
10 minute read
La caduta di Palestrina
from Vendittelli-Bultrini, Pax vobiscum. La Crociata di Bonifacio VIII contro i Colonna di Palestrina
mente da quelle occorse per la guerra contro i Colonnesi, e la conquista di Nepi, di Zagarolo e di altri castelli, tra i quali quello di Colonna, conquistato e distrutto dalle fondamenta. 168
Lo stesso giorno incaricava il vescovo di raccogliere denaro da tutte le istituzioni religiose francesi per contribuire allo sforzo economico che per l’appunto la Chiesa di Roma stava sostenendo in quella fase. 169
Advertisement
Pietro Colonna, riferendosi proprio alla lettera papale del 1° ottobre appena citata, riferisce che Bonifacio VIII con il denaro ottenuto dalle istituzioni religiose del regno di Francia aveva potuto ingaggiare 3.000 cavalieri e 20.000 fanti (cifre che, ovviamente, vanno considerate con grandissima cautela). 170
Anche una lettera del decano della cattedrale di Tournai agli abati cistercensi, databile al 1299, dà conto delle richieste papali di sostegno finanziario per far fronte alle ingenti spese determinate tanto dalla critica situazione del regno di Sicilia quanto dai conflitti in atto, compreso, ovviamente, quello contro i Colonna. 171
La caduta di Palestrina
Analogamente agli altri centri colonnesi dell’area labicano-prenestina, non sappiamo quando iniziarono le operazioni militari contro Palestrina; tuttavia è ipotizzabile che nell’autunno del 1297, dopo la caduta di Nepi, le forze pontificie si radunassero anche sotto le imponenti mura dell’antica Praeneste.
Edificata intorno al secolo VIII a.C. sulle pendici del monte Ginestro, divenne una delle principali civitates del suburbio romano. Importante diocesi suburbicaria, nei primissimi anni del XII secolo la città venne occupata da Petrus de Columpna che ne fece il cuore dei propri dominî.172 I Colonna in seguito trasformarono in una suntuosa residenza la cavea e il grande doppio portico anulare a forma di lettera “C” dell’imponente santuario dedicato alla Fortuna Primigenia (edificato tra il II e il I secolo a.C.). Laddove, invece, era l’acropoli venne fondato il castrum di Castel San Pietro, con la sua rocca e il monastero benedettino. Non è possibile quantificare la popolazione di Palestrina alla fine del XIII secolo, ma sicuramente essa doveva contare varie migliaia di abitanti. Castel San Pietro, invece, poteva vantare oltre duecento abitazioni con una popolazione stimabile intorno al migliaio di abitanti, stando
168 Dossier, n. 143. Il pontefice reiterava l’appello a distanza di quasi un anno (27 settembre 1299); Dossier, n. 151. 169 Dossier, n. 144. 170 Coste, Boniface VIII en procès, pp. 345-346. 171 Dossier, n. 157. 172 Carocci, Baroni, pp. 353-354, con bibliografia.
almeno alla deposizione del cardinale Giacomo che aveva eretto a sua dimora il castrum «cum omnibus palaciis aliis et domibus, que erant in castro circa ducenta numero».173
Circondare e avere ragione di un simile complesso, entro il cui circuito murario potevano essere fatte pascolare anche le greggi, dovette essere estremamente difficile. Tanto più che il potenziale militare dei Colonna non doveva essersi affatto ridotto e le truppe pontificie erano sparse nell’area, impegnate contro varie altre piazzeforti come Colonna, Zagarolo e Tivoli.
Ben note sono le parole che Dante nel canto XXVII dell’Inferno mette in bocca a Bonifacio VIII – lo principe d’i novi Farisei – quando chiede consiglio a Guido da Montefeltro per conquistare l’inespugnabile Palestrina: «e tu m’insegna fare sì come Penestrino in terra getti», ottenendo in cambio la famosa risposta «Padre, da che tu mi lavi di quel peccato ov’io mo cader deggio, lunga promessa con l’attender corto ti farà trïunfar ne l’alto seggio».
Lunga promessa con l’attender corto: solo con l’inganno, dunque, e non con la forza è possibile prendere Palestrina, almeno per la communis opinio. Una recente e convincente rivisitazione del canto XXVII da parte di Mirko Tavoni suggerisce una nuova visione più “politica” dell’incontro tra Bonifacio VIII e il condottiero del Montefeltro.174 Va innanzitutto detto che la critica alla Commedia dantesca finì nel complesso vortice dello scontro culturale tra laicismo e neoguelfismo sorto all’indomani del Risorgimento; pertanto da un lato presero posizione intellettuali e critici difensori di Bonifacio VIII mentre, dall’altro si schierarono coloro che accusavano il pontefice dell’infamia di induzione al tradimento.175 In ogni caso è importante evidenziare il carattere schiettamente politico del canto. Bonifacio VIII si reca dal condottiero chiedendogli consiglio su come poter distruggere Palestrina, «si come Penestrino in terra getti», e alla precisa domanda del Pontefice il condottiero risponde con altrettanta schiettezza affermando che solo grazie a «lunga promessa con l’attender corto» egli potrà avere ragione della resistenza colonnese, trionfando «ne l’alto seggio». Su questo punto Tavoni con numerose similitudini stilistiche volgari arriva alla conclusione che l’alto seggio non possa essere interpretato genericamente come il simbolo del trono pontificio, come espresso da Natalino Sapegno e da altri storici della letteratura dopo di lui, ma, molto più prosaicamente (e convincentemente), con l’alto sito ossia Castel San Pietro, la rocca di
173 Per il passo, Dossier, n. 174. Su Palestrina e Castel San Pietro, Carocci, Baroni, p. 229; Id., Forme di preminenza; Esposti, Palestrina, pp. 21-23. 174 Tavoni, Canto XXVII. 175 Tavoni, Canto XXVII, pp. 856 ss.
Palestrina, anche in considerazione del grande senso pratico del poeta fiorentino e dei due personaggi.176
Lunga promessa con l’attender corto, dunque, «prometti molto e mantieni poco» ma, ancora una volta, per Tavoni il significato è meno simbolico e più pratico: prometti per molto (tempo) e mantieni per poco «con una ineliminabile dimensione temporale» sfuggita ai critici precedenti.177 Il consiglio di Guido non andrebbe inteso quindi come «prometti tanto per mantenere poco» ma «prometti per tutto il tempo necessario, ma una volta raggiunto l’obiettivo, non mantenere più». Che si voglia accettare o no questa nuova interpretazione, deve essere riconosciuto ad essa il merito di aver teorizzato una nuova lettura, più concreta, pratica e soprattutto politica, di eventi militari in senso stretto.
Ad ogni modo i versi danteschi dimostrano, qualunque significato si voglia dar loro, che anche i contemporanei ritenessero pressoché impossibile la caduta della città tramite assalto e che, per prenderla, si dovesse ricorrere ad altre strategie.
Come già accennato, le truppe bonifaciane poterono concentrarsi nell’area labicano-prenestina solo dopo la caduta di Nepi, e cioè a partire dal settembre 1297, in questi termini l’assedio di Palestrina si protrasse per circa un anno.
Mentre Girardino de Tuderto stabiliva il proprio campo sotto le mura di Colonna, i comandanti pontifici piantavano le tende sotto monte Ginestro iniziando, così, il blocco di Palestrina.
Risulta praticamente impossibile stabilire chi tra i maggiorenti dei Colonna fosse all’interno della città. Per Guglielmo di Nangis i cardinali Pietro e Giacomo raggiunsero la città di Palestrina solo dopo una rocambolesca fuga prima da Nepi e poi da Colonna; 178 tuttavia la logica confuta il monaco-cronista di Saint-Denis (la cui attendibilità in questo caso può essere facilmente messa in discussione) suggerendo che i due porporati, insieme con Agapito,
176 «Perché Guido dovrebbe rispondere con un giro di parole ozioso, insegnando al papa come rafforzarsi nel trono papale, sottintendendo che questo effetto conseguirà alla distruzione di Palestrina? Erano tutti e due gente pratica, non si lambiccavano con le parole» Tavoni, Canto XXVII, pp. 863 ss. 177 Tavoni, Canto XXVII, pp. 865 ss. 178 «In Italia Nepesina civitas, ab exercitu pape Bonifacii diu afflicta, venit ad deditionem, fugientibus inde Petro et Iacobo de Columpna cum suis ad oppidum de Columpna. Sed ibidem iterum obsessi sunt…». «Exercitus pape Bonifacii castrum de Columpna et post Sagarollam oppidum capit, fugientibus inde Iacobo et Petro de Columpna apud Penestre urbem; ubi tandem vexatione recipientes intellectum, idibus octobris Reate ad papam venerunt, misericordiam et non iudicium postulantes; et tunc benigne et misericorditer ab eo sunt recepti, nec tamen ad status pristinos restituti…» (Dossier, n. 5).
non abbandonarono mai la protezione offerta dalle mura prenestine, entro le quali si erano rifugiati dal maggio del 1297.179 E mentre Stefano, il quale come si ricorderà, era al comando della guarnigione di Colonna, Giacomo “Sciarra”, presumibilmente, guidava la difesa di Palestrina. L’unico esplicito riferimento al riguardo è contenuto nel Liber de vita Christi del Platina, composto oltre centosettant’anni dopo gli eventi che sono per altro presentati in maniera disorganica: «Praeneste quo se cum Siarra viro insigni eorum patruo receperant, obsidione cingit».180
Le testimonianze che riguardano il lunghissimo assedio di Palestrina sono veramente carenti di particolari e non è possibile stabilire se contro le mura cittadine vennero utilizzate macchine d’assedio, come nel caso del castello di Colonna. In ogni caso le possenti difese risalenti al periodo romano, realizzate in blocchi tufacei e calcarei, dovettero certamente opporre una rilevante resistenza. È ipotizzabile che l’estensione delle difese di Palestrina, il suo sviluppo lungo il versante della montagna e l’asprezza del luogo rendessero difficile, se non impossibile, imporre il totale blocco sulla città che avrebbe potuto, così, rifornirsi di vettovagliamenti.
Nel 1347, cinquant’anni più tardi i fatti qui descritti, anche Cola di Rienzo tentò di avere ragione della resistenza colonnese, e dopo aver radunato un esercito marciò sotto le mura di Palestrina. Tuttavia il Tribuno, non riuscendo a imporre un blocco sulla città, si espose al ludibrio dei pastori che ogni mattina uscivano dalle mura alte della città portando al pascolo i propri armenti verso Castel San Pietro.
Solo esso Cola de Rienzi de continuo aveva l’uocchi sopra Pellestrina. Aizava la testa e resguardava lo aito colle, lo forte castiello, e considerava per quale muodo potessi confonnere e derovinare quelle edificia. Non levava lo sguardo de·llà. Diceva: «Questo è quello monte lo quale me conveo appianare». Spesso anco, continuo guardanno e non movenno lo penzieri sio da Pellestrina, vedeva che per la parte de sopra vestiame veniva da pascere e entrava la porta de sopra per abbeverare, puoi tornava alli pascoli. Anco vedeva da l’aitra porta de sopra entrare uomini con salmarie, con some. Vedeva la traccia longa delli vetturali che venivano con fodere in Pellestrina. ... Tanta è la fortura delli monti de Pellestrina, che quelle entrate de sopra e quelle iessite non selli puoco vetare. Tanta è la salvatichezza de questo luoco, che nulla oste là pòtera demorare.181
Dobbiamo supporre che se non fosse stato effettuato un cambio di strategia da parte dei comandanti pontifici non sarebbe stato possibile conquista-
179 All’indomani del furto, e dopo l’incontro col pontefice, i due cardinali avevano raggiunto Palestrina per obbligare Stefano a restituire quanto rubato presso Capodibove. Inoltre la seconda e la terza memoria colonnese, datate rispettivamente 11 maggio e 15 giugno 1297, vennero redatte proprio a Palestrina. 180 Dossier, n. 25. 181 Anonimo romano, Cronica, pp. 251-252.
re la città con la forza. Tuttavia la pervicacia di Bonifacio VIII, unita al bando della Crociata e alle notevoli risorse economiche messe in campo dal pontefice, diedero i loro frutti.
Come già accennato, con la presa dei castelli prenestini di San Vito, Pisoniano e Capranica Prenestina le truppe papali avevano consolidato la propria posizione in vetta a monte Ginestro, ed erano quindi libere di muovere direttamente contro le fortificazioni di Castel San Pietro.
La conquista di Colonna e la resa di Zagarolo, avvenute nella primaveraestate del 1298, liberarono l’intero esercito pontificio che poteva essere finalmente dislocato nella pianura sotto Palestrina. Poco prima della distruzione di Colonna, Stefano, aveva abbandonato il castrum rifugiandosi a Palestrina, segno che il blocco pontificio era ancora permeabile agli ingressi. Tuttavia, con il sopraggiungere della restante parte delle truppe crociate e pontificie, stimabile credibilmente in qualche migliaio di individui, la stretta sulla città dovette farsi più serrata. L’arrivo di un elevato numero di armati garantì ai comandanti papali un maggior controllo su monte Ginestro, consentendo loro di imporre un vero blocco sul flusso di viveri in ingresso nella città, affamando la popolazione. Senza dubbio, grazie alle nuove truppe fu possibile mettere in atto una strategia più aggressiva con macchine d’assedio, assalti alle mura e condotti sotterranei.
La città, tuttavia, resistette incredibilmente a tutto questo ancora per molti mesi ma, com’è noto, nel settembre del 1298, dopo un anno e mezzo di guerra condotta contro forze schiaccianti, i Colonna decisero di arrendersi, invocando il perdono del pontefice.
Il 15 ottobre 1298 i due ex-cardinali, insieme a Stefano e a Giacomo “Sciarra” si recarono a Rieti raggiungendo Agapito, in città già dai primi di settembre. 182 Una volta in città essi smontarono da cavallo e a piedi raggiunsero il palazzo vescovile: qui si gettarono ai piedi del pontefice scalzi, in abiti da lutto e con la corda al collo. Al termine del rituale, che si svolse nel palazzo vescovile, i Colonna dichiararono pubblicamente che Bonifacio VIII era l’unico vero pontefice mentre questi, ostentando tutti i simboli del potere, li accolse con misericordia paterna assegnando loro Tivoli, come residenza coatta.183
182 Agapito era giunto a Rieti nella prima metà di settembre dove il 19 di tale mese cedeva a Pietro II Caetani tutti i diritti che egli deteneva a Ninfa, Caetani, Regesta chartarum, I, p. 146. 183 «Videntes igitur Columnenses, quod nihil proficiunt eique resistere non possunt, cum iam per annum et sex menses ipsos Columnenses diversis et pluribus exercitibus oppressisset, ipsi ad pedes pape, existentis cum sua Curia in Reate, nullam veniam petituri, dicentes, se in coelum et coram eo peccasse et non esse dignos vocari filios suos» (Cronica Urbevetana, Dossier, n. 4); «Idibus octobris Reate ad papam venerunt, misericordiam et non iudicium postulantes; et tunc benigne et misericorditer ab eo sunt recepti, nec tamen ad status pristinos