6 minute read

La FEDELTÀ DI VIVI

STORIE di Caterina Caparello

VIVIANA BALLABIO HA MILITATO NELLA GRANDE POOL COMENSEDAL 1983 AL 2002 ESORDENDO IN A1 ALL’ETÀ DI 16 ANNI. NEL 2011 È RIDISCESA IN CAMPO, DIVENENDO L’UNICA DONNA AD AVER GIOCATO CON LA STESSA MAGLIA NEI QUATTRO DECENNI TRA GLI ANNI OTTANTA E I DUEMILADIECI.

Advertisement

“Sono stata fortunata perché ho vissuto un periodo in cui la pallacanestro femminile aveva tanto risalto sia a livello di campionato che nazionale. Diciamo che c’è stato un mix di combinazioni che mi hanno permesso di vivere un bellissimo periodo”. Una soddisfazione che va oltre la professionalità quella di Viviana Ballabio, l’ex guardia brianzola che ha militato per tutta la sua carriera, dal 1983 al 2002, nelle file della grande Pool Comense fino a diventarne capitano e colonna portante. Vivi ha intrapreso il suo lungo viaggio, ricco di premi e riconoscimenti, a 16 anni con l’esordio in A1 che l’ha poi portata sulla vetta del mondo cestistico: 10 scudetti, 2 Coppe dei Campioni (poi Eurolega), 5 Coppe Italia, 5 Supercoppa Italia, argento agli Europei in Repubblica Ceca e argento ai Giochi del Mediterraneo in Languedoc-Roussillon.

“Ai tempi abitavo a Carugo, il mio paese d’origine, partecipavo a tutti i campionati giovanili e già allora mi scontravo con la grande Comense. Oltre alle giovanili, giocavo nel campionato di promozione, serie C, insomma le squadre più grandi a Carugo. Ecco, a 16 anni i dirigenti della Comense si erano dimostrati interessati e, inizialmente, avevo pensato di partecipare ad uno dei loro camp estivi, solo per farmi io stessa un’idea della squadra. A quel punto, i dirigenti mi hanno espressamente chiesto di giocare nella loro squadra. Avevo 16 anni, ne sono passati più di 30”.

Per Carugo, Vivi è stata una giocatrice fondamentale e cedere il suo cartellino alla Comense non è stato emotivamente facile, infatti i dirigenti contrattarono arduamente: “Mio papà era dirigente a Carugo e con la mia allenatrice, Laura Pozzi, si parlava di quale potesse essere lo scambio per passare alla Comense. So che hanno dato, in cambio del mio cartellino, circa 8 palloni da basket, 2 giocatrici e 4mln di lire che permettevano alla società di Carugo di poter continuare a fare la promozione e pagarsi, quindi, il campionato e tutte le spese di contorno. Non sono diventati ricchi, però il discorso di mio padre verteva sulla possibilità di permettere alla società di continuare ad andare avanti sebbene me ne fossi andata”.

L’amore di Viviana per il basket ha origini profonde che nascono dalla curiosità della palestra di fronte a casa: “La passione per il basket è nata fin da piccolina con l’atletica, che però era uno sport troppo solitario siccome mi piaceva giocare con altri compagni. Ho scoperto che facevano dei corsi di minibasket nella palestra di fronte a casa e, con una mia compagna delle elementari, provai. Il risultato fu che da lì non mi sono più mossa”. La maggior parte degli atleti considera la possibilità di cambiare società sportiva come un’opportunità di crescita individuale, poiché porta nuovi stimoli, nuove sfide e nuovi obiettivi. Le “vecchie” amicizie all’interno delle squadre permangono negli anni, se salde, mentre le “nuove” consentono di scoprire altri mondi e modi di vedere lo sport.

Viviana Ballabio non si è accodata a quella maggior parte, Vivi ha passato tutta la sua carriera sotto un’unica squadra, un unico cuore: la Pool Comense. “È la mia seconda casa. Per me è stata una fortuna, ho avuto la possibilità di fare quello che più mi piaceva con la famiglia vicino, gli affetti vicini, senza stravolgere troppo la mia vita, avendo anche l’opportunità che la mia famiglia partecipasse alla mia avventura. Anche oggi mi capita di andare in giro e incontrare persone che erano venute a vedermi giocare, tifosi storici con cui sono andata anche a mangiare insieme. Se fossi andata in un’altra squadra questi contatti non li avrei più avuti. Ho realizzato un sogno in casa, la mia seconda casa”.

Una fedeltà che l’ha sollevata sul tetto d’Italia con 577 partite in serie A (19 campionati, 20 contando la partita del record nel 2011) e 4487 punti, per poi arrivare sul tetto d’Europa con la partecipazione ad 11 edizioni della Coppa dei Campioni con 158 partite e 1078 punti. Proprio per questo, sono tanti e moltissimi i ricordi che porta nel cuore. “Ricordi ce ne sono tanti. In serie A il primo scudetto (1990-91 ndr) e l’invasione di campo al Pianella dei 5000 tifosi, dato che l’anno precedente avevamo perso in finale, ma anche la prima Coppa dei Campioni a Poznan nel 1994 contro Valencia. Non posso dimenticare gli Europei a Brno del 1995 e la sfilata alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996. Ecco, un ricordo che mi fa ancora sorridere è la prima partita ad Atlanta, giocavamo alle dieci di sera contro la Cina e pensavo che non si sarebbe presentato nessuno a vedere quella partita. Invece, quando siamo entrate in campo dopo la presentazione, il palazzo era pieno e lì sono rimasta sconvolta, perché la gente andava a vedere l’evento sportivo a prescindere dalla squadra. Era uno spettacolo vedere le persone tifare, cantare ed entusiasmarsi. Questo è uno dei ricordi che mi ha meravigliato di più”.

In Nazionale, il capitano nerostellato ha esordito il 5 luglio 1987 a Bari contro la Jugoslavia, vincendo l’argento ai Giochi del Mediterraneo nel 1993 e agli europei di Brno del 1995, totalizzando 140 presenze e 729 punti. Inoltre, ha partecipato agli europei di Tel Aviv 1991, Perugia 1993 e Budapest 1997, prendendo anche parte ai Campionati del Mondo di Australia 1994 e alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996, dove si classificò ottava. “La maglia azzurra vuol dire emozionarsi, penso sia il traguardo più importante per un atleta. Ho avuto la fortuna di giocare in una nazionale che, all’epoca, era davvero forte a livello europeo. Vivere le esperienze più belle facendo la cosa più bella, giocare a pallacanestro, al massimo dei livelli con atlete di tutto il mondo. Era una grande occasione per girare, io amo tantissimo viaggiare e questa passione è arrivata con il basket. Proprio perché viaggiare ti apre di più la mente”.

Il 12 maggio 2002 Viviana Ballabio ha appeso le scarpette al chiodo, dopo aver portato lustro alla Comense e alla Nazionale, proprio in occasione del suo ritiro è stato celebrato il “Ballabio Day” del 28 novembre, una partita di beneficenza giocata con tutte le sue ex compagne, dove è stata ritirata la sua maglia numero 10. “Il ritiro del numero 10 è stato emozionante, mi hanno anche organizzato un Ballabio Day con le persone più importanti della mia carriera”. Dino Meneghin, presente alla giornata, ha infatti dichiarato: “Viviana è sempre stata un esempio per i nostri giovani e avremmo bisogno di tanti campioni come lei, vero emblema di come si vive lo sport, con passione, cuore e sacrificio per perseguire i propri obiettivi”. Nonostante tutto, Vivi ha indossato le scarpette un’ultima volta, il 27 febbraio 2011, per stabilire il record di decenni giocati con la stessa maglia, divenendo infatti l’unica giocatrice della pallacanestro femminile ad aver giocato almeno una partita ufficiale sempre con la stessa maglia nei quattro decenni tra gli anni ottanta e i duemiladieci.

“Viviana era una ragazzina ribelle, nel senso che non era la classica bambina con le treccine, era un po’ maschiaccio, determinata a fare quello che voleva, tanto da intraprendere la carriera sportiva. Era testarda e tenace. Adesso Viviana è una donna che ha imparato ad affrontare meglio le difficoltà. Prima era ribelle e arrendevole, nel senso che giudicava subito. La fatica e gli insegnamenti in palestra le hanno insegnato a essere riflessiva e a non arrendersi mai. La pallacanestro mi ha insegnato questo. Oggi ho un ragazzino autistico di 14 anni, Federico, ed è sicuramente un impegno importante e quotidiano, una vita che non immaginavo. Ci sono momenti di sconforto, ma sono convinta che l’allenamento in palestra mi abbia aiutata ad affrontare le cose un passo per volta, gli obiettivi che avevo prima erano piccoli e immediati, affrontati un passo alla volta. Ecco, mi sono ritrovata a viverla adesso, gli obiettivi per Federico sono volti senza pensare a cosa farà e non farà da grande, ma a lavorare attraverso piccoli passi”.

Il basket è cambiato ma lo è anche il concetto di sport e, oggi come allora, bisognerebbe ritrasmettere determinati valori alle nuove generazioni, cominciando dalla scuola: “Sono dell’idea che nessuno debba coltivare il proprio orticello, non mi riferisco solo al basket ma allo sport in generale. A mio avviso la cultura dello sport deve cambiare anche ai vertici, ad esempio nelle scuole e soprattutto ora che si parla dei ragazzini sempre attaccati al telefono e alla tecnologia. Lo sport è una seconda scuola di vita, perché aiuta ad affrontare le difficoltà pratiche della vita, a gestire le emozioni, a rispettare le regole e a rapportarsi con gli altri. Partendo dalla scuola, ho saputo che dovrebbe tornare alle elementari il prof di educazione fisica, bene, bisogna partire sin dall’infanzia, inculcando una cultura diversa dello sport, considerato solo per tifare il calcio o per dimagrire. Con mio figlio ho insistito per l’attività sportiva, Federico infatti ama tantissimo l’acqua e nuotare. È necessario far capire a chi sta in alto l’importanza dello sport, di qualsiasi tipo”. Perché allora giocare a basket? “Perché ci si diverte, emoziona, si fa fatica ma non sacrifici, ci si impegna e si è ripagati. Sono emozioni che ti rimangono per tutta la vita”.

This article is from: