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Le Quotabili Il packaging diventa eco e premium

Il PACKAGING diventa ECO e PREMIUM

LA SELEZIONE NATURALE SULLO SCAFFALE E LA NECESSITÀ DI SEDURRE IL CONSUMATORE ATTRAVERSO L’E-COMMERCE SPINGONO GLI INVESTIMENTI SU ETICHETTE E VETRO. FOCUS SULLA SUSTAINABILITY E FORTE INNOVAZIONE IN ATTO

di Giambattista Marchetto

Texture seducenti per la gdo e customizzazione per le nuove (e più spinte) relazioni digitali con i winelover. La rivoluzione Covid19 non ha colpito solo il mercato del vino, ma ha prodotto un impatto significativo anche sulla filiera. E se da un lato il packaging ha visto spostarsi gli investimenti dall’horeca alla distribuzione moderna, dall’altro le aziende del settore hanno dovuto cercare nuove proposte per differenziarsi.

ETICHETTA PREMIUMIZZATA “Il canale horeca, che predilige un packaging di lusso, è calato drasticamente”, conferma Fulvio Capussotti, vice presidente esecutivo di Arconvert-Ritrama (Fedrigoni Group). “Il segmento carte autoadesive premium tiene invece grazie all’ecommerce e alla gdo. La situazione sta infatti spingendo le cantine a premiumizzare il packaging anche dei prodotti massmarket per distinguersi sugli affollati scaffali del supermercato e negli shop online”. Una dinamica che ha spinto ArconvertRitrama (733 milioni di ricavi nel 2019) a ricercare lungo un doppio binario: sostenibilità, perché “anche il mercato del vino

si sta accorgendo del tema e per le etichette predilige carte naturali” e certificate, ma alte prestazioni, su cui la business unit ha lavorato insieme ai mastri cartai della casa-madre Fedrigoni. “Anni dedicati a ricerca e sviluppo – precisa – ci permettono di offrire al settore enologico carte naturali autoadesive anti-muffa ad alta opacità che non ingrigiscono, non si deformano e non temono grinze e bolle neppure in ambienti estremi come il secchiello del ghiaccio e il frigorifero. Le nostre autoadesive premium sono sostenibili e performanti, senza rinunciare all’estetica: le etichette pregiate offrono al consumatore stimoli visivi e tattili che spesso modulano il comportamento d’acquisto”. Intanto l’online preme sull’acceleratore. “È aumentata la richiesta di carte texturizzate che premiumizzano ulteriormente l’etichetta. In questo momento per i brand del vino è importante distinguersi nel digitale anche più che sugli scaffali della gdo – specifica il manager – perché devono offrire al consumatore un’esperienza visiva e tattile soltanto attraverso una fotografia”.

ETICHETTE TAILORMADE A fronte della compressione di acquisti che ha colpito tutta la filiera del vino (crisi horeca, ma anche cancellazione di eventi e degustazioni) e soprattutto l’export, Icma Sartorial Paper (7 milioni di fatturato nel 2019) ha registrato un secondo effetto della crisi. “Soprattutto per i prodotti di nicchia – rimarca Marco Nigrelli, sales & marketing director – la tendenza è a impreziosire ancor più il packaging per rendere l’esperienza di acquisto, anche tramite e-commerce, qualcosa di unico e di memorabile, capace di lasciare il segno”. Nella gamma di (oltre 500) carte sartoriali Icma sono state aggiunte in particolare carte con caratteristica di antispappolo, adatte quindi alla realizzazione di etichette. Con la spinta sul digitale, “le aziende di vini pregiati in particolare cercano di migliorare ancora la qualità di scatole ed etichette”, aggiunge il manager, che evidenzia il successo nell’ultimo periodo delle carte Velvet, che offrono esperienze tattili peculiari.

STYLE BOOK DEL VETRO Anche da Verallia (leader europeo del packaging in vetro, con 2,6 miliardi di fatturato 2019, di cui 500 milioni in capo alla branch italiana) confermano le ripercussioni della crisi nell’horeca, in parte compensata da altri

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canali. E l’innovazione è legata proprio alla customizzazione. “Siamo al fianco dei clienti per supportarli in un processo di personalizzazione spinta – riferisce Alessandro Bocchio, direttore commerciale e marketing Verallia Italia – e da anni lavoriamo a strumenti di marketing e sviluppo come il Virtual Glass, una app che permette di sviluppare nuovi prodotti in 3D, partendo dal packaging in vetro, includendo la capsula e l’etichetta”. Parlando di trend e valorizzazione del prodotto, ogni anno il brand alto di gamma, Selective Line by Verallia, lancia uno style book con le nuove tendenze. “In parallelo stiamo lavorando sull’eco-concezione del packaging in vetro, dall’utilizzo di alte percentuali di vetro riciclato alla riduzione del peso delle bottiglie”, aggiunge il manager. Secondo il quale la spinta digitale non ha ancora innescato novità dirompenti, ma non è da escludersi nel prossimo futuro.

ECO-INNOVAZIONE “Il packaging del vino negli ultimi cinque anni ha subito un forte rinnovamento in due categorie: gli spumanti e i vini rosé, con la Francia pioniere di nuove forme di bottiglie ed etichette differenti”, riferiscono da Bruni Glass. “Inoltre, fenomeni come la decorazione dei contenitori con serigrafia ad inchiostro o smalto stanno sempre più entrando anche nel mondo vitivinicolo”. L’azienda lombarda, tra i leader globali nei contenitori in vetro (dal 2016 nel gruppo internazionale Berlin Packaging, 500 milioni di fatturato nel 2020), ha sempre spinto su progetti innovativi. Considerando la gamma sempre più ampia di vini e l’incremento di qualità e quantità di produzione enoica, rilevano da Bruni Glass, “il packaging del settore richiederà una costante innovazione e l’industria vetraria si sta adeguando. La pandemia ha portato il consumatore a chiedere un packaging sempre più rispettoso dell’ambiente ed ecosostenibile. Ogni processo di innovazione dovrà tenerne conto”. Il gruppo gioca di creatività per innovazione e voglia di stupire, con due poli di eccellenza nel design a Chicago e a Milano, e le richieste nel vino sono in aumento.

SOSTENIBILITÀ E INNOVAZIONE Flusso continuo di ordini e fatturati in aumento rispetto al 2019 per Pozzoli, “con incrementi addirittura maggiori rispetto a quanto previsto dal budget a fine 2019”, evidenzia Barbara Pozzoli, chief commercial officer dell’azienda lombarda focalizzata sul packaging luxury. “Le buone performance della gdo hanno permesso alla filiera di sopperire al calo dell’horeca”, prosegue la manager, che enfatizza la spinta del R&D nel conciliare sostenibilità e innovazione (anche con prodotti unici, ma funzionali per il delivery). Anche sull’innovazione “quest’anno non ha fatto eccezione. Abbiamo investito in nuovi macchinari e in un nuovo magazzino, completamente automatizzato”, conclude Pozzoli.

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Le aziende si raccontano

in collaborazione con:

BORD BIA

TENUTA SETTE PONTI JULIUS MEINL

AUGUSTO CONTRACT

Non solo bevanda da accompagnamento, ma anche ingrediente per golose ricette. La storica torrefazione viennese Julius Meinl, che ha in Italia il suo cuore produttivo, stringe i rapporti con un canale strategico, anche attraverso un ambassador di fama come il pasticcere Andreas Acherer

Nelle foto, il pasticcere Andreas Acherer, la linea Julius Meinl 1862 Premium e, più a destra, Vienna XVI Blend

Il CAFFÈ incontra la PASTICCERIA

È sempre più stretto il legame tra il mondo della pasticceria e del caffè. L’inconfondibile aroma e il suo gusto deciso lo rendono un ingrediente prezioso per un gran numero di ricette, e al contempo una perfetta bevanda di accompagnamento quando ci si concede un dolce momento. Da quando Julius Meinl, storica torrefazione austriaca con cuore produttivo in Italia, ha aperto la sua prima torrefazione a Vienna quasi 160 anni fa, continua a tramandare di generazione in generazione il proprio know-how e la propria passione, che si percepiscono nella costante ricerca di prodotto e si traducono in caffè di altissima qualità. Qualità e innovazione sono capisaldi di Julius Meinl, che continua ad investire per poter offrire la migliore esperienza di caffè possibile ai propri clienti, dalle pasticcerie ai bar e i ristoranti. Proprio andando in questa direzione, l’azienda ha dato un boost al mercato del caffè artigianale con il progetto Julius Meinl The Originals, nato per celebrare l’artigianalità e l’origine dei chicchi, che si distingue anche per le sue singole origini stagionali, tra cui Nicaragua Jinotega, Guatemala Antigua, India Malabar, Brazil Alta Mogiana, Ethiopia Sidamo, Tanzania Kilimanjaro e Costa Rica. Una produzione artigianale, sostenibile e di eccellenza in tutti i passaggi, dalla pianta alla tazza, per un’esperienza di caffè unica, perfetta da vivere in abbinamento ad una dolce creazione. Le miscele dedicate all’espresso sono due e guardano alla tradizione con uno sguardo innovativo: Vienna XVI Blend, miscela 100% arabica con tostatura media e aromi di cioccolato fondente, nocciola e fiori. Per gli amanti dell’insolito c’è Red Door Blend, con una tostatura più chiara e sentori di agrumi, spezie, cioccolato e mandorle tostate. Tutta la storia di Julius Meinl sta invece racchiusa in 1862 Premium, miscela 100% arabica proveniente dalle migliori coltivazioni di Brasile e Africa Orientale, che si distingue per il suo gusto unico dall’aroma corposo, il sapore fruttato e speziato, impreziosito da una crema densa e vellutata. Un prodotto unico, che richiama direttamente la storia del brand: il 1862 è infatti l’anno in cui Julius Meinl rivoluzionò il mondo del caffè offrendo per primo il prodotto già torrefatto alle caffetterie. Dalla tazza al piatto, sono sempre di più i pasticceri che rendono il caffè protagonista delle proprie creazioni. Tra questi uno degli ambassador di Julius Meinl, Andreas Acherer, celebre pasticcere premiato da anni con le prestigiose 3 Torte Gambero Rosso. “Il caffè è un ingrediente versatile nella pasticceria e questo mi ha dato modo di sperimentare abbinamenti inconsueti. Tra i dessert più insoliti che ho creato è stato quello a base di caffè e limone; può sembrare un connubio azzardato ma in realtà il frutto acidulo e le note vellutate del caffè si sposano alla perfezione”. Dolcissimi piaceri tutti da sperimentare insieme a Julius Meinl.

General Contactor come interlocutore unico per la realizzazione di un locale, con responsabilità e deleghe sempre più ampie. Il ruolo di Augusto Contract diventa ancora più strategico, attraverso un servizio di massimo livello

Da sinistra, il ceo di Augusto Contract, Giacomo Racugno, e due realizzazioni del general contractor: Poke House al centro commerciale Maximo di Roma (in alto) e Alice Pizza in corso Buenos Aires a Milano

Ristorante CHIAVI IN MANO

Cambia la ristorazione e, di pari passo, diventa sempre più strategico il ruolo di chi realizza i locali. È il caso di Augusto Contract, partner di riferimento del dining. “Data la forte crescita del comparto – racconta il ceo Giacomo Racugno – negli ultimi tempi si è sviluppata sempre di più la richiesta di servizi di un general contractor come interlocutore unico per la realizzazione del locale ‘chiavi in mano’. Questo trend è andato rafforzandosi con gli ultimi sviluppi”. L’evoluzione del servizio take away e delivery, per esempio, ha favorito la nascita di spazi di cucina condivisi fra più format. Ciò significa che questi format stanno pianificando una crescita del loro fatturato con l’aumento della loro capacità produttiva. In alcuni casi la scelta di utilizzare una cucina indipendente dai punti vendita viene portata avanti per coprire territori ancora non coperti dall’offerta del marchio. Per quanto riguarda invece le tipologie di format più legate all’esperienza nel punto vendita, la chiusura forzata dei locali ha imposto una riprogettazione degli stessi, determinando un’evoluzione del format attraverso la separazione del locale rispetto agli spazi dedicati al delivery. Dunque, nonostante la crisi, c’è un gran movimento dettato sia dal buon andamento dei player vincenti sia dalla necessità di rivedere i locali da parte degli altri. “Per la maggior parte dei nostri clienti, gli investimenti previsti nel 2020 sono stati confermati e da noi completati”, precisa Racugno, aggiungendo che: “I format che sono nati con un’offerta multicanale continuano ad essere molto attivi e progettano le nuove aperture anche su territori italiani non ancora esplorati. Altri stanno attendendo l’evolvere della pandemia per attivare nuovi investimenti”. È evidente che portare a termine la realizzazione di un locale è stato molto complicato nel 2020, a volte anche per l’improvvisa indisponibilità di risorse nella filiera produttiva. “Per questo la delega ad un soggetto come il general contractor ha concesso agli imprenditori del foodservice di concentrare la loro attenzione sulle problematiche, anch’esse più complesse, legate al core business dell’azienda”, evidenzia il ceo. Augusto Contract sta di conseguenza potenziando gli investimenti nella propria innovazione organizzativa, supportata anche da innovazione tecnologica. “I metodi di progettazione collaborativa che stiamo acquisendo ci permetteranno di offrire ai nostri clienti una sempre maggiore attenzione al dettaglio, alla tempestività realizzativa e alla sempre maggiore flessibilità da loro richiesta. Crediamo che la crescita del foodservice sarà internazionale e dovrà essere accompagnata da operatori professionali dislocati in più nazioni ma in grado di colloquiare con linguaggi comuni per la progettazione e realizzazione dei locali”.

Oreno e Vigna dell’Impero reagiscono alla crisi del 2020 con incrementi a doppia cifra negli Stati più importanti come California e New York. L’annata 2018 di Oreno ha ottenuto i massimi punteggi dalle guide specializzate

Nelle foto, da sinistra: Alberto, Antonio e Amedeo Moretti Cuseri e l’ultima annata di Oreno

TENUTA SETTE PONTI cresce negli Usa con i vini top

Il 2018 si sta rivelando un’ottima annata per Oreno, uno dei vini di punta della Tenuta Sette Ponti. Questo blend di uve Merlot, Cabernet e Petit Verdot, coltivate nei terreni di proprietà della famiglia Moretti Cuseri in Valdarno di Sopra, ha già ottenuto i massimi riconoscimenti dalle guide specializzate: Tre Bicchieri per Gambero Rosso per la decima volta, 5 Grappoli per Bibenda, 4 Viti Ais e Tre Stelle Oro Veronelli. Ha inoltre ottenuto 99/100 da WinesCritic – Raffaele Vecchione, 97+ da Luca Gardini nella guida del Corriere della Sera ‘I Migliori 100 Vini e Vignaioli d’Italia 2021’, 97/100 da James Suckling e infine ha conquistato il Wine Hunter Gold a Merano. Antonio Moretti Cuseri, presidente dell’azienda, sottolinea “il livello eccellente della raccolta 2018 e anche della 2019, già in cantina, per il Merlot, presente in prevalenza nel blend che compone l’Oreno. E anche il Cabernet è riuscito benissimo. Per noi Oreno, assieme a Vigna dell’Impero, è il prodotto di punta, con ottimi riscontri commerciali anche nel 2020. Per i nostri top di gamma non c’è stata alcuna flessione, anzi!”. Moretti Cuseri evidenzia in particolare il risultato ottenuto negli Usa, con un incremento a doppia cifra degli ordini negli Stati chiave Usa come California e New York. “A un certo punto ho chiamato il nostro importatore per verificare che non ci fosse un dato errato! Invece era tutto vero. Del resto, gli Stati Uniti sono il primo mercato di destinazione per i nostri vini, davanti a Canada e poi a seguire l’Europa nella sua totalità. E in America abbiamo tanti clienti affezionati che evidentemente, non potendolo degustare al ristorante, lo hanno acquistato online o tramite negozi specializzati”. Sono 40mila le bottiglie prodotte nell’annata 2018 di Oreno, mentre per Vigna dell’Impero i numeri sono ancora più bassi, meno di 7mila bottiglie, a testimonianza della preziosità di questo Sangiovese in purezza le cui uve provengono dal vigneto storico della proprietà che fu piantato nel 1935 da Amedeo di Savoia Duca d’Aosta, e che è tutt’ora produttivo. Tenuta Sette Ponti, che si estende per 300 ettari di cui 65 coltivati a vigneto nel cuore della Toscana tra Firenze e Arezzo, fu acquisita infatti dalla famiglia Moretti Cuseri negli anni Cinquanta del secolo scorso direttamente dalle principesse Margherita e Maria Cristina di Savoia d’Aosta. Partendo da questa base, Antonio Moretti Cuseri, imprenditore nato nella moda, ha poi ampliato l’attività nell’ambito del vino in Toscana con Orma a Bolgheri e con Poggio al Lupo in Maremma, oltre alla Sicilia dove è presente con Feudo Maccari. Il sogno dell’imprenditore? “Vogliamo realizzare il miglior Sangiovese di Toscana, e ci stiamo lavorando”, afferma.

Lo chef del ristorante di Porta Nuova a Milano apprezza il manzo irlandese per il suo sapore inconfondibile, per la morbidezza del suo nobile grasso ma anche e soprattutto per il rispetto del benessere animale garantito dal metodo di allevamento al pascolo

Da sinistra, Andrea Berton e il controfiletto di manzo con patate fritte e sugo di peperoni rossi

Il “tocco” etico di BERTON

“Il consumatore è sempre più informato e attento alla qualità. Lo è anche grazie alle conoscenze che gli chef e gli addetti ai lavori gli hanno trasmesso, e certamente la sua attenzione va a vantaggio di chi, come me, lavora con qualità”. La pensa così Andrea Berton, chef del Ristorante Berton di Milano in Porta Nuova ma anche “firma” di un secondo progetto stabile, Berton al Lago presso il Sereno Hotel, e di alcuni prestigiosi temporary restaurant, come quello che lo ha visto protagonista nel periodo natalizio all’Hôtel de Paris di Monte Carlo. E la qualità, in cucina, si ottiene soltanto se la materia prima è di pregio. Il “tocco” dello chef consiste infatti nell’esaltare le caratteristiche degli ingredienti, rispettandone l’essenza ed evitando coperture che servono solo, come dice il termine, a “coprire” eventuali difetti di partenza. I criteri di selezione di Berton sono gli stessi fin da quando lo chef, allievo di Marchesi, ha iniziato la sua carriera da executive: materie prime eccellenti, sostenibili e prodotte nel rispetto dell’ambiente. Vale per le verdure, provenienti da terreni coltivati senza utilizzo di sostanze chimiche nocive per la natura e per l’uomo. E vale naturalmente per le carni bovine. Quella irlandese è particolarmente apprezzata da Berton per una serie di caratteristiche, partendo dalla qualità per arrivare al metodo di allevamento rispettoso del benessere animale. “La conoscevo di fama, poi l’ho assaggiata e mi ha favorevolmente sorpreso per il suo sapore. Ha il gusto dell’erba fresca di cui si nutrono gli animali al pascolo, vivendo liberamente e in condizioni ideali per ottenere qualità. E poi l’Irlanda è un’isola, battuta dai venti, e la sapidità del mare, la presenza di iodio, la ritroviamo nelle sue carni di manzo. Tutto ha origine dai luoghi di allevamento e dal rispetto dell’animale in vita”. Quella di Berton per l’Irish beef è stata una scelta di gusto e di etica. Il suo taglio preferito è il controfiletto, perché la presenza del nobile grasso tipico delle carni irlandesi, il celebre golden fat che ricopre e penetra all’interno di una saporita polpa color rosso Borgogna, diventa l’elemento morbido ideale che si amalgama, durante la cottura, alla succosità della carne. Berton ama il controfiletto, proprio per la presenza del grasso nobile, così come ama la guancia, per la sua particolare consistenza e per i risultati che permette di raggiungere in cucina, e come le interiora: “Sono parti che possiamo considerare nobili soltanto se la materia prima di partenza è di qualità. La carne bovina è ben presente nel mio menù, e la scelta dell’ingrediente è la naturale conseguenza della mia visione del mondo”.

CONTROFILETTO DI MANZO IRLANDESE CON PATATE FRITTE E SUGO DI PEPERONI ROSSI

Lista ingredienti nella sezione ‘foodie’ del sito irishbeef.it Procedimento. Eliminare i semi dai peperoni e arrostirli in padella o su una griglia, metterli in un sacchetto sottovuoto con i pomodori e 100 gr. di acqua fredda, cuocere a 100C° in forno a vapore per 2 ore, toglierli dal sacchetto e frullarli nel bimby sino ad ottenere una crema liscia e omogenea. Scolare su un passino con un foglio di etamina e recuperare la parte liquida, metterla in una pentola e ridurre fino a ottenere una glassa. Aggiustare di sale. Appoggiare su una placca da forno i peperoni passati con l’olio e mettere in forno a 220 C° per 10 minuti, raffreddarli con l’acqua corrente ed eliminare la pelle e i semi e tagliarli a falde, condirle con sale Maldon e olio evo. Arrostire in forno le ginocchia e le ossa di manzo a 180C° per 40 minuti. Arrostire in padella lo scamone con burro e aromi, unire le ossa e bagnare con acqua e ghiaccio, sobbollire per 6 ore. Filtrare il liquido ottenuto con un passino e lasciare ridurre fino ad ottenere una glassa di carne. Far raffreddare in abbattitore e togliere il grasso a galla. Arrostire la carne in padella con l’olio, aggiungere burro, sale e rosmarino, aglio e continuare la cottura fino a quando la carne raggiunge la temperatura di 52°, lasciar riposare qualche minuto sopra una griglia per far depositare i liquidi e infine tagliare a metà. Completare con qualche scaglia di sale Maldon. Mettere l’acqua con il burro in una casseruola e far bollire molto lentamente, aggiungere rosmarino, timo, aglio, sale. Cuocere le patate per 40 minuti, quindi toglierle e raffreddarle in abbattitore. Tagliarle a parallelepipedo e congelarle. Scaldare l’olio di arachidi a 170° e friggere le patate, rendendole dorate e morbide. Impiattamento. Su un piatto piano appoggiare la falda di peperone, la carne tagliata, le patate e completare con il sugo di peperone e la salsa di manzo.

IL BOOM PRE COVID DEI VINI REGIONALI (+27% IL FATTURATO NELLA TOP TEN) È LEGATO ALLE OTTIME PERFORMANCE DEL VITIGNO PIÙ RAPPRESENTATIVO, PRESENTE NELLE DOC DI MANDURIA E GIOIA DEL COLLE. IL PRIMITIVO DÀ ORIGINE A UN VINO DA ESPORTAZIONE E DAL RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO FORMIDABILE PER TUTTI I CANALI

PUGLIA, LA SUA FORZA È IL PRIMITIVO

di Alessandra Piubello

Prima della pandemia, i vini della Puglia avevano spiccato il volo non solo in termini di qualità, ma anche di vendite. Nel 2019, le prime dieci aziende della regione avevano fatturato complessivamente più di 217 milioni di euro (+27%), e nell’anno che si è appena concluso sembra che i produttori, grazie anche alla gdo e all’e-commerce, si siano difesi piuttosto bene. Un ruolo fondamentale, nell’ascesa della Puglia vitivinicola, l’ha avuto il suo il vitigno principe: il Primitivo, presente nel territorio regionale con circa 4.500 ettari coltivati nell’areale di competenza della doc Primitivo di Manduria e circa 1.000 per la doc Primitivo Gioia del Colle. In queste zone, il Primitivo ha trovato il terroir ideale.

PAROLA AI CONSORZI “Il Primitivo di Manduria interpreta un ruolo da protagonista”, racconta Mauro di Maggio, presidente del Consorzio Primitivo di Manduria e direttore generale di Cantine San Marzano. “Nel 2019 siamo arrivati a 22,7 milioni di bottiglie con un fatturato di oltre 147,5 milioni di euro (+21%). Oggi il Primitivo di Manduria è la doc che rientra nella top five dei vini più esportati a

PUGLIA, I TOP 5 PER FATTURATO

1 LATENTIA WINERY 2 SAN MARZANO VINI 3 CANTINE DUE PALME 4 TORREVENTO 5 VARVAGLIONE 1921

TOTALE

Fatt. 2019 Var% Ebitda% 2019

44 18

3 36 127 6 33 0 10

24 92

4 23 17 14

161 35 7

Fonte: Pambianco Valori in milioni di euro

livello nazionale, simbolo di un importante territorio vitivinicolo. In questi ultimi 20 anni è cresciuto senza sosta, grazie alle sue caratteristiche di vino potente, fruttato, vellutato e piacevole. Distribuiamo per un 85% in horeca e per il 70% all’estero. Il nostro vino piace internazionalmente, ma ci sono ampi margini di crescita soprattutto nei mercati tradizionali, come gli Stati Uniti e come i mercati di monopolio canadese e scandinavo. La Puglia vive una fase di crescita che ci piace sintetizzare con il Primitivo di Manduria, ma in realtà è la conseguenza di aver finalmente preso responsabilità della sua vocazione agricola e turistica”. Vito Giuliani, titolare dell’azienda di famiglia, è stato rieletto nel 2020 alla presidenza del Consorzio del Primitivo Gioia del Colle, che comprende circa una quindicina di aziende (quasi tutte in biologico) su circa mille ettari, con una produzione di 2 milioni di bottiglie. “La nostra denominazione negli ultimi 10 anni ha avuto un aumento di produzione del 20-30 percento. Siamo sostanzialmente nati negli anni 2000, se pensiamo che alla costituzione della doc negli anni ’80 eravamo in 3 cantine. A oggi le aziende sono aumentate, sono giovani o al passaggio generazionale, sono unite e lavorano con molta passione. La critica ha premiato il nostro lavoro, anche se siamo ancora in pochi a produrre. Una nicchia di mercato, che mantiene alto il valore del nostro vino, anche nei prezzi, ma che dovrebbe farsi conoscere di più e ci stiamo lavorando. Esportiamo al 60% in vari Paesi, quelli attratti da una tipologia di Primitivo elegante e fresco, perché a Gioia del Colle siamo tra i 300 e i 450 metri di altitudine, con forti escursioni termiche”.

Dall’alto: Mauro di Maggio (presidente consorzio Primitivo di Manduria) e Vito Giuliani (presidente consorzio Primitivo Gioia del Colle)

In apertura, grappoli di Primitivo

Marco Luccariello (Latentia Winery) e Francesco Liantonio (Torrevento)

IL FILO CONDUTTORE Al Primitivo sono legate più o meno tutte le realtà pugliesi presenti nella top ten, in testa alla quale troviamo Latentia Winery di Laterza. L’azienda nasce nel 2011 dall’esperienza nella commercializzazione vini dell’amministratore unico Fedele Angelillo, per poi espandersi in Veneto (Zardetto) e in Friuli (Cà di Prata), grazie anche all’ingresso societario di Mack & Schühle, società tedesca leader nella distribuzione vini nella gdo europea. “Nel nostro stabilimento in Puglia produciamo circa 10 milioni di bottiglie – spiega Marco Luccariello, direttore marketing del gruppo – destinate per il 90% all’export. La crescita del Primitivo è notevole, siamo passati da qualche centinaio di migliaia di bottiglie a qualche milione nel giro di pochi anni. La forza del Primitivo sta nel suo rapporto qualità-prezzo, poi è un vino che sa conquistare un pubblico ampio. Il nostro canale di riferimento è la gdo, con il 90% del totale. La grande visibilità che la gdo europea ha dato al prodotto, consentendo al “turista di ritorno” di ritrovare una bottiglia di Primitivo sotto casa a 2mila km di distanza dalla Puglia, credo sia stato un passaggio fondamentale”. Al secondo posto si piazza Cantine San Marzano, cooperativa fondata nel 1962 con 1.200 soci su circa 1.500 ettari e una produzione di 10 milioni di bottiglie. “Il Primitivo è diventato di fatto la nostra bandiera”, afferma il dg Mauro di Maggio. “Produciamo poco meno di un milione di bottiglie di Primitivo di Manduria doc vendute, come tutta la nostra produzione, al 70% in circa 80 Paesi del mondo e possiamo dire che è l’unica doc che continua a crescere secondo i trend pre-crisi pandemica: la richiesta non si è arrestata. Il Primitivo è un po’ la lepre di un sistema che continua a crescere. È un vino buono sin dalla sua gioventù, ma può essere anche di grande spessore, da conservare in cantina nel tempo. Si può vendere a breve termine e dal punto di vista finanziario questo è un punto a favore. La gdo ha trainato i consumi, ma da settembre abbiamo anche un negozio online, un progetto coltivato pian piano, su cui ci stiamo ancora calibrando”. Cantina Due Palme, cooperativa fondata dall’enologo Angelo Maci nel 1989, che nel corso degli anni ha incorporato 6 cantine sociali, ha una base di mille soci su 2.500 ettari tra Brindisi, Taranto e Lecce, con una produzione di 17 milioni di bottiglie. “All’inizio abbiamo puntato subito all’estero – spiega Assunta De Cillis, direttore generale della società – incontrando difficoltà enormi. Eravamo fra i primi a esportare, e alcuni Paesi non volevano sentir parlare di Primitivo: c’era diffidenza nei confronti del Sud e anche delle cooperative. Ora esportiamo il 70% della produzione in 40 Paesi al mondo. Il Primitivo è il marcatore identitario della nostra regione:

immediatamente collocabile, rappresenta la nostra storia e cultura e fa da traino alla Puglia. Spero che questo fenomeno duri a lungo! Noi produciamo 1,5 milioni di bottiglie di Primitivo, ma lo usiamo molto anche in blend. La diversificazione, attuata da anni, di posizionamento e di distribuzione (gdo 40%, horeca 35%, e-commerce 25%) ci ha aiutato in questo momento complicato”.

APRIPISTA PER ALTRI VINI Anche per Torrevento, azienda dell’Alta Murgia entrata a far parte di Prosit e portabandiera del Nero di Troia, il Primitivo sta avendo un peso incisivo nella crescita, come racconta Francesco Liantonio, presidente e amministratore delegato dell’azienda fondata nel 1950 e nella quale opera dal 1989. “Attualmente lavoriamo su 270 ettari di proprietà e 260 in gestione, con una produzione di 2 milioni e mezzo di bottiglie, esportate per l’80% in 50 Paesi. Da quest’anno abbiamo rilevato un polo produttivo nell’areale del Primitivo doc. Il Primitivo è diventato un riferimento in tutto il mondo, incontra il gusto del consumatore ed è ormai indispensabile nel catalogo di qualunque importatore. La crescita qualitativa, grazie anche al livello tecnico e agronomico raggiunto, è evidente e il mercato la riconosce. La richiesta è in incremento continuo e ci fa da apripista anche per gli altri vini del territorio”. Liantonio però precisa: “Bisogna essere responsabili, senza scendere a compromessi sulla qualità. Va infatti salvaguardato il valore identitario del vitigno. Noi abbiamo iniziato a produrlo nel 2008 e a oggi rappresenta il 35% della produzione, in sintonia con la crescita globale aziendale. Il nostro canale è sempre stato l’horeca, ma da quest’anno partiremo con una linea dedicata alla gdo”. A chiudere la top five è un’azienda legata a doppio filo con il Primitivo di Manduria. Si tratta di Varvaglione 1921, che vanta 150 ettari di proprietà ed esporta in 70 Paesi del mondo. Marzia Varvaglione, responsabile marketing e quarta generazione aziendale, afferma: “È il nostro vitigno identificativo, ne produciamo tre milioni di bottiglie su quattro milioni totali. C’è un background territoriale unico e irripetibile dietro al nostro Primitivo. Non è solo un vino che garantisce un ottimo rapporto qualità-prezzo, è un insieme di emozioni che dal bicchiere portano in una terra accogliente di naturale bellezza”. L’azienda, che vende solo nel canale horeca e tramite e-commerce da maggio ‘19, è ben posizionata all’estero: “Questo ci ha consentito di lavorare bene anche durante i momenti più duri del 2020. Talvolta proprio l’ottimo rapporto qualità-prezzo può indurre la gente a non percepire il reale valore di questo vino. Ma anche all’estero stanno cominciando ad acquistare Primitivo con un prezzo medio più alto del solito”, conclude Varvaglione.

Nella foto in alto, da sinistra: Antonella Maci, Assunta De Cillis, Melissa Maci e Angelo Maci (Due Palme) In basso, Marzia Varvaglione (Varvaglione 1921)