Satriani, che ha suonato su Awakening, è stato molto emozionante appena ho sentito la linea di basso sul brano, l’ha davvero impreziosito. Mi sono affiancato poi di colleghi bassisti che stimo molto musicalmente con cui ho avuto l’opportunità già di suonare in diverse situazioni sia live che in studio: Anna Portalupi, Emiliano Bozzi Fausto Tinello, Lucio Piccoli e Pier Bernardi. L’ultimo tassello è stato Sbibu, percussionista straordinario che con i suoi interventi mai banali ha reso magici alcuni momenti del disco. Superato il 100% del crowdfunding ho voluto fare un ulteriore regalo a tutti i sostenitori e ho chiesto a John Cuniberti di fare il mastering, il tocco finale della produzione dell’album. Lavorare con lui è stato fantastico, John ha prodotto i più famosi album di Joe Satriani, tra cui Surfing with the Alien, una vera leggenda. E non potevo fare mancare nell’album mio figlio Tobias, l’ho registrato tutte le mattine quando aveva pochi mesi e la sua voce apre e chiude il brano All Good Things. Tre nomi di musicisti contemporanei che stimi particolarmente? Ti cito i primi tre che mi vengono in mente, perché ne avrei davvero troppi da menzionare. Il primo è Steven Wilson, musicista e compositore che apprezzo davvero tantissimo, una discografia pazzesca, non smette mai di stupirmi. Ultimamente ho iniziato ad apprezzare Tosin Abasi, che con i suoi Animal as Leaders sta confezionando dei dischi strumentali davvero molto interessanti e con sonorità innovative. Come non citarti poi uno dei miei idoli, che è Joe Satriani, che per me è rimasto una continua ispirazione fin da quando mio padre mi regalò a 13 anni il suo disco Time Machine.

ROGOREDO FS

Sono in cinque e si vogliono bene: la band lombarda pubblica il singolo d’esordio “Psicosociale” e prepara tutte le “bombe” successive

Partiamo dal (vostro) inizio: come hanno avuto inizio i Rogoredo FS? I Rogoredo FS (o rogoredi, se vogliamo umanizzare il nome) nascono nel novembre 2017, oggi

sono in cinque e si vogliono bene. Esistono due versioni sull’origine del nome, ma la sintesi è che l’abbiamo scelto in metro, di fronte all’insegna dell’omonima stazione, perché in fondo era coerente con quello che volevamo raccontare. In stazione ogni giorno transitano studenti, imprenditori, scippatori, artisti; ci sembrava interessante parlare di ognuno di loro nelle canzoni. Come nasce il vostro singolo d’esordio, Psicosociale?

Psicosociale nasce dall’immediato bisogno che avevamo di raccontare, di chiarire da subito che il nostro obiettivo non era quello di intrattenere gli amici durante gli aperitivi, bensì di spiegare il disagio che un ventenne qualsiasi può ritrovarsi a vivere in un mondo così complesso. E’ curioso pensare che io e Jacopo (il tastierista) scrivemmo la prima bozza del brano tre anni fa. Abbiamo atteso due anni prima di portarlo a maturazione, questo grazie a una line-up

completa e affiatata, oltre all’incontro con il produttore Max Palmirotta. E’ stato lui a incoraggiarci, a insistere sul progetto, e noi l’abbiamo ascoltato: Psicosociale è solo l’inizio, abbiamo già un arsenale di bombe pronte al lancio. Vi chiamate come una stazione, il vostro primo singolo parla di andare “via da qui”, sembra che la fuga sia proprio nel vostro DNA... In effetti può sembrare un paradosso cantare “via da qui” in questo momento di clausura forzata. In realtà fa capire meglio il messaggio della canzone: le prigioni non sono sempre dei luoghi fisici, molto spesso l’incomprensione e il bigottismo sono il materiale migliore per costruire una gabbia. D’altronde non esistono persone dall’anima sedentaria; chiunque su questo pianeta, dal Pleistocene a oggi, è in fuga da qualcosa. Quali sono i vostri punti di riferimento musicali? Domanda difficile! Siamo tutti molto diversi in realtà, Jacopo è un discepolo dei Radiohead, Nicholas adora Justin Vernon, Riccardo ha un tatuaggio dei RHCP e Armando ha venduto l’anima agli Afterhours. Andrea (il batterista) ascolta di tutto, adora i Dream Theater ma sa apprezzare anche la semplicità. Ad ogni modo, la nostra fase creativa origina dalle jam session, in due o in cinque, per poi lasciare spazio alla scrittura. L’unico mantra che siamo tenuti a osservare è: solo testi in italiano! Momento difficile per l’Italia ma per la Lombardia in particolare. Che cosa vi sentite di dire oggi ai vostri concittadini? Per 3/5 della band siamo bioingegneri, crediamo tutti fermamente nella logica e nella statistica: al momento la soluzione più logica è attenersi rigidamente alle disposizioni del governo. I rockers sono noti per la loro lotta alle convenzioni e alle regole, ma di sicuro non è questo il momento giusto per farlo. Invitiamo chiunque abbia una penna, uno strumento musicale o una fotocamera a rispolverare la propria creatività, in modo da recuperare quella “libertà espressiva” che è spesso soppressa dagli impegni lavorativi.

I PROBLEMI DI GIBBO

“Sai dirmi perché?” è il nuovo album della band che nasce sulla spinta di Stefano e Daniele, membri fondatori, e di un personaggio, Gibbo, che non ha paura di mostrarsi fragile

Ci raccontate la band? E chi è Gibbo? La band nasce da un’idea di Stefano e Daniele, un paio di anni fa. Stefano aveva iniziato a scrivere qualche canzone e Daniele era da un po’ che aveva voglia di

realizzare una produzione originale. Abbiamo iniziato a lavorare in studio e a produrre delle demo tape, alle quali hanno collaborato fin da subito anche Alessandro e Carlotta. Sì è creata una bella sinergia e tutto è stato molto spontaneo. A quel punto ci voleva un nome... Ci siamo quindi inventati questo personaggio, Gibbo, come una sorta di nostro alter ego, che a differenza di noi, non ha nessun timore di mostrarsi fragile e interrogarsi sulle contraddizioni del nostro tempo. I suo “problemi” rappresentano questo nostro disagio, nel vedere come in un mondo sempre più connesso, in realtà sembriamo tutti più distanti. Quali sono state le ispirazioni alla base del vostro disco d’esordio? Tutto è nato in primis da un esigenza personale, cercare di capire quello che ci portiamo dentro ogni giorno e osservare il mondo che ci circonda. È difficile mettersi in discussione e ascoltarsi, ma tanto è difficile quanto è necessario per riuscire a evolvere. Questi interrogativi lì ritroviamo nei cantautori italiani, moderni e non al

quale cerchiamo di ispirarci e di imparare molto. Mi sembra che Lei ballava sia una traccia cardine del disco. Come nasce? In effetti è la canzone a cui teniamo di più, perché è quella che rappresenta meglio il nostro mondo sonoro. È stata anche la prima canzone che abbiamo scritto e quella che ci ha dato la possibilità di poter collaborare con Luca Serio Bertolini (Modena City Ramblers). Diciamo che dopo aver realizzato Lei ballava, abbiamo capito che tutto poteva avere inizio. Quali sono i vostri punti di riferimento musicali? A livello sonoro una parte di noi è ben radicata alle sonorità folk americane, a quel suono che resiste al tempo nelle sua totalità e semplicità, ma nel nostro percorso non abbiamo potuto fare a meno di sperimentare grazie alla tecnologia, sonorità più moderne, elettroniche, e tuttora stiamo cercando di trovare un giusto connubio tra le due cose. Non scordarsi quello che è stato e che ha dato inizio a tutto senza guardare però con pregiudizio le possibilità che il “nuovo” ci mette a disposizione. Citiamo Niccolò Fabi, il quale ha saputo unire le due cose in modo magistrale nel suo ultimo album, e un cantautore statunitense di nome Gregory Alan Isokov, che mantiene viva quella semplicità e naturalezza nel fare musica. Quali saranno le prossime tappe della band? Negli ultimi mesi ci siamo concentrati sulla produzione dell’album e dei video dei primi due singoli. Il prossimo passo era quello di mettere in programmazione diverse esibizioni live... Diciamo “era” perché vista la situazione attuale, non sappiamo quando potremo finalmente suonare dal vivo le nostre canzoni. Tutto quello che abbiamo realizzato fino a oggi, ha come obiettivo ultimo quello di poter presentare dal vivo il nostro lavoro. Adesso, come sappiamo, ci sono altre priorità, ed è giusto dare la precedenza all’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, ma non vediamo l’ora che tutto si sistemi, sarà ancora più bello ed emozionante...

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