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Storia e sviluppo dei radar in Italia sulle orme di

coalizione per cooperare nella ricerca dei membri di Al Qaeda, responsabili dei vili attacchi. Il teatro delle operazioni in cui era necessario agire era principalmente l’Afghanistan, culla del regime talebano e coprire le possibili vie di fuga o di rifornimento. Erano circa le 14.00 di domenica 18 novembre 2001, quando le navi designate per la partenza mollarono gli ormeggi dalla base navale in Mar Grande a Taranto, per fare rotta verso il Mar Arabico. Era lì che avrebbero agito per un tempo ancora non determinato, in attività che al momento della partenza non erano ancora definite nel dettaglio. La missione era iniziata e la partecipazione dell’Italia era finalizzata al concorso per il conseguimento dell’obiettivo strategico contro il terrorismo internazionale fissati dalla missione Enduring Freedom. L’importante background di attività di pattugliamento e sorveglianza avrebbe fornito agli equipaggi della Marina, una preparazione che poi si sarebbe dimostrata determinante nell’economia delle attività svolte. Furono affidate alle navi italiane zone di operazioni in cui eseguire azioni di interdizione, controllo e ispezioni del traffico marittimo e la salvaguardia delle linee di comunicazione. I compiti assegnati inoltre prevedevano il sostegno aerotattico delle operazioni, ricognizione e difesa aerea della Forza Navale e operazioni di sostegno logistico con gli elicotteri imbarcati. Proprio l’impiego degli AV-8B fu uno dei contribuiti più apprezzati da parte del personale degli Stati Uniti. I nostri piloti nei primi mesi di Enduring Freedom non erano autorizzati a portare carico bellico. Dal 31 dicembre invece, arrivò un riconoscimento importante da parte degli U.S.A.: l’autorizzazione a condurre missioni in maniera autonoma. La nostra Aviazione navale in quel periodo disponeva del “Pod Ligthning 2”, uno strumento che permetteva una maggiore precisione che venne apprezzato dai piloti americani, perché più efficace della loro dotazione. Lo testimoniano i protagonisti di quella missione in un allegato alla Rivista Marittima pubblicato nel 2003. L’obiettivo dell’azione in mare era intercettare possibili tentativi di fuga da parte degli uomini del regime Talebano, e mettere in atto tutte le azioni necessarie per il contrasto ai rifornimenti di

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Il vice presidente del Consiglio dei Ministri Gianfranco Fini, il ministro della Difesa Antonio Martino, il capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Rolando Mosca Moschini e il capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Marcello de Donno a bordo della portaeromobili Giuseppe Garibaldi, passano in rassegna lo schieramento. Nelle altre immagini, momenti delle attività condotte in mare.

armi verso i responsabili degli attacchi terroristici di New York. L’apparente incertezza nel tipo di impiego che avrebbe coinvolto le navi della Marina in brevissimo tempo, ha determinato uno sforzo maggiore in fase di approntamento, che ha segnato un momento di particolare impegno. Prevedere e ipotizzare quanto necessario dal punto di vista logistico e del munizionamento non era semplice, ma l’obiettivo fu centrato in pieno da tutte le navi impiegate. La partenza, cosi come il rientro dopo quattro mesi del primo Gruppo Navale, che avvenne il 18 marzo del 2002 a Taranto, fu segnata da una straordinaria partecipazione da parte della popolazione civile. Segno tangibile di un importante senso di unità nazionale e di vicinanza alla Marina Militare. La missione ha rappresentato un cambiamento anche per le nostre Forze Armate apportando una nuova vision geo-politica, ma non solo. Enduring Freedom portava con sé nuovi rischi non previsti da una guerra convenzionale. Le minacce sarebbero potute arrivare da un esercito non riconosciuto e non riconoscibile. La missione Enduring Freedom impegnò in totale 14 navi della Marina nell’arco di sei anni, e ha messo in luce l’aspetto expeditionary by nature della Forza Armata: la capacità di essere polivalente e proiettabile con breve preavviso dove

Il Gruppo Navale che sarebbe partito da Taranto era costituito oltre dalla nave ammiraglia “ anche dalla fregata Zeffiro, dal pattugliatore di squadra Aviere e dalla nave rifornitrice Etna. In totale 1.475 uomini ”

è necessario per operare, anche per lunghi periodi, in difesa degli interessi nazionali e per la sicurezza del Paese. L’allora ministro della Difesa disse: “Un impegno nuovo e straordinario, in luoghi lontani, dove però si compiono eventi decisivi per gli interessi e la sicurezza dell’Italia, per la stabilità internazionale e l’avvenire del mondo libero”. Una dichiarazione attuale anche nell’ottica degli impegni internazionali e nazionali a cui la Marina oggi risponde con la presenza dei suoi equipaggi.

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