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CINILI VA "OLTRE"

COVER STORY di Giulia Arturi

È LA PAROLA CHE SABRINA HA TATUATA SUL DITO: “SIGNIFICA GUARDARE OLTRE LE COSE, NON È SEMPRE FACILE”. “PECCATO LA FINALE CON RAGUSA, PENSAVO POTESSIMO FARE DI PIÙ”. LE CONQUISTE? “IL TIRO, DIVERTIRSI IN CAMPO, LA SOLITUDINE”. E ORA CON LA NAZIONALE...

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“Le Olimpiadi sono un obiettivo realizzabile. Ma io direi che possiamo fare molto bene all’Europeo stesso. Non siamo insieme dall’ultima partita di qualificazioni di novembre, ma da come ci siamo ritrovate e da come riusciamo a giocare, non si direbbe mai siano passati cinque mesi”.

Dagli Europei U16 in Turchia nel 2003, che allora si chiamavano cadette, sono passati invece 16 anni. Io e Sabrina occupavamo più o meno stabilmente gli ultimi due posti della panchina: 5 minuti di media lei, 7 io. Ma neanche il caldo torrido della Cappadocia in piena estate poteva confondere le idee a chi aveva un po’ di occhio: quel talento quattordicenne, due anni sotto età rispetto alle compagne, avrebbe avuto poco a che fare con il ruolo di comprimaria in futuro.

Lo slancio, dal fondo di quella panchina, l’ha portata lontano. Trent’anni appena compiuti, l’azzurro nel cuore e l’arancio di Schio all’orizzonte. Da un sudato ma poco gratificante decimo posto a quegli Europei, alla voglia di sognare in grande, sempre con la scritta Italia sul petto: dopo una crescita che l’ha vista passare da Umbertide, Ragusa, Napoli, Spagna e Turchia, Sabrina ha imparato ad essere protagonista in campo e fuori. Silenziosa alla ricerca dei suoi spazi, non ha però nessuna remora nel farsi sentire quando serve. Una voce fuori dagli schemi, che ha tanto da raccontare.

Questa Nazionale può avere progetti ambiziosi?

“Il primo giorno di raduno è stato incredibile. Dopo i primi allenamenti ci hanno mandato i video del 5vs0. Non sono riuscita a trattenermi dal mandare un messaggio a Crespi: “Scusa, ma questi video sono stati velocizzati?”. Ho avuto l’impressione che andassimo a duemila. Siamo partite carichissime, dalla prima all’ultima. Non c’è stato bisogno che il coach ci motivasse, è bastato vestirsi Italia: questa atmosfera è bellissima. Marco poi in questo è grande: non molla mai ed è la mentalità che trasmette ogni giorno. Dal punto di vista tecnico, non tratta tutte allo stesso modo: ognuna di noi riceve un consiglio diverso, anche su una situazione identica; ha un approccio molto selettivo, e anche psicologicamente è un maestro: riesce a tirare fuori il meglio dalle sue giocatrici”.

Parliamo di Ragusa. Era la tua seconda stagione in Sicilia, anche se in momenti diversi. Siete tutte e due le volte arrivate vicine a vincere, senza riuscirci. È più la delusione di aver perso la finale o la soddisfazione di un’annata positiva con la vittoria della coppa Italia?

“Mi rimane il rimpianto di non essere riuscita a conquistare lo scudetto. La coppa Italia è un obiettivo importante, ma è la vittoria finale per cui lavori e ti prepari tutto l’anno. La coppa è più una spinta per fare ancora meglio; è come vincere il primo girone agli Europei: è significativo, ma dopo c’è ancora tutto un pezzo di strada da fare. Quindi sì, c’è po’ di amarezza. Avevo fiducia che la mia squadra fosse la più forte, ma chi poi ha dimostrato di saper giocare meglio è stata Schio”.

Cosa vi è mancato? Un po’ di energia?

“In realtà no, penso che non siamo riuscite a sfruttare a nostro favore i punti deboli di Schio e allo stesso tempo non siamo state in grado di usare tutti i nostri punti di forza; non siamo state capaci, contro la loro difesa, di esprimere un gioco di squadra che esaltasse le caratteristiche di ognuna di noi”.

Cosa ti lascia la Sicilia?

“Il calore stupendo dei tifosi, quando penso alla Sicilia penso a loro. E poi tanto sole, io che vivevo al mare me lo sono goduta (risata)”.

Tante volte il tuo nome era stato accostato a Schio. Come mai questa è stata la volta buona?

“Mi ero sempre detta che prima avrei voluto vincere contro di loro, ma alla fine le cose sono andate in maniera diversa. Sono molto contenta di inserirmi ora, troverò tante ragazze che sono con me in Nazionale. È una cosa che mi rende proprio felice. Anche l’arrivo di Nicole (Romeo ndr) a Ragusa mi ha regalato la stessa emozione: era un pezzetto di azzurro lì con me anche durante la stagione. L’idea di arrivare a Schio e di ritrovare tante di loro è una bella emozione. La Nazionale è uno dei miei posti del cuore, mi sento bene, mi sento a casa”.

Nella tua carriera ci sono anche due stagioni all’estero: una in Turchia e una in Spagna. Esperienze positive? Cosa ti ha spinto ad andare lontano?

“In Turchia sono andata perché avevo la possibilità di giocare l’Eurolega. Dopo quattro stagioni ad Umbertide, ho preso al volo questa occasione, ancora prima di sapere dove fosse esattamente Kayseri. È stato bello perché da subito mi sono sentita parte integrante del gruppo: c’era l’Eurolega, sette straniere, insomma era la prima squadra così importante in cui giocavo. Confrontarmi con altre giocatrici, in un campionato nuovo, con un ritmo diverso, mi ha fatto crescere: mi sono misurata con qualcosa che non avevo conosciuto fino a quel momento. In Spagna saltai diverse partite a causa di un infortunio, ma fu un’altra tappa fondamentale per il mio percorso: lì ho giocato da leader, cosa a cui non ero mai stata abituata. Ho imparato cosa significa essere una giocatrice importante nelle dinamiche di squadra”.

Come ti approcci alle nuove sfide?

“I cambiamenti non mi hanno mai spaventato, anzi, mi trovo meglio nei cambiamenti che nella stabilità”.

Quali sono stati gli allenatori che ti hanno lasciato di più in carriera?

“Ogni allenatore che ho avuto mi ha lasciato qualcosa. Con Serventi, nei quattro anni ad Umbertide, ho costruito e insistito sui fondamentali e sono cresciuta nella costanza. Prima di lui Gabriele Diotallevi mi ha fatto capire che avrei potuto giocare a certi livelli, se non ci fosse stato lui forse non avrei continuato. Prima ancora Amedeo D’Antoni che mi ha detto “be’, potresti essere qualcuno, ma prima inizia a divertirti con il basket”. Anche in questo caso, se non avessi ascoltato il consiglio, forse non sarei andata molto lontano. È come un puzzle: tutti hanno avuto un ruolo nella mia crescita, in questo sono stata fortunata”.

Nel corso della tua carriera in cosa ti senti migliorata?

“Nel tiro. Negli anni ad Umbertide ricordo di aver avuto parecchie difficoltà, non tiravo mai. Ora ho molta più fiducia”.

A 30 anni appena compiuti a che punto del tuo percorso sportivo ti senti?

“Sono tranquilla, adesso riesco a divertirmi. Sono consapevole di cosa posso fare, di quanto posso dare. Questa maggiore sicurezza sui miei mezzi toglie tante paure e incertezze e mi lascia più libera di vivere questo momento con gioia”.

Hai parlato di paure e incertezze. Ci sono stati dei momenti particolarmente difficili nella tua carriera? E come ne sei uscita?

“Ho avuto diversi momenti complicati, e devo dire che spesso sono state le mie compagne di squadra ad aiutarmi. Per esempio, Virginia Galbiati mi è stata molto vicina, soprattutto quando a metà del mio primo campionato a Ragusa ho attraversato un periodo difficile. Così anche altre compagne: devo dire che anche in questo sono stata fortunata, ho trovato persone buone e disponibili nel momento giusto”.

È vero che tendi ad essere un po’ solitaria, meditativa?

“È vero, spesso sento il bisogno di stare da sola, anche se così facendo a volte mi rendo un po’ antipatica. Ma avverto la necessità di passare qualche giornata senza parlare. Diciamo che in questi momenti è il mio cane il compagno migliore! Più che pensare mi piace andare in giro, immergermi nella natura, in particolare amo moltissimo l’acqua”.

Ti piace viaggiare? Cosa cerchi quando parti?

“Sono partita anche da sola, mi piace scoprire, ma soprattutto non avere programmi, anche nelle cose semplici: vado, guardo quello che mi piace e finisco sempre per fare un sacco di cose così come viene. Anche quando vado in America e viaggio in compagnia, mi prendo qualche giorno per andarmene da sola da qualche parte”.

E il viaggio dei sogni?

“Alaska, o il Polo Nord, mi affascina il nord”.

Ci sarà ancora il basket una volta finita la tua carriera da giocatrice?

“Non mi è mai dispiaciuta l’idea di diventare allenatrice, magari come assistente per curare maggiormente le individualità. Però non lo so, non so neanche in quale parte del mondo sarò, quindi un po’ difficile dirlo. Ma un po’ di imprevedibilità ci vuole, è una spinta in più per approdare infine da qualche parte”.

Tornando al basket, alla fine ti senti più un 3 o un 4?

“Mi ci ritrovo un po’ in tutti e due i ruoli, ma sinceramente mi diverto più da 3. Dipende anche dalla visione di gioco, per esempio il 4 della Nazionale non è statico. Ho imparato che quella dei ruoli è una definizione più a beneficio dei giornali e delle statistiche. Contano di più le individualità, e saper sfruttare quello che una giocatrice sa fare meglio”.

Non sei il tipo che si tira indietro se c’è qualcosa da dire, o sbaglio?

“Con le giuste maniere, dovremmo farci sentire di più. Se diventiamo una voce sola, alla quale poi se ne possono aggiungere altre, allora possiamo fare tanto, non ci vuole molto. Io sono la prima: se c’è qualcosa da cambiare chiamatemi”.

All’estero, soprattutto negli Stati Uniti, le atlete donne sono un esempio per le ragazze che si avvicinano allo sport. In Italia si sfrutta poco questo aspetto?

“Forse abbiamo ancora l’idea che non siamo noi il movimento, ma non è così: il movimento invece siamo proprio noi e dobbiamo renderci conto che abbiamo la forza per cercare di cambiare le cose”.

Hai dei modelli nella vita, qualcuno a cui ti ispiri, anche non in ambito cestistico?

“Vito Mazzeo. È un ballerino di danza classica, un mio carissimo amico, è stato primo ballerino a San Francisco per tre anni. Ora è ad Amsterdam, primo ballerino del Dutch National Ballet, un vero atleta. Ciò che mi piace più di lui è la leggerezza infinita con cui vive la sua passione. È questo che a me manca: prendere le cose con più leggerezza, che non vuol certo dire con meno serietà o impegno”.

Qual è l’insegnamento più prezioso che conservi?

“Di guardare oltre le cose. Mi rimane ancora un approccio difficile. In alcuni casi è più semplice, in altri ci devo pensare su. Mi sono fatta apposta un tatuaggio, “oltre” scritto sul mignolo, così non me lo scordo mai”.

L’armonia della performance di un ballerino nasconde milioni di piccoli, fondamentali e curatissimi dettagli. Anche sul campo da basket i dettagli fanno la differenza: lo scivolamento in più, la scelta giusta, il passaggio extra. E Cinili in questo è una prima ballerina.

P.s.: chi c’era con noi in quella Nazionale cadette 2003? Be’, non è andata male, tre lustri dopo, anche per Sottana, Battisodo, Bagnara, Visconti, Martina Fassina (la prima), Sarni, Valerio, Zampieri...

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