Attualita Nr. 15 - Decembre 2025

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Attualità N. 15 | DICEMBRE 2025

Diktat da Bruxelles

«Il pacchetto di accordi con l'UE modifica radicalmente la nostra Costituzione federale e la nostra democrazia!»

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NO al pacchetto di accordi con l'UE – Per una Svizzera libera e indipendente Pagina 4

1992 (SEE): Oggi:

N0

Se l'accordo fosse approvato in referendum, le cittadine e i cittadini svizzeri avrebbero in futuro meno voce in capitolo Pagina 6

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La parola al Presidente

Un Consiglio federale su una strada sospetta

Diventare membri di Pro Svizzera

ISSN 2234-9723 Redazione Pro Svizzera Casella postale 3822 Lauterbrunnen Tel. 031 356 27 27 redazione@ prosvizzera.ch

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La Svizzera sta attualmente vivendo uno spettacolo politico che mostra in modo esemplare come la nostra autonomia decisionale venga progressivamente svuotata di significato. Il Consiglio federale respinge l'iniziativa Bussola, credendo così di poter porre fine al dibattito sulla maggioranza dei cantoni. Ma è esattamente il contrario: la questione se, nel caso di trattati internazionali con conseguenze di vasta portata, sia sufficiente la maggioranza popolare o se sia necessario anche il consenso della maggioranza dei cantoni rimane di scottante attualità.

Il federalismo come scudo protettivo L'iniziativa Bussola è la risposta alla domanda se, nel caso di trattati internazionali con conseguenze di vasta portata, sia sufficiente la maggioranza popolare o se sia necessario anche il consenso della maggioranza dei cantoni. Non si tratta di una sottigliezza giuridica, ma di un meccanismo di protezione del nostro federalismo. Chi esclude la maggioranza dei cantoni indebolisce la voce delle regioni e apre la porta a una centralizzazione che toglie terreno alla nostra democrazia diretta. L'iniziativa Bussola rafforza i cantoni e la nostra democrazia diretta. Il fatto che il Consiglio federale voglia respingere questa iniziativa senza controprogetto dimostra il suo disprezzo per la diversità federale del nostro paese.

Pagare invece di autodeterminarsi Parallelamente, il governo decide di aumentare il contributo svizzero al «Fondo Schengen per la protezione delle frontiere», portandolo a un totale di 315 milioni di franchi. Altri 15 milioni saranno versati entro il 2027 - per la protezione delle frontiere esterne dell'UE.

Naturalmente, si sottolinea che la Svizzera beneficerà di fondi aggiuntivi per le proprie misure. Ma la realtà è chiara: paghiamo sempre di più per un sistema che ci rende dipendenti e limita la nostra autonomia in materia di asilo e frontiere. Invece di proteggere in modo coerente i nostri confini, finanziamo strutture che servono principalmente gli interessi dell'UE. Il modello è evidente Che si tratti della maggioranza dei cantoni o di Schengen, il Consiglio federale decide in obbedienza anticipata a Bruxelles. Ignora le questioni fondamentali della sovranità e spaccia questo atteggiamento per pragmatismo.

Ma chi indebolisce la voce dei cantoni e, allo stesso tempo, trasferisce milioni al sistema dell'UE, mette in discussione l'indipendenza della Svizzera.

La nostra risposta Pro Svizzera lo dice chiaramente: abbiamo bisogno di una democrazia diretta forte, che rispetti non solo la maggioranza popolare, ma anche la diversità federale. E abbiamo bisogno di una politica di frontiera che metta al centro la nostra sicurezza e la nostra indipendenza - non il finanziamento di sistemi stranieri. Il futuro della Svizzera non deve essere deciso nelle stanze segrete della Berna federale e di Bruxelles. Appartiene a tutti noi - al popolo e ai cantoni.

Il Vostro Dr .med. Stephan Rietiker, Presidente Pro Svizzera

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«Il pacchetto di accordi con l'UE modifica radicalmente la nostra Costituzione federale e la nostra democrazia»

Il Prof. Dr. Paul Richli definisce il nuovo accordo istituzionale tra la Svizzera e l'UE come un drastico cambiamento di paradigma. Egli mette in guardia dal rischio di una progressiva rinuncia alla sovranità svizzera e all'autodeterminazione democratica.

Ecco i punti salienti della sua conferenza, riassunti sul sito web dell'Istituto di politica economica (IWP):

Punti chiave del discorso del Prof. Dr. Richli:

• Cambiamento di sistema nell'ordinamento giuridico: il nuovo accordo obbligherebbe la Svizzera ad adottare in modo dinamico il diritto dell'UE. Ciò significa che la Svizzera non potrebbe più decidere in modo autonomo in merito al contenuto delle norme adottate.

Link alla conferenza

• Rafforzamento del ruolo della CGUE: in caso di controversie sull'interpretazione del diritto dell'Unione europea, sarebbe competente la Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE), il che, secondo Richli, costituisce di fatto una subordinazione a un sistema giuridico straniero.

• Autodeterminazione democratica a rischio: Richli sottolinea che l'adozione automatica del diritto comunitario e il vincolo alla Corte di giustizia dell'Unione europea indebolirebbero la democrazia diretta e il controllo parlamentare in Svizzera.

• Dubbi di costituzionalità: il costituzionalista vede nel nuovo accordo una potenziale incompatibilità con la Costituzione federale, in particolare con il principio della sovranità popolare e della separazione dei poteri.

• Nessuna parità tra le parti contraenti: Richli critica il fatto che nella struttura istituzionale dell'accordo la Svizzera non sia trattata come un partner alla pari, ma debba sottostare unilateralmente alle norme e alla giurisprudenza dell'UE. • Avvertimento contro un'integrazione strisciante: egli mette in guardia dal fatto che, con l'accordo, la Svizzera

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verrebbe gradualmente integrata nell'UE - senza alcuna legittimazione democratica da parte del popolo.

Il Prof. Richli esorta a un ampio dibattito pubblico e a un attento esame costituzionale del nuovo accordo. Invita a non sottovalutarne le conseguenze a lungo termine per

la democrazia e l'ordinamento giuridico svizzeri.

Sì, proprio così - questo è uno dei punti centrali della critica del Prof. Richli. Egli afferma, in sostanza, che il nuovo accordo tra la Svizzera e l'UE non può più essere inteso come un classico accordo bilaterale, bensì equivale a un accordo di integrazione.

Cosa intende Richli con «accordo d'integrazione»?

•D egli accordi bilaterali si basano sulla parità e sulla reciproca sovranità. Entrambe le parti negoziano e mettono in pratica ciò che decidono insieme.

• Al contrario, degli accordi d'integrazione sono tipici di Stati o unioni di Stati che si sottopongono a un sistema giuridico superiore, come ad esempio gli Stati membri dell'UE nei confronti del diritto UE e della CGUE. Richli sostiene che, con il nuovo quadro istituzionale, la Svizzera:

• dovrebbe adottare dinamicamente il diritto UE senza poter contribuire alla sua elaborazione; • accettare la CGUE come istanza suprema, il che equivarrebbe di fatto a una subordinazione;

Egli avverte perciò che il nuovo accordo non è semplicemente una continuazione della linea bilaterale, bensì un cambiamento di sistema - con conseguenze di vasta portata sul piano costituzionale e democratico.

• in questo modo, non si porrebbe più come partner paritario, ma si integrerebbe strutturalmente nell'ordinamento giuridico dell'UE - dunque come uno Stato che si integra, pur senza aderire formalmente.

Presto la democrazia svizzera uscirà dall'aula di un tribunale?

Comunicato stampa relativo alla conferenza stampa sulla risposta di Pro Svizzera alla consultazione del 27 ottobre 2025

NO al pacchetto di accordi con l'UE – Per una Svizzera libera e indipendente Il movimento apartitico Pro Svizzera respinge con fermezza il previsto pacchetto di accordi con l'UE. I trattati limiterebbero massicciamente la Svizzera nella sua libertà d'azione, nell'autodeterminazione democratica e nell'autonomia economica.

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Il dott. Christoph Blocher mette in guardia da un «trattato di sottomissione» che obbliga la Svizzera ad adottare il diritto UE – anche quello futuro, oggi ancora sconosciuto. La Corte di giustizia dell'UE diventerebbe l'istanza suprema, distruggendo la democrazia diretta. I trattati rappresentano un passo verso l'adesione all'UE e mettono a rischio la neutralità della Svizzera.

Adrian Amstutz critica la drastica estensione della libera circolazione delle persone e mette in guardia da un ulteriore sovraccarico del sistema sociale e delle infrastrutture. La clausola di salvaguardia promessa sarebbe inefficace – la Svizzera perderebbe il controllo sulla propria politica migratoria, contrariamente al mandato costituzionale di popolo e cantoni.

Lena Rey mette in guardia dalla Svizzera romanda come porta d'ingresso per l'ideologia UE. I media e la politica sopprimono il dibattito sulla sovranità, mentre la popolazione è confrontata con l'aumento degli affitti, la pressione sul mondo del lavoro e le infrastrutture sovraccariche. Il pacchetto di accordi non è un commercio equo, ma un tributo politico a Bruxelles.

Nella Svizzera romanda lo spirito svizzero deve essere rafforzato.

Stephanie Gartenmann sottolinea il pericolo per la partecipazione politica delle giovani generazioni. La ripresa dinamica del diritto e il «decision shaping» non sarebbero legittimati democraticamente.

La Svizzera perderebbe la propria sovranità in settori centrali – a scapito della libertà d'azione delle giovani generazioni.

Il dott. Stephan Rietiker fa riferimento alla sistematica disinformazione da parte dell'Amministrazione federale e alla crescente influenza dei burocrati dell'UE. Il libero accesso al mercato interno è già garantito – nuovi accordi sono superflui e pericolosi.

Pro Svizzera respinge il pacchetto negoziale UE e chiede un referendum obbligatorio. Il futuro della Svizzera non può finire a porte chiuse e con ogni sorta di trucchi – devono decidere il popolo e i cantoni.

«Pacchetto di accordi UE: un passo d'integrazione con conseguenze anticostituzionali» La cosiddetta «stabilizzazione e sviluppo delle relazioni Svizzera–UE» non rappresenta un progresso bilaterale, bensì un massiccio passo d'integrazione verso l'adesione all'UE – con gravi conseguenze politiche, economiche e giuridiche.

Principali punti critici:

• Perdita di democrazia e violazione della sovranità: la ripresa dinamica del diritto sotto il controllo UE mina l'autodeterminazione svizzera. I giudici UE decidono sul diritto svizzero – non più il popolo svizzero.

• Contenuti contrattuali anticostituzionali: diverse disposizioni violano gli articoli 34 e 121a della Costituzione federale. Un controllo dell'immigrazione autonomo e conforme alla Costituzione diventa di fatto impossibile, le clausole di salvaguardia sono inefficaci.

• Costi miliardari senza controllo: impegni di almeno 350 milioni di franchi all'anno – con aumento automatico da parte dell'UE a partire dal 2037. All’orizzonte vi sono ulteriori miliardi per programmi UE. Il governo non fornisce cifre attendibili.

• Comunicazione ingannevole: la denominazione «Bilaterali III» nasconde la reale portata. La certezza del diritto per l'economia non è garantita – è vero il contrario.

• Violazione dei diritti popolari: i trattati devono essere obbligatoriamente sottoposti al voto di popolo e Cantoni – come per lo SEE nel 1992 e l'Accordo di libero scambio con la CEE nel 1972.

Testo completo

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Se l'accordo fosse approvato in referendum, le cittadine e i cittadini svizzeri avrebbero in futuro meno voce in capitolo Qual è stata la sua motivazione personale a scrivere questo libro - e perché proprio adesso?

Ho scritto questo libro quale cittadino svizzero e liberale di orientamento borghese. Sono un sostenitore delle comunità vicine ai cittadini. La Svizzera si avvicina molto a questo ideale. Anche se personalmente sono contrario, ritengo legittimo aspirare all'adesione all'UE. Nel mio libro (prefazione e primo capitolo) sostengo la necessità di un dibattito più aperto e onesto, sulla politica europea.

Lo storico Oliver Zimmer, nato a Thalwil, ha studiato a Zurigo e Londra (Ph.D. London School of Economics and Political Science). Dal 2005 al 2021 è stato professore di storia europea moderna all'Università di Oxford e Sanderson Fellow allo University College Oxford.

Le sue pubblicazioni sono apparse su riviste scientifiche e case editrici di primo piano. Da quando è tornato in Svizzera, Zimmer è autore di libri, direttore di ricerca presso il Centre for Research in Economics, Management and the Arts (Crema), consulente e professore ospite presso l'Università di San Gallo (HSG).

Lei parla di una «visione diversa» delle relazioni tra Svizzera e UE. Cosa distingue la sua prospettiva dal dibattito politico o mediatico corrente?

Ho vissuto a lungo all'estero e, in qualità di storico della storia europea moderna, valuto sempre la Svizzera nel contesto internazionale. Da noi questa visione d'insieme è spesso assente. Ironia della sorte, spesso proprio tra coloro che si considerano particolarmente cosmopoliti.

Si parla di Europa, ma nella sostanza si rimane ancorati a un'ottica egocentrica.

Anche se non esiste il sistema politico perfetto, mi sembra che la democrazia semidiretta della Svizzera, con il suo federalismo, presenti notevoli vantaggi rispetto ai sistemi puramente rappresentativi. Nel nostro paese, diversi gruppi sociali e regioni – con esperienze e sensibilità molto diverse tra loro – possono partecipare alla vita politica. L'esperienza dimostra che queste peculiari

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opportunità di partecipazione favoriscono la coesione sociale e il successo economico. Indagini scientifiche dimostrano inoltre che abbiamo più fiducia nel nostro sistema politico, rispetto ai cittadini di altri paesi europei. Ciò conferisce allo Stato un'elevata legittimità.

In che misura considera l'UE un progetto culturale o politico - e come si inserisce la Svizzera in questo quadro?

L'UE è soprattutto un progetto politico, più che culturale. Quasi tutto è subordinato all'obiettivo finale di uno Stato federale europeo, persino il successo economico. L'Europa è estremamente diversificata in termini di cultura e valori. Ciò spiega, in gran parte, l'ascesa della Corte di giustizia europea (CGUE) a potente motore dell'integrazione europea, a partire dagli anni '60.

Sebbene ciò sia del tutto legittimo, non è compatibile con la Svizzera a democrazia diretta.

C'è un errore di ragionamento o un malinteso nella politica europea della Svizzera, che ha voluto mettere particolarmente in evidenza nel suo libro?

In Svizzera, la dimensione politica dell'Unione europea è stata a lungo sottovalutata o minimizzata. Da noi ci si continua ancora oggi a comportare come se l'UE fosse un progetto orientato principalmente all'economia o alla morale. Con l'accordo istituzionale negoziato, che i sostenitori chiamano «Bilaterali III», questa dimensione politica emerge chiaramente. Lo stesso vale per la Corte di giustizia europea. Non si tratta di un normale tribunale, bensì di un organo politico.

Come spiegherebbe a un profano interessato alla politica, perché il rapporto tra Svizzera e UE è più di una semplice questione tecnica o economica?

Come ho già detto all'inizio, abbiamo un sistema politico fondamentalmente diverso, basato sulla partecipazione dei cittadini. L'UE, invece, funziona secondo principi tecnocratici e legalistici. Questo sistema dal punto di vista funzionale assolutamente coerente, ma non è democratico. Se l'accordo fosse approvato in referendum, le cittadine e i cittadini svizzeri avrebbero in futuro meno voce in capitolo. Per questo è disonesto parlare di «accordi bilaterali». Si prospetta un cambiamento di sistema. Il costituzionalista Paul Richli parla di «accordo di integrazione I». Questa denominazione rispecchia molto più fedelmente la sostanza della questione rispetto al termine «Bilaterali III» preferito dal Consiglio federale.

Se potesse esprimere un desiderio: come dovrebbe posizionarsi la Svizzera nei confronti dell'UE nei prossimi dieci anni - e cosa dovrebbe cambiare a questo scopo?

Spero che il popolo votante respingerà il pacchetto di accordi. A quel punto dovremo fare i nostri compiti a casa, per esempio in materia di difesa militare e di crescita incontrollata dello Stato. Il nostro parlamento e il nostro governo dovranno, da un lato cercare di instaurare buoni rapporti con l'UE ma, dall'altro, evitare di inviare segnali contraddittori a Bruxelles e non cedere alla prima pressione.

Molte grazie per l’intervista.

Oliver Zimmer: Bruxelles facile? 10 saggi sul rapporto tra Svizzera e UE. Libro in brossura, 148 pagine. BoD 2025.

La conclusione principale di questo libro è la seguente: chiunque valuti il pacchetto di accordi tra la Svizzera e l'Unione europea in termini di conseguenze per la prassi politica statale dovrà riconoscere che si tratta di un cambiamento di sistema. Se l'accordo venisse attuato, modificherebbe radicalmente il DNA politico della Svizzera.

Si creerebbe un «punto di non ritorno»: una dipendenza dal percorso intrapreso che porterebbe il paese nell'UE già a medio termine. Questo accordo istituzionale con l'UE riguarda quindi il quadro generale: i pilastri del nostro Stato, la partecipazione democratica e la fiducia nel parlamento, nel governo e nelle istituzioni. Senza questa fiducia, che finora ha contraddistinto la Svizzera, anche il benessere è a rischio. È in gioco il futuro del contratto sociale federale. Noi svizzeri dobbiamo discutere su quale democrazia siamo ancora in grado di garantire. Perché questa repubblica esisterà solo finché i cittadini continueranno a credere in essa.

Il libro può essere ordinato al prezzo speciale di CHF 20.– presso Pro Svizzera info@proschweiz.ch.

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Diego Baratti vicepresidente UDC Ticino

Un grave salasso in arrivo per le PMI Le piccole e medie imprese svizzere si trovano di fronte a una prospettiva inquietante: l’eventuale nuovo accordo istituzionale con l’Unione Europea rischia di tradursi in un aumento consistente e sistemico dei costi, con effetti diretti su competitività, margini e capacità di investimento. Le regolamentazioni europee verrebbero infatti estese anche alle aziende che non esportano nell’UE, imponendo adempimenti e oneri aggiuntivi che graverebbero in modo sproporzionato proprio sulle PMI, già oggi alle prese con una burocrazia onerosa e in costante crescita.

Secondo le analisi dell’usam, i costi di regolazione in Svizzera già oggi ammontano a circa il 10% del PIL, pari a oltre 70 miliardi di franchi annui. L’accordo con l’UE aggraverebbe ulteriormente questa pressione con nuove spese per l’adeguamento a standard su etichettatura, sicurezza dei prodotti, appalti pubblici e protezione dei dati, con un impatto stimato di centinaia di milioni – fino a un miliardo – di franchi. A questi si aggiungono i contributi di coesione destinati a salire a 350 milioni CHF l’anno dal 2030 e i costi per la partecipazione ai programmi di ricerca europei, che comportano ulteriori

esborsi pluriennali. Il risultato è un trasferimento di risorse che sottrae ossigeno a innovazione, occupazione e investimenti locali.

Non meno preoccupante è l’impatto sul mercato del lavoro: l’espansione dei contratti collettivi e l’introduzione di tutele speciali per i rappresentanti sindacali rischiano di irrigidire un sistema che ha fatto della flessibilità uno dei principali vantaggi competitivi del paese. La conseguente perdita di autonomia normativa, insieme al ruolo rafforzato della Corte di Giustizia europea, ridurrebbe la capacità decisionale svizzera e aumenterebbe l’incertezza per le imprese, chiamate a rincorrere continui adeguamenti normativi.

Per le PMI, vero motore dell’economia nazionale, questo scenario si traduce in un «salasso» annunciato: più costi, più burocrazia, meno competitività. Di fronte a tali rischi, appare urgente una riflessione politica orientata a difendere la libertà d’impresa, ridurre gli oneri amministrativi e preservare l’autonomia economica del paese.

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Stephanie Gartenmann, gran consigliera, membro del Comitato direttivo di Pro Svizzera

Il futuro dei giovani:

«Il pacchetto di accordi con l’UE come pericolo per la libertà e la partecipazione democratica» La giovane generazione ha il diritto di partecipare alle decisioni sulla Svizzera di domani. I nostri antenati hanno costruito una Svizzera di successo – con coraggio, responsabilità individuale e libertà d’azione. Non sono stati frenati da burocrazie e tribunali stranieri. Anche oggi vogliamo mantenere questa libertà: una Svizzera che si governa da sé e plasma autonomamente il proprio futuro.

Il pacchetto di accordi con l’UE minaccia i nostri diritti politici in termini di libertà. Con la cosiddetta ripresa dinamica del diritto, le leggi svizzere vengono adattate automaticamente al diritto UE – senza votazione popolare, e senza la partecipazione dei Cantoni. La doppia maggioranza costituzionale – l’approvazione da parte del popolo e dei cantoni – verrebbe di fatto aggirata. La nostra democrazia diretta rischia di ridursi a un diritto di facciata.

La Svizzera perderebbe sovranità in ambiti centrali: concorrenza, commercio, formazione, sanità, polizia, pianificazione del territorio, cultura, imposte, società – oggi ancora democratici, in futuro controllati da Bruxelles. In caso di controversia decide un tribunale arbitrale che deve coinvolgere la Corte di giustizia dell'UE. Questa non giudica solo da un punto di vista giuridico, ma anche sotto il profilo politico – sempre nell'interesse dell'integrazione europea. La Svizzera perderebbe influenza sull'interpretazione del proprio diritto, mentre l'incertezza giuridica crescerebbe.

La prevista «decision shaping» (partecipazione alla legislazione UE) è una foglia di fico: proposte svizzere senza vincolo, senza diritto di veto, senza consultazione. La nostra partecipazione finirebbe prima ancora di cominciare. Il 27 settembre 2025 il consigliere federale Cassis ha dichiarato nella «NZZ» che nell'opuscolo delle spiegazioni di voto verrà indicato come reagirebbe Bruxelles se il sovrano svizzero «votasse in modo sbagliato» – come l'avvertimento sui pacchetti di sigarette: «Fumare è pe-

ricoloso, immagini shock di polmoni da fumatore» – «La democrazia è pericolosa – ghigliottina...»

Chi non adotta il diritto UE viene minacciato con sanzioni. Questo è unico nel mondo libero. Non è un dialogo – è una pressione. Con ogni concessione perdiamo un pezzo di autodeterminazione.

L'UE lotta con un'elevata disoccupazione giovanile e tensioni sociali. Nel luglio 2025 erano 2,8 milioni i disoccupati sotto i 25 anni, una percentuale del 14,4%. In Svizzera ammontano al 3,2% (13 861 persone). Secondo lo studio TUI sulla gioventù, il 39% ritiene che l'UE funzioni democraticamente. Il 53% critica il fatto che si occupi troppo di questioni secondarie. In Grecia il 65% dei giovani è insoddisfatto della democrazia. Proteste e polarizzazione lo dimostrano: il centralismo non risolve i problemi, li aggrava.

Noi giovani non vogliamo questo. Vogliamo una Svizzera in cui a decidere sia il popolo, il sovrano – e a questo apparteniamo noi giovani! Una Svizzera che si governa da sé – libera, federale e indipendente.

Il nostro futuro, la nostra Svizzera ci appartiene.

E non è negoziabile.

Attenzione: «La democrazia è pericolosa»

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Alessandro Mazzoleni, gran consigliere, vicecoordinatore della Lega dei Ticinesi e membro di comitato di Pro Svizzera

La Svizzera non deve cedere al «Paese dei balocchi» europeo Da anni Bruxelles torna alla carica con nuove proposte di accordo, che in sostanza ripropongono quanto già respinto: l’adozione automatica del diritto europeo, giudici stranieri, contributi finanziari crescenti e un’integrazione giuridica che minaccia la nostra democrazia diretta.

In altre parole, una progressiva perdita di sovranità travestita da cooperazione economica.

La Svizzera non deve farsi incantare dalle promesse di un «paese dei balocchi» dove tutto sembra più facile e conveniente. L’Unione Europea continua a mostrarsi come un sistema centralista e burocratico, distante dal modello elvetico, fondato invece su federalismo, libertà e responsabilità popolare.

Anche voci autorevoli, come quella di Lorenzo Quadri della Lega dei Ticinesi e di Piero Marchesi dell’UDC, hanno denunciato il rischio di una svendita dell’indipendenza svizzera in cambio di un’effimera tranquillità

diplomatica. Entrambi ricordano che non si tratta di chiudersi al mondo, ma di difendere il diritto di decidere a casa nostra, secondo le regole del nostro sistema democratico.

Il popolo svizzero deve restare il vero «grillo parlante» del paese, la coscienza che ricorda quando il compromesso diventa resa. Ogni passo verso un vincolo giuridico con l’UE è un passo lontano dal modello che ci ha resi unici e rispettati.

Come nella fiaba di Pinocchio, chi promette la felicità senza fatica nasconde sempre un inganno. Meglio restare liberi e sovrani, anche se la strada è più difficile, che svegliarsi un giorno trasformati in un asino legato alle decisioni di altri.

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Karl Spühler ex giudice federale UDC Winterthur

Sì al referendum obbligatorio – una questione di mera logica Nel programma «Arena», in onda sulla televisione svizzera, si è discusso se l'approvazione dell'accordo quadro con l'UE richieda anche il consenso dei cantoni (maggioranza degli Stati) .Oltre al consigliere nazionale dell'UDC Thomas Matter, hanno partecipato rappresentanti del PLR, del Centro e del PS. Thomas Matter ha sapientemente sintetizzato la questione, ricordando che nel 2014 è stato emanato l'articolo 121a della Costituzione federale. La Costituzione federale è stata così completata con la seguente formulazione: «La Svizzera gestisce in modo autonomo l'immigrazione di cittadini stranieri». Il popolo e i cantoni hanno approvato questa modifica, in conformità con le norme vigenti in materia di modifica e completamento della Costituzione federale. Ora, però, il principio fondamentale di cui sopra rischia di essere vanificato dai trattati UE, senza la maggioranza degli Stati, quindi senza il consenso della maggioranza dei cantoni.

Secondo la sentenza del Tribunale federale del 2015, i trattati internazionali prevalgono sulla Costituzione federale ma, a differenza di quest'ultima, possono essere approvati senza la maggioranza dei Cantoni. Dov'è la logica? Ancora meglio: come già menzionato, nel 2015 il Tribunale federale ha deciso, in un caso - riguardante, tra l’altro, la libera circolazione delle persone - che il diritto internazionale e i trattati internazionali (tra cui anche l'accordo quadro con l'UE) prevalgono sulla Costituzione federale svizzera. Ora, la maggioranza dei cantoni non dovrebbe applicarsi all'accordo quadro con l'UE. Il diritto superiore dovrebbe essere emanato senza la maggioranza dei cantoni, mentre le disposizioni costituzionali subordinate (che riguardano tra l'altro lo stesso oggetto) richiederebbero l'approvazione della doppia maggioranza.

Una mera questione di logica La questione in esame non ha nulla a che vedere con il diritto e la politica. È una mera questione di logica. Tuttavia, durante il dibattito è emerso che questo problema, di per sé semplice, ha messo in difficoltà dal punto di vista intellettuale il consigliere nazionale socialista e la consigliera nazionale di centro che hanno partecipato ad «Arena», mentre il rappresentante del PLR si è mostrato chiaramente riluttante a raccogliere la sfida. Non è servito a nulla che il consigliere nazionale Thomas Matter abbia spiegato di aver sottoposto il problema a quattro giudici federali di diversa osservanza e che tutti, senza eccezioni, gli hanno dato ragione.

Anche per i giovani non è un problema Essendo stato io stesso giudice federale, ho sottoposto la questione a tre giovani che non hanno alcuna esperienza nel campo giuridico e politico: una studentessa liceale, uno studente liceale e un brillante apprendista bancario. Tutti e tre hanno capito subito che si trattava di un problema di pura logica. Se per la Costituzione federale è necessaria la maggioranza dei cantoni, lo stesso vale logicamente anche per i trattati internazionali di rango superiore, ovvero anche per l'accordo quadro con l'UE. Logicamente, anche per questo è necessaria la maggioranza dei cantoni, hanno risposto i giovani ...

La Costituzione federale è stata integrata letteralmente come segue: «La Svizzera gestisce in modo autonomo l'immigrazione di cittadini stranieri».

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L’osservatore UE Dati Eurostat

La maggior parte degli Stati UE viola le norme sull'indebitamento Le regole del Patto di stabilità e crescita dell'UE vengono regolarmente violate. Lo scorso anno, più della metà dei membri dell'UE ha infranto tali regole. La Germania ha perlomeno violato la norma relativa al rapporto debito/PIL. Più della metà degli Stati membri dell'UE ha violato lo scorso anno le regole autoimposte in materia di deficit di bilancio e debito pubblico. Secondo i dati dell'ufficio statistico dell'UE Eurostat, la maggior parte dei 27 paesi dell'UE ha speso più di quanto ha incassato..

Hanno fatto eccezione Lussemburgo, Grecia, Cipro, Danimarca, Irlanda e Portogallo. In termini di performance economica, dodici Stati membri hanno registrato un deficit pari o superiore al 3% del PIL, superando così i limiti massimi consentiti. Secondo i dati, nel 2024 il deficit più elevato è stato registrato dalla Romania con il 9,3%. Secondo Eurostat, il deficit della Germania è stato pari al 2,7%.

Allo stesso tempo, lo scorso anno dodici paesi dell'UE hanno registrato un rapporto debito/PIL superiore al 60%. Secondo Eurostat, i rapporti debito/PIL più elevati sono stati registrati in Grecia (154,2%), Italia (134,9%) e Francia (113,2%). Secondo i dati Eurostat, nel 2024 il rapporto debito/PIL della Germania era pari al 62,2%. [www.tagesschau.de,21.10.2025]

La Svizzera al vertice «Una nuova classifica valuta quali Stati sono maggiormente in grado di superare le crisi globali. La Svizzera conquista il primo posto.

La società di consulenza per la cittadinanza e i cosiddetti «Golden Visa», guidata dallo svizzero Christian Kälin, ha collaborato con la società di analisi Alphageo per esaminare i paesi in base all'esposizione al rischio, alla stabilità politica, allo Stato di diritto e alla resistenza climatica, come riporta la NZZ. Risultato: come nel caso di Charles Darwin, non sono i più forti a superare meglio le crisi, ma i più capaci di adattarsi. » [20Minuten, Reto Bollmann Reto Bollman, 29.10.2025]

Posizione

Paese

Punti

1.

Svizzera

88,42

2.

Danimarca

85,09

3.

Norvegia

83,54

4.

Singapore

83,37

5.

Svezia

83,18

6.

Lussemburgo

83,03

7.

Finlandia

82,14

8.

Groenlandia

81,24

9.

Paesi Bassi

80,79

10.

Germania

80,71

14.

Austria

78,48

23.

Regno Unito

75,21

29.

Francia

74,21

32.

Stati Uniti

73,04

35.

Giappone

71,68

38.

Emirati Arabi Uniti

71,34

48.

Italia

68,55

49.

Cina

68,49

155.

India

54,42

Commento: È incomprensibile che una parte della nostra élite politica voglia legarsi a questa mostruosa struttura che è l'UE.

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L'UE valuta l'introduzione di tasse sui cibi malsani e sugli alcopop L'UE intende introdurre dal 2026 tasse sui cibi spazzatura e sugli alcopop, al fine di contrastare le malattie cardiovascolari. Entro il 2035, i decessi causati da queste malattie dovrebbero diminuire del 20%, mentre l'ipertensione, il diabete e l'obesità saranno maggiormente diagnosticati e trattati. Il consumo di tabacco dovrebbe essere ridotto al di sotto del 5% entro il 2040.

L'intelligenza artificiale, i piani nazionali per la salute cardiaca e i centri specializzati dovrebbero migliorare la diagnosi precoce, mentre miliardi di euro saranno investiti nella ricerca e nell'alimentazione sana. In breve: Bruxelles punta sulla tassa sullo zucchero, sulle norme relative al tabacco e all'alcol e sulla medicina high-tech per salvare il cuore dell'Europa.

[Euractiv.de,14.11.25] Commento: La tata UE vi saluta!

La Svizzera è il paese più competitivo del mondo Grazie alle ottime posizioni raggiunte nei settori dell'economia e della formazione, secondo uno studio la Confederazione occupa il primo posto rispetto ad altri 58 paesi.

Il «Competitiveness Report 2025» del think tank «Eight Competitiveness Lab» ha valutato le prestazioni di 58 paesi in quattro settori: «economia», «formazione», «società» e «sostenibilità», come comunicato dalla società di consulenza EightAdvisory.

Grazie al primo posto nei settori dell'economia e dell'istruzione e ai buoni piazzamenti nei settori della sostenibilità (4° posto) e della società (8° posto), la Svizzera ha conquistato il primo posto in termini di competitività non solo in Europa, ma anche a livello globale.

I punti di forza radicati nella cultura, come il pragmatismo e una bassa densità normativa, rendono la Svizzera più resistente alle crisi rispetto ai suoi grandi vicini, spiega il consulente economico a sostegno della posizione della Svizzera. A ciò contribuiscono anche l'attenzione alle tecnologie del futuro, l'intensificazione degli scambi internazionali e la cura dei valori tradizionali svizzeri.

Il primo posto è dovuto «in gran parte alla sua solida base economica, alle infrastrutture robuste, alla forte capacità innovativa e alle condizioni fiscali favorevoli», come si legge nel comunicato. [www.plattformj.ch, 27.10.2025] Commento: È del tutto incomprensibile che la Svizzera voglia rinunciare alla sua vantaggiosa posizione a favore di un grande progetto comunitario.

La Svizzera per la prima volta leader mondiale della competitività digitale Per la prima volta la Svizzera è in testa alla classifica mondiale digitale.

La Svizzera è ai vertici della classifica della competitività digitale. - Nella classifica annuale World Digital Competitiveness Ranking (WDCR) dell'Institute for Management Development (IMD) di Losanna, la Svizzera ha così sostituito Singapore, finora al primo posto.

Quest'ultima è scesa al terzo posto - dietro agli Stati Uniti.

Lo studio sottolinea inoltre che la Svizzera ha ottenuto risultati particolarmente positivi grazie alle sue attrattive condizioni quadro e alla sua elevata capacità innovativa. Gli attuali sviluppi positivi hanno fatto la differenza rispetto alle tendenze stagnanti o in calo registrate negli Stati Uniti e a Singapore, prosegue lo studio.

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[Estratto dall’intervista del 26.11.2025, www.nzz.ch]

Katharina Fontana della NZZ intervista Nick Hayek, CEO del Gruppo Swatch:

«Siamo il numero 1 nella ricerca e sviluppo e ci comportiamo come se fossimo il numero 1000» Sul tema «Accordi doganali USA», la NZZ pone le seguenti domande: La Svizzera si è fatta fregare?

Fino a un certo punto, sicuramente. Non capisco perché non agiamo con maggiore sicurezza. La Svizzera è piccola, ma anche estremamente prospera e attrattiva - e questo senza alcun aiuto caritatevole dall'esterno. Abbiamo il miglior sistema politico, il popolo controlla la politica. Un sistema federale che protegge le minoranze. Abbiamo una moneta forte, pochi debiti, infrastrutture funzionanti, un buon sistema di istruzione e formazione, sindacati pragmatici, ottime università, nessuna élite che si isola. Molte piccole e grandi aziende, imprenditori e tanta inventiva. Tutto questo testimonia coraggio e indipendenza.

mentale adottato nei confronti degli Stati Uniti: se non cediamo il massimo, perdiamo. Anche qui: obbedienza anticipata.

In che modo ciò è emerso nei negoziati con l'UE? Prendiamo ad esempio «Horizon». Non faceva parte del fallito accordo quadro ma, ciononostante, l'UE ha escluso la Svizzera dal programma. E cosa fa la Svizzera? Invece di sottolineare con sicurezza quanto l'Europa tragga vantaggio dalla ricerca svizzera, ci siamo lamentati come se il nostro sistema scientifico potesse crollare senza i fondi dell'UE. Le migliori università d'Europa si trovano in Svizzera. Siamo il numero 1 nella ricerca e sviluppo e ci comportiamo come se fossimo il numero 1000. Molti ricercatori preferiscono venire da noi, invece di andare in Germania o in Francia.

Come spiega questo atteggiamento difensivo?

Davvero non lo capisco. Forse i nostri politici vogliono essere amati da tutti. Nemmeno io sono un amante degli scontri, ma bisognerebbe essere pronti a dimostrare di non avere paura di una controversia, se vi si è costretti.

Paesi meno forti della Svizzera lo hanno dimostrato, il Messico per esempio. E ora l'UE è alle porte. Bruxelles ricorderà quanto poco sicura di sé sia stata la Svizzera nel reagire al ricatto degli Stati Uniti.

Lei era contrario al fallito accordo quadro. Se interpreto correttamente la sua osservazione, è contrario anche all'accordo attualmente previsto con l'UE. Non ho letto gli accordi, ma sono scettico.

Perché?

Dopo la débâcle dell'accordo doganale e dei contratti di acquisto per gli F-35, lo scetticismo è giustificato. Infatti, nei rapporti con l'UE prevale lo stesso atteggiamento

«L'immagine che mostra gli svizzeri davanti alla scrivania di Trump è una documentazione della loro sottomissione», afferma Nick Hayek.

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Parte 8 Errori nella politica di neutralità

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Formazioni di blindati e d’artiglieria svizzere e francesi

Proseguimento degli allenamenti congiunti in Svizzera Nei mesi di ottobre e novembre 2025 alcune formazioni di blindati e d’artiglieria svizzere e francesi si alleneranno nuovamente insieme in Svizzera. Il primo allenamento di questo genere si è svolto nel maggio 2025. Durante questi allenamenti congiunti viene simulato uno scenario realistico che consente all’Esercito svizzero di ricavare

Estratto dall’intervista a Simon J.Evenett nella NZZ:

I dazi statunitensi e la vulnerabilità della Svizzera Negli ultimi mesi in Svizzera si è talvolta affermato che il paese sarebbe in una posizione migliore se si presentasse insieme all'UE nel confronto con gli USA. È vero?

No. Ed è evidente quale sia il motivo che si cela dietro tali affermazioni. Si tratta solo di un ulteriore tentativo di giustificare un'adesione all'UE. Se le stesse persone avessero proposto che la Svizzera si alleasse con l'UE, il Regno Unito, il Giappone, la Corea, il Canada e il Messico nei confronti degli USA, la cosa sarebbe già stata più credibile.

Sarebbe vantaggioso per la Svizzera prendere le distanze dall'UE, che a Washington non gode di grande popolarità?

Sì. Nei prossimi mesi l'UE subirà forti pressioni da parte di Washington - a causa della sua regolamentazione delle catene di approvvigionamento, dell'applicazione delle sue leggi digitali e della compensazione delle emissioni

insegnamenti utili per rafforzare la sua capacità di difesa. Tali attività bilaterali sono organizzate nel quadro della stretta cooperazione che i due Paesi intrattengono da molti anni.

[Comunicazione DDPS, 20.10.2025]

Simon J. Evenett è professore di geopolitica e strategia presso l'International Institute for Management Development (IMD) di Losanna. Il 56enne britannico è un esperto molto richiesto in materia di politica commerciale e fondatore del St. Gallen Endowment for Prosperity Through Trade.

Questa organizzazione gestisce, tra l'altro, il Global Trade Alert, una piattaforma centrale per il monitoraggio dei conflitti commerciali in oltre 60 mercati. Prima di passare all'IMD, ha insegnato all'Università di San Gallo, all'Università di Oxford e alla Johns Hopkins University.

[NZZ, Thomas Fuster, 20.11.2025]

di CO2. La Svizzera non è coinvolta in queste questioni. Il dazio doganale del 15% attualmente richiesto dagli USA all'UE potrebbe presto aumentare in modo significativo.

L'UE deve aspettarsi dazi più elevati rispetto alla Svizzera?

Sì, ne sono convinto.

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Membro del comitato di Pro Svizzera, Londra

Gli accordi istituzionali con l'UE

Non si potrà tornare indietro!

È chiaro: secondo i protocolli istituzionali, l'ultima parola spetterà alla Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE). «Le decisioni della Corte di giustizia dell'Unione europea sono vincolanti per il tribunale arbitrale» (Protocollo sulla libera circolazione delle persone, art. 10, paragrafo 4a). Le eccezioni in cui il tribunale arbitrale può decidere senza la Corte di giustizia dell'Unione europea sono rare e si applicano solo se «la controversia non implica l'interpretazione o l'applicazione di concetti propri del diritto dell'Unione» (art. 10, paragrafo 3).

Poiché la maggior parte delle controversie riguarda concetti propri del diritto dell'Unione, l'ordinamento giuridico svizzero sarebbe di fatto subordinato alle direttive dell'UE e la CGUE diventerebbe una sorta di Corte costituzionale. O, come afferma giustamente il professor Oliver Zimmer nel suo libro «Brüssel einfach?»

(Bruxelles facile?), con l'adozione degli accordi istituzionali la partecipazione democratica verrebbe di fatto sospesa.

Una tale perdita sarebbe praticamente irreversibile. Vedi anche «La lezione della Brexit per la Svizzera» (Attualità 13).

Laddove, nero su bianco, sulla a nostra democrazia incombe un pericolo, questo viene minimizzato o addirittura negato. Laddove il pericolo è minimo o inesistente (questioni economiche), vengono diffusi scenari apocalittici. Come nel caso del referendum sullo SEE, così anche per la Brexit. Già solo il voto favorevole alla Brexit,

quindi prima ancora di qualsiasi attuazione, avrebbe distrutto mezzo milione di posti di lavoro, si diceva.

Ci sarebbe stata carenza di cibo, i farmaci sarebbero diventati scarsi, il sistema sanitario sarebbe crollato.

Ricordo come alla radio una donna diabetica esprimeva la sua paura di non poter più ottenere l'insulina dopo la Brexit.

La realtà: la Germania, il cosiddetto motore economico dell'UE, non riesce a uscire dalla recessione e, secondo l'OCSE, nel terzo trimestre del 2025 ha registrato una crescita pari a zero. Il Regno Unito, invece, registra una (modesta) crescita economica e le esportazioni sono aumentate dopo la Brexit (del 15% al netto dell'inflazione dal referendum, del 14% dall’avvenuta uscita). È evidente: non tutto ciò che luccica è Bruxelles!

Manteniamo la nostra sovranità e i nostri valori sicuri: democrazia diretta, responsabilità individuale, benessere.

Affinché anche le generazioni future possano decidere liberamente.

È evidente che non tutto ciò che luccica è Bruxelles!

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Il nuovo pacchetto di accordi con l’Unione Europea è, senza mezzi termini, un progetto di sottomissione della Svizzera a Bruxelles.

Dietro la retorica del «rilancio delle relazioni», il Consiglio federale sta accettando un meccanismo istituzionale che impone l’adeguamento automatico al diritto UE, consegna alla Corte di giustizia europea il ruolo di giudice supremo e ci incastra in un sistema di contributi permanenti miliardari – circa 1,4 miliardi l’anno per la precisione - a favore di Bruxelles.

A ciò si aggiungono nuove aperture del mercato del lavoro che indeboliranno ancora di più i salari, un accordo sull’energia che consegna la sicurezza dell’approvvigionamento alle regole del mercato europeo e concessioni in materia migratoria che apriranno le porte a pressioni crescenti. È un pacchetto pensato a misura dell’UE e contro gli interessi della Svizzera.

Un pacchetto che limita la nostra libertà, restringe la sovranità popolare e mette in discussione la neutralità. Nessun governo responsabile dovrebbe anche solo pensare di firmarlo. In questo contesto, il dibattito sul tipo di referendum è rivelatore. Per un accordo che modifica gli equilibri istituzionali del paese, che incide sulla nostra indipendenza e che di fatto trasferisce potere decisionale all’estero, il referendum obbligatorio – con la doppia maggioranza di popolo e cantoni – è l’unica via ammissibile. È una questione di rispetto per la democrazia e per la Costituzione.

Per il PLR è accettabile che il popolo non sia chiamato a votare.

L’assemblea dei delegati del PLR svizzero decide di puntare sul referendum facoltativo. Una posizione talmente debole da essere quasi sorprendente: perché con il referendum facoltativo, se nessuno raccoglie le firme – e lo

Piero Marchesi Membro di comitato Pro Svizzera e Consigliere nazionale UDC

sappiamo tutti, non sarà il PLR a farlo – gli Svizzeri non saranno nemmeno chiamati a votare. È questo il concetto di democrazia diretta del PLR? Accettare che un accordo che intacca la sovranità entri in vigore senza che il popolo possa dire una parola?

Ancora più grave è che PS, Verdi e Verdi liberali si accodano con entusiasmo: per loro, evidentemente, la sovranità popolare è diventata un fastidio. Il Centro tentenna, ma finora non ha avuto il coraggio di opporsi chiaramente. Siamo davanti a un fronte politico che non crede più nella Svizzera come paese libero.

Ecco perché l’impegno di Pro Svizzera e dell’UDC è fondamentale. Noi non permetteremo che questo accordo passi nel silenzio. Se referendum facoltativo sarà, noi raccoglieremo le firme. Noi porteremo la battaglia davanti al popolo. E noi combatteremo per fermare questo tentativo di legare mani e piedi alla Svizzera.

La libertà non si mendica. Si difende. E noi siamo pronti a difenderla fino in fondo.

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Il nano malefico dice:

Cassis e il pollaio Ma dove si trova il ministro degli esteri Cassis? Negli appuntamenti importanti ci sono altri al suo posto: trattative doganali negli Stati Uniti.

Il Consiglio federale sembra un pollaio: tanto chiocciare, tanto sbattere d’ali, ma nessuna linea chiara. Politica estera nell'interesse della Svizzera sovrana senza ministro degli esteri, politica economica senza strategia – e alla fine è il popolo che dovrebbe covare le uova.

ordine - altrimenti finiremo per precipitare nel caos tra Bruxelles e Washington. Chi è il guardiano? Il sovrano - il popolo e i cantoni. Dobbiamo diventare dei «guardiani della democrazia», che a volte blocchino le scelte sbagliate di Berna?

Il nano malefico dice: se il pollaio di Berna continua a razzolare così, presto ci vorrà un guardiano che metta

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