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Blowindow di Isidoro Pennisi
twitter@sognadoro23 / i.pennisi@tiscali.it
I CAPULETI E I MONTECCHI NON SONO UNO STEREOTIPO
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Provo a dire delle cose forse indiscutibili anche da un biologo o da un costituzionalista, che riguardano la vicenda dei vaccini e della libertà. Una breve lista, non accompagnata da commenti ma da una conclusione. Il vaccino è un farmaco, cioè una “sostanza o un composto in grado di influenzare i processi fisiologici o patologici di un organismo, che s’impiega per la prevenzione o cura di una specifica malattia.” Il vaccino è un farmaco, e vi sono due tesi radicalmente differenti, quasi opposte, che dividono la stessa scienza medica, sul rapporto tra benefici e costi per la salute, dei farmaci in generale. Il vaccino è un farmaco. Come tutti farmaci, oltre ai principi attivi e gli eccipienti, il suo uso è regolato da un’indicazione terapeutica, da una posologia, da controindicazioni ed effetti collaterali, da interazioni con altri Farmaci: tutte cose illustrate normalmente con non poche parole e su fogli fittamente scritti. Il vaccino è un farmaco, e ha bisogno che sia prescritto personalmente, anche quando, nel caso di una campagna vaccinale come quella in oggetto, vi sono le necessità d’urgenza e di velocità evidenti, perché non si deve mai dare per scontato che tutti, siano nelle condizioni di assumerlo. Il vaccino è un farmaco. Esattamente come si fa con gli altri vaccini, che prevedono che ci sia prima una presa di visione di un medico, che analizza e valuta lo stato di fatto di un paziente, anche in questo caso è medicalmente giusto seguire questa strada maestra. Il vaccino è un farmaco, un’invenzione umana molto particolare. La misura della sua qualità non consiste nell’asserirne la sua totale sicurezza o la sua completa insicurezza, e provare a dimostrarlo con argomenti e dati di qualsiasi tipo, ma nell’uso esatto che di esso si deve fare, nella non faciloneria con cui si utilizza, e nel non affidare a esso ciò che esso non può fare da solo. La libertà è un dovere. Essa è concreta e non astratta e va quindi riferita all’intero, all’articolazione complessiva dell’essere umano, e non può venire isolata, tirata fuori, messa da parte dal tutto. La libertà è un dovere. L’ affermazione in cui si dice, che la libertà finisce, dove ne inizia un’altra, non è vera in assoluto, perché sono molte le libertà che entrano in conflitto con un’altra, così come sono tanti i doveri che urtano con un altro. La libertà è un dovere costitutivo della vita umana e non costituito. Qualsiasi principio di autorità, democratico o meno, di tipo costituzionale o meno, prende atto di questa realtà e lo regola, affinché non siano i rapporti di forza a farlo. Se l’autorità non lo fa, essa è destinata a essere cancellata da chi si prenderà, la libertà di provarci e riuscirci. La libertà è un dovere. Non sono delle autorità liberticide a limitare la libertà ma è l’assenza di pensiero libero a rendere possibile che si accettino idee del tutto sprovviste di significato in cui si prevede la necessità della rinuncia alla libertà. In funzione di questo elenco, didascalico per quello che si può, è meglio dire, al netto di un anno e mezzo di discussioni, che il fraintendimento colposo (quindi non doloso) non del motivo virale, ma della maniera di affrontarlo, governarlo e viverlo, ci sta spingendo verso quel momento in cui i nodi arrivano in un punto dirimente senza però trovare un pettine. La questione del green pass sta facendo emergere il reale stato delle cose. Perché non è possibile paragonare questo documento a un elemento di supporto a una politica discriminatoria analoga a quella già vista in passato con gli ebrei tedeschi, ma non è possibile nemmeno paragonarlo con un certificato di sana e robusta costituzione richiesta per alcune attività cui siamo abituati. Sui vaccini, e più in generale sulla maniera di vivere socialmente una crisi sanitaria, assistiamo al conosciuto fenomeno irrazionale della divisione senza contenuti. I Capuleti e i Montecchi non sono, infatti, uno stereotipo, ma, in maniera acuta e in funzione di conoscenze reali sulla storia sociale, sono la descrizione d’esseri umani che configurano un modello ricorrente, tipico, di reazione sociale di fronte ad alcuni eventi, che diventano divisivi non per via logica e razionale, ma in rapporto alla situazione antropologica, allo stato culturale delle cose, agli equilibri che essi trovano nel momento in cui si manifestano, che non fanno altro che spingere Giulietta e Romeo verso una fine ridicola e tragica.
IL PRESIDENTE LA MAGNA: “È UNA SFIDA CHE CI SIAMO PREFISSATI SIN DAL PRIMO MOMENTO DEL MIO INSEDIAMENTO IN AZIENDA”
ENERGIA ELETTRICA NUOVA OFFERTA PER LA COMMERCIALIZZAZIONE


rere, con i vari colossi, all’interno di un mercato in costanteevoluzione.
ilpresidentediAsecTradeGiovanniLaMagna-parliamodiunobiettitoinquestaazienda.L’obiettivoeraquellodidareunutileimportante aquestasocietàedimostrarechel’AsecTradepotessedirelasuasul mercato dell’energia. Credo che questo primo step sia stato ampiamente raggiunto - continua La Magna - per noi questo rappresenta motivo di enorme vanto visto che l’azienda appartiene a tutti i catanesi” .
Lacommercializzazionedell’EnergiaElettricaperunasocietàchepunta al rispetto dell’ambiente e che guarda con sempre maggiore interesseall’Eolicoeall’Idrogeno.Tuttoquestopochigiornidopol’approvazionedelbilanciodiesercizioal31dicembre2020conunutilediquasi 700.000 euro.
“Credo che Asec Trade stia dimostrando di aver imboccato la strada giusta con risultati, registrati all’interno del bilancio, di eccezionale valenzaeconnuoviclientichegiornalmentevengonoacquisitiall’inqualcheannofa,qualcunopensavadivenderequest’azienda.Noiabbiamo bloccato quel percorso assolutamente eretico e ne abbiamo
eranoiltestimonialdiAsecTradeGinoAstorina,gliassessori PippoArcidiacono e SergioParisi, il presidente del Consiglio Comunale GiuseppeCastiglione,ilpresidentediCataniaReteGasFabioRallo,iconsiglieri comunali GrazianoBonaccorsi, Paola Parisie Luca Sangiorgio.
Al tavolo dei relatori hanno preso la parola la dott.ssa Carmela Anna Condorelli, consigliere di amministrazione di Asec Trade, che ha sot-
da quest’azienda e che testimoniano la bontà della scelta compiuta dall’amministrazione comunalediCatanianelmantenerelagovernance della società in capo all’entelocale” .
Unasocietàsemprepiùgreenconunrilanciochepuntiallaconquista del mercato nella Sicilia Orientale. Questi alcuni dei concetti ribaditi anchedal dirigente Ingegnere GaetanoPirrone.
l’operatore di riferimento sia presente sul territorio ed attento alla qualità del servizioe al contatto conilcliente” .





UN GIOIELLO MANCATO CHIAMATO PARCO MONTE CERAULO

Foto e testi: Gabriele Patti
In un paese come Mascalucia in cui tutto sembra andare di male in peggio, tra inchieste antimafia, avvisi di garanzia e quattro ditte dei rifiuti in un anno e mezzo, sorge un parco che potrebbe essere il fiore all’occhiello dei paesi etnei. Tuttavia, tra chi non è a conoscenza nemmeno dell’esistenza dell’area nel pieno centro urbano di Massannunziata e l’assenza di manutenzione degli organi preposti, l’obiettivo sembra essere ancora lontano. Anche se comincia a intravedersi qualche barlume di speranza.
Si tratta di parco Monte Ceraulo, un’area boschiva, patrimonio della biodiversità mediterranea tipica del territorio etneo. L’area si estende per circa 17 ettari a un’altezza di 520 metri sul livello del mare e costituisce il simbolo di quel che resta del bosco etneo. Querce, lecci, roverelle nane, olivastri, edera spinosa, orchidee e ciclamini testimoniano la ricchezza e la varietà di un bosco nato dalla sovrapposizione di diverse colate laviche. Il parco è anche habitat naturale per farfalle, conigli selvatici e uccelli come l’upupa e il cardellino. Dei tre ingressi al parco, tutti sbarrati, solo uno è accessibile, grazie a un muretto parzialmente abbattuto. Tra la vegetazione si snodano due sentieri che circondano il bosco e conducono all’unica area attrezzata con panche e tavoli. La stessa area attrezzata in cui il gruppo consiliare di Forza Italia, in occasione della festa delle donne e alla presenza del sindaco Vincenzo Magra, ha piantato un albero di mimose, per poi lasciarlo lì a seccare. A parte gli episodi propagandistici – non ultimo la passerella del segretario provinciale del Pd Angelo Villari, affiancato dal segretario del circolo Giuseppe Sbirziola all’evento promosso dalle associazioni cittadine in cui si è
registrata la presenza anche del consigliere comunale Fabio Savasta di Fratelli di Italia –, dopo otto anni dall’ultima gestione affidata alle Giacche verdi di Mascalucia, il parco sembra tornare all’attenzione dell’amministrazione comunale. «Parco Monte Ceraulo deve tornare a vivere», ha annunciato il sindaco Vincenzo Magra lo scorso febbraio. Ma – per dovere di cronaca – il merito per avere riportato al centro del dibattito il parco cittadino è dell’attivista e fondatore del comitato Mascalucia 2030, Giulio Pappa e del responsabile delle Giacche verdi di Mascalucia Stefano Borgese. «Insieme alle altre associazioni stiamo provando ad avere un dialogo con l’amministrazione comunale – afferma Pappa a Paesi Etnei Oggi -, che si è dimostrata assolutamente disponibile alla riapertura». Per questo lo scorso 15 luglio, per volontà dell’assessore ai Lavori pubblici e Manutenzione Rita Cinardo, è stato convocato un tavolo tecnico per discutere delle modalità di gestione. Al centro della discussione c’è stata la concessione del parco alle associazioni riunite nel partenariato “Gli amici di Parco Monte Ceraulo” –, che hanno proposto la stipula di un protocollo d’intesa. Tra gli obiettivi c’è la protezione ambientale di conservazione, la salvaguardia e la tutela dell’ambiente e dei processi ecologici a garanzia dell’equilibrio naturale, la solidarietà sociale nel campo dell’assistenza alle persone in disagio sia fisico che psicologico e l’organizzazione e la gestione di attività turistiche di interesse sociale e culturale. Il merito degli obiettivi è stato riconosciuto anche dall’amministrazione comunale, ma non senza difficoltà. Prime tra tutte quelle di ordine burocratico. Ovvero la necessità di indire una manifestazione di interesse. Un ostacolo che, però, pare essere superabile a stretto giro con il rilascio di un’autorizzazione temporanea in attesa dell’avviso pubblico. Più complicato, invece, pare essere il raggiungimento di un accordo tra associazioni e amministrazione sulle modalità di gestione: le prime vorrebbero una gestione mista (in cui a occuparsi della manutenzione ordinaria e straordinaria spetterebbe al Comune, residuando alle associazioni il compito di organizzare eventi senza scopo di lucro), il secondo prediligerebbe invece l’affidamento totale della gestione alle associazioni. «La verità – sostiene l’ex consigliere


comunale in quota Verdi, Mario Bongiorno interpellato da Paesi Etnei Oggi –, è che i parchi urbani rappresentano un costo non indifferente e in quanto tali risultano scomodi per le amministrazioni comunali». Parco Monte Ceraulo, dunque, rappresenta una bella gatta da pelare, con l’aggravante che «se gli organi competenti, come protezione civile e corpo forestale, non provvedono a rimuovere sterpaglie e ceppi secchi, si rischia che il parco prima o poi vada in fumo con il divampare delle fiamme». Una circostanza che, per chi si è occupato della questione nel 2008 - anno in cui è stato approvato il primo regolamento per la fruizione del parco -, potrebbe trovare una soluzione se «il comune mantenesse la gestione ordinaria e straordinaria del parco – sottolinea Bongiorno - e un’associazione si occupasse di organizzare visite guidate anche attraverso convenzioni con gli istituti scolastici per evitare che diventi una boscaglia suscettibile di incendio». In caso contrario si rischia «un danno ambientale di non poco conto – aggiunge Bongiorno –, considerando che il parco è uno dei pochi in cui sono presenti specie vegetali autoctone». Ma facciamo un passo indietro. Trascorsi 13 anni dal primo regolamento per la fruizione del parco e cinque dal secondo, i tentativi di vanificare la risorsa floristica e faunistica del territorio non sono mancati. In mezzo l’annosa questione della trasformazione dell’area da bosco a parco urbano, con il rischio – scongiurato dall’intervento della soprintendenza - dell’eliminazione del vincolo di inedificabilità all’interno del parco. «Monte Ceraulo di fatto è un bosco riconosciuto come tale dalla normativa regionale – spiega a Paesi Etnei Oggi Giuseppe Rannisi di Lipu –, che ha comportato l’ufficialità e l’inderogabilità

del vincolo di inedificabilità all’interno del parco». Così, prosegue Rannisi, «il Comune ha escogitato la trasformazione del bosco in parco urbano». Secondo Rannisi, il regolamento del 2016 – che ha sostituito quello del 2008 -, «ha allargato le maglie, alleggerendo i vincoli». Proprio in questa occasione «è stato prezioso l’intervento della soprintendenza che ha imposto il mantenimento del vincolo all’interno del parco – aggiunge Rannisi – , rimanendo, invece, scoperta la parte attorno al parco». Ma c’è di più. «Durante l’amministrazione guidata da Giovanni Leonardi – sostiene Agata Montesanto, ex consigliere comunale del Movimento cinque stelle dal 2013 al 2018 -, stavano pensando di costruire un distributore di carburanti a poco meno di 200 metri dal parco». Di cui, peraltro, «dopo essere riusciti con un emendamento al regolamento del 2016 a impedire l’edificabilità di qualunque tipo di opera nell’area antistante al parco – spiega Montesanto -, non siamo mai riusciti a capire quale fosse la compagnia di carburanti interessata». Precedenti a parte, potrebbe essere davvero l’ora di riaprire il parco alla collettività. «Questa amministrazione rema verso la riapertura – assicura l’assessore Rita Cinardo a Paesi Etnei Oggi –, a breve con l’ausilio delle giacche verdi effettueremo un sopralluogo per capire cosa sistemare ed entro settembre completeremo la procedura e apriremo il parco». In merito, poi, alle modalità della concessione «è vero che la gestione mista comporterà ulteriori costi per un comune la cui situazione non è florida – dice Cinardo – e per questo non c’è ancora un’intesa ma io sono sicura che riusciremo ad accontentare le associazioni e concedere la gestione mista pubblico-privato».
LA MISSIONE DELLA COMUNITÀ, CON SEDE IN VIA ROCCAROMANA, È QUELLA DI ABBANDONARE TUTTE QUELLE DOTTRINE CHE HANNO OFFUSCATO IL MESSAGGIO DI GESÙ, PER RICOMINCIARE A PRATICARE IL CRISTIANESIMO ORIGINARIO COSÌ COME ANNUNCIATO DA GESÙ STESSO E DAGLI AUTORI ISPIRATI DEL NUOVO TESTAMENTO.


“Tutte le chiese di Cristo vi salutano ” . (Romani 16:16)
CHI SIAMO
Siamo una comunità di credenti che hanno scoperto la bellezza del Cristianesimo puro e semplice, fondato esclusivamente sulla Bibbia, così come era predicato durante il primo secolo non volendo, con questo, creare una nuova denominazione da aggiungere alle numerose già esistenti, ma volendo usare uno dei due nomi biblici con il quale molto spesso si identidal passo della lettera di Paolo ai Romani: “Tutte le chiese di Cristo vi salutano” (Romani 16:16). Vogliamo praticare il Vangelo così come è stato insegnato da Gesù e trasmesso dagli Apostoli, senza l’ aggiunta di tradizioni o credi umani.
Le chiese di Cristo non hanno una confessione di fede se non quella contenuta nel Nuovo Testamento, né una liturgia stabilita rigidamente (cfr.Atti Cap.2 vers.42). Tuttavia può essere utile riassumere alcuni punti essenziali del nostro credo, punti tratti comunque dalle Sacre Scritture: 1) Crediamo che tutta la Bibbia è ispirata. Ogni singola parola presente nella Bibbia è frutto dell’ispirazione di Dio. “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (II Timoteo 3:16-17) 2) Crediamo che “c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù” (I Timoteo 2:5)
4) Crediamo nella Potenza divina di Dio “ …che Lo ha risuscitato dai morti” (Colossesi 2:12) e crediamo nella stessa
di più di quel che domandiamo o pensiamo”. (Efesini 3:20). 5) Crediamo che attraverso la rinascita spirituale, ottenuta dono dello Spirito Santo, ottenendo la salvezza e la certezza della vita eterna. 6) Ricerchiamo nelle parole del Vangelo i punti fondamentali insegnatici da Gesù come guida di fede, illuminati dall’amore di Dio e dall’opera dello Spirito Santo. La base comune sarà sempre la Parola di Dio, la Bibbia, per riscoprire il vero volto del Cristianesimo.
LA CHIESA
Dio, bensì indica gli stessi fedeli. Chiesa, dal greco ekklèsia, La chiesa di Cristo è, quindi, l’insieme di persone che appartengono a Cristo, perché Lo hanno conosciuto tramite la Sua Parola e che, “chiamate fuori” dal mondo contaminato dal male, si sono convertite a Lui. Gesù Cristo è il fondamento e capo della chiesa. “Egli è il capo del corpo, cioè della chiesa ” . (Colossesi 1:18)
LE NOSTRE GUIDE
Le chiese di Cristo non hanno una gerarchia particolare, ma tutti i credenti sono uguali tra di loro, come volle Gesù. Per il buon funzionamento della chiesa il vangelo parla di “guide” : questi sono i vescovi, gli anziani o pastori (i tre termini indicano la stessa funzione). Ad essi spetta la missione di far rispettare la parola di Dio, di pascere la chiesa ed essere degli ge di Dio che è tra di voi, sorvegliandolo, non per obbligo, ma volenterosamente secondo Dio; non per vile guadagno, ma di buon animo non come dominatori di quelli che vi sono af-

credenti “perché se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?” (I Timoteo 3:5). Il vangelo parla anche di diaconi, collaboratori degli anziani, che prestano il proprio servizio per assistenza e supporto nell’ambito della comunità. Anch’ essi devono avere determinati requisiti biblici. illeciti guadagni; uomini che custodiscano il mistero della fede in una coscienza pura. ” (I Timoteo 3:8-9) evangelisti o predicatori , che hanno il compito di predicare all’esterno e all’interno della comunità. Il termine “ sacerdote ” viene usato nel vangelo per indicare ogni cristiano e non una casta di persone partico-
spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo. ” (I Pietro 2:5)
LE NOSTRE ATTIVITÀ
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VITTORIO LO SAURO: «IN PRIMA LINEA CON L'HUB VACCINALE»
L’ASSESSORE CON DELEGA ALLA SANITÀ E SMART CITY TRACCIA UN BILANCIO DEI PRIMI MESI DI MANDATO: “ADESSO INTERVENTI PER POTENZIARE LA TELEMEDICINA”

L'assessore Vittorio Lo Sauro e il sindaco Marco Rubino

Inaugurazione hub vaccinale

Il sindaco Marco Rubino, l'assessore Vittorio Lo Sauro e la dottoressa Francesca Papa
L’emergenza coronavirus ha messo tutti noi di fronte a una sfida epocale, rimettendo in discussione tutto ciò che ci appariva “normale” e “scontato”, uno scenario che ha persino ridefinito le priorità politiche, sia quelle nazionali che quelle degli enti locali. Non ho avuto né dubbi né esitazioni quando sono stato chiamato a dare il mio contributo in seno all’amministrazione comunale di Sant’Agata Li Battiati». A parlare è Vittorio Lo Sauro, medico dentista, consigliere comunale e da gennaio assessore del comune etneo, con delega alla Sanità, Lavori Pubblici e Smart City.
«Ringrazio il sindaco Marco Rubino per la fiducia che mi
ha accordato conferendomi l’incarico a far parte della sua Giunta, un compito che ho sin da subito affrontato con spirito di servizio nei confronti dell’istituzione comunale e dei miei concittadini. La vita pubblica è stata investita da un vero e proprio terremoto e noi, in qualità di rappresentanti dei cittadini, avevamo il dovere di concentrarci tutti su un unico obiettivo: contrastare l’avanzata del virus con tutti gli strumenti che avevamo a disposizione, soprattutto con l’avvio della campagna vaccinale».
Nella gestione delle emergenze le relazioni con le Istituzioni sanitarie, le forze dell’ordine e in generale con gli altri
attori impegnati sul campo, giocano un ruolo fondamentale: «Abbiamo lavorato e dato un forte impulso per realizzare a Sant’Agata Li Battiati uno degli hub vaccinali della provincia, dedicato sopratutto all’hinterland etneo. La struttura allestita al Palasport, che conta ben 40 postazioni per le inoculazioni, ha registrato nei primi 5 giorni di attività un vero e proprio record con 2.500 vaccinazioni. Nel complesso la macchina organizzativa ha dato una buona prova di efficienza, con tempi di attesa nella media dei 5 minuti, 50 postazioni per l’osservazione e la possibilità per gli anziani di effettuare la prenotazione direttamente in loco. Si tratta di un risultato ottenuto grazie alla collaborazione con l’Asp, la struttura commissariale anticovid e l’assessorato Regionale alla Salute e per questo che desidero ringraziare ancora il commissario covid Giuseppe Liberti, il dirigente generale del Dipartimento della protezione civile Salvatore Cocina e la dottoressa Francesca Papa, responsabile del nostro ‘hub vaccinale».

L’assessore Vittorio Lo Sauro e il Generale Vito Ferrara
«A Sant’Agata Li Battiati sono arrivate 215 mila mascherine
realizzate da 40 detenuti nel carcere di Salerno, frutto di un protocollo tra il ministero della Giustizia e il commissario straordinario per l’emergenza covid, il generale Figliuolo – ha spiegato Lo Sauro – che abbiamo fatto nostro richiedendo all’amministrazione penitenziaria di poter usufruire di una fornitura. Si tratta di un progetto ad alta valenza sociale che unisce lo spirito di solidarietà alla finalità rieducativa della pena».
Di recente l’assessore Lo Sauro ha incontrato a Roma il
direttore della divisione Sanità dell’Arma dei Carabinieri: «Ho portato al generale Vito Ferrara i saluti dell’amministrazione comunale e di tutta la comunità di Sant’Agata Li Battiati. Abbiamo discusso della situazione epidemiologica generale e del fondamentale ruolo svolto dai militari dell’Arma nelle attività di prevenzione e controllo - ha spiegato ancora Lo Sauro, carabiniere in congedo – e soprattutto di future collaborazioni».
«Durante la fase acuta dell’emergenza epidemiologica, ab-
biamo assistito ai tragici bollettini dei decessi quotidiani e al rischio incombente della saturazione del sistema sanitario. In questo contesto è stato fondamentale, per le comunità locali, avere messo in campo una rete di solidarietà di supporto alle tantissime famiglie che si sono ritrovate in difficoltà, a causa dello stop forzato delle attività economiche e lavorative. Nella strategia di ripartenza – ha spiegato ancora Lo Sauro – sarà necessario potenziare il sistema della medicina territoriale, proprio per scongiurare, in futuro, la sofferenza del sistema sanitario. Stiamo lavorando per implementare strumenti e soluzioni di telemedicina che possano validamente integrare il sistema di monitoraggio dei pazienti direttamente a casa. Le tecnologie digitali avranno sicuramente un impatto positivo su questo fronte: si riduce l’afflusso e la permanenza presso le strutture ospedaliere e si ottiene un controllo in tempo reale delle condizioni del paziente». 23

CONOSCENDO MATTIA IACHINO SERPOTTA
di Salvatore Massimo Fazio

Apagina 101 del libro “La gente non stanno bene” (Carthago Edizioni, pp. 303, € 18) di Mattia Iachino Serpotta, ecco cosa trionfa al titolo Bau: “Bau, bau, bau, bau, bau, bau, bau, bau, bau. Il cane dei miei vicini di casa che abbaia ininterrottamente dal febbraio 2016, senza farmi dormire”.
Mi rivedo. Ho fatto lotte contro quelle canaglie che orbitano sul mio cervello e sotto il mio culetto: comprano cani, che lasciano soli intere giornate, tutti i giorni, poi rientrano: chi vive al piano di sotto è separata e convive con un cretino che al rientro dice al cane: “Stai zitto! Cazzo, stai zitto!” e al quale chiedendo se può trovare una soluzione che non mi devasti le già gravi nevrosi, l’unica risposta che ho ottenuto è stata la mia medesima, dunque fuggire onde evitare che mi piegasse a calci. Quelli che vivono al piano superiore sopra, non parlano, non sanno dire altro che far uscire la voce di uno stridolio di quelli che sono impalati nel deretano. Dunque mi piace questo libro, per questa pagina, il resto è gradevole, ma lo conosco tutto, lo vivo e qui sta il talento nel saper miscelare ironia, divertimento e verità. Di Mattia Iachino Serpotta non sapevo nulla. Proprio nulla. Un redattore mi ha detto: “il figlio del...”. Lo stoppo, “il figlio di... non so chi sia. A me lui importa adesso, anzi, manco! Mi interessa il clamore di questo libro che ancora deve uscire”, dico. Ho letto che
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coincide con l’apertura delle gabbie, con la zona bianca, come il sale, la presentazione che al contempo è giorno di uscita del volume. A lavoro due mie colleghe me lo annunciano e anche a loro io dico che non so chi sia, ambedue mi dicono: “possibile che non lo conosci? Tu che conosci tutti?”. Io replico che per le minchiate quotidiane che combino in area culturale, sono tutti che conoscono me. Una mi dice che sa di più di me e che le minchiate sono strategie. Cavolo, mi ha beccato, “pertanto lo conosci!”. La stessa mi racconta che è un ‘personaggio’; l’altra mi dice che è uscito il libro e che non è nulla di che. Mi chiedo se l’ha letto in anteprima. Sta di fatto che mi ci avvio. Ho la zita, che si alterna tra zitissima e gerarchissima. Io ascolto, non sempre capisco, lei mi ricorda che sono io a non capire perché viaggio sempre a 13.000 metri di quota! Io, che ho il terrore del volo e che quando devo entrare in un aereo inizio a praticare rituali un mese prima... comunque sia, “La Stupore” della mia zita, mi dice: “ebbene si: questo ti supera!” Questo supera me? E che ha scritto? Che importa, è un personaggio. Ok. Contattiamolo. Mi sento con l’editore e ci mette in contatto. Sicché ricevo la chiamata dopo un menage d’amorevolezza e accoglienza (la fase dello zitismo). Rispondo al Mattia al quale dico “le spiace un attimo attendere che le passo la mia segretaria?”. Angela, perché è un angelo al femminile la zita-gerarca, mi guarda in cagnesco: eccola che diventa gerarca soltanto. Le passo il telefono e mi fa il gesto come a chiedermi ma chi è? Volto le spalle e lei risponde. Si riconoscono e sorridiamo tutti, credo anche il Mattia che comunica che l’avrebbe vista qualche giorno fa in una foto di chissà quanti anni fa. Bene, riprendo il cell, Angela sta preparando olio di ricino, per la sprovveduta idea che ho avuto di appellarla segretaria, e parlo con Mattia. È diretto, chiaro, cristallino e lucido. Mi aspetto un nuovo saggio sulle differenze antropologiche tra il socio-reale e il fantasticato-realizzato. Ed eccolo: nato a Catania nel 1978. Avvocato penalista. Sposato. Una figliola e “non so dirti più di me”. Ottimo, mi piace Serpotta, meno info possibili così posso scrivere io e prendermi qualche nuova querela. Ci risentiamo e tra mail e messaggi incalzo chiedendo se è il suo esordio assoluto, sapendo la risposta perché già l’ho letto; mi dice di si.

Proseguo chiedendo come è giunto a Carthago, la casa editrice del mio amico Peppone che non vedo da un anno scarso, uno de pochi che mi chiama Salvo, ed ecco la risposta:
«Ho inviato il manoscritto alla loro casella mail e mi hanno risposto con entusiasmo».
Mattia come lo descriveresti se qualcuno ti chiedesse di cosa tratta questo libro?
«Sono 42 racconti che descrivono in chiave ironica fatti, situazioni, comportamenti che, oltre ad essere attuali, potremmo definire di ordinaria follia».
Perché e per chi lo hai scritto?
«Perché volevo arrotondare; per chi mi hai preso? Per mia figlia. Volevo lasciare una traccia per il futuro di chi è/era sua padre».
Questo libro ha fatto il botto prima ancora di uscire, potrebbe ambire a premi come il bancarella: ti interesserebbe?
«Certo».
Ci sono persone che vuoi ringraziare o alle quali dedicare la stesura di questo libro? Se si, perché? In che modo ti hanno influenzato?
«Sono molte le persone a cui devo questo libro e le ho ringraziate tutte nella pagina finale. Su tutte, però, mi piace ricordare la prof. Lucia Andreano, che mi ha indicato la strada».
Cambio registro; le poche notizie che mi ha dato vanno bene. Chiedo al Nostro se sa di essere uno dei maggiori personaggi etnei che in chiave social vanta tantissime visualizzazioni e punto a farmi spiegare come valuta questo interesse, perché se scrive anche solo Ciao, si raccolgono circa 600 like? La risposta sorprende e il personaggio diverte nel comunicare frammenti di verità. Ecco cosa replica: «E’ il segno della deriva di questo Paese».
Ma Mattia Serpotta si è ispirato a qualche autore?
«Sicuramente a De Silva e Sorrentino su tutti».
Tendo alla provocazione, ma con lui magari è un atto distensivo:‘La Puglia ha Zalone, Catania ha Serpotta’, usano lo stesso linguaggio, almeno dai titoli dei capitoli, quasi tutte parodie di usi idiomatici. Quanto può essere vero questo accostamento?
L’autore etneo non riconosce questo accostamento, e ciò mi piace e pure tanto, dichiarando che: «Mi chiedi quanto, ti dico zero».
La pre uscita: un movimento impressionante nei social e la città di Catania che ne parla, quotidianamente: come l’hai vissuta?
«Con ansia, come ogni cosa che ruota attorno la mia vita».
Chi ha (se lo hanno fatto) curato editing e correzione di bozze e come ti sei trovato a lavorare con chi sta dietro le quinte del mondo editoriale?
«La Carthago in ultima battuta, ma aver fatto leggere la bozza a dei miei cari amici mi ha molto aiutato anche nell’individuare errori insopportabili».
Serpotta: futuro rappresentante della letteratura etnea?
«Speriamo in qualcosa di migliore».
Quanto al futuro: Cosa serba la tua penna?
«Assegni e cambiali sicuramente».



IL DUCA D’AOSTA E QUELL’AMORE PER L’ETNA E MASCALUCIA
di Claudia Mirabella

Si è spento il primo giugno 2021 nell’ospedale di Arezzo Amedeo di Savoia, Principe, Duca di Savoia e Duca D’Aosta. Aveva da poco subito un intervento che sembrava aver superato, tant’è che era già stata programmata la sua dimissione. Ma nella notte del 1 giugno il suo cuore si ferma. Viene ricordato dalle persone che lo conoscevano come una brava persona, gentile e cordiale. È stato particolarmente legato, durante la sua vita, al territorio siciliano ed era solito visitare villa Trinità, a Mascalucia. Il principe Amedeo, duca d’Aosta e di Savoia, era l’unico figlio di Irene di Grecia e di Alimone di Savoia, quarto duca d’Aosta, re di Croazia. Nacque sotto i bombardamenti nei pressi di Firenze, nella residenza toscana dei genitori. Un anno dopo fu deportato nel campo di concentramento austriaco di Hirschegg. Dopo la liberazione visse in Svizzera e poi in Italia e, a soli cinque anni, dopo la morte del padre, assunse il titolo ducale come capo della casa Savoia-Aosta. Rimane lontano dalla politica, nonostante le proposte avanzategli da diverse parti. Rappresenta diverse imprese italiane all’estero e viene nominato presidente della fondazione internazionale “Pro Herbario Mediterraneo” e del comitato di gestione permanente della Riserva Naturale Statale Isola di Vivara. «Parlo molto volentieri del Duca D’Aosta» esordisce Salvatore Bonajuto, agronomo e paesaggista, «era una gran bella persona». È proprio l’amore per il verde e per la natura che lo accompagna per tutta la vita e che lo lega particolarmente al nostro territorio. In particolare lo lega al nostro intervistato, Salvatore Bonajuto, suo grande amico con cui aveva in comune l’amore per la Sicilia, il verde e le piante (grasse in particolare). «Lo conobbi dieci anni fa, fu nostro ospite alla manifestazione “Dove fiorisce la Jacaranda?” che si tiene ogni anno a Villa Trinità. La villa, che fu costruita nel 1609, sopra residui di civiltà ellenistiche e romane e di colate laviche pietrificate risalenti al 1382. Sino al 1800 l’attività prevalente fu la produzione di vino, proseguita sino ai primi del 1900, periodo in cui i Bonajuto, si trasferirono in campagna per assistere alla vinificazione. Nel 1960 venne iniziata la coltivazione di agrumi e, dagli anni Ottanta in poi, la villa divenne dimora fissa della famiglia e fu aperta al pubblico». «Continuammo a sentirci – racconta – e ci rincontrammo qualche anno dopo, quando ci invitò a visitarlo, vi andai insieme a un’associazione di paesaggisti e fu un’esperienza veramente gradevole – ricorda – gli chiamavo spesso durante l’organizzazione della visita a Pantelleria e quando non mi rispondeva mi richiamava immediatamente, era sempre molto disponibile». È proprio nella sua dimora a Pantelleria che la seconda moglie, la Duchessa Silvia



«IL VERDE È NEL MIO DNA UN PATRIMONIO GENETICO CHE È VENUTO A FORMARSI CON L’APPORTO DI MOLTI MIEI ANTENATI, A PARTIRE DAI RE D’ITALIA, CHE HANNO VOLUTO CREARE SPLENDIDI VIALI ALBERATI IN MOLTE CITTÀ ITALIANE»
Paternò di Spedalotto, lo ha portato a realizzare un meraviglioso giardino di piante grasse che «ci ha mostrato con orgoglio a settembre», racconta Bonajuto. «Siamo stati tra gli ultimi a incontrarlo prima che si isolasse. Era veramente una persona gentile e ospitale, non vedeva l’ora che tornassimo, non era pronto a lasciarci». «Il verde è nel mio Dna – diceva il Duca – Un patrimonio genetico che è venuto a formarsi con l’apporto di molti miei antenati, a partire dai Re d’Italia, che hanno voluto creare splendidi viali alberati in molte città italiane». Il suo amore per il territorio non si limita alla platonica ammirazione, ma si realizzava anche in impegno civile. Infatti, in un’intervista del 2012, in occasione dell’anniversario dello Yachting Club di Catania, Amedeo di Savoia propose un’iniziativa di promozione turistica nazionale partendo dal verde pubblico, ispirandosi alla moltitudine di luoghi visitati e vissuti. Il Principe racconta della grande bellezza che questi luoghi suscitano nella sua anima e di come essi siano paragonabili a vere e proprie opere d’arte.


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MEMORIE DI UN’ERUZIONE MILO 1950-1951
di Andrea Giuseppe Cerra
«Chi a Milo viene per vedere la lava da vicino, prende per una mulattiera piena di ciottoli neri, in un valloncello, alla fine del paese, tra vigne e querce nane.
Chi invece viene per sapere ciò che la lava sta facendo in questo momento, si ferma in mezzo al paese, davanti ad un uscio che mostra, come tanti altri, una benda nera di un vecchio lutto […]» scrive Ferdinando
Chiarelli, inviato speciale del «Corriere della Sera» (allora stampato come «Nuovo
Corriere della Sera»), il 12 dicembre 1950.
A settant’anni dall’eruzione del 1950-1951 che colpì il borgo etneo di Milo, Paolo
Sessa ripercorre quei giorni in una recente pubblicazione per i tipi di A&B editrice, l’eruzione del 1950. Memorie e immagini di un evento. Il libro di Sessa rappresenta un importante lavoro di ricostruzione degli eventi non solo eruttivi ma soprattutto umani legati alla tragedia vissuta dalla piccola popolazione di Milo. Un testo di notevole interesse anche per chi si occupa di storia della vulcanologia, come afferma nella prefazione il vulcanologo Stefano Branca, Direttore della sede catanese dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia. I vulcanologi che seguirono giornalmente sul terreno le fasi effusive dell’eruzione furono i professori Gustavo Comin e Domenico Abbruzzese, assieme ai due assistenti Francesco Speranza e Salvatore Cucuzza Silvestri. L’autore ha condotto una minuziosa ricerca tra i quotidiani e i settimanali dell’epoca. Furono una decina le testate nazionali a

seguire da vicino l’eruzione. Sessa riesce a riproporci non una semplice cronaca del percorso lavico, bensì uno scenario, un affresco, grazie al quale si può ben comprendere lo stato emotivo che vissero gli abitanti del borgo: sguardi impietriti, vite sconvolte, uomini e donne raccolti in preghiera, matrimoni celebrati in fretta sotto l’occhio minaccioso del vulcano, come non ci dovesse più essere tempo per rispettare gli impegni d’amore. Nei momenti più difficili emerge la fierezza di un popolo, le generose gare di solidarietà che videro coinvolti tutti, ricchi e poveri, le pubbliche amministrazioni dei comuni vicini, le associazioni, gli artisti, i bambini, in Italia come nel resto del mondo. Milo non fu lasciata da sola, e tantissime furono le iniziative di solidarietà: a Paternò furono rinviati i festeggiamenti di Santa


«UN POPOLO INTERO, I MILESI DI OGGI, ALLORA BAMBINI O GIOVANISSIMI TESTIMONI DELL’ERUZIONE, INCANTATI E COI VOLTI SPESSO RIGATI DI LACRIME, ECCITATI E A VOLTE AMMUTOLITI, HANNO SCAVATO DAVANTI A QUELLE IMMAGINI NELLA LORO MEMORIA E HANNO DATO NOMI, E ANCORA NOMI, A QUESTI VOLTI: NONNI, GENITORI, ZII, GIOVANI COMPAGNI DI GIOCHI, TANTI DEI QUALI NON SONO PIÙ»

Barbara, a Belpasso si decise di dare ai festeggiamenti della patrona Santa Lucia un carattere propiziatorio, i “Boys’ Republic of Italy” raccolsero fondi da New York, gli studenti dei licei, a Bergamo come a Napoli, inviarono i loro risparmi, un’autista della SITA mise a disposizione degli sfollati la sua casa di Pisano, il Maestro Arturo Benedetti Michelangeli tenne un concerto a Catania “pro sinistrati”, sino all’intervento di enti e migliaia di cittadini che inviarono fondi. Il tutto in un contesto mediatico completamente diverso da quello attuale. Grazie alla scoperta nell’Archivio storico dell’Istituto Luce di alcuni preziosissimi cinegiornali de «La Settimana INCOM» si è ricostruita un’affollata galleria di storie private, ricomponendo i pezzi di un mosaico costituito dalle tante vite vissute che insieme formano la storia pubblica della comunità milese. «Un popolo intero, i milesi di oggi, allora bambini o giovanissimi testimoni dell’eruzione, incantati e coi volti spesso rigati di lacrime, eccitati e a volte ammutoliti, hanno scavato davanti a quelle immagini nella loro memoria e hanno dato nomi, e ancora nomi, a questi volti: nonni, genitori, zii, giovani compagni di giochi, tanti dei quali non sono più», in queste parole si comprende il profondo legame tra Paolo Sessa e Milo, cittadina di cui l’autore è stato Sindaco. Un volume di grande interesse per la storia etnea, un omaggio alle donne e agli uomini di Milo che ebbero la ventura di vivere quei giorni terribili.






ELISABETTA MONACO E IL GUSTO PER IL NON CONVENZIONALE
Foto e testi: Francesca Santangelo
Rimanere fedeli a sé stessi: è questo il motto di Elisabetta Monaco, una giovane designer nata a Catania ma residente ad Acireale. Un concetto che ha trasferito nel suo brand Moel, progetto al quale sta dedicando tutta se stessa. Moel non è un semplice marchio di borse: audacia, innovazione, ricerca, rottura degli schemi sono solo alcuni concetti chiave che permettono di definire questi accessori non convenzionali. A chi sono rivolte? «A tutti coloro che ogni giorno, davanti lo specchio fanno la scelta di essere se stessi. - spiega Elisabetta - Comunicare il proprio stile, ciò che si ha dentro attraverso un accessorio particolare, senza avere il timore di indossare una cosa diversa che ci rappresenta, che cerchiamo e che ritroviamo in una borsa.» Apparentemente semplici, le borse Moel sono tutt’altro che tali. Le linee semplici nascondono uno studio accurato e ricercato, tanto quanto i materiali (bambù) che le compongono, difficili da reperire. Less is more espressione coniata dall’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe sintetizza a pieno questo concetto basato sulla ricerca della perfezione imparando a sottrarre il superfluo. C’è bisogno però di una grandissima competenza nel sapere cosa togliere ed è cosa tutt’altro che semplice. «Per me il minimal è quel poco che appare però equilibrato ed ha una sua armonia». Il nome del brand rappresenta nel modo più armonico possibile, quasi come per magia, quelle che sono le prime due lettere del cognome e del nome di Elisabetta. «Per me è stato bingo. Il logo inoltre è coerente poiché molto fermo, geometrico ma a sua volta aperto e se lo si guarda bene, sembra quasi rappresentare esattamente la borsa stessa.» Quale possa essere il meccanismo creativo che porta gli artisti a realizzare i loro capolavori è una curiosità che chiunque da esterno si chiede sempre. Da dove nasce dunque un’idea? «A volte anche da una parola - svela Elisabetta - Nello specifico il termine che ha fatto accendere la mia lampadina è stata esoscheletro. Da qui la volontà di fare una borsa che avesse appunto un’impalcatura, una struttura esterna rigida. È vero che per comodità la definiamo spesso cornice, e che mi sta anche bene perché può essere sempre un riferimento all’arte, ma è a partire dal concetto di esoscheletro che ho realizzato i diversi modelli. Ovviamente poi anche il mondo circostante, le ricerche, aggiungono degli input che fanno sviluppare il progetto. Questa è l’origine del mio processo creativo. Da lì passo poi allo schizzo da presentare al laboratorio.»


Il nome del brand rappresenta nel modo più armonico possibile, quasi come per magia, quelle che sono le prime due lettere del cognome e del nome di Elisabetta. “Per me è stato bingo. Il logo inoltre è coerente poiché molto fermo, geometrico ma a sua volta aperto e se lo si guarda bene, sembra quasi rappresentare esattamente la borsa stessa.”
Ma Elisabetta non si limita solo a questo e porta avanti il suo progetto, curandone ogni dettaglio anche attraverso l’illustrazione: un mondo che l’ha sempre affascinata e che utilizza per creare e sviluppare il mood del lavoro, lo stile. Chi è dunque Elisabetta? «Una persona che sta vivamente e con molto entusiasmo affermandosi come designer»: un obiettivo che porta avanti fin da giovanissima. Dopo il liceo artistico infatti, sceglie fermamente di frequentare l’Istituto Europeo di Design (IED) che si trova a Roma e che gli permette sicuramente di aprirsi e sviluppare in maniera ricercata ciò che già porta dentro. «Mi ha dato diverse soddisfazioni il piano della tesi, il quale non era un progetto da passerella ed alta moda, ma più orientato sullo streetwear e sull’ambientazione urbana con riferimento alla concezione di viaggio e movimento. Nomadismo condiviso era il titolo: concetti chiave che mi rappresentano più di quanto riesca a mostrare. - e spiega - per l’occasione ho realizzato degli abiti che si trasformavano in accessori. Ci tengo a puntualizzare questo perché sono sì partita dall’abbigliamento ma già ai tempi il mio orientamento era proiettato sul mondo degli accessori, che poi è quello che sto facendo adesso. Insieme ai tanti progetti, non mancano sicuramente i sogni che portano a chiedersi cosa sarà Moel tra dieci anni. «Spero per quel giorno di aver reso questa borsa iconica perché il potenziale secondo me ce l’ha, a livello di immagine, impatto visivo, creatività. Spero anche di avere modo di continuare a produrre altri modelli perché questi sono i primi, quelli che ho potuto realizzare finora e su cui voglio puntare, dandone il giusto spazio. Dopo di che, se le cose vanno bene si può lavorare per sviluppare altri modelli altrettanto interessanti.»
twitter@sognadoro23 / i.pennisi@tiscali.it
LO STRANO CASO DI TRECASTAGNI
Raccontano i libelli di storia popolare che Trecastagni, borgo di poco più di diecimila abitanti alle pendici del vulcano Etna, si chiami così perché Alfio, Cirino e Filadelfo, i tre patroni del paese, abbiano soggiornato lì prima del martirio. Tres Casti Agni: quei santi erano “tre casti agnelli”. Può capitare pure che la “castità” di un ridente territorio, anche se consacrata finanche nelle storie dei santi, venga sacrificata sull’altare del sospetto di mafia e possa diventare talvolta il “martirio civile” di una intera comunità. Avviene sovente in Sicilia e la vittima sacrificale di una delle storie di straordinaria ingiustizia, che riguardano lo scioglimento discrezionale dei comuni del mezzogiorno per mafia, è stato proprio il paese dei “tre casti agnelli”: Trecastagni. Quel fazzoletto di terra è diventato esso stesso un agnello sacrificale. Sacrificata è stata la giunta di quel comune e il suo sindaco Giovanni Barbagallo, riconosciuto da tutti come politico onesto e rigoroso. Dalle parti del vulcano, la Prefettura catanese, notificò infatti l’8 maggio 2018, alle ore 14:30, un decreto di scioglimento. Proprio alla vigilia di una delle feste religiose più partecipate della Sicilia: il 10 maggio. La festa in onore di Alfio, Filadelfo, Cirino, aveva resistito pure alle bombe delle due guerre mondiale: si è arresa dinnanzi alla furia implacabile della nostra legislazione antimafia. Gli intendenti prefettizi dichiararono che gli amministratori dovessero andare a casa sulla base dello stigma peggiore: possibili rapporti con la mafia. Ciò, non perché vi fosse neanche la più lontana congettura che un pezzo del ceto politico avesse rapporti con la criminalità, ma per un’inchiesta che aveva colpito, a proposito di mafia, due dipendenti comunali. Cosa c’azzecchino due dipendenti con un sindaco, una giunta, un consiglio comunale, nel tempo della separazione tra indirizzo e gestione, è inspiegabile! Eppure quegli amministratori sono stati infangati, un intero territorio sporcato, ancorché il Tribunale (ordinanza n. 4011/2019) e la Corte d’Appello di Catania (n. 2722/2020) abbiamo ex post chiaramente dichiarato che a carico del sindaco “non emergono collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata”. C’è di più: i dipendenti inquisiti sono stati condannati il 15 luglio 2021 dalla Prima Sezione Penale del Tribunale di Catania, escludendo però l’aggravante del metodo mafioso. È legittimo chiedersi: chi risarcirà mai gli abitanti di Trecastagni del danno di immagine patito; quel sindaco e quella giunta, ingiustamente espropriati dal ruolo che ricoprivano? Oggi occorre una riflessione vera intorno all’art. 143 del D.L. 267/2000 che non prevede il diritto alla prova, su una disciplina dello scioglimento dei comuni che non ammette contraddittorio, diritto alla difesa, parità di trattamento tra le parti. Siamo al di fuori dalle colonne d’Ercole del giusto processo. Si può davvero pensare che un funzionario prefettizio, chiunque esso sia, un prefetto, un ministro dell’interno possano inaudita altera parte annullare il corso democratico di una comunità? È ancora tollerabile la resistenza del Consiglio di Stato che continua a sostenere la natura preventiva e non sanzionatoria della disciplina, laddove la prevenzione è invero il viatico per evitare il confronto con le conquiste dello stato di diritto? Per quale ragione peraltro questi provvedimenti draconiani riguardano sempre e comunque solo comuni medio piccoli – ove nella maggior parte dei casi gli amministratori sono inermi e slegati da vere logiche di potere – mentre le grandi città appaiono protette da un’egida di intangibilità? Prevenire, scrive spesso Sergio D’Elia, a volte è peggio che punire. Prevenzione ed emergenza sono diventati pezzi dell’armamentario marziale del diritto dell’hostis, del nemico degli ultimi trent’anni di illegalesimo legale. Si legittima l’intervento di un prefetto sulla base di un’emergenza perenne, di un pericolo costante, del ripudio di fatto delle conquiste dell’illuminismo giuridico, della nostra civiltà. La verità è presto detta: lo scioglimento di Trecastagni è avvenuto in modo medioevale e ciò capiterà spesso sin quando il Parlamento non avrà il coraggio di interrompere una “continua corsa agli armamenti”, sminare il campo dalla discrezionalità e dall’arbitrio. Si potrebbe obiettare: a chi interessa di un piccolo comune di diecimila anime? Eppure la vicenda di Trecastagni non può essere condannata all’oblio come se nulla fosse accaduto. Sciascia forse redivivo gli avrebbe dedicato finanche un pamphlet. È vero: sono storie di provincia. Di quella provincia nella quale ci si alza la mattina per lavorare e ci si accontenta di poco. Di un caffè al bar la domenica mattina, della processione di un santo patrono. Sciascianamente “non v’è nulla di più provinciale dell’accusa di provincialismo”. Trecastagni come metafora nazionale? Proprio così. Se non si interviene presto su quei codici, su quelle pandette, il diritto morirà ogni giorno. (Da “Il Riformista” del 23 luglio 2021)

BATTIATI ESTATE 2021

La pandemia ha segnato fortemente tutti gli ambiti socio economici e tra questi la cultura ne ha subito potenti conseguenze. Nella ridente cittadina a pochi km da Catania, Sant’Agata Li Battiati, il Sindaco dott. Marco Nunzio Rubino con l’amministrazione e il supporto di un direttore artistico, Antonio Petralia, e due coordinatori per il jazz il M.stro Francesco Vaccaro, e per la letteratura il filosofo Salvatore Massimo Fazio, hanno messo su il cartellone “Battiati Estate 2021” che annovera teatro, musica, arte e libri. Proprio di quest’ultimi il paesino è rinomato perché rappresenta una delle realtà più vivide di scrittori di livello che vanta l’Italia intera. A supporto della medesima letteratura anche quattro caffè concerto con relativi autori proposti dalla libreria locale ‘Sofà delle muse’ di Maria Grazia Tomasello e del comunicatore Giovanni Di Stefano. Scontato l’ottimo calendario siamo certi che dietro il manto dello sfogliar di libri, il nostro collaboratore Fazio vi ha messo il piedino un po’ ovunque. Il calendario si è aperto 9 luglio per chiudersi il 30 agosto. Nomi da gustare, nomi da amare. Nomi come quelli che vi faranno godere un’estate speciale. L’estate del ritorno alla normalità.