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Veera Kinnunen e Samuel Peron

La danza come maestra di vita

Veera Kinnunen è una ballerina e coreografa svedese, di origini finlandesi. Nata a Gävle nel 1986, inizia a ballare sin da bambina e, conclusi gli studi superiori, si trasferisce in Australia dove entra a far parte del cast di Burn the Floor, il famoso show ideato da Paul Walsh nel 1997, uno spettacolo di danza e musica, con un mix di ritmi di musica latina, rumba, swing e di suoni nati nel quartiere di Harlem.

Partecipa al tour mondiale e resta in tournèe per due anni, facendo tappe in Asia, America, Europa e Australia. Durante questo periodo, Kinnunen partecipa a diverse competizioni con le specialità di ballo da sala e latino-americano, riscuotendo molto successo: in Svezia si aggiudica per ben cinque volte di fila il Campionato nazionale di ballo latino (dal 2008 al 2013), in coppia con Stefano Oradei, e, ad oggi è la professionista svedese più titolata di sempre.

Dal 2013 è uno dei volti fissi di “Ballando con le Stelle” di Milly Carlucci, il programma campione d’ascolti in onda al sabato sera su Rai1, dove si distingue per bravura e simpatia, piazzandosi più volte sul podio e vincendo l’edizione 2017 in coppia con l’atleta paralimpico Oney Tapia.

Veera, che ha inoltre partecipato a Let’s Dance, la versione svedese del talent show, è Pro Am, insegna a più di 100 studenti di classi ed età differenti, parla 4 lingue (Svedese, Italiano, Inglese e Finlandese) ed è talmente appassionata di Moda e Design che disegna sempre, per sé e per i suoi allievi, gli abiti da competizione e di rappresentanza.

Samuel Peron, nato a Marostica nel 1982, mostra la sua passione per la danza già all’età di 4 anni. Direttore e fondatore della “Samuel Peron Academy” a Venetico in provincia di Messina. La sua formazione artistica è eclettica, spazia dallo standard al liscio, dal latino-americano al funky, alla danza contemporanea e moderna. Dopo essersi diplomato all’Istituto d’Arte come designer, si laurea in Scienze Motorie e dal 1991 partecipa a diversi Show televisivi, tra cui Bravo Bravissimo condotto dal grande Mike Bongiorno. Dal 2005 fa parte del cast di Ballando con le stelle condotto da Milly Carlucci, dove vince la quarta edizione in coppia con l’attrice Maria Elena Vandone. Nella stagione 2005-2006 interpreta il ruolo di Cesàr nel musical La febbre del sabato sera ed è protagonista, con la collega Natalia Titova, dello spettacolo teatrale Tango d’amore. Nel 2014 debutta come scrittore con Senza Tempo, una raccolta di racconti. Dalla stagione televisiva 2020/2021 partecipa al programma Buongiorno benessere come inviato sportivo e dal 2022 è ospite ricorrente al programma Oggi è un altro giorno. L’estate scorsa ha partecipato come inviato ai programmi di Rai 1 Weekly e Camper. Peron ha appena vinto la quarta edizione de Il Cantante Mascherato, nei panni di Cavaliere Veneziano.

Buongiorno Veera e buongiorno Samuel, “Historia, Tango Nuevo” è liberamente ispirato alla figura di Azucena Maizani, cantante e attrice anni Trenta, che per le condizioni di estrema povertà della sua famiglia, all’età di cinque anni, lascia Palermo per trasferirsi dai parenti in Argentina, prima sull’isola Martín García e poi a Buenos

Aires. Qui si scontra con una mentalità ancor più chiusa e retrograda di quella siciliana, tanto che, per seguire la sua passione per la musica, sarà costretta per alcuni anni ad esibirsi indossando abiti maschili, celando la propria femminilità. Credo che questa storia sia rappresentativa per quanti hanno dovuto combattere pregiudizi per far valere la propria identità e i propri diritti. Quanto avete dovuto lottare per seguire le vostre scelte di vita?

V.K. Seguire le proprie scelte di vita comporta quasi sempre il dover combattere. Per essere sincera all’inizio non ho trovato difficoltà perché la scuola che frequentavo consentiva di allenarmi e di dedicarmi alla danza in una maniera molto libera, cosa che non accade in Italia, come posso intuire dai racconti dei miei allievi. Al contrario, accade spesso che spesso mettono i bastoni tra le ruote a chi vorrebbe fare attività sportiva. Alcune mamme mi dicono addirittura che non possono dire agli insegnanti che i figli fanno danza perché non lo capirebbero affatto. Sotto questo punto di vista io sono stata fortunata. Ho incontrato ostacoli quando sono entrata nel mondo della danza, che, come altri ambienti professionali, è purtroppo ancora un mondo maschilista, dove i maestri di genere maschile hanno più possibilità di lavorare rispetto a noi. Combatto ogni giorno con queste discriminazioni. Il mio obiettivo è quello, in un futuro prossimo, di dedicarmi totalmente alla coreografia e credo di essere una delle poche professioniste a voler intraprendere questa strada, perché è irta di molte difficoltà.

S.P. Tutt’oggi, mi chiedono quali altri lavori svolgo, perché in Italia, a differenza di altre nazioni, ci sono ancora molti pregiudizi e discriminazioni e l’essere artista non viene considerato come una vera professione. A New York o a Londra, per es., gli artisti di qualunque fascia di età vengono realmente tutelati. In Italia, ciò accade per gli artisti più rinomati, per gli eletti che appartengono all’Olimpo della fama. Devo dire che questo per me è stato molto formativo. Se credi veramente in quello che fai, tutto questo ti sprona a combattere e ad andare avanti. Si cade spesso ma non bisogna mai aver paura di cadere: l’importante è sapersi rialzare e proseguire, ancora più motivati.

La danza comporta spirito di sacrificio, impegno, lavoro. La danza è il tuo impulso, il tuo battito cardiaco, il tuo respiro. È il ritmo della tua vita. Quali sono le difficoltà nel trasmettere questi principi a chi si avvicina per la prima volta a questa meravigliosa disciplina?

V.K. Dipende di che livello stiamo parlando, nel senso che con i principianti, per esempio i ballerini di Ballando con le stelle, è abbastanza semplice, perché la danza, come la musica, arriva sempre in modo diretto alle persone.

Vedo spesso persone che arrivano a lezione stanchi, con una faccia triste, ma dopo un’ora di esercizi e prove, se ne vanno sorridendo. Per quanto riguarda gli agonisti la faccenda si complica, perché devi insegnare loro ad affrontare le sconfitte, a superare l’autocritica e tutte questo è veramente difficile. Oltre che insegnanti, dobbiamo essere psicologi, dobbiamo capire con chi abbiamo a che fare e cercare il metodo più adatto per ciascuno di loro: questa è la vera forza di un maestro. Non si possono stilare programmi identici per tutti gli allievi, ma devono essere studiati ad hoc. S.P. Ti rispondo con una metafora. La vita dell’artista è come quella del contadino, perché non smette mai di lavorare. Non c’è un giorno in cui si possa dire: “Ok, stacco”. Se lo fai, significa che sei arrivato al termine della tua carriera, altrimenti devi continuare a coltivare, a seminare, a studiare e a ricercare. È un po’ quello che accade al medico, a disposizione h 24, sempre pronto a soccorrere i propri pazienti, perché, sai qual è il problema dell’artista? Oggi ci sei e domani c’è qualcun altro al posto tuo, è questione di un attimo. Devi essere sempre sul pezzo e nel momento in cui arrivi sulla sua cresta dell’onda, devi saperci stare.

È una vita complicata, piena di sacrifici, ma quando si ottengono risultati si prova davvero una gioia immensa.

Cerco sempre di spronare i ragazzi a lavorare duro. Se cazzeggiano, li rimprovero e consiglio loro di dedicarsi ad altro. Devono essere predisposti al sacrificio: nessun attimo di pausa, devono ‘macinare’ come i contadini, devono essere come gli imprenditori che hanno la responsabilità di tanti dipendenti. Per me un grande esempio e punto di riferimento è stato Renzo Rosso, fondatore di Diesel, brand a livello internazionale. È partito dal nulla, da una realtà contadina ed è riuscito a costruire un impero, avendo ben presente che se l’azienda fosse fallita, sarebbero andate in fallimento 900 famiglie! Nulla si ottiene senza sacrifici, io ho trascorso ore ed ore ad allenarmi, a perfezionarmi. Ho dovuto rinunciare alle vacanze, ad uscire con gli amici il sabato e la domenica, a giocare a calcetto, ad andare al bar o al cinema. L’estate scorsa mi sono concesso cinque giorni di vacanza a Ferragosto perché la produzione era ferma, altrimenti avrei lavorato. Lavoro a Capodanno, a Pasqua, lavoro sempre, non mi fermo mai: amo profondamente il mio lavoro.

Sono dell’idea che il ballo dovrebbe essere inserito come materia, in quanto mezzo di integrazione e comunicazione, all’interno degli istituti scolastici. Cosa ne pensate?

V.K. Sono assolutamente d’accordo con te. In Svezia c’è un programma statale che supporta i gruppi sportivi, siano essi di danza, di judo o di qualunque altro sport, anche minore. Il Ministero dell’istruzione destina fondi alle Scuole affinché i Maestri delle varie discipline sportive possano promuovere e insegnare la loro specialità durante le ore scolastiche. Come tanti, io ho iniziato proprio così: un’insegnante di danza veniva a farci lezione durante l’ora di educazione fisica e in me è subito nata la passione. Tutti dovrebbero provare a danzare e questo, secondo me, è un ottimo sistema, ed è soprattutto economico.

S.P. Sono assolutamente d’accordo. Dovrebbero essere inserite tutte le arti coreutiche. Per 10 anni ho supportato Sballando Ballando, un progetto dedicato ai giovani per offrire loro, attraverso corsi di ballo, momenti di aggregazione e sano divertimento, come alternativa alla droga e allo sballo. Divertirsi non significa sballarsi e usare sostanze stupefacenti e/o assumere alcool. Il ballo dona una maggiore consapevolezza e fa scoprire un mondo ricco di emozioni e di sensazioni. In questo percorso di insegnamento, durante le lezioni di ballo, davamo grande rilevanza all’interazione tra maschio e femmina e al rispetto dovuto alla propria partner, fattore fondamentale e assolutamente imprescindibile. Abbiamo accentuato l’importanza del lavoro di squadra, del sostenersi e supportarsi a vicenda, dell’unire le forze per l’ottenimento di un buon risultato finale. È molto importante che la Scuola e le Istituzioni sostengano questi progetti. La formazione necessita di un’educazione e l’educazione, per la sua buona riuscita, necessità di inventiva, di sensibilità, ma soprattutto di un programma, di disciplina. Mi piace molto una frase di Einstein che dice: “Balliamo per le risate, balliamo per le lacrime, balliamo per la pazzia, balliamo per le paure, balliamo per le speranze, balliamo per le urla, siamo ballerini, creiamo sogni.” Cosa ne pensate?

IV.K. Penso che sia assolutamente vero. Quando sono sul palco vivo lo spettro completo delle emozioni umane: interpretando un ruolo si portano in scena le proprie emozioni. Se si tratta di una storia d’amore, rivivi la tua storia d’amore, gli stessi sentimenti che hai provato, le delusioni, il dolore di una separazione, ecc. Sicuramente ci sono follia e paura, perché a volte provi anche quella. In Historia Tango, per esempio, ho provato brividi, emozioni forti, pensando a quello che stavamo portando in scena, ballando e ascoltando la musica suonata dal vivo. E questo accade anche grazie al pubblico: senza gli spettatori tutto questo non potrebbe accadere.

S.P. È la verità, perché nel creare ci vuole ingenuità. Nel momento in cui tu sei cosciente e consapevole, ti spaventi e freni, mentre invece nel momento in cui tu vai a creare devi essere libero. Così come un ricercatore non può porsi dei limiti, devi andare oltre, solo così potrà creare un qualcosa di diverso. Le lacrime ci sono sempre, sia quando gioisci per un traguardo sia quando non riesci ad ottenere i tuoi risultati. La vita è un ballo. È un giro di valzer, è un giro di tango. Il bello del ballo è che, a differenza di tanti altri sport, è anche Arte, perché si ha la fortuna di interagire con la musica, altrimenti si tratterebbe solo di attività fisica. Seguendo un ritmo, interpretiamo e rappresentiamo ciò che la musica sta narrando. C’è un vincolo, ma che dona l’opportunità, a differenza di altri sport, di fare un atto creativo.

Quanto vi sentite di ispirazione per i giovani? Sentite la responsabilità di esserlo?

V.K. Sono un modello imperfetto :-). Non pretendo di essere un esempio di vita perfetta, ma con le mie imperfezioni porto rispetto al mio ambiente, al mio lavoro, alla mia famiglia. In questo senso, mi piace pensare che i giovani possano seguire il mio esempio. Vorrei insegnare loro il bello della danza, trasmettere le emozioni attraverso il gesto e il movimento, condividere i valori che la danza trasmette, contribuire a consolidare il senso di appartenenza ad un gruppo, senza trascurare l’importanza e l’unicità di ogni singolo allievo. Vorrei insegnare loro il senso del rispetto. Tra l’altro, sono madre di un bambino ed è molto importante insegnare a questa nuova generazione di uomini ad essere migliori. Noi abbiamo la responsabilità di far crescere una generazione meno violenta, con più ideali, innanzitutto di pace e di rispetto del nostro Pianeta.

S.P. Non so se sono un modello d’ispirazione per i giovani, perché il pubblico di Ballando e di altre trasmissioni a cui partecipo, è un pubblico più adulto. In questa vita, si può piacere oppure no, non è detto che si venga sempre apprezzati.

A volte, va un po’ a caso. Io cerco di fare sempre al meglio il mio lavoro, nel grande rispetto di me stesso e del pubblico che mi segue. Da ragazzino, i miei miti erano Fred Astaire, Michael Jackson e Adriano Celentano e volevo diventare come loro! Jackson, con il suo stile, ha rivoluzionato il mondo della musica pop/rock. Celentano è un artista a 360° davvero straordinario. Amo Fred Astaire per il suo stile che mi riporta a Frank Sinatra, all’eleganza di quei tempi. Oggi i modelli reali sono spesso sostituiti da quelli forniti dai social, che rappresentano una realtà distorta e che provocano spesso conseguenze deleterie.

La danza rappresenta un nutrimento dell’anima, qualcosa di cui si ha bisogno, proprio come l’aria che si respira. Nachman Braslaw diceva che ogni giorno si deve ballare, anche se solo nel pensiero. Accade anche a voi?

V.K. Sono d’accordo. Ogni giorno ballo nel pensiero. Ripasso, ripenso, riformulo, cerco di migliorare le cose per quando mi devo presentare in sala o sul palcoscenico. È un continuo e costante ballare.

S.P. Io vivo di questo, quindi di conseguenza l’unico momento dove stacco la testa è quando vado in palestra a fare gli esercizi di rinforzo o di sviluppo. A breve dovrò fare per la prima volta la regia di uno spettacolo e quindi penso al ballo pure di notte. Il bello del mio lavoro è che mi sveglio al mattino con il sorriso.

Il contatto con il pubblico e la “corazza” del personaggio permettono di lasciarsi andare, di vivere e comunicare emozioni, di non essere trattenuto e timido come a volte si è per natura?

V.K. È proprio così. Io nella vita privata sono, sono un po’ nordica, se vogliamo generalizzare, e ci metto un po’ a fare entrare le persone nella mia cerchia di amicizie, mentre sul palco sono all’opposto. La danza aiuta sicuramente ad aprirsi, ad essere più socievole. Accade qualcosa di magico, si accende una scintilla e le barriere cadono: mi dono completamente al pubblico, a perfetti estranei, con molta naturalezza. È davvero una cosa curiosa quella che accade.

S.P. Sì, è vero. Noi ballerini, come gli attori, recitiamo, entriamo nel ruolo di quell’elemento o di quel particolare soggetto. Devo rappresentare Arlecchino? Lo faccio ballando, ma cerco di entrare anche nella sua psiche.

Io sono stato un ragazzo pieno di dubbi, insicuro, molto timido e il ballo mi ha aiutato tantissimo.

C’è stato un momento esatto in cui avete avuto piena consapevolezza che il vostro futuro avrebbe fatto rima con danza?

V.K. Dopo aver terminato le scuole, a 19 anni. Pensavo di iscrivermi all’università ma poi la danza mi ha chiamato! Ho iniziato a lavorare per una compagnia australiana in giro per il mondo.

S.P. Ho sempre avuto l’ambizione di diventare imprenditore e poi mi ritrovo a fare tutt’altro, di conseguenza ho uno sdoppiamento di personalità: la danza l’ho sempre vista da un punto di vista artistico, di comunicazione e di acquisizione di consapevolezza del proprio corpo. Non l’avevo mai considerata come un lavoro. Ho preso consapevolezza che questo sarebbe diventata la mia professione verso la terza edizione di Ballando con le stelle, quando ho iniziato a capire che il mio lavoro era apprezzato, era richiesto e quindi mi consentiva di vivere.

Il palcoscenico è il tempio, un luogo sacro in cui gli artisti scoprono la propria essenza. La danza è uno specchio grazie al quale si impara a conoscersi. Che cosa vedete quando vi guardate allo specchio?

V.K. Cosa vedo? Io vedo tante paure. Quando ballo, riesco a superarle e provo un senso di potere assoluto perché le ho sconfitte.

S.P. Tu sai che lo specchio è un demone? Lo specchio ha una doppia faccia: ti può far vedere difetti e pregi. Ho trascorso molte ore davanti allo specchio, per identificare i difetti, per provare un movimento, per capire come deve essere messo un braccio o un piede, per visualizzare l’interazione con la ballerina. Lo specchio mi dava un riscontro. Mi sono messo anche una benda sugli occhi per avere una percezione diversa, che non fosse visiva, per utilizzare tutte le altre informazioni sensoriali. Ho dato più rilievo all’aspetto cinestesico e a quello uditivo.

Con la musica e ballando si possono lanciare messaggi sociali e politici, quali vorreste trasmettere?

V.K. Vorrei sostenere le cause che mi stanno più a cuore. Io sono una femminista, come ritengo dovrebbe esserlo ogni donna, e la lotta per i propri diritti e per la propria libertà è uno dei messaggi che vorrei fosse trasmesso, messaggio che sta alla base di Historia Tango: Esteban/Stefania si spoglia dai vestiti maschili e indossa la gonna per affermare la propria femminilità e la propria identità, libera di essere finalmente sé stessa. Libertà di cui le donne vengono ancora oggi private. Basti pensare al divieto nelle scuole di mostrare l’ombelico o altre limitazioni e regole assurde. La malizia sta negli occhi di chi guarda e non certo in una ragazzina che si vuole vestire alla moda.

Siamo nel 2023 e nonostante i numerosi progressi compiuti dalla nostra società in merito ai diritti delle donne è ancora possibile rilevare fenomeni di oggettivazione sessuale e sessualizzazione femminili nella nostra cultura. E poi ci sono anche le istanze di chi è in fuga dagli stereotipi di genere.

V.K. Esatto e non solo. C’è anche il crossdressing, c’è chi vuole vestirsi da donna e chi vuole vestirsi da uomo: insomma liberi di essere come si vuole! La danza è un veicolo per sdoganare questo tipo di libertà. Per fortuna anche i programmi televisivi si sono aperti a queste realtà, anche se qualcuno ha ancora dei preconcetti. Sicuramente un gran- de esempio di rottura degli stereotipi è stato portato a Ballando con le stelle dalla coppia formata dal nuotatore Alex di Giorgio e dal Maestro Moreno Porcu, che sono arrivati dritti al cuore di tutti gli spettatori.

S.P. Personalmente, preferisco veicolare messaggi sociali e valori collettivi.

La musica e il ballo hanno un compito sociale, possono essere potenti strumenti di sensibilizzazione, inclusione, coesione e interazione. Si possono affrontare diverse tematiche, denunciando e spingendo le persone ad una profonda riflessione.

Provate a descrivervi attraverso tre immagini: una del passato, una del presente, una del futuro. Quali istantanee della vostra vita pescate dall’album dei ricordi e delle fotografie?

V.K. Io sono figlia unica, anche se mio padre ha avuto due figli da un altro matrimonio. Nel passato, mi rivedo, mano nella mano, con mia madre da un lato e mio padre dall’altro, durante i nostri viaggi, quando mi accompagnavano in giro per i miei spettacoli di danza. Mi hanno portato ovunque, dalla Svezia all’Italia, e per me questo è un bellissimo ricordo.

Per il presente ritorna un’immagine legata alla famiglia: siamo sempre in tre, io, il mio compagno Salvatore e nostro figlio Valter. Per il futuro invece voglio immaginare uno scatto legato alla mia professione, davanti a molti ballerini, nel ruolo di coreografa.

S.P. L’immagine del passato risale a quando avevo circa tre anni e mia madre si sorprendeva sempre che me la ricordassi. C’era una fortissima nevicata e stavamo andando trovare mia nonna e poiché non si poteva procedere con l’auto, abbiamo dovuto attraversare a piedi un campo pieno di neve, alta almeno 50 cm. Mi ricordo che i miei mi tenevano per mano e mi sollevavano, facendomi dondolare avanti e indietro, e ad un certo punto mi sono ritrovato a faccia in giù! Sento ancora adesso il sapore della neve in bocca! Altre immagini della mia infanzia sono quelle di me sul trattore insieme a mio papà e a mio nonno, mentre coltivavamo i campi.

L’immagine del presente? Riguarda la nascita di mio figlio Leonardo, ad ottobre scorso: lui che mi guardava mentre lo lavavano. Quella del futuro? Mi vedo realizzato, con tanti obiettivi ancora nel cassetto e con la mia bella famiglia numerosa.

Un viaggio nel tempo: dove vorreste andare e in quale epoca?

V.K. Nell’epoca dello swing, negli anni ’30 e 40’ in America. Vorrei vivere in quel periodo per i balli e la musica!

S.P. Viaggerei continuamente! Andrei nel giurassico per incontrare i dinosauri e poi nell’antico Egitto, perché sono attratto da quella cultura e sarei curioso di vedere come venivano costruite le piramidi. Tornerei al tempo degli Etruschi, perché mi affascinano i loro studi di numerologia e astrologia, nell’antica Roma, in Francia alla corte del Re Sole, al tempo degli indiani d’America. Partirei e andrei nel futuro, a vedere come sarà la vita tra 20/30 anni.

Un sogno: una giornata con?

V.K. Con mio figlio Valter, tra trent’anni. Magari diventerà Presidente :-)

V.K. Ok allora, con mio figlio Presidente

S.P. Mi piacerebbe trascorrere una giornata con alcune figure emblematiche, geniali, rivoluzionarie e visionarie: Tesla, Steve Jobs, Albert Einstein, Beethoven o Mozart, per confrontarmi con loro e imparare. Passerei del tempo con Adriano Olivetti, uno dei più grandi e più innovativi imprenditori italiani.

Amo tantissimo le biografie. Ho letto “L’arte della vittoria”, la biografia di Philip Knight, inventore della Nike, “Air. La storia di Michael Jordan” e “Open”, l’autobiografia di Agassi. Mi piace carpire dalla loro vita, quello che hanno fatto, come l’hanno fatto, perché l’hanno fatto e cosa hanno sacrificato per raggiungere i loro obiettivi. Poter parlare con queste persone per me sarebbe fantastico! Chi invitereste a ballare con voi e in quale stile?

V.K. Mi piacerebbe ballare un Lindy hop insieme Barack Obama.

M.P. Farei un duetto con i miei miti: Fred Astaire, Michael Jackson e Adriano Celentano :-)

Avete il potere assoluto su tutto e tutti per un giorno. Qual è la prima decisione che prendereste?

V.K. Metterei fine a tutte le guerre.

S.P. Cercherei di trovare una soluzione per lasciare un mondo migliore ai nostri figli, arrivando persino a bloccare alcune dinamiche politiche ed economiche.

Se aveste in mano il telecomando della vostra vita utilizzereste il tasto rewind? Cambiereste qualcosa?

V.K. Non cambierei nulla del passato, avrei paura di mutare il presente. Ma se dovessi tornare in un momento preciso, andrei ai miei vent’anni, quando giravo il mondo in tournée.

S.P. Tornerei alla mia infanzia, nel momento in cui mia madre mi chiese se mi sarebbe piaciuto imparare a suonare uno strumento e a cantare e, per la mia insicurezza, io gli risposi di no. Adesso le risponderei subito sì, perché sarei stato poliedrico e avrei potuto fare molto di più di quello che ho fatto e avrei potuto sviluppare la mia carriera in un modo differente.

Cos’è la Bellezza per voi? Per me è unicità.

V.K. Per me è onestà. C’è bellezza se c’è onestà.

M.P. È avere carisma. Carisma che ti porta ad avere unicità, una tua personalità.

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