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PERCHÉ È IMPORTANTE EDITORIALE RACCONTARE LA RICERCA

Di BRUNO DALLAPICCOLA

PERCHÉ È IMPORTANTE RACCONTARE LA RICERCA

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Durante la fase avanzata di realizzazione di questa nuova rivista, ci ha lasciati un collega e amico, il prof. Valerio Nobili. Valerio è stato per diversi anni l’emblema del professionista che opera in un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, dove si coniuga l’eccellenza clinica con l’eccellenza nella ricerca traslazionale. Nel ricordo di una persona, di un medico e di un ricercatore clinico insostituibile, desideriamo dedicargli l’inserto, che è parte integrante di RES.

Perché abbiamo pensato a una rivista che raccontasse la ricerca? Perché, da scienziati, ci piacciono le sfide. La divulgazione di un argomento complesso come la ricerca non è facile. Ma abbiamo deciso fosse giusto iniziare a farlo. Innanzitutto perché un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico ha due braccia: uno è l’assistenza, l’altro è la ricerca. Se del primo si conosce molto - perché in qualche modo l’assistenza si fa raccontare meglio -, della ricerca se ne sa molto meno, per la ragione inversa: la ricerca è difficile da raccontare. Allora abbiamo pensato che una rivista fosse lo strumento giusto per provare a raccontarla dal di dentro dando voce alle centinaia di ricercatori che lavora-

no nel nostro Ospedale con l’idea che, attraverso la narrazione delle loro storie, delle loro esperienze, sia più semplice arrivare a comprenderne l’attività. Raccontare le persone per definire il quadro di una comunità - fatta di scienziati, sì, ma anche e soprattutto di persone - che lavora insieme verso un obiettivo comune: offrire la propria professionalità alla ricerca. Attraverso le loro storie, scopriremo come l’Ospedale Bambino Gesù sia cresciuto di tre volte, negli ultimi dieci anni, a livello scientifico. E che nel 2018 si è classificata al terzo posto tra i 51 IRCCS nazionali a cui il Ministero della Salute assegna delle “pagelle” sulla base dei risultati raggiunti. Scopriremo anche che esiste una stretta relazione tra

il laboratorio e la clinica:

dietro una provetta che arriva in laboratorio c’è un paziente, e non si può non considerare la grande unicità che esiste tra ricerca e assistenza.

PERCHÉ L’ABBIAMO CHIAMATA RES PEDIATRICA?

Perché RES è acronimo di Ricerca e Sviluppo, ma è anche una delle prime parole con cui ci si avvicina allo studio del latino. La “cosa” dunque è anche il fondamento di una lingua per noi importante, perché è nel nostro DNA. E’ la radice della nostra cultura. La ricerca di base e la ricerca che trasla nella clinica, devono partire dalla sostanza, dalle fondamenta, per cimentarsi con la possibilità di nuove terapie, nuovi percorsi, nuove sfide. RES ha l’ambizione di raccontare la scienza partendo dagli elementi più semplici che compongono l’essere umano. Un insieme articolato e complesso di variabili riducibile alle sue fondamenta: un’idea, una suggestione, un tentativo. Partendo dalle cose più elementari, proveremo a farvi capire la ragione che spinge i ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù a tentare percorsi innovativi di cura. E vi aiuteremo a comprendere la motivazione, “cosa” c’è dietro al back stage.

LAVORIAMO PER LA SCIENZA E PER IL FUTURO DELLE CONOSCENZE UMANE

Al Bambino Gesù un nuovo sequenziatore del genoma. Alcune considerazioni della Presidente dell’Ospedale Mariella Enoc

La presentazione del nuovo strumento per l’analisi del genoma, una piattaforma tecnologica che aumenta la capacità di processamento dei campioni, fornisce a Mariella Enoc, la presidente del Bambino Gesù, alcuni spunti di riflessione. La prima riflessione riguarda l’investimento sul futuro. “Se la presidente e la direzione di un Ospedale come questo – sono le parole che rivolge ai presenti all’evento di presentazione - e, più in generale, se tutte le direzioni di grandi ospedali, così come quelle di piccole realtà, non avessero la capacità di guardare oltre e di investire sul futuro della ricerca scientifica, dovrebbero, a mio avviso, cambiare attività. Un manager serio non può prescindere da una visione prospettica di ogni scelta che compie”. La seconda riflessione riguarda la sostenibilità. Quando si indirizzano i propri sforzi verso avventure speciali e particolari, è necessario avere la sensibilità di valutare attentamente se si è in grado di sopportarne il peso economico. “Senza sostenibilità – dice la presidente - tutto diventa un sogno, un’utopia. C’è invece, da parte del Bambino Gesù, la volontà di lavorare per fare un tipo di diagnosi adeguata ai costi che oggi si possono affrontare”. Questa tecnologia, oltre a essere virtuosa in un senso di ricerca scientifica, è virtuosa perché permette di curare - che è il fine ultimo di ogni ospedale e di ogni medico - fornendo diagnosi precise, rapide e approfondite, riducendo i costi in maniera considerevole rispetto a prima. “E se mi fosse rimasto qualche dubbio residuo – continua - con questi argomenti si sarebbero dissipati. Tanto più perché il sapere prodotto, così come la conoscenza acquisita, possono essere trasferiti”. È quello che sta facendo il Bambino Gesù: offrire servizi che valichino i confini dell’Ospedale. E anche questa tecnologia può essere messa a disposizione delle realtà pubbliche, di altre realtà private “e, perché no, anche di altri paesi nel mondo”, dice la presidente. Oggi non è sempre necessario trasferire le persone; si possono inviare immagini e spostare campioni da una struttura all’altra, per un utilizzo coerente di strumenti validi come questo, che non necessariamente devono essere replicati. “Anche perché, come mi insegnano nella ricerca, - spiega - più campioni si esaminano, più lavoro si fa, più sapere si genera, e più possibilità ci sono che fra poco nascerà un’altra piattaforma che sarà anche più evoluta e che, di nuovo, potrà essere messa al servizio della collettività. Se ci fermassimo invece a pochi numeri, questo circolo virtuoso non potrebbe compiersi”. Un pensiero ancora per il grande lavoro che sta facendo l’Ospedale nell’ambito della ricerca: “Io credo nei passi in avanti che la ricerca scientifica sta facendo. Una ricerca che vi assicuro riusciamo a portare, per quanto possibile, in paesi molto evoluti così come in paesi molto poveri. Noi lavoriamo per la scienza, per il futuro delle conoscenze umane, ma anche per l’umanità di tutti i giorni”.

INNOVAZIONE E RICERCA: DA DOVE SIAMO PARTITI, DOVE STIAMO ANDANDO

Abbiamo chiesto al Professor Bruno Dallapiccola di presentarci il Sequenziatore di ultima generazione e di raccontarci la rivoluzione genetica del Bambino Gesù “Per capire dove stiamo andando, dobbiamo spiegare come e perché siamo arrivati a questo punto”, dice il Direttore Scientifico del Bambino Gesù, Bruno Dallapiccola, al quale chiediamo di spiegarci che cosa consentirà di fare il NovaSeq 6000 System, la piattaforma tecnologica più avanzata per l’analisi del genoma. Bisogna iniziare il racconto dal momento in cui un viaggio ha avuto inizio, per comprendere meglio dove si è diretti. La destinazione. “Siamo partiti nel 2013 – racconta il Professore - anno in cui, per la prima volta, ci siamo avvicinati alle tecnologie che indagano la ricerca genomica. Abbiamo cominciato a dotare il laboratorio delle prime macchine - archeologiche, verrebbe da dire oggi - ed è stato allora che abbiamo avviato un progetto rivolto ai pazienti che non avevano diagnosi, affetti da una malattia di cui non si conosceva il nome, né la cura. Come in tutti i viaggi complessi che si ci appresta a intraprendere, una componente inattesa può trasformare il percorso, costringere a un cambio di rotta che si rivela essere quella migliore per raggiungere obiettivi ancora più grandi. “Da progetto di ricerca – spiega - si è consolidato come pratica clinica fino a diventare, nel triennio successivo alla sua ideazione, anche un progetto istituzionale legato alla prima campagna sociale della Fondazione Bambino Gesù Onlus, Vite Coraggiose, che ha portato risultati molto importanti in tema di malattie rare. Da una parte, - continua il Professore - ha aiutato a dare un nome alle patologie di centinaia di pazienti fino ad allora senza diagnosi e senza cura e, dall’altra, ha avuto un impatto consistente sui tempi della ricerca a causa dell’accelerazione del processo di riconoscimento di nuovi geni malattia”. ”E questo – prosegue - è esattamente in linea con la direzione verso la quale si sta muovendo l’Ospedale: sviluppare laboratori di genetica funzionale per capire come funzionano i geni malattia, per arrivare ad avere cure migliori per i nostri pazienti”. Perché, intuiamo dalle sue parole, la meta di questo viaggio non è la diagnostica, ma la cura. “E tutto questo – conferma - è possibile anche grazie a questo nuovo sequenziatore”. “Ci si chiederà perché – continua Bruno Dallapiccola - in un Ospedale in cui ogni anno arrivano migliaia di strumenti che alimentano un parco macchine che ne conta circa 11.000, ci si concentri sul racconto della storia di una singola piattaforma. La risposta è semplice: per la sua straordinarietà e per la forza rivoluzionaria che include. Straordinaria perché si inserisce per la prima volta in una struttura che offre un servizio pubblico. Non solo. Si inserisce in una struttura che coniuga alla potenza clinica, la potenza biologica e quella bioinformatica. E questa congiuntura di forze rende il Bambino Gesù un centro che può erogare un servizio che soddisfa ben oltre i suoi bisogni interni. La possibilità di diventare centro di riferimento per altre regioni d’Italia, e per gli specialisti che vivono al di fuori del nostro paese, è una sfida non solo auspicabile, ma anche possibile, grazie a questa nuova tecnologia. Che è anche rivoluzionaria. Noi genetisti siamo abituati ad associare alla genetica il termine rivoluzione. La rivoluzione genetica è reale. Ed è prima di tutto una rivoluzione tecnologica. Negli ultimi 4 lustri, dopo il primo sequenziamento del genoma umano, c’è stata una vera e propria rivoluzione, in termini di conoscenze e di tecnologie, che ha impattato fortemente sui tempi e sulla precisione delle diagnosi oltre a comportare un abbassamento consistente dei costi. E tutto questo spiega il come, e il perché, siamo arrivati fin qui”. E torniamo alla domanda iniziale della nostra chiacchierata: dove stiamo andando, dunque? Che cosa sarà possibile fare? Il professore non esita a rispondere: “Sicuramente verso un nuovo paradigma per i test genetici”. Ci si sta muovendo nella direzione in cui si chiederanno sempre meno singoli geni, e analisi di piccoli pannelli di geni, e ci si abituerà sempre più ad avere un’analisi complessiva del genoma che, con un costo pressoché identico, può certamente essere più risolutiva. È quello che ha compreso l’amministrazione del Bambino Gesù, con questo investimento; ha risposto a un’esigenza che veniva dai biologi, dai clinici, dai bioinformatici di questo Ospedale. Ed è mio dovere ringraziare tutti coloro che hanno reso tutto questo possibile”. Una componente essenziale di questo viaggio, a detta del professore, sarà “l’appropriatezza prescrittiva. Una parola d’ordine imprescindibile per questo progetto. Dovremo tutti imparare – conclude - a usare al meglio la tecnologia per sfruttare appieno le sue grandi potenzialità”. Per capire dove stiamo andando, dobbiamo spiegare come e perché siamo arrivati a questo punto. Perché – ha ragione Dallapiccola – bisogna iniziare il racconto dal momento in cui un viaggio ha avuto inizio, per comprendere meglio la destinazione.

AL BAMBINO GESÙ UNO STRUMENTO INNOVATIVO PER L’ANALISI DEL GENOMA

Con NovaSeq 6000 System un nuovo paradigma per le analisi genetiche: aumentate le capacità di processamento, risultati più rapidi e abbattimento dei costi

Il nome tecnico è NovaSeq 6000 System, la piattaforma tecnologica più avanzata per l’analisi del genoma. È in grado di effettuare in poche ore il sequenziamento contemporaneo di 384 esomi, cioè la parte codificante del genoma nel quale sono localizzati i geni, a costi competitivi rispetto alle tradizionali analisi di singoli geni e famiglie di geni (pannelli). Nell’esoma si localizza la maggior parte delle modificazioni responsabili delle malattie ereditarie. Il nuovo sequenziatore consentirà all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di potenziare la capacità diagnostica delle malattie genetiche, in particolare di quelle rare. La nuova piattaforma è stata presentata mercoledì 6 febbraio durante un incontro che si è tenuto nell’Auditorium della sede di san Paolo fuori le Mura dell’Ospedale: «Oltre la metà delle malattie rare colpisce i bambini e circa il 90% di esse ha un’origine genetica – spiega Antonio Novelli, responsabile della Unità Operativa Complessa del Laboratorio di Genetica Medica del Bambino Gesù -. Almeno un malato raro su tre non ha una diagnosi e rischia di convivere con una malattia che resterà senza nome nell’arco di tutta la vita, con gravissimi disagi in quanto la diagnosi è il punto di partenza per costruire il percorso della presa in carico e delle scelte terapeutiche. L’inquadramento di questi pazienti può essere effettuato con il sequenziamento genomico di nuova generazione con un successo diagnostico superiore al 50% dei casi. Il nuovo sequenziatore accelererà l’individuazione delle basi biologiche delle malattie ereditarie nei pazienti orfani di diagnosi».

IL NUOVO SEQUENZIATORE

Il nuovo sequenziatore da oggi in uso nei laboratori di Genetica medica del Bambino Gesù consentirà di disegnare un nuovo paradigma nell’approccio delle malattie genetiche, per la straordinaria capacità di processamento dei campioni e di abbattimento dei tempi e dei costi delle analisi. Il nuovo sequenziatore può analizzare in poche ore oltre 300 campioni ad un costo di poche centinaia di euro, rispetto ai 100 milioni di dollari e ai mesi che erano necessari per un singolo sequenziamento nell’anno 2000 quando si è concluso il Progetto genoma umano e ha subito una significativa accelerazione la rivoluzione tecnologica in questo settore. Il trasferimento clinico di questo strumento cambia radicalmente la prescrizione dei test genetici. L’approccio tradizionale all’analisi di singoli geni e pannelli di famiglie di geni sarà progressivamente rimpiazzato da questo approccio genomico che, a parità di costi, o, addirittura, a costi minori, consentirà di ottenere le diagnosi e stratificare i pazienti.

27 MILA TEST GENETICI NEL 2018

Il Bambino Gesù nello scorso anno ha effettuato 27 mila test genetici. Oltre che per i pazienti dell’Ospedale, ha eseguito test genetici per pazienti di tutt’Italia, prevalentemente dal Centro Sud ma anche dal Nord, grazie anche ad una serie di collaborazioni con altre strutture ospedaliere italiane ed estere in Siria, Albania, Russia. Le nuove tecnologie disponibili richiedono competenze complesse, comprese quelle bioinformatiche, indispensabili ad analizzare e interpretare i dati di sequenziamento, in particolare attraverso l’uso di database e strumenti informatici aggiornati.

“MI PORTERÒ DENTRO VALERIOPER SEMPRE”

Di MASSIMILIANO RAPONI

L’incontro

Ho conosciuto Valerio 18 anni fa, lavorava già in Epatologia del Dipartimento di Epato-Gastroenterologia e Nutrizione, e collaborava sul progetto trapianti. Nonostante fosse molto giovane, aveva già le idee chiare su quello che poi avrebbe realizzato negli anni a seguire, con particolare riferimento al programma NASH – Steatosi epatica non alcolica – e con un’attenzione notevole alla ricerca scientifica e al trasferimento nella pratica clinica.

Il ricordo

Io mi porterò dentro Valerio per sempre. Perché resterà sempre vivo il ricordo dell’approccio serio, innovativo, di rispetto dei valori, nei confronti non solo della professione ma, ancora di più, nei confronti della vita in generale. I valori che hanno guidato questi aspetti della sua vita sono quelli che porterò sempre con me, non solo come collega, ma soprattutto come amico e come uomo.

Il collega

È stato un medico presente e attento, dotato di straordinarie capacità professionali e umane, esaltate dalla grande capacità di ascolto e dall’empatia che ha caratterizzato le sue relazioni. Nel rapporto con i pazienti, ha dimostrato il suo punto di forza fin dall’inizio della sua carriera: una presenza costante in reparto, che gli permetteva di entrare sempre in relazione con i piccoli pazienti e con le famiglie. I bambini sapeva rassicurarli, con affettuose carezze, buffetti e grandi sorrisi.

L’episodio

Non c’è stato momento importante per l’Ospedale in cui Valerio non sia stato presente. Non solo fisicamente, ma anche attraverso una grande vicinanza emotiva, che spesso era fatta anche di piccoli gesti, o di silenzi, ma comunque tangibile. Tra i tanti episodi mi piace ricordare le visite di accreditamento della Joint Commission International; Valerio mi mandava un messaggio la sera prima, per farmi sentire la sua partecipazione. Poi, la mattina, ci incontravamo alle 7.00 davanti al bar, per prenderci un caffè insieme, e per darci la giusta carica. Nonostante i tanti impegni, riusciva sempre a pensare agli altri, generoso con me, con i colleghi, i medici gli infermieri.

“SAPEVA FIDARSI E AFFIDARSI: ECCO CHI ERA VALERIO NOBILI”

L’incontro

Il nostro incontro è avvenuto in Ospedale. È stato al Bambino Gesù che è nato un connubio professionale dove clinica e ricerca si sono unite sul tema delle alterazioni metaboliche. Valerio ha prodotto dati eccezionali su questo argomento, la sindrome metabolica, estendendo lo spettro di indagini anche al microbiota intestinale, che è la parte di cui più specificatamente mi occupo io come ricercatrice. Abbiamo iniziato parlando di quella che poteva essere l’alterazione del metabolismo del microbiota rispetto alla sindrome metabolica associata a obesità e associata a fegato grasso, di cui Valerio era massimo esperto. I nostri primi lavori riguardavano la somministrazione di probiotici in condizioni di fegato grasso e obesità. Abbiamo pubblicato insieme molti lavori, anche su riviste prestigiose.

Il ricordo

Il senso di partecipazione a un progetto collettivo, che ciascuno poteva contribuire a implementare e valorizzare. La collaborazione. Valerio sapeva delegare, e questa è una cosa che sto imparando progressivamente, anche grazie a lui. La cosa più bella che mi rimane, a posteriori, è che quando esci dal singolo momento di empasse, in cui ti sembra di non farcela, capisci che quella spinta, quel suo “Dai, dai, dai! Ce la facciamo! Puoi farlo!” era il motore propulsore per tutti. Una locomotiva. Da quella vicinanza emotiva scatta qualcosa di più profondo di un legame professionale. Scatta l’amicizia. Valerio è stata una persona da cui ho imparato tantissimo e mi dispiace non poter continuare a lavorare con lui su alcune tematiche. Un rapporto su cui potevo contare costantemente. La definirei, a tutti gli effetti, un’amicizia scientifica, un affetto scientifico. Se non esiste, per noi è stato così.

Il collega

È stato un collega con cui ho condiviso tanto. L’attività di ricerca, l’attività clinico assistenziale. Ci legava l’interesse per le stesse cose, tutto quello che un clinico e un laboratorista possono condividere, ma molto di più. È stato un rapporto molto bello e molto importante, professionale e umano. Valerio aveva una grande capacità: sapeva assegnarti una fiducia illimitata. E questa sua inclinazione a sapersi affidare alle competenze dell’altro in maniera spassionata, è stato per me un grande onore. Era una persona di altissimo livello scientifico, ma che sapeva riconoscere senza riserve e a pieno titolo le conoscenze dell’altro. Aveva creato un clima splendido nel quale a tutti veniva facile condividere e collaborare. Con lui si poteva discutere in modo aperto, sereno, alla pari, anche se con veemenza e con l’affanno dei risultati, ma sempre col rispetto verso l’interlocutore. Una caratteristica rara e affatto scontata, anche tra colleghi. Era un fidarsi e affidarsi, una cosa preziosa.

L’episodio

Ho i ricordi molto chiari di quando si discuteva dei risultati, dei progetti. Dei successi, ma anche dei fallimenti. Lui è sempre stato di incoraggiamento e di incitamento. Quella era una parte fondamentale della processività e della produttività di Valerio. Stare sul pezzo costantemente, mantenere la parola, rispettare le scadenze, rispettare il proprio lavoro e quello degli altri.

Clara Balsano Medicina Interna, Università dell’Aquila

Valerio era sicuramente un leader!!! I leader guardano lontano verso l’orizzonte. I leader sanno comunicare i propri sogni e sanno come esaltare il potenziale dei collaboratori spronandoli a fare di più. Ma Valerio per me era un uomo semplice solare, innamorato del suo lavoro. Valerio trasmetteva gioia di vivere, aveva un sorriso ed una battuta per tutti, , creava subito empatia. La sua è una perdita, un vuoto incolmabile. Valerio era un uomo con rare qualità, la sua amicizia mi mancherà.

Teresa Grimaldi Capitello (Una collega del Bambino Gesù)

Il dolore e la commozione o per la sua perdita. La gioia, il bene prezioso per il suo esserci. Un sorriso autentico.

Ronit Shiri-Sverdlov and Tom Houben, Dept. of Molecular Genetics “Liver and digestive health” Maastricht University

Today, T d we heard the shocking sad news of Valerio's passing. He was a big inspiration for us and for many others that were aware of his huge contribution to research and his warm personalty. We therefore like to express our deep condolences and wish you and the entire Research Unit lots of strengths in these difficult times. Warm greetings

Alberto Villani (Un collega del Bambino Gesù)

La prematura scomparsa di Valerio Nobili è un’incolmabile perdita per la Pediatria italiana e internazionale. Medico preparato, competente e dedicato, ha sempre assistito con dedizione tutti i suoi pazienti. Ricercatore apprezzato e riconosciuto in tutto il mondo per le sue innovative e solide ricerche, era dotato di straordinarie capacità comunicative e didattiche.

Francesca Graziano (Una pediatra)

Oggi non ho più lacrime, le ho terminate tutte. E il mio cuore è colmo di dolore per te, che mi hai accolto nella tua Unità Operativa del Bambino Gesù. Mi hai insegnato tutto ciò che più conta nella carriera di un medico: dall'amore per la ricerca, all’amore per il proprio lavoro, dall'onestà alla grande umanità. Sempre con l’argento vivo negli occhi, quello stesso argento che io portavo a casa la sera seppur esausta. Ho amato i miei giorni lì con voi. Mi hai dato i sorrisi, trasmesso la voglia di realizzare e mi sei stato vicino anche nel peggiore momento della mia vita. Mi hai detto che vrei vinto io, perché ero una leonessa. Fino ad ora hai sempre avuto ragione tu. Continua a guidare da lassù chi di noi ha avuto il piacere di conoscerti e viverti.

Fabio (Un papà)

Resterà sempre con noi. Una persona speciale, un dottore, un amico, un fratello, un padre. Era tutto. Non ho il coraggio di pensare che non ci sei più. Che Dio ti dia la possibilità di continuare a fare ciò che facevi anche in paradiso. Sono sicuro che aiuterai tante persone anche da lì. Riposa in pace.

Celeste (Una mamma)

Una grandissima persona, sempre disponibile e con il sorriso sulle labbra. Non ho mai incontrato un uomo con un’umanità simile che si sedeva sul letto dei piccoli pazienti a parlare con loro e con i genitori. Sempre affettuoso con la mia bimba. Che il Signore l'abbia in Paradiso.

“DI VALERIO RICORDERÒ TUTTO. ERA IL MIO COMPAGNO DI VIAGGIO PROFESSIONALE, IL MIO CALMANTE”

Di ANNA ALISI

L’incontro

Ho conosciuto Valerio nel 2006. È con lui, insieme alla dottoressa Marcellini, la quale dirigeva allora l’Unità Operativa di Epatologia e il Dipartimento delle Chirurgie, che ho fatto il colloquio per entrare in Ospedale. Già da allora Valerio, pur essendo un clinico, aveva questa grande passione per la ricerca, ed esprimeva il desiderio di creare un laboratorio di ricerca in epatologia, che ancora non c’era. Io venivo da un’esperienza di 12 anni di ricerca sul fegato. A fine colloquio, quando mi ha accompagnata alla porta, mi ha sorriso. È stato il suo modo di dirmi: “Ti ho trovata, sei tu!”. Fino a qualche anno fa tutto il mondo degli epatologi era convinto che la NAFLD – la Steatosi epatica non alcoolica – non esistesse. Al tempo del colloquio anche io ero fra quegli scettici. Lui invece ci credeva fortemente e ha portato avanti studi e ricerche per avvalorare questa sua brillante intuizione. Ed io non ci ho messo molto tempo a riconoscere che Valerio aveva ragione sia clinicamente che scientificamente.

Il ricordo

Di Valerio ricorderò tutto del nostro percorso condiviso. È stata una figura importante, per me, e non solo dal punto di vista scientifico, ma anche umano. Un maestro, il miglior compagno di viaggio professionale che potessi desiderare. Aveva un effetto terapeutico su di me: una cura calmante e un’infusione costante di sicurezza, determinazione e protezione. Mi ha insegnato a superarmi e mi ha trasferito sempre il suo ottimismo. Lui diceva “Si può fare” perché credeva, forte della sua conoscenza, nelle sue intuizioni. E alla fine, stando molto a contatto con lui, finivi per credere anche tu a quel dato progetto e a studiare il modo migliore per poterlo realizzare. Emerge di lui anche il suo grande amore per la ricerca scientifica e la condivisione dei risultati raggiunti. Valerio amava i momenti di confronto, durante i quali si poneva con grande umiltà all’ascolto delle idee di tutti. Valerio è stato un illustre professionista ma allo stesso tempo ha conservato la sua umanità. È questo che fa di lui un grande uomo che ha sempre avuto la stima e l’amicizia di coloro che hanno condiviso con lui un passaggio di questa vita. Gli vorrei dire una cosa. “Caro Valerio, ti prometto che porterò avanti la ricerca sulla NAFLD con lo stesso spirito e la stessa determinazione che tu mi hai regalato.”

Il collega

180 dei miei 192 lavori portano tutti il suo nome. Tutto quello che ho fatto in ricerca in questi anni è, in qualche modo, legato a lui. Sono stati anni di lavoro intenso e faticoso a volte, ma ricchi di grandi soddisfazioni professionali. Valerio lavorava ininterrottamente. Tutte le mattine, alle 8.00, arrivava la sua telefonata: “Annarè, che stai a fa’? Ho un’idea! Che dici possiamo realizzarla nel nostro laboratorio?”. Era sempre l’inizio di qualcosa di costruttivo e vincente. Ho avuto il grande onore di costruire assieme a lui l’Unità di Ricerca sul Fegato al Bambino Gesù. Un’unità che grazie a Valerio, soprattutto alla sua capacità dialettica anche in un’altra lingua diversa dalla sua, ha raggiunto rapidamente una visibilità a livello internazionale. Infatti, per i suoi traguardi scientifici è oggi considerato uno dei pionieri e degli esperti mondiali nella NAFLD pediatrica. Appassionato e coinvolgente, sapeva contagiarti con il suo ottimismo e con la sua forza persuasiva. Non potevi non seguirlo, non affidarti.

L’episodio

Il ricordo a cui sono più affezionata è sicuramente l’incontro. Ha segnato l’inizio di tutto. E quel sorriso che mi ha fatto accompagnandomi alla porta, il giorno del mio colloquio, non mi ha mai più abbandonata anche nei momenti più impegnativi del lavoro.

“L’EREDITÀ DI VALERIO, UN MEDICO A BRACCIA APERTE”

Di ALBERTO EUGENIO TOZZI

L’incontro

Ho conosciuto Valerio 15 anni fa, quando sono arrivato in Ospedale. Il nostro primo incontro è avvenuto in un momento particolare, quando io ero in procinto di partire per una missione in Africa, in Tanzania. Valerio rientrava da quel paese, e ci siamo incontrati per un passaggio di consegne che poi si è trasformato in un colloquio aperto sugli aspetti non solo clinici, ma anche sui risvolti umani con cui avrei dovuto fare i conti. Io non ero mai stato in Africa, e parlare con lui è stato non solo utile, ma anche costruttivo. Aveva una simpatia e una sensibilità umana fuori dal comune. Un grande lavoratore, che però non si è mai risparmiato anche quando c’era bisogno di un confronto che non fosse solo professionale.

Il collega

È stato facilissimo lavorare con lui. Come medico, in un’immagine, Valerio era “a braccia aperte”. Accoglieva tutti. Quando c’era un problema, lui rispondeva immediatamente. Che fosse un paziente complesso che gestivamo in comune, o che fosse una consulenza per amici di amici, lui c’è sempre stato. Ed era lungimirante; è stato il primo ad agganciare l’approccio tecnologico all’assistenza, su un progetto di orientamento al paziente con disturbi dell’alimentazione. Aveva contribuito a ideare con me questo progetto per i pazienti obesi, malnutriti e anoressici, che mi auguro possa presto vedere la luce. Come ricercatore, una punta di diamante, di notevole levatura scientifica. Ha sempre garantito prodotti di grande livello. Sarà difficile trovare per la nostra area di ricerca qualcuno uguale a lui, non solo a livello professionale, ma anche umano.

Il ricordo

Valerio aveva capito che lo scambio di risorse e di conoscenze, nella ricerca, è un valore e un vantaggio, che consente di tagliare traguardi ben più ambiziosi, perché il sapere diventa un bene collettivo. Quindi questa sua generosità nel trasferire e nel condividere esperienze la considero la sua preziosa eredità.

L’episodio

Più che un singolo episodio, sono stati momenti. Quelli sulla terrazza del Gianicolo, per bere qualcosa insieme al bar e scambiare pensieri che non fossero strettamente legati al nostro lavoro. Quelli non li scorderò mai.

LA GENETICA MEDICA E LA MEDICINA DI LABORATORIO

La genetica medica e la medicina di laboratorio tra passato, presente e futuro. Risponde Antonio Novelli, Responsabile del Laboratorio Diagnostico del Bambino Gesù

UN PO’ DI STORIA: DAL 2015 - ANNO IN CUI HA INIZIATO A DIRIGERE IL LABORATORIO DEL BAMBI- NO GESÙ - A OGGI, COSA È CAMBIATO?

Tutto. La velocità, in primo luogo. Siamo passati, per rendere il concetto con un’immagine, dal treno a vapore all’alta velocità. Analizzare il genoma di un soggetto è oggi di fatto possibile con una definizione inimmaginabilefino a pochi anni fa, con dispositivi continuamente più opportuni che permettono di esaminare in un unico esperimento e rapidamente le variazioni delnumero di copie di tutti i loci genici (CNV copy number variations), sino a comprendere ogni lettera dell’intero patrimonio ereditario di un individuo (WGS-whole-genome sequencing/WES-whole exome sequencing). Le tecnologie di cui si è dotato l’ospedale negli ultimi anni hanno permesso a tutto il processo diagnostico di procedere a ritmi incredibilmente più rapidi. La rivoluzione tecnologica, in particolare le tecniche di sequenziamento di seconda generazione (NGS-Next Generation Sequencing), ha cambiato anche la modalità di acquisizione dei campioni biologici, permettendo da un lato la riduzione considerevole dei tempi di refertazione e dei i costi associati all’analisi, dall’altro l’incremento dei volumi di attività di laboratorio. Tutto questo ovviamente in associazione al miglioramento in termini di qualità del referto finale. E’ noto come molte malattie siano geneticamente eterogenee, ovvero presentino quadri clinici identici o simili pur essendo causate da mutazioni in geni diversi. In questi casi spesso non è possibile indirizzare l’analisi su uno specifico gene, prediligendo lo studio simultaneo di un numero maggiore di geni. Le nuove tecnologie permettono di analizzare contemporaneamente e a costi moderati pannelli con più geni o addirittura interi genomi, rivoluzionando l’attività dei genetisti di laboratorio.

IN CHE MODO?

Accorciando la distanza tra l’analisi del genetista di laboratorio (analisi dei geni e dei cromosomi) e quella del genetista clinico o specialista di branca. Alla velocità con la quale viaggiano queste innovazioni tecnologiche si rischia infatti di generare informazioni genetiche difficilmente comprensibili, male interpretabili o oggetto di discussione per i soli addetti ai lavori. Per questo motivo, nel corso degli anni è stato necessario un cambiamento nelle nostre attività, passando da un lavoro prevalentemente improntato all’attività manuale di bancone all’assunzione di ruoli sempre più specializzati all’interpretazione di dati. Abbiamo quindi effettuato un cambio di destinazione d’uso dei nostri locali adibendo un’intera area alla fase di elaborazione dei dati. In questi spazi riservati, i risultati forniti dalle nuove piattaforme adottate vengono quindi “districati”, coniugati ad informazioni di tipo funzionale e condivisi con la comunità scientifica tramite reti internazionali di laboratori.

QUALI SONO I TEST GENETICI CHE AFFERISCONO AL LABORATORIO DI GENETICA MEDICA?

Essenzialmente si tratta di test diagnostici, ma vengono effettuati anche test presintomatici e test del portatore, ossia test finalizzati a identificare individui portatori sani di alcune patologie frequenti nella nostra popolazione, come la fibrosi cistica o la beta-talassemia o la SMA (Atrofia Muscolare Spinale).

TEST GENETICI

Per quanto riguarda i test diagnostici è chiaramente il sospetto clinico a guidare l’analisi e ad indirizzare verso la metodica più appropriata ad ogni singolo caso.Nell’ambito della genetica medica è infatti possibile lavorare diversi livelli di risoluzione: si può studiare il cariotipo del paziente nel caso in cui si sospetti una patologia cromosomica, o spingersi a livelli di risoluzione progressivamente più elevati per individuare piccole perdite o acquisizioni di porzioni genomiche non rilevabili al microscopio, alterazioni comprendenti pochi geni, un solo gene, parte di un gene, singole basi, fino ad arrivare appunto al sequenziamento di nuova generazione, che ci permette di analizzarenel dettaglio e ad altissima risoluzione esomi o genomi interi in un singolo esperimento. Un test genetico necessita poi di un inquadramentonell’ambito della storia personale e familiare del paziente. Viene quindi sempre richiesta una consulenza pretest per spiegare alla famiglia vantaggi, limiti e rischi associati alle indagini genetiche, e una consulenza post test nella quale vengono discussi e interpretati clinicamente i risultati, soprattutto nei casi in cui siano presenti rischi di ricorrenza familiari.

ADESSO UN PO’ DI NUMERI. SU CHE CIFRE CI PERMETTE DI VIAGGIARE

LA TECNOLOGIA? Con il classico sequenziatore si analizzava un singolo gene, o parti di un singolo gene alla volta. Con l’ausilio di una macchina di cui si è dotato il laboratorio nel 2012, è stato possibile esaminare dai 10 ai 30 geni contemporaneamente. Nel 2015 abbiamo iniziato a implementare le dotazioni tecnologiche, tanto che è venuta meno la necessità di esternalizzare i test e abbiamo, anzi, iniziato ad accettare e analizzare anche campioni provenienti da altre sedi. Nel 2016 abbiamo effettuato 11.000 test, e nel 2018 le refertazioni di campioni sono salite a circa 30.000. Tutto grazie

alle tecnologie di ultima generazione, che hanno permesso di combinare l’analisi genomica con l’analisi genica rendendo il laboratorio un utile coadiuvante dell’attività di ricerca del Bambino Gesù. La possibilità di condurre analisi così sofisticate e in tempi tanto brevi ha reso infine possibile l’introduzione dell’urgenza del test genetico. Di per sé i test genetici non hanno richiesta di urgenza, se non per alcune categorie come la diagnosi prenatale, l’oncogenetica e le patologie metaboliche, nelle quali è possibile adottare una terapia specifica in base al risultato. Per far fronte a queste esigenze abbiamo allestito un piccolo gruppo, che chiamiamo il Pronto Soccorso genetico, che fornisce diagnosi in pochissimo tempo. Il futuro? Ci vedrà concentrati sulla medicina di precisione.

LA TECNOLOGIA APPLICATA ALLA RICERCA

Negli ultimi anni si sono disegnati scenari e si sono aperti orizzonti oggettivamente inimmaginabili solo fino a qualche anno fa. Ne parla Marco Tartaglia, Responsabile dell’Area di Ricerca Genetica e Malattie Rare

QUAL E’ IL CONTESTO NEL QUALE SI È RESO NECESSARIO L’ACQUISTO DI UNA NUOVA PIATTAFORMA DI SEQUENZIAMENTO GENOMICO?

Si stima che circa il 70% dei bambini che accedono in Ospedale sia affetto da malattie genetiche o a larga componente genetica e che una quota significativa di questi pazienti –intorno ai 700.000 bambini in Italia– sia affetto da una malattia rara. Per una percentuale significativa di essi, non abbiamo diagnosi. Il raggiungimento della diagnosi è centrale per una presa in carico efficiente e per fornire, ove possibile, una terapia mirata. Esso rappresenta ancora oggi una criticità oggettiva, considerando i tempi che intercorrono tra l’insorgenza della malattia e la definizione diagnostica. Purtroppo, possono passare molti mesi o addirittura anni prima che una famiglia riesca a ottenere la diagnosi del proprio figlio. Statistiche recenti indicano che il 50% dei pazienti riceve la diagnosi dopo un anno, mentre il 30% dopo 5 anni. Va inoltre considerato che spesso la prima diagnosi non è corretta, comportando la necessità di ulteriori indagini e accertamenti.

DA CHE COSA DIPENDE L’IMPOSSIBILITÀ DI ACCELERARE I TEMPI E INCREMENTARE LA CERTEZZA DELLA DIAGNOSI?

La difficoltà di raggiungere la diagnosi non dipende dall’inadeguatezza dei clinici di riferimento ma da diverse difficoltà oggettive peculiari delle malattie rare. Si tratta infatti di malattie per le quali sono disponibili informazioni limitate spesso estrapolate dall’analisi di un limitato numero di pazienti. Per queste malattie tendiamo inevitabilmente ad avere un’ideaplatonica che non tiene conto della variabilità clinica e della storia naturale della malattia stessa. Per molte di queste condizioni non si dispone di maniglie diagnostiche che possano orientare verso una diagnosi specifica. Infine, è verosimile che una significativa quota di queste non possa essere riconosciuta in quanto non è mai stata descritta. Il nostro genoma è ancora un campo da esplorare. A oggi solo 4000 degli oltre 20000 geni che lo compongono sono stati associati, quando mutati, a malattie nell’uomo. Allo stesso tempo, non conosciamo l’impatto che mutazioni a carico di circa la metà dei nostri geni possono avere sui processi cellulari, fisiologici e dello sviluppo.

ALLA LUCE DI QUESTE CONSIDERAZIONI, COME CAMBIA L’ATTIVITA’ DELL’OSPEDALE CON L’UTILIZZO DELLE NUOVE

TECNOLOGIE? Diversi anni fa è partito un programma innovativo diretto ad applicare le tecnologie genomiche nella pratica clinica e a concentrare le ricerche sulla comprensione delle basi molecolari delle malattie orfane di diagnosi con l’obiettivo di identificare i geni malattia coinvolti e comprendere i meccanismi patogenetici implicati, utilizzando approcci sperimentali complementari basati sull’utilizzo di modelli in vitro e in vivo. L’uso di queste nuove tecnologieha permesso in pochi anni di identificare numerosi nuovi geni implicati in malattie genetiche e di caratterizzare clinicamente un numero altrettanto numeroso di nuove malattie. Questo ha anche permesso di fornire una diagnosi a circa la metà dei pazienti che sono stati arruolati nel programma di ricerca dedicato alle malattie non diagnosticate avviato nel nostro Ospedale. L’acquisizione di questa nuova piattaforma faciliterà ulteriormente questo processo e favorirà la ricerca scientifica per le malattie rare.

VENIAMO ALLA NUOVA PIATTAFORMA: COSA PERMETTE DI FARE?

Questa nuova piattaforma di sequenziamento del DNA permette di applicare le analisi genomiche su larga scala, con una riduzione dei costi, a beneficio di un numero sempre maggiore di pazienti, permettendo di raggiungere una diagnosi in tempi rapidi. Per la ricerca in ambito biomedico, questa piattaforma permetterà di estendere le analisi di sequenziamento alla porzione non codificante del nostro genoma, non esplorabile con le precedenti apparecchiature, di analizzare i riarrangiamenti strutturali del genoma, nonché di estendere l’analisi al trascrittoma e all’epigenoma, con importanti applicazioni anche nell’identificazione di biomarcatori di malattia e di risposta a terapie.

LE STORIE DELLA RICERCA

Marcello, tornato in Italia dall’Inghilterra per offrire il suo contributo nel campo della genetica medica

L’ARRIVO AL BAMBINO GESÙ

Sette anni fa sono entrato nella grande famiglia dei ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù nell’ambito di un innovativo progetto di ricerca promosso dalla Direzione Scientifica e volto alla comprensione delle basi molecolari di alcune malattie genetiche rare, a quel tempo misconosciute. Il progetto prevedeva la durata di un solo anno, ma grazie agli investimenti dell’Ospedale e Fondazione Bambino Gesù, già sensibili al tema delle malattie “senza nome”, quel progetto si è sviluppato senza soluzione di continuità e, in tempi brevi, ha portato alla formazione di un vero e proprio team di specialisti clinici, biologi e bioinformatici; una squadra di professionisti con cui ogni giorno ho il piacere di collaborare nel comune interesse di trovare, per ogni famiglia che si rivolge al nostro ospedale, una risposta alla propria malattia genetica. Nell’arco di pochi anni, mediante l’uso delle più moderne tecnologie di sequenziamento genomico (Whole Genome Sequencing, WGS), fornite dall’ospedale, l’impegno del nostro team ha portato all’identificazione di 20 nuovi geni-malattia e 14 nuove malattie genetiche rare. Bisogna sottolineare che l’identificazione della causa di una malattia genetica non ha solo un risvolto scientifico, ma comporta numerosi vantaggi, sia sanitari che sociali. Una famiglia a cui viene fornita una diagnosi, esce dall’isolamento, non ha più la necessità di girare per vari centri diagnostici europei all’inseguimento di una risposta. Non spenderà denaro, né farà spendere risorse al sistema sanitario nazionale con indagini cliniche poco esaustive; d’altra parte, a questa famiglia verrà fornita una migliore gestione della propria condizione e, se possibile, anche nuove terapie sperimentali.

LE SODDISFAZIONI DI OGNI GIORNO

Le più grandi soddisfazioni che vivo sulla mia pelle sono quelle di poter contribuire all’ampliamento delle conoscenze scientifiche in materia di malattie rare, ma al tempo stesso, come medico, di poter contribuire al miglioramento della qualità di vita di un bambino “orfano di diagnosi” che spesso, con un semplice sorriso, esprime tutta la sua gratitudine.

IL MIO FUTURO NELL’ERA DELLA GENOMICA

La sfida comunque continua! Ormai dentro quella che è definita “era della genomica”, i ricercatori che come me militano nell’ambito delle malattie genetiche rare devono continuare a impegnarsi nello studio clinico, biochimico e molecolare con l’obiettivo - possibile anche grazie agli investimenti che l’Ospedale sta facendo - di arrivare a identificare in un prossimo futuro quante più “malattie-orfane” possibile.