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Da Agata, dove il Natale è di casa Giada Valdannini
from Dicembre 2021
by pay50epiu
Una ricorrenza legata anche a sapori, colori e profumi che diventano emozioni, e nel tempo, ricordi. Ne sa qualcosa Agata, un’ex insegnante che tra un bignè e una torta glassata ci racconta perché questa è davvero la Festa della famiglia
DA AGATA, DOVE IL NATALE È DI CASA
di Giada Valdannini
Immaginate di immergervi nell’atmosfera unica del Natale, tra profumo di dolci appena sfornati e morbide decorazioni in ogni angolo di casa. È esattamente ciò che abbiamo incontrato, ospiti della signora Agata di Napoli. Lei ha 71 anni - classe 1950 - e un’energia incontenibile. Iniziando a parlare, e semplicemente guardandoci intorno, intuiamo che non ama starsene con le mani in mano. Per trentasei anni ha lavorato nella scuola superiore come insegnante con la cattedra di Ragioneria e tecnica bancaria. È anche mamma: «Ho due figli - ci dice -, un ragazzo di quarantotto anni e una ragazza di quarantacinque», ma è anche nonna di «quattro bellissimi nipoti: un maschio, Emilio, di quattordici anni; la sua sorellina Elisa, che di anni ne ha quasi dodici, e di due altre due bambine - figlie della figlia - di quasi undici e quasi otto anni». Ha preparato per noi dei dolci napoletani a forma di alberelli di Natale, fatti di pasta di mandorle. Sono i cosiddetti mostaccioli, mentre le decorazioni verdi che abbelliscono la tavola circolare tutta imbandita sono a forma di stella: fatti in pasta di zucchero. In cucina, pronta da tirare fuori dal frigorifero, una torta che ricorda un verdissimo abete fatta anch’essa con pasta di zucchero e con la panna montata a rivestire un cuore a base di pan di spagna, bagnato nel rum. Per le decorazioni

floreali ha scelto il rosso ma, ci dice: «Se ne possono fare di tutti i colori, anche oro e argento». In più, c’è una torta di bignè fatti in casa e ripieni di crema pasticcera, tutti avvolti in ganache di cioccolata fondente e decorati con panna montata, pasta di zucchero e lamponi. «Cose sane - ci tiene a sottolineare lei -, uso solo prodotti di qualità. La pasta di zucchero la faccio a mano, non la compro. È a base di miele e ci aggiungo aromi come la vaniglia». Torte che - racconta - «si prestano molto anche per i compleanni dei miei nipoti che, infatti, mangiano solo dolci fatti dalla nonna». Ne va orgogliosa, Agata, e si percepisce anche quando ci mostra la collezione di alberi di Natale che ha confezionato con le proprie mani e che regala a parenti e amici. Sono alberi fatti all’uncinetto, di lana o realizzati con della fodera ta-
«Sono fortunata, durante l’anno ho sempre la mia famiglia intorno, ma che bello riunirla in presenza anche di cari amici»

gliata in cerchi che poi formano foglie che vengono incollate su una sagoma di polistirolo. «Li realizzo così, come mi viene in mente. In giro, trovo materiali che magari mi incuriosiscono: li compro perché so già che potrei realizzarci qualcosa». Creazioni per le quali impiega almeno un giorno e mezzo di lavoro, così come per altri alberi disposti su un altro tavolino, rivestiti di stoffa, imbottiti con ovatta da tappezzeria: tutti cuciti a macchina e decorati a mano. Allora ci incuriosiamo di tanta operosità e vogliamo capirne le ragioni. È per questo che le chiediamo come sia nata la passione per queste creazioni. «Nasce sin da piccolissima, perché la mia mamma mi ha messo tra le mani i ferri per lavorare la lana. La mia mamma, che era una donna d’altri tempi, non ammetteva che si stesse senza far nulla in casa. Perciò, quando si finivano i compiti, c’erano i lavori di casa e, quando si terminavano, tutte noi sorelle - eravamo in tre - dovevamo avere un lavoro tra le mani perché non si doveva stare senza far nulla». Ricorda di aver iniziato a creare piccoli capi che aveva appena otto anni. «Eravamo andati a trovare mia sorella più grande che si era già sposata: io mi annoiavo molto e allora mia mamma mi ha messo in mano i ferri e mi ha insegnato a fare la maglia. Come primo lavoro ho realizzato un giacchino per il mio bambolotto». «In casa - ricorda - avevamo sempre un lavoro da fare, all’uncinetto, ai ferri, il ricamo. Chiaramente, questa consuetudine con cui io sono cresciuta - perché sono cresciuta con i ferri da calza, l’uncinetto, l’ago da ricamo in mano - è poi rimasta nella mia vita. La cucina è arrivata poco dopo ed è stato sempre un altro aspetto nel quale mia madre ci ha tenute impegnate. Tutti assieme, nel tempo, sono diventati le mie passioni». Oggi è in pensione: «Lo sono già da quasi dieci anni. Sono rimasta sola - mio marito non c’è più -, i nipoti sono ormai grandicelli e posso dedicare più tempo alla creatività. Non che abbia mai smesso: ho tirato su i nipoti fin da quando sono nati e mi hanno sempre vista all’opera tra ferri, uncinetto, ricami e cucina. Tra l’altro, sono una persona che dorme poco; mi alzo tranquillamente alle quattro, alle cinque del mattino e non dormo più di quattro, cinque ore a notte. Perciò, una volta in piedi, quando non si possono fare le faccende di casa, ho sempre tre o quattro lavori in mano iniziati». Per lei, il Natale è la festa più importante dell’anno perché è quella in cui si riunisce la famiglia. «Sono fortunata, anche durante il resto dell’anno ho sempre la mia famiglia intorno, ma che bello riunirla in presenza anche di cari amici. Per le Feste, infatti, noi che siamo nove diventiamo sempre dai quindici in su». Un bell’impegno, verrebbe da dire, «ma che soddisfazione!». La più grande? «Quando i miei nipotini mangiano tutto quello che propongo, ma anche l’apprezzamento da parte degli amici. Tempo fa, per una parmigiana di melanzane, mi è stato detto: meriterebbe di essere nominata come patrimonio dell’umanità!».
Gli stabilimenti termali, spesso con annessi centri benessere, si confermano essere sempre più richiesti e frequentati, grazie alla rapida diffusione di una cultura che riserva molte attenzioni alla cura e al benessere del corpo. Fin dai secoli passati, l’Italia è stata terra privilegiata per la quantità e la qualità delle sue terme. Se per gli Etruschi si trattava di acque sacre dove ritrovare benessere e salute, gli antichi Romani non solo ne conoscevano gli effetti benefici, ma le consideravano luogo designato alla bellezza e alle relazioni importanti. Oggi il nostro Paese ha ancora la maggiore offerta termale, la cui qualità è riconosciuta a livello scientifico. Il sistema termale italiano riceve e assiste oltre 2 milioni di persone, di cui il 12% costituito da stranieri. Sono oltre 320 i centri termali in funzione sparsi in diverse Regioni, il 90% dei quali accreditato al Servizio Sanitario Nazionale, un rilevante patrimonio che unisce il fascino delle proprietà curative delle sue acque e l’offerta culturale e gastronomica del territorio. L’arte dell’accoglienza e gli scenari suggestivi trasformano il termalismo in una raffinata forma di turismo, lontana dallo stress contemporaneo. Scegliere un percorso rigenerante personalizzato di almeno una settimana, accompagnati dal costante controllo medico e da staff di operatori qualificati, aiuta a combattere le patologie delle diverse età e determina benefici psicofisici. Il relax che deriva da una tappa alle terme è dato dalla presenza di vari metalli e minerali nelle acque: dal ferro al calcio, dallo iodio allo zolfo, al rame, allo zinco e molti altri. Tutti elementi di cui il nostro corpo ha bisogno. L’acqua che sgorga dalle sorgenti a temperature più alte del solito, esalta l’azione di queste sostanze e regala un effetto rilassante e appagante a tutto il corpo. Per alcuni cicli di cura è necessaria la prescrizione medica e, spesso, è proprio il medico di base a consigliarli per la prevenzione o il trattamento di alcuni disturbi, oppure per percorsi di riabilitazione; la loro azione, infatti, riduce in modo significativo i tempi di recupero degli sportivi. Le cure termali sono un alleato prezioso anche per la nostra epidermide: in caso di dermatiti, eczemi o psoriasi, lo zolfo è un toccasana. La pelle purtroppo è spesso sotto stress, basti pensare al massiccio uso di disin-

Le cure termali sono un valido aiuto nella prevenzione e nella cura naturale di molte patologie croniche e contribuiscono a ridurre la somministrazione di farmaci. Sono adatte ad adulti e bambini, ma sicuramente i senior possono trarne il maggiore beneficio
IL PIACERE DELLE TERME, PER RIGENERARE CORPO E MENTE
di Viviana Rubini


fettanti e saponi. Una giornata di distensione alle terme avrà il potere di donarci un aspetto risanato: più rilassato, tonico e luminoso. Anche le nostre vie aeree sono sottoposte a sollecitazione: a parte i virus, stagionali e non, a causa del freddo dobbiamo combattere infiammazioni come sinusiti e otiti, o malattie croniche come le allergie e le riniti. Le inalazioni delle acque termali portano con sé un’azione vasodilatatoria, per tornare a respirare a pieni polmoni. Inoltre, con la riabilitazione respiratoria, volta al recupero della capacità e dell’ampiezza respiratoria - persa, per esempio, per danni da Coronavirus - vengono usate tecniche specifiche, capaci di contrastare le infiammazioni bronchiolo-alveolari migliorando lo stato delle mucose. E purtroppo con l’età, le ossa e le articolazioni, sottoposte negli anni a diverse sollecitazioni, sono soggette a malattie come i reumatismi, l’artrosi e soprattutto l’osteoporosi. Il bicarbonato di sodio e lo zolfo hanno un’azione antinfiammatoria, mentre il fango termale è caratterizzato da sorprendenti proprietà curative. Anche gli organi interni possono beneficiare degli effetti positivi dell’acqua termale. Basti pensare all’intestino e ai suoi disturbi, dalla semplice irregolarità intestinale alla stipsi o al colon irritabile. In questi casi, un bicchiere d’acqua termale potabile può aiutare. Un bagno termale stimola anche il sistema immunitario: le acque contengono iodio e cloro, che potenziano i globuli bianchi. Numerosissimi sono inoltre i trattamenti estetici, per viso e corpo, nonché i prodotti cosmetici a base di fanghi o di acque termali: dalle creme alle maschere facciali, fino ai trattamenti riducenti, drenanti o snellenti. Le proprietà termali svolgono un’azione antinfiammatoria, idratante e lenitiva, stimolano la microcircolazione e favoriscono il ringiovanimento cutaneo, restituendo vitalità e tono. Un soggiorno prolungato ai centri termali non fa bene soltanto al nostro metabolismo e ai nostri organi, è anche un toccasana per la mente. Ci consente di fermarci, di dire stop allo stress, alla fatica. Le terme diventano così un’oasi di relax, una bolla di pace per coccolarsi, in un ambiente protetto e invitante. Il mondo esterno, con tutte le sue tensioni, i suoi rumori e le sue nevrosi, diventa improvvisamente lontano. Trattiamoci meglio, per vivere meglio.
IL BONUS 2021
Per ripartire da se stessi
Dopo lunghi mesi di restrizioni, l’idea di avvicinarsi al Natale potendo trascorrere ore di svago è allettante. I centri termali, come tutte le attività che prevedevano l’ingresso al pubblico, sono rimasti chiusi o aperti a singhiozzo per tanto tempo, con risvolti economici disastrosi. Il Bonus terme 2021 puntava a incentivare la ripresa delle attività, spronando i cittadini a uscire nuovamente e a riprendere gradualmente una vita “normale”, occupandosi di se stessi. E’ stato boom delle richieste e il plafond è andato esaurito nel giro di 4 ore dall’apertura delle registrazioni. Con lo stanziamento di 53 milioni di euro previsto, sono stati concessi circa 265mila bonus da 200 euro.

Tutto ha avuto inizio una quindicina di anni fa nell’accogliente e colorato locale Tacabanda di Asti, bella cittadina piemontese ai piedi di colli rigogliosi, particolarmente apprezzata per la sua cucina, il vino e i sapori antichi, che da queste parti rappresentano quasi una religione laica. Un incontro, quello avvenuto tra i tavoli del locale nel centro storico, dagli aspetti incredibili soprattutto se letti alla luce di quanto si è poi sviluppato: un’esperienza all’avanguardia da un punto di vista imprenditoriale e sociale, alberghi e ristoranti aperti in più parti d’Italia e nel mondo ma, soprattutto, una storia di integrazione e di autonomia per coloro i quali sono considerati ancora da troppi “i diversi”, in questo caso quelle persone con sindrome di Down. A raccontarci questa storia è uno dei suoi protagonisti, Alex Toselli, presidente della Cooperativa Download e fondatore di Albergo Etico. «La scintilla - ci dice - si è accesa in modo molto semplice con un incontro assolutamente fortuito, come spesso accade per i progetti che hanno alla base un’idea innovativa e di grande respiro. Sono quegli incontri, come si dice: “scritti nelle stelle”. In una cantina nella città vecchia di Asti - NELL ’ ALBERGO ETICO, racconta Toselli - un ragazzo con sindrome di Down, Niccolò, quello che DOVE IL TALENTO consideriamo il nostro “punto zero”, si reca al ristorante Tacabanda, e lì VA OLTRE LA DISABILITÀ ha un incontro per lui imprevedibile quanto fruttuoso, quello con uno chef: Antonio. Niccolò è uno studente Tra buon cibo, vini prelibati e atmosfere antiche, con sindrome di Down della Scuola ad Asti è nato il primo Albergo che forma Alberghiera, Agenzia di Formazione Professionale delle Colline Astigiane, e prepara ragazzi con la sindrome di Down che alla fine, all’interno del ristorante all’esperienza professionale. Un sistema Tacabanda, effettuerà il suo primo stage formativo. A gestire il locale lo chef Antonio De Benedetto e suo di integrazione e cammino verso l’autonomia che è stato ribattezzato “Metodo Download” fratello Egidio, che subito comprendono le potenzialità di Niccolò, che di Giuseppe Cionti
Foto Veronica Onofri

Foto Veronica Onofri

Foto Veronica Onofri

metodo Download
«Con il termine informatico “download” si vuole descrivere l’azione di sintesi e semplificazione dell’esperienza professionale verso la persona con deficit cognitivo, sensoriale e fisico, come in un immaginario scaricamento dati tra sistemi operativi». da parte sua risponde con un incredibile entusiasmo. Ed io? - prosegue nel suo raccolto il presidente della Cooperativa Download -. Ero lì come un commensale qualsiasi, ho visto e notato quell’incontro che mi è parso di incredibile fecondità e ci ho messo la mia esperienza manageriale. Da lì è poi nato il primo tirocinio e l’inizio dello stage, il primo di una lunga serie che sono stati effettuati all’interno del Tacabanda negli anni successivi, e che hanno portato alla creazione e al progressivo consolidamento del metodo “Download”». Un metodo questo, considerato all’interno della Cooperativa, una sorta di piattaforma propedeutica alla ricerca e alle esperienze lavorative sul campo. Lo schema è semplice: si parte dall’osservazione diretta e attenta dei ragazzi, delle loro dinamiche relazionali e dei cambiamenti generati dall’esperienza lavorativa. «In maniera induttiva, l’osservazione dell’esperienza dei singoli ragazzi passati dalla cucina e dalla sala del proprio ristorante ha portato lo chef Antonio De Benedetto a elaborare un metodo generale, basato su principi e regole replicabili, ma comunque nel rispetto delle differenze tra persone e tra disabilità: i percorsi dei ragazzi vengono, infatti, personalizzati in base alle specifiche esigenze ed esperienze individuali». Il metodo si chiama “Download” perché, come descritto dal sito web ufficiale di Albergo Etico, “con il termine informatico download si vuole descrivere l’azione di sintesi e semplificazione dell’esperienza professionale verso la persona con deficit cognitivo, sensoriale e fisico, come in un immaginario scaricamento dati tra sistemi operativi”. Ma perché proprio Asti e quel territorio? Si è trattato solo di un incontro fortuito o c’è dell’altro, fino a parlare di terreno fertile per una esperienza innovativa?, chiediamo a Toselli. «Penso che si possa parlare di ambedue gli aspetti - ci risponde -. Certamente la casualità di un incontro può significare molto ma in territori piccoli molto spesso, ed è il nostro caso, si sviluppa una comunità molto forte. In piccole realtà certe esperienze sono più contaminanti e i ragazzi, se una comunità è sana, sono più inclusi, e poi il nostro territorio è noto per l’enogastronomia e si fa ristorazione di qualità…». Ma torniamo al sistema Albergo Etico e a tutte le sue derivazioni. L’albergo di Asti resta il “quartier generale” dopo che si è ridato vita ad un’antica casa di ringhiera a corte chiusa in mattoni a vista che - illustra il depliant della struttura - “conserva il fascino delle case di un tempo, tra città e campagna, ma offre tutti i comfort, coniugando semplicità ed efficienza”. Ma parte di questo sistema di integrazione e cammino di autonomia legato al lavoro, sono anche una serie di indicatori che, quasi scientificamente, seguono l’evoluzione delle singole persone rispetto all’impegno profuso. “Applicando un modello basato sul dialogo estensivo con gli stakeholder (investitori), abbiamo calcolato - si apprende dal sito ufficiale di Albergo Etico - che per l’anno fiscale 2018 la Cooperativa Download ha generato un ritorno sociale di 3,72 euro per 1 euro investito. Per evitare di sovrastimare l’indice, è stato utilizzato un approccio conservativo. È quindi possibile affermare che il risultato ottenuto descrive un notevole ritorno in termini sociali”. In via previsionale, si è calcolato anche il ritorno sociale sull’investimento che ci si aspetta di avere per l’esperienza nella città di Roma, dove a novembre 2018 è stato inaugurato Albergo Etico Roma, e di Pistoia. Indicatori importanti visto che la realtà di Albergo Etico è ormai diffusa oltre ad Asti e nella Capitale, a Sondrio, Cesenatico,
Bari, Fenis (Ao), Matera, mentre esperienze si stanno portando avanti in Argentina, Albania, a Bratislava ma, soprattutto, in Australia, nelle Blue Mountains. «Dell’esperienza australiana - ci dice Alex Toselli - vado particolarmente orgoglioso perché la nostra è la prima impresa sociale del genere in quel grande Paese. Oggi, di fatto, impieghiamo 8 persone con disabilità inserite nell’Albergo Etico australiano, ma teniamo presente che lì le attività riprendono solo in questo mese per via del lockdown». Un’esperienza replicabile in altri contesti, anche nazionali, per andare oltre i confini nazionali. «Assolutamente sì - risponde convinto Toselli - e a 360 gradi. Già è così con ragazzi e ragazze che hanno trovato spazio lavorativo in altri settori come nella logistica, o in un concessionario auto, seguendo ciò che più li avvicina ai propri interessi ed incontrando persone che hanno visto in loro il talento oltre ad una disabilità. Penso - aggiunge - che si tratti di un modello vincente anche in altre realtà, perché si basa su una solida formazione personale e su un cammino di autonomia e presa di coscienza delle proprie capacità». Altro pilastro di questa esperienza così particolare è l’“Accademia dell’Indipendenza” che, attraverso un’esperienza di emancipazione e formazione, vuole portare i ragazzi con sindrome di Down ad avanzare in un cammino di autonomia e sicurezza fisica e psichica. L’Accademia, è stata pensata sulla falsariga di esperienze simili sperimentate nel mondo militare, dove c’è una struttura gerarchica ben definita e riconoscibile che accompagna e sostiene il ragazzo, e una “divisa” comune che ne rende evidente lo spirito di gruppo e di unità. «La presenza diffusa in città di ragazzi che si muovono in divisa - ci spiega - stimola la collettività a riflettere e a porsi domande. É anche un modo per allargare la riflessione sull’inserimento lavorativo dei ragazzi con esigenze particolari e per aumentare il numero di imprenditori disponibili ad accoglierli tra il loro organico». Altro elemento all’interno dell’Accademia che risulta di primaria importanza è la possibilità di poter usufruire di uno spazio dove poter soggiornare. «L’Accademia è un percorso graduale attraverso cui il ragazzo apprende a svolgere tutte le mansioni dell’albergo e del ristorante e le replica nel contesto famigliare. Il percorso è stato pensato della durata di tre anni, sulla base dell’esperienza maturata che ci ha permesso di capire come questo sia il tempo medio necessario per giungere ad una autonomia vera - aggiunge Toselli -. I ragazzi imparano a non tornare a casa per dormire, ma a dormire nelle stanze dedicate al personale. Questa è un’altra grande occasione per tagliare il cordone ombelicale con la famiglia e imparare a vivere con i propri coetanei. É incredibile osservare come queste occasioni di autogestione li responsabilizzino e li motivino». Nella foresteria dell’Albergo non ci sono assistenti o educatori, ma solo colleghi di lavoro dove i più esperti e maturi fanno da tutor ai nuovi arrivati. Altre realtà del circuito di Albergo Etico sono quelle esperienze legate alla cosiddetta “agricoltura sociale”, dove nel corso degli anni sono state portate avanti delle piccole sperimentazioni con alcuni dei ragazzi, constatando come la cura e l’attività di giardinaggio e orticoltura possano essere occasioni importanti di crescita. In particolare uno dei progetti che si vorrebbero realizzare è la creazione di un Parco Bio Etico, un’area agricola dove gli allievi dell’Albergo Etico possano gestire un piccolo orto e qualche animale da cortile. Per favorire la collaborazione con la società, il Parco - si sottolinea - potrebbe essere gestito in collaborazione con associazioni di volontariato, privati, anziani e scuole.



FIBROMIALGIA,

malattia “invisibile”
Si tratta di una patologia dolorosa e debilitante, che colpisce maggiormente le donne e non presenta alterazioni organiche evidenti. Per questo motivo, molte tra le persone che ne soffrono sono costrette ad attendere a lungo prima di ricevere una diagnosi di Paola Stefanucci
Èuna sindrome dolorosa molto frequente. Fa soffrire quattro italiani su cento. La fibromialgia appare nella letteratura medica sin dal Settecento. Eppure la sua origine resta tuttora misteriosa. Innumerevoli gli studi scientifici e le ipotesi formulate nel tempo al riguardo, ma nessuna - finora - chiara e definitiva. Questa patologia reumatologica, poiché non presenta alterazioni organiche documentabili attraverso esami strumentali e di laboratorio specifici, è talvolta definita “malattia invisibile”. Per tale motivo, le persone che ne sono affette si sentono poco comprese. Dalla comparsa della sintomatologia al ricevimento della diagnosi di sindrome fibromialgica arrivano spesso dopo aver vagato, sconfortate, da uno specialista all’altro ed essersi sottoposte a numerosi controlli medici, perlopiù costosi e inutili. «Non di rado i pazienti si presentano nel mio ambulatorio trascinando un trolley zeppo di referti, ma senza una diagnosi precisa. È utile prescrivere gli esami di laboratorio - ci spiega, in proposito, Cristina Iannuccelli, ricercatrice reumatologa presso l’Università La Sapienza di Roma - solo per escludere altre patologie i cui sintomi siano sovrapponibili a quelli caratteristici di questa malattia “funzionale”, la cui diagnosi è prettamente clinica, perché non presenta alcun danno d’organo».
Quali sono i sintomi che indirizzano verso la diagnosi di fibromialgia?
La fibromialgia è caratterizzata da dolore cronico muscolo-scheletrico diffuso, dalla durata superiore a tre mesi, localizzato nell’emilato destro o sinistro del corpo, o al di sopra o al di sotto della cintola, o lungo la colonna vertebrale. In queste sedi sono identificabili 18 punti algogeni, i cosiddetti “tender points”, aree anatomiche circoscritte dolenti alla digitopressione. I primi criteri classificativi prevedevano
la presenza sia di dolore diffuso che di dolorabilità in almeno 11 su 18 tender points da almeno 3 mesi. Negli anni, però, i criteri classificativi sono stati profondamente modificati: i nuovi criteri diagnostici del 2016 prevedono l’utilizzo di un indice di dolore diffuso abbinato a una scala di severità dei sintomi. La malattia è inoltre associata a tutta una serie di sintomi clinici quali: umore altalenante, depresso o ansioso, cistite interstiziale (pollachiuria e minzione urgente, fino a 60 volte), dismenorrea nelle donne, sindrome sicca (secchezza degli occhi e della bocca) e manifestazioni simili al fenomeno di Raynaud (alterazione del microcircolo della mano che provoca dolore e variazioni reversibili del colorito della pelle - pallore, cianosi, eritema - a carico di una o più dita). Invalidanti da un punto di vista clinico sono i disturbi del sonno e la cefalea muscolotensiva, presenti nel 75% dei pazienti. Ed ancora l’astenia, un stato generale di affaticamento non solo fisico, ma anche mentale, la cosiddetta “fibro flog”: una sorta di appannamento e confusione (nebbia) mentale, con deficit di memoria e attenzione. Di fronte a una tale varietà e complessità di sintomi, che vanno valutati anche per la loro severità, si comprende quanto laborioso sia distinguere tra fibromialgia e altre malattie reumatologiche e non.
Ad esempio, quali?
L’artrite reumatoide, il lupus sistemico eritematoso, la polimialgia reumatica, la spondiloartrite, l’ipo o l’ipertiroidismo, la sindrome da affaticamento cronico, la sindrome delle gambe senza riposo, per citarne alcune.
Sono più colpite le donne o gli uomini? E a che età?
Sempre le donne, con un rapporto di tre ad uno rispetto agli uomini, sebbene nel genere maschile la malattia stia emergendo sempre più. È interessante notare la variazione del quadro sintomatologico nei due generi, con prevalenza di alcuni sintomi - soprattutto quelli dolorosi - in quello femminile. La fibromialgia si osserva soprattutto nell’età media, con una prevalenza maggiore tra la quarta e la sesta decade di vita.
È una malattia “invalidante”?
La sindrome fibromialgica non è ancora riconosciuta come causa di invalidità in Italia dalle autorità competenti, nonostante la mobilitazione dei pazienti che si sentono “invisibili” e valutano la qualità della loro vita, le relazioni familiari, professionali e interpersonali fortemente compromessi. Non rientrando la malattia neppure nei Lea (Livelli essenziali di assistenza), le spese per eventuali visite, esami e cure sostenute non sono rimborsate dal Servizio Sanitario

Cristina Iannuccelli
Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche, Reumatologia, Università La Sapienza di Roma.
Nazionale con pesanti ricadute economiche per i pazienti.
Come si cura? E si può (imparare a) convivere con la fibromialgia?
Fermo restando che lo specialista di riferimento per la fibromialgia è il reumatologo, la cura della malattia richiede un approccio multidisciplinare dal neurologo al fisiatra, dall’osteopata al ginecologo per le donne. La gestione terapeutica della sindrome fibromialgica dovrebbe mirare ad alleviare i sintomi e migliorare la qualità della vita. Senz’altro è consigliata l’attività motoria con incremento progressivo, che prevede esercizi di stretching e decontratturanti (yoga, ginnastica posturale, pilates dolce, nuoto, acquagym, tai chi, qi gong). Importante è l’igiene del sonno e la gestione dello stress in generale attraverso la meditazione, lo yoga, gli esercizi di respirazione profonda o le tecniche body-mind. Il trattamento farmacologico prevede, quando necessari, l’assunzione di analgesici e antidepressivi. E sì, si può convivere con la fibromialgia, a patto di acquisire consapevolezza della malattia e non trascurarla. Studiata da più di due secoli, la fibromialgia è caratterizzata da un insieme di sintomi purtroppo spesso difficili da riconoscere se non nelle fasi più avanzate della malattia. La riabilitazione e l’approccio multidisciplinare rappresentano i cardini più importanti per la gestione del dolore e della autonomia del paziente UNA SINDROME
ANCORA IN PARTE SCONOSCIUTA

di Alessandro Mascia
La sindrome fibromialgica è studiata con grande attenzione dal mondo della riabilitazione, con l’obiettivo di trovare risposte sempre più concrete per la gestione del dolore cronico e per migliorare sia la mobilità articolare che l’affaticamento muscolare. La complessità di questa sindrome necessita di un approccio multidisciplinare sia per quanto riguarda la gestione del paziente da parte dei medici specialisti (in primis il reumatologo) che da una équipe composta da differenti figure in ambito riabilitativo. Si tratta di una sindrome nella quale i tessuti connettivi del paziente (distribuiti lungo tutto il corpo) presentano una dolorabilità al di sopra della norma, ed è fondamentale durante il percorso riabilitativo avere sempre un approccio progressivo nel rispetto assoluto della individualità e dell’autonomia del paziente. Tutto questo al fine di evitare un effetto boomerang che possa invece aumentare la percezione del dolore dei tessuti muscolari e fasciali. I parametri presi in considerazione dalle linee guida internazionali (studi del 2015) per la gestione del paziente fibromialgico sono: il dolore, la stanchezza, i disturbi del sonno e l’autonomia nella gestione delle attività quotidiane. Altri elementi che interessano l’ambito della riabilitazione riguardano il sistema neurovegetativo (nello specifico, lo squilibrio tra sistema ortosimpatico e parasimpatico), il dolore viscerale (in particolare del colon e della vescica), le alterazioni dell’umore. Alla base dell’approccio di questa subdola malattia è essenziale un buon rapporto di fiducia tra il paziente e l’équipe di specialisti coinvolti nel percorso riabilitativo. Alcuni studi hanno dimostrato quanto la corretta comprensione delle specificità della malattia da parte del paziente contribuisca al miglioramento della gestione del dolore e della stanchezza. Normalmente il paziente fibromialgico presenta livelli bassi di serotonina, noradrenalina e dopamina, fondamentali per il controllo dell’umore, del sonno, del comportamento

e dell’appetito. Tutti aspetti nei quali un bilanciato e coordinato inquadramento riabilitativo può apportare importanti benefici, con l’obiettivo comune di migliorare sensibilmente la qualità della vita del paziente. Tra le tante tecniche riabilitative, alcune sono in grado di fornire maggiori benefici, perché più idonee al trattamento delle peculiarità della sindrome fibromialgica. La Rieducazione Posturale Globale è utile per migliorare l’elasticità dei tessuti, il mantenimento degli equilibri muscolari e articolari, la libertà e mobilità dei muscoli respiratori (primo dei quali il diaframma, sempre implicato nei disturbi dell’umore e negli stati d’ansia). Eliminare le tensioni muscolari diminuisce il sovraccarico funzionale delle articolazioni, agevolando il movimento ed alleggerendo il senso di pesantezza e rigidità indotti dalla fibromialgia. Alcuni studi riportano l’utilità di esercizi di allungamento muscolare, sapendo però che un lavoro troppo intenso (soprattutto in fase iniziale) potrebbe generare ulteriore stress meccanico del sistema mio-fasciale. È inoltre prezioso il contributo offerto (in termini di percezione di benessere e diminuzione del dolore) da una cauta mobilizzazione e da un moderato esercizio fisico. L’attività motoria migliora inoltre la circolazione sanguigna e il drenaggio venoso (è consigliato camminare tutti i giorni a ritmo regolare), aumenta la concentrazione di serotonina e stimola la produzione di endorfine (utili alla diminuzione della percezione del dolore e della stanchezza, e a migliorare i livelli di stress psicofisico). Anche l’agopuntura si è dimostrata particolarmente utile nel controllo del sistema neurovegetativo, nel bilanciamento neuro-endocrino e nel controllo del tono dell’umore, in quanto induce una condizione di rilassamento, migliora la qualità del sonno e riduce gli stati d’ansia.
Diversi tipi di aiuto
OSTEOPATIA L’osteopatia offre un importante contributo grazie alle tecniche fasciali, viscerali e cranio-sacrali. Le prime sono particolarmente utili per la riduzione di tensioni e aderenze del tessuto connettivo, sia di muscoli ed articolazioni che degli organi interni. Le manovre sui visceri, in particolare, migliorano la funzionalità e la regolarità intestinale, il nutrimento dei tessuti e degli organi interni, la loro mobilità intrinseca ed estrinseca e la vascolarizzazione. Le tecniche cranio-sacrali sono preziose in quanto producono una risposta diretta nel riequilibrio del sistema neurovegetativo.
ACQUA E GINNASTICHE DOLCI La ginnastica dolce eseguita in acqua associa la diminuzione del carico antigravitario sulle articolazioni, il grande effetto drenante sul sistema linfatico e vascolare al moderato e progressivo allungamento dei muscoli e mobilizzazione dei sistemi fasciali. Anche discipline come il tai chi, lo yoga, il pilates, il gyrotonic, il Feldenkrais, le ginnastiche posturali e la meditazione possono migliorare notevolmente la qualità della vita del paziente, sempre a condizione che gli istruttori abbiano una formazione specifica e siano ben guidati ed istruiti dal medico e dal riabilitatore nella gestione di un protocollo comune.
LASERTERAPIA E... La terapia fisica può migliorare notevolmente i parametri dell’infiammazione e diminuire il dolore articolare grazie al contributo di laserterapia, tecarterapia, correnti antalgiche e altro, che dovranno essere prescritti dal reumatologo in base alla specificità del singolo paziente.
Scienze
LA SALUTE DEL CUORE IN ALTA QUOTA

a cura di Fondazione Umberto Veronesi
Una gita in alta quota, una salita fra i boschi, una discesa con gli sci sono occasioni di autentica gioia per chi ama la montagna. L’escursionismo o l’alpinismo vero e proprio rappresentano attività sportive preziose per la forma fisica, importanti per il contatto con l’ambiente e la vita all’aria aperta, e spesso opportunità per socializzare e svolgere attività da soli o in compagnia. Raggiungere altitudini importanti, però, può essere fonte di preoccupazione per le persone che hanno una storia di patologie pregresse, specie se a carico del sistema cardiovascolare. Chi ha sofferto di una cardiopatia, come aritmie, malattie coronariche, ipertensione, insufficienza cardiaca, può andare in montagna? Deve seguire precauzioni particolari? Cerchiamo di capire quali e perché.
ICTUS O TIA: I CONSIGLI DELLA SIMEM
Ecco i consigli della Società Italiana Medicina di Montagna per chi ha subìto un ictus cerebrale o un attacco ischemico transitorio (TIA): 1 - sconsigliati gli ambienti estremi in presenza di esiti invalidanti moderato-severi che impediscono la completa autonomia; 2 - evitare soggiorni oltre i 3.000 metri in caso di evento cerebro-vascolare acuto, anche transitorio, soprattutto se avvenuto da meno di 6 mesi; 3 - il rischio è più elevato in presenza di: ipertensione arteriosa, diabete mellito, fumo di sigaretta, dislipidemia, cardiopatie aritmiche, coronaropatia e insufficienza cardiaca.
Cuori in alta quota: perché ci vuole prudenza?
In alta quota si creano condizioni difficili per i nostri vasi sanguigni, a causa della combinazione fra i ridotti livelli di ossigeno e la variabilità di pressione atmosferica, temperatura e umidità. Chi sale in altitudine va facilmente incontro ad un aumento della pressione e alterazioni della respirazione. Recentemente, uno studio condotto dagli esperti dell’Istituto Auxologico Italiano - condotto ai 2.000 metri di Sestriere, località sciistica piemontese - e pubblicato sull’International Journal of Cardiology, ha misurato in persone sane un aumento della pressione arteriosa e dei disturbi della respirazione durante il sonno anche ad altitudini moderate, specie dopo i 40 anni.
Mal di montagna: cardiopatici sorvegliati speciali
Il mal di montagna acuto si manifesta con spossatezza, svenimenti, mal di testa, nausea e può colpire anche persone giovani e sanissime. Ma chi ha una storia di cardiopatia deve essere particolarmente consapevole dello stress a cui sono sottoposti cuore e polmone in quota, soprattutto se normalmente si vive ad altitudini più basse e si sale in montagna solo occasionalmente. Da qui si arriva alla prima regola valida per tutti, solo apparentemente scontata.
Parlare con il medico, sempre
È assolutamente raccomandato consultare sempre lo specialista o il medico di medicina generale prima di preparare valigie e scarponi. Oggi, infatti, la medicina è in grado di prevedere con un buon livello di accuratezza le condizioni rischiose per l’uno o per l’altro paziente, a seconda delle caratteristiche individuali e della storia clinica. Il medico, quindi, potrà indicare a ragion veduta quanto spingersi in alto, se fare soste e quante, quali farmaci portare nello zaino, se ritoccare le terapie in corso. Potrà anche, se lo ritiene, sconsigliare lo spostamento in altitudine perché in quel momento il disturbo in questione non è stabile o ben controllato dalla terapia.
Regole valide per (quasi) tutti
Esistono buone norme generali e valide per tanti? Sì, in linea generale, due su tutte: salire lentamente e raggiungere l’alta quota con gradualità. Di recente, inoltre, l’autorevole American Heart Association (AHA) ha raccolto alcune raccomandazioni per le persone con cardiopatie che vogliano andare in montagna per fare sport, per soggiornare in vacanza o anche per chi viaggia per motivi di lavoro e vuole spostarsi in sicurezza. Ecco i consigli del gruppo di lavoro della University of Colorado School of Medicine di Aurora (città a oltre 1.600 metri d’altitudine). Attraverso una sintetica revisione della fisiologia in alta quota e in condizioni di ipossia per i soggetti cardiopatici, gli esperti hanno raccolto le evidenze scientifiche sulle migliori prassi per gestire il rischio: 1 - confrontarsi col medico, che dovrà esprimere un parere in base al quadro clinico, al tipo di viaggio e di attività previste; 2 - raggiungere gradualmente la quota prevista per dare al corpo il tempo di adeguare i livelli di ossigeno; ad esempio, dormire almeno una notte in quota prima di effettuare attività fisica; 3 - bere abbastanza per rimanere sufficientemente idratati; 4 - adeguare eventualmente la terapia farmacologica, secondo i consigli del medico; 5 - assieme al medico, considerare eventuali altri medicinali che potrebbero essere utili in caso di problemi; 6 - limitare, o meglio, evitare l’alcol; 7 - farsi spiegare i sintomi che, se presenti, dovranno allarmare e spingere a tornare indietro o contattare il medico; 8 - pianificare un’ascesa graduale e stabilire un piano di discesa d’emergenza; 9 - verificare dove sono localizzati gli ospedali più vicini e chi si può chiamare in caso di bisogno.
L’ACCLIMATAMENTO
COSÌ IL NOSTRO CORPO SI ABITUA ALL’ALTITUDINE
Quando una persona, che normalmente non vive in alta quota, raggiunge altitudini elevate, il suo organismo mette in atto le seguenti strategie (transitorie) di acclimatamento:
• iperventilazione: si respira più in fretta del normale;
• aumento della pressione arteriosa dovuta all’ipossia (il calo di ossigeno), che può comparire dopo poche ore e durare alcuni giorni; si può attenuare raggiungendo gradualmente la località in quota, con tappe ad altitudini inferiori;
• aumento della frequenza cardiaca;
• respiro alterato nel sonno (apnee e/o iperventilazione);
• dispnea: senso di affaticamento e “fiato grosso” anche per sforzi modesti.
