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Roberto dell’Eva è andato in pensione

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Trenta Venti

Trenta Venti

«Per chi ha bisogno ci sarò sempre». È andato in pensione e il «Doc», come lo chiamano affettuosamente pazienti e amici, sente già la mancanza di quel lavoro che lo ha accompagnato per quasi quarant’anni della sua vita. Per Roberto Dell’Eva fare il medico di famiglia non è solo una professione. È un modo di essere oltre che una missione. «Come il prete» spiega con quella voce calma e grave, da basso, che usa per intonare canti popolari di montagna o canzoni del repertorio sacro quando si esibisce o con il quartetto degli Armonici Cantori Solandri o con il Coro Santa Lucia di Magras. Dal 1° gennaio il dottore ha lasciato il lavoro per godersi, come si dice in questi casi, il meritato riposo ma certo non ha intenzione di rinunciare a quel rapporto costruito in anni con i propri pazienti che in tantissimi gli hanno manifestato, con messaggi, lettere e telefonate, una sincera gratitudine e un affetto profondo. «Ho scelto di fare il medico perché mi hanno aiutato in tanti e volevo provare anch’io a ricambiare questo aiuto - aggiunge Dell’Eva, che nel ripercorrere le tappe più signifi cative della sua carriera si commuove – Il segreto è provare a mettersi dalla parte del paziente ed esserci sempre». Un principio questo che è stato la luce guida della sua professione. Per lui che paziente lo è stato quando, appena quattordicenne, gli amputarono la

Ma per i suoi pazienti il Doc sarà sempre disponibile

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gamba dopo avergli diagnosticato un osteosarcoma. «La mia non era una famiglia numerosa, di più – racconta il dottore -. Siamo in dieci fratelli, mia madre era casalinga, sarta e insegnante. Mio padre faceva il panettiere a Pellizzano, di notte, e di giorno, a Ossana, gestiva un bar osteria. Quando, dopo il diploma di geometra ho scelto di iscrivermi a Medicina a Padova i miei genitori erano molto orgogliosi. Volevo diventare ortopedico, anche per la mia esperienza». E per diversi anni si dedica a questo sogno: dal terzo anno di Università lavora come interno in una clinica ortopedica, studia e fa ricerca e aiuta quei bambini che come lui si sono ammalati. Si laurea nel 1981 e poi la sua strada cambia. Ritorna nel suo Trentino per un tirocinio ospedaliero in Geriatria all’Ospedale di Cles, per le guardie mediche per poi diventare il dottore delle famiglie. «La scelta che ho fatto è stata fandi Lorena Stablum

tastica – aggiunge ancora Dell’Eva spiegando quali sono le caratteristiche che, a suo parere, rendono un medico di famiglia un buon medico -. Il medico di medicina generale deve essere un medico a 360 gradi. Deve prima di tutto ascoltare il paziente, vistarlo e conoscere bene la sua situazione sociale ed economica e poi valutare il da farsi. Deve esserci sempre per il paziente. Il paziente deve sapere che, quando ne ha bisogno, può sempre trovarti. In 39 anni di professione non ho mai spento il telefono. I primi tempi, quando non c’erano ancora i cellulari, giravo con una specie di radiotelefono per poter essere sempre raggiungibile. E se, nella mia professione, ho avuto dei dispiaceri è stato quando il telefono non prendeva ed è successo qualcosa ai miei pazienti. Il paziente deve sentirsi seguito, sostenuto e deve vederti sorridere. Il sorriso è il primo trattamento terapeutico. Ho sempre provato a sorridere anche nel caso di malati terminali». E ora, che è in pensione, cosa farà il dottore? «Mi sento sereno e appagato – conclude Dell’Eva -. Credo di aver raggiunto quello che mi sono ripromesso e in questo sono stato aiutato anche dalla mia famiglia. Le gratifi cazioni che ho ricevuto in questi giorni valgono di più di tanti stipendi e, se hanno bisogno, ci sarò ancora per i miei pazienti. Il mio numero ce l’hanno».

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