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Quando la farina era un bene primario

Da sempre gli Stati hanno cercato di finanziarsi imponendo tasse e balzelli e per renderli più efficaci si è sempre pensato di tassare quei beni di largo consumo dei quali proprio tutti fanno uso. Se andiamo indietro nei secoli, pensiamo alla tassa sul sale e se facciamo un grande salto ai giorni nostri, pensiamo alla benzina.

TASSA SUL MACINATO

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La più deprecabile fra tutte le imposizioni appena unita per colpire tutte quante le farine, compresa quella di grano indispensabile per fare il pane; fu chiamata “tassa sul macinato”. te proteste dell’intera popolazione e dei mugnai, fino al 1884, se pur parzialmente mitigata negli ultimi anni. esattore, doveva versare all’erario un’imposta in base ai giri della macina conteggiati da un apposito contatore installato sul mulino ed incassava a sua volta, da ogni avventore, la tassa che finiva per essere proporzionale al peso del cereale macinato e variava in base al tipo di cereale, fosse grano, meliga, orzo, avena o altro.

CHIUSURE E POVERTÀ

Finiva sempre che i giri ed il peso non andavano mai d’accordo e di conseguenza o il mugnaio o l’avventore o il fisco, qualcuno si riteneva sempre danneggiato

L’attività dei mulini segna un capitolo importante della storia contadina, tra economia agricola e puntuali vessazioni fiscali

riuscirono ad adeguarsi alle nuove normative, dovettero cessare la loro attività; le popolazioni più indigenti caddero in ulteriore povertà dovuta all’inevitabile e considerevole aumento del prezzo del pane; le casse dello stato raggiunsero però l’agognato vosi, quando era impossibile ogni altra attività all’aperto, ci si organizzava per andare al mulino. Si prelevavano, dalle scorte custodite nell’apposito magazzino, le granaglie da macinare; di solito erano: due sacchi di grano, due di granoturco e uno di orzo; poi caricato il tutto sul biroccio trainato dal cavallo, si partiva per il mulino.

VITALITÀ DEI MULINI

Quella del mugnaio, a quei tempi, era un’attività alquanto fiorente poiché tutte le famiglie contadine ne usufruivano per ottenere le diverse farine indispensabili per il fabbisogno quotidiano, sia delle persone, sia degli animali domestici. Qui da noi i mulini erano tutti ad acqua con le macine in pietra ed erano caratteristiche le grosse ruote idrauliche azionate dal flusso dell’acqua appositamente deviata da canali collegati ai torrenti principali. All’interno, poi, i movimenti erano trasmessi da poderosi congegni con cinghie e pulegge che, in serie, trasmettevano la forza generata dall’acqua sulla ruota fino alla macina finale dalla quale scaturiva, come una piccola cascatella, la farina macinata. L’ambiente era tutto coperto da uno

strato di polvere farinosa, compreso il mugnaio, con il quale si socializzava volentieri ed alla fine, dopo avergli corrisposto il regolare compenso, si ritornava a casa con le diverse farine custodite negli appositi sacchi di tela.

BENE PRIMARIO

mentre la farina di orzo veniva utilizzata per gli animali così com’era, sia quella di mais sia quella di grano venivano setacciate con setacci a maglie sempre più strette al fine di ottenere la farina gialla per la polenta dal mais e la farina bianca per il pane dal frumento. Le parti scartate venivano usate, come sempre, per alimentare sia gli animali da stalla sia quelli da cortile. Con il passare degli anni le abitudini delle genti cambiano e che fossero ad acqua, come qui da noi, oppure a vento, come erano invece in altre parti tutti cessato le loro attività molitorie. Sono rimasti in attività solo i mulini industriali che macinano grandi quantità di cereali, sono azionati da grandi motori elettrici e forniscono i panificatori, i negozi e i mangimifici.

STRUTTURE ABBANDONATE

mulini sono stati, in parte, ristrutturati ed adibiti ad abitazioni; altri, abbandonati, sono tuttora lì, con le loro grandi ruote idrauliche oramai bloccate dalla ruggine, adiacenti a quei canali privi di acqua o addirittura completamente scomparsi. Anche questa, come è stato per altre tradizioni, verrà sistematicamente inghiottita e cancellata dall’inesorabile passare degli anni, che però non riuscirà a cancellare l’opera letteraria di un grande drammaturgo italiano, Riccardo Bacchelli, che nel secolo scorso aveva magnificamente raccontato le cose che io sono solo riuscito a tratteggiarvi, nel suo meraviglioso romanzo che del Po”.

Risorgimento dimenticato”, Fusta editore)

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