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SPORT Giusi Malato. Nessuna è più forte di lei
GIUSI MALATO, UNA STORIA DI SUCCESSI NESSUNA È PIÙ FORTE DI LEI
di Simone Olivelli
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«CI SIAMO GUARDATE PER 20 METRI, MI SONO FERMATA, MARTINA (MICELI, NDR) MI HA PASSATO LA PALLA COME SA FARE E IO L'HO MESSA DENTRO». A PARLARE È GIUSI MALATO, CENTROBOA DELLA NAZIONALE DI PALLANUOTO FEMMINILE PER VENT'ANNI E PILASTRO DELL'INTERO MOVIMENTO SPORTIVO. UNA DISCIPLINA CHE HA CONTRIBUITO A FARE AMARE AGLI ITALIANI, ATTRAVERSO I SUCCESSI DI UNA CARRIERA CHE SARÀ DIFFICILE RIPETERE. IL RACCONTO DELLA FUGA VERSO LA PORTA AVVERSARIA È QUELLO CHE HA PORTATO AL 6 A 6 IN FINALE CONTRO LA GRECIA, ALLE OLIMPIADI DI ATENE 2004. È QUELLA
L'azione che Malato ricorda con più nitidezza. «È stato un momento molto importante, per tanti motivi ‒ dichiara ‒. Perché ha segnato un passaggio fondamentale nella nostra rimonta e perché quel gol ha rappresentato una risposta a quanti fino a quel momento mi avevano criticato. Ho partecipato alle Olimpiadi non al meglio della forma. Venivo da un infortunio serio e fino alla finale ero stata massacrata». Come accade alle persone da cui ti aspetti sempre e comunque che facciano la differenza. «Dicevano che non avevo più l'età e che più in generale la nostra era una nazionale obsoleta ‒ prosegue Malato ‒ e invece alla fine siamo riuscite a raggiungere il traguardo più alto».
OLIMPICA La vittoria olimpica ha rappresentato l'apice della storia del Setterosa e, va da sé, dell'attaccante catanese. Una storia che, per quanto riguarda Malato, ritiratasi dall'attività agonista nel 2005, ha avuto inizio a fine anni Ottanta.
«Era il 1987 quando venni convocata per la prima volta ‒ ricorda ‒. Dovevo ancora compiere sedici anni. Che partita fosse? Non lo ricordo più, ne ho giocate talmente tanto», scherza. Ferme nella mente, però, ci sono le sensazioni provate nello scoprire di essere stata selezionata per difendere i colori azzurri. «Il momento della convocazione e quello in cui mi è stato dato la divisa sono stati speciali ‒ sottolinea ‒. Ero davvero piccola, e sono stata accolta come una mascotte dalle mie compagne». Quella ragazzina, bracciata dopo bracciata, è diventata donna e leader di una squadra che ben presto ha fatto capire di avere tutte le caratteristiche per lasciare il segno. «Gli europei di Vienna del '95 sono stati il nostro primo successo internazionale, la dimostrazione che l'Italia della pallanuoto femminile poteva essere la più forte di tutte», commenta. A quell'oro, infatti, seguirono altri tre successi continentali, due mondiali fino ad arrivare all'alloro olimpico. Nel mezzo, tanti argenti e bronzi, a riprova della costanza messa in campo. Nei risultati e nell'impegno. Perché per arrivare a tanto non bisogna avere soltanto il talento, ma anche l'attitudine del campione. Che passa per la sofferenza e la voglia di non mollare. Per parlare anche di questo, Malato ha pubblicato negli scorsi mesi un libro intitolato Nove ‒ Il leader (editore Carthago): «L'idea nasce da un'idea da molto lontano ‒ ammette ‒ perché ho sempre pensato che ciò che è stato fatto dall'Orizzonte Catania e dalla nazionale bisognava raccontarlo per iscritto,
«OGGI ALLENO I PICCOLI UOMINI DEL DOMANI»

Foto di
Fabio Randone
affinché potesse sopravvivere nel tempo non soltanto attraverso i ricordi». Un testo che non ripercorre per intero la carriera di Malato ‒ «se no sarebbe stato troppo grande» ‒ e che non punta a fare soltanto cronistoria. «Lo considero un'opera più motivazionale ‒ sottolinea ‒ perché spiega come siamo arrivati al successo attraverso allenamenti, fatti anche di sacrifici, sofferenze e chiaramente anche sconfitte».
NATA IN ACQUA Figlia d'arte ‒ il padre fu pallanuotista ‒, il rapporto di Malato con la piscina
è iniziato da subito. Prima di parlare e camminare. «Sono nata a luglio e dopo pochissimo tempo mio padre mi ha buttato in acqua insegnandomi a nuotare ‒ ricorda ‒. Giocare con la palla è stato il passo successivo e naturale, così che quando ho iniziato a fare pallanuoto a dodici anni mi vedevano come una marziana perché sapevo fare cose che le mie coetanee stavano ancora imparando». Se la piscina è stata la seconda casa, va detto che la scelta della disciplina sportiva ha avuto un ruolo fondamentale. «Ho provato a fare scuola nuoto da piccola ma non mi piaceva ‒ sorride ‒. Ho sempre amato gli sport di squadra. Anche prima di fare pallanuoto, avevo scelto di fare pallavolo e basket, perché per me giocare in gruppo ha avuto sempre un sapore particolare». La stessa propensione messa in campo, quando in ballo c'erano medaglie e successi. «Se mi si chiede quanti gol ho fatto in carriera non so cosa rispondere. Sono tanti ma non li ho mai contati, né sono stata interessata a farlo ‒ chiarisce ‒ e questo perché credo di essere stata
un'attaccante sui generis. Alla soddisfazione per un gol preferivo un assist smarcante che mettesse in condizioni le mie compagne di segnare». Nei ricordi di una carriera stellare trovano posto anche immagini ben lontane da echi mediatici e luci dei riflettori. Momenti nei quali gli elementi in gioco erano soltanto l'acqua, se stessi e il desiderio di spingere i propri limiti sempre più in là. «Ricordo quando ci allenavamo alla Playa con la pioggia e i fulmini che cadevano poco distante. Il vento che ci tagliava la faccia ma nonostante tutto non li considero sacrifici ‒ spiega ‒ perché ho sempre pensato che sono sacrifici le cose che non ti piace fare. Noi invece le facevamo con piacere, perché ci piaceva giocare, stare insieme e crescere».

CAMPIONI CRESCONO Principi ed esperienza che oggi Malato mette a disposizione dei ragazzini che frequentano le piscine del centro sportivo Torre del Grifo, dove lavora come allenatrice delle squadre under 13 e under 11. «Lo sport è palestra di vita.
Ti insegna a stare con gli altri, ti inculca valori da cui non si può prescindere. Più sport fai da giovane più sarai avvantaggiato nella tua vita futura ‒ assicura ‒. Essere allenatrice per me è un po' più facile, perché la fama mi precede. Ma non tanto per il fatto di essere stata brava, quanto perché sanno la passione e l'impegno che ho messo in questo sport». Serietà che giura di mettere anche a bordo piscina. «Sono abbastanza severa. Non guardo il risultato, ma tengo molto all'impegno. Durante la settimana chi si impegna di più gioca, indipendentemente dalla bravura di ognuno ‒ racconta ‒. Specialmente a questa età, prima di essere allenatori siamo educatori. Formiamo persone, bambini che saranno gli uomini del futuro». Nonostante al momento ammetta di trovarsi nella dimensione ideale, perché «vedere migliorare dei bambini ti dà soddisfazioni impagabili», immaginare Malato lontana dai palcoscenici che contano è proprio difficile. A partire da quella nazionale che ha contribuito a fare grande. «Allenare il Setterosa? È una domanda che mi fanno spesso ‒ ammette ‒ ma non mi sento di dare una risposta. Sono sempre stata una persona che ha preferito fare le cose passo dopo passo. Credo che bisogna crescere come allenatori e da questo punto di vista ‒ conclude ‒ anche per me di strada da fare ce n'è ancora tanta». Bracciata dopo bracciata, come trent'anni fa.