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Al via il progetto RecoPet

In collaborazione con “Iper La grande i”, una delle più importanti realtà nel panorama nazionale della GDO, Corepla ha lanciato RecoPet, ecocompattatori per la raccolta e il riciclo delle bottiglie in PET. Il progetto realizzato con Interzero, azienda che offre soluzioni e servizi ambientali integrati in materia di sostenibilità, è volto a coinvolgere i cittadini nel processo di raccolta e riciclo delle bottiglie in PET utilizzate nel settore alimentare per acqua, latte, succhi di frutta e bevande analcoliche e a favorire il riciclo “bottle-to-bottle”.

I primi di una serie di 100 ecocompattatori che verranno via a via installati su tutto il territorio nazionale sono stati messi in funzione presso i centri commerciali “Il Centro” di Arese (Milano) e “Alle Valli” di Seriate (Bergamo).

L’utilizzo degli eco-compattatori è semplice: grazie all’app RecoPet, i clienti della catena Iper La grande i che sceglieranno di partecipare a questo circolo virtuoso di recupero delle bottiglie in PET post-consumo verrà assegnato, a fronte del riciclo di 100 bottiglie, un buono sconto di 5 euro valido a fronte di una spesa di almeno 30 euro da utilizzare in tutti i punti vendita dell’insegna tramite il programma fedeltà “Carta Vantaggi”. In alternativa, i clienti potranno ricevere uno scaldacollo, uno zaino o una felpa riciclando rispettivamente 200, 400 e 800 bottiglie.

“Essere attori di questa opportunità ci riempie di orgoglio e soddisfazione. Un progetto che, grazie al supporto dei nostri clienti nella raccolta e nel riciclo delle bottiglie in PET, ci permetterà di contribuire in modo concreto a un’economia sempre più verde”, ha dichiarato Stefano Rullo, responsabile ambiente ed energia Iper La grande i.

Da alcune settimane è stato avviato il progetto RecoPet, che prevede l’installazione di eco-compattatori di Corepla nei punti vendita della GDO a marchio Iper La grande i.

In queste pagine riportiamo le recenti considerazioni sui contenuti, sugli effetti e sulle richieste di correzione avanzate da alcuni degli “operatori istituzionali” dell’industria della plastica interessati a vario titolo dalla proposta di Regolamento imballaggi e rifiuti di imballaggi (PPWR) della Commissione europea, che in questi mesi ha suscitato una energica levata di scudi su più fronti e non solo tra i produttori e riciclatori di imballaggi.

A C URA DI LUCA MEI

L’onda lunga di considerazioni, quando non proteste, sollevata dalla proposta di Regolamento imballaggi e rifiuti di imballaggi (PPWR) presentata dalla Commissione europea per sostituire la Direttiva 94/62/CE non accenna a ritirarsi con facilità e, anzi, sembra sempre più allungarsi sull’intera filiera dell’imballaggio e sulle sue frange, da monte a valle senza soluzione di continuità.

Nei mesi passati e nelle scorse settimane da più parti a livello nazionale sono giunti diversi pronunciamenti sul nuovo atto normativo, che ne hanno analizzato i contenuti ed evidenziato effetti e criticità in base agli ambiti di interesse specifico di ciascuno dei loro promotori, suggerendo quegli interventi correttivi che complessivamente potrebbero mitigarne gli effetti di- rompenti su un comparto industriale molto allargato e tra i più importanti per il traino dell’economia del nostro Paese.

Istituto per la promozione della plastica da riciclo

Affrontare il tema del Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio secondo IPPR, l’istituto per la promozione delle plastiche da riciclo, è una questione molto più complessa di quel che si può essere portati a pensare.

“Il Regolamento trascina con sé implicazioni che sembrano non attirare l’attenzione che meriterebbero di avere. In particolare, mi riferisco all’obbligo di produrre imballaggi incorporanti un contenuto di riciclato sancito e calato dall’alto che gli addetti ai lavori sanno bene essere possibile al 100% per taluni imballaggi e impossibile per altri. Obbligo che evidentemente, essendo stato definito senza una fondamentale valutazione di impatto sulla sua sostenibilità ambientale, economica e sociale, rischia di minare alle basi non solo l’industria della produzione di imballaggi ma l’intero mondo della trasformazione di materie plastiche”, ha dichiarato Libero Cantarella, presidente di IPPR.

Come evidenziato da alcuni anni con gli studi qualitativi e quantitativi di IPPR sull’utilizzo di plastiche riciclate, l’Italia, con oltre 1,2 milioni di tonnellate all’anno ha raggiunto il 20% (contro una media europea del 6%) dell’intero ammontare di materie plasti- che per la produzione di nuovi prodotti, imballaggi e altri beni che trasversalmente servono a soddisfare la domanda di molteplici settori. In particolare, è stato sottolineato come la plastica da post-consumo consenta da quasi vent’anni di soddisfare la richiesta dell’industria che chiede materiali riciclati per realizzare articoli per automobili, edilizia, arredo urbano e molto altro. Inoltre, per molto tempo, dopo l’istituzione della raccolta differenziata in Italia, IPPR ha lavorato per cercare congrui sbocchi alle plastiche raccolte, selezionate e riciclate affinché potessero avere una nuova vita dentro e fuori al mondo dell’imballaggio, dove non sempre risulta possibile o opportuno, per motivi tecnici e/o normativi, reimmettere riciclato, ma anche soddisfare le richieste dei Criteri Ambientali Minimi del Ministero dell’Ambiente che chiede prodotti “sostenibili”. Molti prodotti che oggi realizziamo solo grazie ai riciclati provenienti dal ciclo dei rifiuti degli imballaggi e che incorporano quote importanti di plastica riciclata potrebbero non essere presto più disponibili sul mercato.

Per Ippr il regolamento trascina con sé implicazioni che sembrano non attirare l’attenzione che meriterebbero di avere, come l’obbligo di produrre imballaggi incorporanti un contenuto di riciclato sancito e calato dall’alto che gli addetti ai lavori sanno bene essere possibile al 100% per taluni imballaggi e impossibile per altri.

Secondo IPPR, tali prodotti, genericamente beni durevoli, hanno garantito da una parte il riutilizzo di materia e dall’altra la possibilità di rispondere a esigenze di eco-progettazione per approvvigionare la pubblica amministrazione e le catene distributive di prodotti con plastica seconda vita, cosa che a breve potrebbe non essere così scontata. Il PPWR produrrebbe un duplice danno all’industria delle plastiche - l’Italia è la seconda manifattura in Europa: ai produttori sia di imballaggi che di altri beni, vanificando il lavoro di diffusione e incorporazione in nuovi prodotti delle plastiche riciclate portato avanti con l’impegno di tutti gli attori della filiera dalla fine degli anni Novanta a oggi.

Associazione nazionale dei trasformatori di materie plastiche

La posizione di Unionplast in merito alla proposta di regolamento della Commissione europea è stata espressa nel corso della recente audizione alla Camera dei Deputati, di fronte alle Commissioni riunite VIII Ambiente e X Attività produttive. Dall’associazione nazionale di categoria dei trasformatori di materie plastiche è giunta la condivisione delle finalità di riduzione dell’impatto ambientale, ma riaffermando con decisione la contrarietà a una serie di norme che rischiano di vanificare i grandi risultati ottenuti dall’Italia nell’organizzazione di raccolta e riciclo degli imballaggi in plastica: il nostro Paese ha registrato i tassi più alti dell’intera Unione Europea nell’attività di riciclo e recupero del settore, con un tasso pari al 55,2%, superando con anni di anticipo l’obiettivo della stessa UE del 55% nel 2030.

Quello che occorre, e su cui i produttori di imballaggi hanno investito, è la creazione di un mercato ben funzionante di materie prime secondarie, supportato dalla riciclabilità dei loro prodotti e nella ricerca di soluzioni innovative che combinino un’elevata efficienza dei materiali con un’alta riciclabilità e l’uso di materiali riciclati. L’associazione ha inoltre stigmatizzato determinate parti del regolamento, dove sono previste misure che discriminano senza giustificazione gli imballaggi in plastica rispetto agli imballaggi realizzati con altri materiali. Le quote di riutilizzo (articolo 26, comma 7) e divieti (articolo 22 e allegato V) sono presi in considerazione solo per alcuni tipi di imballaggi in plastica, configurando una forma di “depistaggio ambientale”, evidente se si esaminano i risultati del settore nel nostro Paese.

L’Italia è il secondo produttore europeo di imballaggi dopo la Germania ed esporta imballaggi e merci imballate, forte della propria industria manifatturiera e agroalimentare, che necessitano di adeguati standard di sicurezza per la gestione, il trasporto e la vendita delle merci. Una posizione che esprime numeri molto importanti: 50.000 addetti in quasi 3.000 aziende, con un fatturato di 12.279 milioni di euro, di cui circa il 45% derivante dall’export.

Nel corso dell’audizione, Unionplast ha ricordato che il nostro Paese è un grande riciclatore ma non solo: i dati elaborati annualmente da Ippr dimostrano che in Italia si utilizzano oltre 1.200 milioni di tonnellate di materie prime seconde per realizzare nuovi prodotti. Quantitativo che costituisce in media circa il 20% del totale di tutte le plastiche trasformate nel nostro Paese, contro una media europea del 6%. Sono stati certificati col marchio Plastica Seconda Vita ben 8.000 prodotti incorporanti plastiche riciclate nelle più svariate merceologie.

In tale occasione, il presidente di Unionplast, Marco Bergaglio, ha riferito che, come indicato con chiarezza nel Rapporto Rifiuti Urbani Edizione 2022 di Ispra, in Italia nel 2021 il recupero totale dei rifiuti di imballaggi in plastica è stato pari al 96,3% dell’immesso al consumo e la raccolta differenziata della plastica è quella che raggiunge il maggior numero di Comuni italiani e il più alto numero di abitanti, risultando quindi quella con le migliori prestazioni. Per quanto riguarda il riciclo, il rapporto di Ispra evidenzia che nel 2021 sono state superate 1,2 milioni di tonnellate.

Unionplast ha espresso contrarietà a una serie di norme che rischiano di vanificare i risultati dell’Italia nella raccolta e nel riciclo degli imballaggi in plastica: il nostro Paese ha registrato i tassi più alti dell’intera Unione Europea in tale attività, con una percentuale pari al 55,2%, superando in anticipo l’obiettivo della UE del 55% nel 2030.

Marco Bergaglio ha riferito che in Italia nel 2021 il recupero totale dei rifiuti di imballaggi in plastica è stato pari al 96,3% dell’immesso al consumo e la raccolta differenziata della plastica è quella che raggiunge il maggior numero di Comuni italiani e il più alto numero di abitanti, risultando quindi quella con le migliori prestazioni.

L’imballaggio rappresenta un campo applicativo talmente vasto, ben oltre gli ambiti più comuni, in primis il confezionamento alimentare, che il nuovo regolamento interesserebbe una delle industrie più importanti per l’economia del nostro Paese; va da sé che la proposta della Commissione europea abbia sollevato una energica levata di scudi ben al di là dei soli operatori in tale settore, ma estesa invece lungo tutta la filiera della plastica, dai produttori di materiali ai costruttori di macchine per la loro lavorazione, dai trasformatori ai riciclatori.

Associazione italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili

Anche Assobioplastiche è stata ascoltata dalle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive) della Camera dei Deputati nell’ambito dell’esame della proposta di regolamento su imballaggi e rifiuti di imballaggio, evidenziandone, dal canto proprio, l’aspetto positivo non disgiunto però da quelle che invece sono considerate criticità.

Quanto al primo, viene condivisa la compostabilità imposta per alcune applicazioni, quali, per esempio, quella di capsule per caffè, etichette adesive per prodotti ortofrutticoli e sacchetti in materiale ultraleggero, auspicando che tali applicazioni restino nella lista di quelle che dovranno risultare obbligatoriamente compostabili. Per quanto attiene alle criticità, invece, è stato rilevato come la proposta di regolamento restringa fortemente le tipologie di imballaggi in bioplastica compostabile consentite penalizzando in modo sproporzionato e discriminatorio l’intero settore italiano della bioplastica e della biochimica, non lasciando sufficiente spazio agli Stati membri per stabilire regole adeguate alle loro specificità. In particolare, l’utilizzo di bioplastiche compostabili sarebbe consentito solo per un elenco limitato di applicazioni, mentre tutte le verrebbero invece vietate (comprese quelle a contatto con alimenti, dove invece il ruolo dei materiali compostabili e del riciclo organico è fondamentale), oppure consentite ma solo destinandole a riciclo meccanico, nonostante la bioplastica compostabile sia progettata per il riciclo organico al fine di risolvere i problemi dell’inquinamento da plastica della frazione organica del rifiuto solido urbano.

Ne deriverebbero rischi concreti per il sistema industriale italiano, poiché la proposta di regolamento invece che spingere l’UE a investire sui prodotti a più alto valore aggiunto (compostabili e a base biologica) non coglierebbe appieno il potenziale delle bioplastiche compostabili e rischierebbe di compromettere il tessuto imprenditoriale europeo e italiano lasciando spazio alle imprese dei Paesi extra UE che invece investono in modo massiccio nel settore. Il mercato italiano delle bioplastiche compostabili rappresenta infatti un’opportunità di grande interesse in particolare per USA e Cina.

Secondo Assobioplastiche, quindi, dovrebbe essere lasciata più flessibilità agli Stati consentendo di conservare/ampliare a livello nazionale il novero delle applicazioni già ammesse per gli imballaggi in bioplastica compostabile sulla base dei propri sistemi di trattamento. Gli imballaggi in bioplastica compostabile e rinnovabile non dovrebbero incontrare limitazioni di impiego per tutte le applicazioni a contatto con gli alimenti e, quindi, essere esentati dai divieti gli imballaggi monouso realizzati con tali materiali e impiegati a contatto con gli alimenti. Inoltre, si dovrebbe modificare la regola di chiusura per la quale tutti gli altri imballaggi compostabili non esplicitamente imposti o consentiti debbano essere riciclabili meccanicamente, pur trattandosi di materiali nati per il compostaggio e, infine, prevedere per gli imballaggi in bioplastica compostabile un contenuto minimo obbligatorio di materia prima rinnovabile pari al 60%, in linea con gli investimenti realizzati in Italia nel settore della chimica a base biologica e con il maggior livello di tutela ambientale garantito da tali materiali.

Da Assobioplastiche viene condivisa la compostabilità imposta per alcune applicazioni, quali, per esempio, sacchetti in materiale ultraleggero, ma anche rilevato come la proposta di regolamento restringa fortemente le tipologie di imballaggi in bioplastica compostabile penalizzando e discriminando l’intero settore italiano della bioplastica e della biochimica.