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Intervista ad Anna Basta, ex-Azzurra di Ginnastica Ritmica
«Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno mai inciampato. […] A loro non si è svelata la bellezza della vita.»
[Boris Leonidovic Pasternak, Il Dottor Zivago]
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Intervista ad Anna Basta,
ex Azzurra di Ginnastica Ritmica
In questi giorni si sta sentendo parlare molto degli abusi sulle atlete di ginnastica ritmica; tra le prime atlete che hanno avuto il coraggio di esporsi raccontando la loro storia c’è proprio l’ex Farfalla Azzurra Anna Basta che, oggi, è qui per condividerla con noi. Ciao Anna, ti andrebbe di presentarti e raccontarci come è nata la tua passione per la ginnastica ritmica?
Certamente! Sono una ragazza di 21 anni, attualmente sono allenatrice di ginnastica ritmica e studio Scienze Motorie. Ho avviato numerosi progetti di prevenzione e sensibilizzazione verso i disturbi alimentari oltre a diversi progetti per la tutela e la promozione del benessere psicofisico.
Mi sono avvicinata a questa disciplina per caso. Io sono di
Bologna e, all’età di 4 anni, ho trovato, con i miei genitori, una locandina che pubblicizzava un corso di Ginnastica Ritmica nella mia città. Ho assistito, durante una lezione a porte aperte, alla splendida esibizione della ginnasta Ilaria Maggiore, che poi sarebbe diventata una tra le mie più care amiche, e nulla… è stato amore a prima vista per questo magnifico sport! Vorrei subito farti una domanda diretta: puoi descriverci il tuo rapporto con l’alimentazione durante la tua carriera da ginnasta?
Grazie per questa domanda.
Vorrei ripercorrere con voi questo mio rapporto che vi preannuncio conflittuale.
Dall’inizio della mia carriera agonistica, fino ai 15 anni circa, non ho mai avuto grosse difficoltà. Oggettivamente sono sempre stata una ragazza esile, con una costituzione che mi facilitava nella pratica di questa disciplina, che rientra tra gli sport estetici, in cui il canone fisico predominante è quello delle atlete longilinee. Fino ai 15-16 anni sono sempre stata sicura del mio corpo e della mia fisicità, non ho mai avuto problemi, mai avuto nessuno che mi mettesse pressioni o ansie riguardo il peso. La bilancia la vedevo praticamente solo alle visite mediche agonistiche. Le prime reali difficoltà sono arrivate ad Ottobre 2016 quando, a 15 anni, sono entrata nell’Accademia Nazionale di Desio. Cosa intendi per «difficoltà»? All’inizio era tutto magnifico, anche la routine di pesarsi ogni mattina solo in biancheria intima, in fila, con i pesi annotati su un quadernetto dalle allenatrici: mi sembrava semplicemente una cosa in più e non un problema. Il controllo del peso nella pratica di questa disciplina è estremamente frequente e, spesso e volentieri, viene fatto in ambienti non idonei, dal mio punto di vista, come appunto la palestra. Non c’è attenzione e tutela per la doverosa riservatezza alla quale ogni atleta ha diritto. Ho iniziato a percepire negativamente il rito della “pubblica pesata quotidiana” verso la fine del 2017 quando, dopo le vacanze, al controllo del peso iniziarono commenti negativi. Nonostante fossi sempre al limite tra il normopeso ed il sottopeso iniziarono costanti pressioni affinché io calassi di peso. Mi dicevano che non potevo «permettermi di essere così» (ero quasi 170 cm per appena 53 Kg, su per giù). L’ansia iniziò ad aumentare e parallelamente anche il mio senso di inadeguatezza. Come e dove hai trovato la forza di reagire e andare avanti? Nel corso degli anni l’amore per questo sport e il desiderio di restare in squadra mi hanno fatto sopportare le costanti umiliazioni pubbliche. Venivo screditata davanti a decine di persone. Iniziai così a sviluppare un odio profondo verso il mio corpo, iniziarono ad esserci problemi d’insonnia e attacchi di panico. Seguirono lunghi periodi di restrizione durante la settimana ed il Sabato tendevo a ‘lasciarmi andare’. Mangiare davanti alle altre persone mi
risultava sempre più difficile: provavo un fortissimo senso di giudizio negativo nei miei confronti. Hai mai provato a chiedere aiuto a delle figure specializzate, per esempio un nutrizionista?
Voglio fare una premessa: noi in squadra non avevamo un nutrizionista; la gestione dell’alimentazione e del peso veniva fatta in autonomia e con le allenatrici sempre ad osservare.
Io, sì, ho chiesto aiuto. Ormai le critiche verso il mio corpo erano diventate insostenibili, allora mi sono rivolta ad una nutrizionista che mi prescrisse una dieta definita dalle allenatrici «troppo calorica per me». In quella dieta era prevista — e oggi direi ovviamente — anche la pasta, ma quando l’ho mangiata, nelle quantità prescritte, le allenatrici mi hanno redarguito dicendomi:
«ma che fai, mangi la pasta?!
Non credo che una nutrizionista ti abbia dato la pasta!». A quel punto smisi di seguire la dieta prescritta. Come ti sei sentita? Sei riuscita a trovare conforto parlando con le compagne di squadra o con i tuoi genitori?
A parte le mortificazioni quotidiane, durante la giornata e durante gli esercizi, dove io venivo costantemente rimproverata per «essere pesante e grassa», erano rari i commenti e le correzioni sulla parte tecnica. Ma io stavo sempre peggio. La mia reazione è stata quella di isolarmi sempre di più anche dalle mie compagne. Ho iniziato a mangiare i miei miseri pasti in camera da sola ed a voler vedere il meno possibile altre persone.
Iniziavo a percepire in modo alterato anche la mia immagine corporea; iniziai a vedermi grassa. Mi capita di rivedere le foto di quegli anni e resto scioccata nel considerare quella che è la visione oggettiva attuale del mio corpo raffrontandola con quella che avevo ai tempi dell’Accademia! Avevo una percezione distorta del mio corpo. Con le mie compagne, come dicevo, ho iniziato a parlare sempre meno ed a sentirmi sempre e comunque in soggezione, proprio perché non stavo bene con me stessa, mentre i miei familiari avevano iniziato a percepire il mio malessere; io tendevo ad avere difficoltà ad espormi, un po' mi vergognavo, ma soprattutto non volevo farli preoccupare. Poi loro li vedevo davvero pochissimo durante l’anno. Quindi, anche se mi sfogavo molto con mamma, cercavo sempre però di dire che riuscivo a reggere e che ce l’avrei fatta, come sempre. Un Sabato sera mio padre era venuto a trovarmi a Desio; io, come al solito, avevo seguito la mia alimentazione restrittiva ma, prima di salutarlo, sono scoppiata a piangere e non riuscivo a staccarmi più dal nostro abbraccio. Lui avrà capito il mio malessere e la mia fame, e decise di concedermi un dolcetto al McDonald’s .


Quando hai trovato la forza di reagire?
Il rinvio delle olimpiadi di Tokyo per me è stata una manna dal cielo. Ho sentito un senso di sollievo enorme. Ho subito pensato: «bene, finalmente posso andarmene!» Il 4 Maggio 2020 ero già rientrata a casa. È stato un periodo difficilissimo per me e per la mia famiglia: stavo male davvero, avevo ormai l’umore a terra, gli attacchi di panico sono continuati per un po’ e io mi facevo veramente schifo. Non sapevo più per cosa combattere. La mia reazione è 15

stata quella di isolarmi da tutto e tutti. Avevo bisogno di ricostruirmi, di capire nuovamente chi fossi e che fine avesse fatto la vera Anna. Ho intrapreso un percorso di terapia psicologica e nutrizionale.
In Nazionale sono stata chiara: prima di andar via ho subito dichiarato che o inserivano delle figure specializzate in squadra e modificavano questo regime di vessazioni, o molte ginnaste avrebbero continuato a soffrire inutilmente.
A fine 2020 ho iniziato a parlare del mio malessere vissuto e, verso la metà del 2021, è iniziato il mio cammino sui social : ho iniziato a parlare della mia esperienza, a pubblicare ed informare, tanto da perdere molti rapporti nell’ambiente della ginnastica ritmica.
Poi il 31 Ottobre 2022, grazie anche al supporto di Nina
Corradini, abbiamo deciso di rilasciare un’intervista a
LaRepubblica e di qui è stato tutto un prosieguo di numerose denunce da parte di tante altre ginnaste che, finalmente, hanno trovato il coraggio di aprirsi e raccontare le loro storie di sofferenza. Secondo te che importanza hanno avuto i social nel far emergere queste dinamiche?
I social sicuramente hanno svolto un ruolo cruciale: molte ragazze hanno trovato un
‘luogo’ in cui aprirsi e trovare conforto, sostegno e condivisione; insomma, si sono sentite ‘autorizzate’ a parlare.
Io ora mi auguro che gli esponenti federali prendano i giusti provvedimenti e che il sistema venga migliorato, perché nessuna atleta sia più umiliata.
So benissimo che l’agonismo punta alla perfezione e ad alzare sempre di più l’asticella ma, in generale, la salute degli atleti, intesa come benessere
psicofisico, deve essere tutelata prioritariamente. Io, oggi, grazie anche a te, Ilaria, appunto nelle vesti di nutrizionista e non di giornalista, sono riuscita ad attivare una rubrica social su Instagram per sensibilizzare riguardo i disturbi alimentari. Abbiamo deciso di chiamarla “Non siete soli — A tu per tu con i DCA” , proprio per
non far sentire nessuno solo o giudicato, ma per conoscere e far conoscere queste patologie che spesso sono accompagnate da un forte stigma. Quale consiglio vorresti dare ai lettori?
Il consiglio che con il cuore mi sento di darvi è: affrontate la sofferenza a testa alta, perché voi valete e nessuno ha il diritto di dirvi il contrario. Condannate ogni forma di violenza e abbiate il coraggio di fare della vostra esperienza un dono prezioso per il prossimo. Io vi auguro sempre di essere dalla parte dei più deboli, di chi lotta e ama la vita.


