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Gutenberg, Marmot E LA MODERNITÀ

“Devo confessare che ho cercato di resistere a lungo al progresso tecnologico: possiedo una penna molto elegante e nutro una vera passione per i fogli di carta, ma alla ne ho dovuto rassegnarmi e tirar fuori un altro tipo di fogli per procurarmi un amico elettronico. Una delle ragioni che mi hanno spinto al grande passo è che non riuscivo più a sopportare il fastidio di compilare i riferimenti bibliograci alla ne di ogni articolo. Il mercato o re diversi sistemi per archiviare riferimenti bibliogra ci: se desiderate un elenco completo dovrete cercarlo altrove”.

Chi scrive è Sir Michael Marmot, autore di un capitolo di un libro pubblicato dal British Medical Journal (allora si chiamava ancora così: era il 1990) e dal Pensiero Scientifico Editore (ormai è chiaro: siamo cresciuti nel culto di autori come lui).

Ma cosa c’entra il computer di Marmot con ChatGPT? C’entra per sottolineare come l’introduzione dell’innovazione nel quotidiano raramente è una cosa semplice e molto spesso comporta una dose di sofferenza. Marmot spiegava ai suoi (e nostri) lettori le meraviglie delle prime versioni dei programmi per la redazione delle bibliografie, avvertendo che inizialmente questo nuovo modo di procedere aveva comportato “un drastico calo” della sua produzione scientifica, precisando però che questo si era verificato per ogni sua precedente nuova esperienza con il computer: “Una volta superata la fase di noviziato ho finito con l’apprezzare i vantaggi del progresso. Oggi tutti i miei riferimenti bibliografici sono al sicuro nell’hard disk del mio portatile Toshiba, che mi permette di consultarli persino quando sono in viaggio. (Questo, tra l’altro, mi impedisce di pensare a quale parte dell’aereo si incendia per prima in caso di atterraggio d’emergenza non riuscito)”.

In definitiva, abbiamo recuperato in archivio la fotografia di quello che in Silicon Valley chiamano “il Momento Gutenberg”.

Per spiegare di cosa si tratta a chi non ne avesse mai sentito parlare (in effetti, è un’esperienza familiare soprattutto per chi lavora nell’editoria e nella comunicazione), dobbiamo fare un altro salto all’indietro, stavolta molto più lungo di quello precedente. Siamo a metà del Quattrocento a Magonza, nell’attuale Germania. Come ha spiegato – tra tante e tanti autrici e autori – Elizabeth Eisenstein nei due volumi di “The printing press as an agent of change”1 all’intuizione di Gutenberg seguì un insieme di vere e proprie rivoluzioni. Dalla Riforma protestante all’epocale cambiamento che sintetizziamo sotto al nome di Rinascimento fino alla rivoluzione scientifica: poter disporre di libri come strumenti essenziali di conoscenza fu un fattore decisivo per innescare un processo di straordinario rinno- vamento. La possibilità di riprodurre in modo relativamente facile dei contenuti rendendoli disponibili a un pubblico sempre più ampio permetteva una circolazione delle idee che alimentava a sua volta ulteriori riflessioni, ricerche, studi e approfondimenti. E – cosa da tenere a mente – mettendo progressivamente in discussione ruoli e gerarchie.

Secondo la direttrice dell’Institute for future californiano, Marina Gormis, “stiamo vivendo il nostro Momento Gutenberg, un momento di trasformazione degli strumenti fondamentali per creare, esprimere e condividere informazioni, idee e conoscenze”2. È come l’invenzione della stampa: la crescita e il miglioramento qualitativo degli strumenti di comunicazione digitale porterà probabilmente a molteplici rivoluzioni nel modo in cui governiamo, impariamo e organizziamo la nostra economia.

Stiamo vivendo il nostro Momento Gutenberg, un momento di trasformazione degli strumenti fondamentali per creare, esprimere e condividere informazioni, idee e conoscenze. — Marina

Gormis

In ambiti diversi – dall’editoria alla sanità – ci si chiede il perché della resistenza che spesso caratterizza le reazioni a queste spinte di rinnovamento. È una questione approfondita da tanti autori, al punto che una nota di poche righe sembrerà comunque inadeguata a descrivere la complessità della questione. Ma è davanti gli occhi di tutti come i cambiamenti negli strumenti e nelle tecnologie di comunicazione di base siano capaci di mettere in discussione le dinamiche di potere esistenti, ridefinendo le gerarchie tra i gruppi sociali che hanno capacità e diritto di esprimersi, di dar forma alle narrazioni dominanti e influenzare il modo in cui pensiamo e agiamo.

“Dobbiamo immaginare e costruire modelli di nuovi assetti istituzionali e modi di governare una società democratica, date le capacità e le sfide tecnologiche di oggi” ha scritto Gormis. Potenzialmente la posta in gioco è molto alta e c’è il sospetto che sia proprio questo risultato – in linea ancora teorica davvero rivoluzionario – a innescare le reazioni prudenti o conservatrici di buona parte dei cosiddetti stakeholder. Che, se usassimo l’italiano, definiremmo “portatori di interessi”. Espressione che non è molto amata, come sappiamo: perché è sempre meglio far finta che non esistano interessi che ci proteggano dal cambiamento.

Luca De Fiore