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kainòn

in Copertina

Ritratto di Pietro Ardito (Per gentile concessione della famiglia Ardito)

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Il ritratto, opera di C. Zimatore

N°1

La nuova uscita del magazine ufficiale del Liceo F. Fiorentino di Lamezia Terme (CZ)

KAINÒN, L'editoriale

di Nicola Antonio Cutuli

Carissimi/e studenti/esse, docenti, lettori e lettrici, mentre ci avviamo alla conclusione dell’anno scolastico, voglio ripercorrere il difficile e tortuoso cammino che ci ha condotti fin qui.

La pandemia ha sconvolto le nostre vite e la nostra scuola, ma, ne ha ancheriaffermato l’importanza, ci ha fatto comprendere meglio questa realtà complessa e la sua straordinaria e insostituibile azione. Con il singolare impegno di docenti, appassionati e dediti al lavoro e alle nuove generazioni della cui formazione si sentono responsabili, che non hanno mai mollato (DAD, DDI, Didattica mista, al 50%, al 75%, ordinanze ministeriali e regionali, comunicati della domenica sera), la scuola non si è mai fermata, a testa alta e con fermezza non è mai venuta meno alla sua mission, nonostante le difficoltà del momento, ha allargato i suoi confini, si è adattata al momento con incredibile disponibilità e flessibilità, si è riprogettata, ha fornito sussidi e sostegno di ogni tipo ai suoi alunni.

Incurante dei proclami e dei giudizi dell’opinione pub- di insegnamento con un impegno superioblica e del mondo politico, con modalità diverse e re a quello del loro lavoro tradizionale, cocangianti nel corso di questo difficile anno struendo percorsi formativi capaci di intescolastico, docenti e alunni, hanno grare, arricchire e supportare la didattica continuato a svolgere il loro com- curriculare e le difficoltà del momento. pito, con impegno, senso del dovere e anche tanta creativi tà. Il nostro Liceo, ha proposto ai suoi studenti, un’offerta formativa flessibile, variegata, di qualità, della quale fa parte questa rivista che testimonia le digo Il lockdown non ha riguardato la scuola, la passione educativa ha continuato nella sua operosità, non si è fermata ed è ora in fermento per affrontare una nuova sfida, quella della conclusione dell’anverse attività e il costante no scolastico, degli esami di lavoro di docenti e studenti. Stato, del superamento dei limiti imposti dalla pandemia Inutile ripetere l’importanza e del ritorno alla quotidianità, ai dell’incontro fisico, vissuto a fasi banchi tutti insieme o comunque alterne e con le dovute precauzio- verso quel 100% tanto desiderato. ni, ma, nonostante in alcuni momenti non sia stato possibile, la scuola non si è fer- In presenza o a distanza, indipendentemata, non un giorno perso, non una lezione saltata, at- mente dalla forma, resta sempre valida la tività curriculari ed extracurriculari non hanno subito in- priorità dell’impegno, la volontà e la passioterruzioni. Nessuno si è mai arreso, nonostante la fatica ne che sono l’anima della scuola, della sua di reinventarsi e mantenere vivo il desiderio di ritornare proposta culturale e formativa e l’esperienalla tanto desiderata “normalità”, superando l’incertez- za che abbiamo vissuto ne è testimonianza. za del presente e nella speranza di un futuro migliore.

La pandemia ha cambiato ogni cosa, soprattutto ha cambiato le giornate dei nostri ragazzi e ragazze, che nella limitazione delle relazioni abituali, hanno trovato nella scuola un punto fermo e stabile, un “luogo”, reale e virtuale, dove condividere pensieri e situazioni con insegnanti che hanno saputo andare “oltre” la materia A tutti/e l’augurio di una serena e proficua conclusione di anno scolastico, nella speranza di rivedere i/le nostri/e studenti/esse correre felici tutti/e insieme nei corridoi, nell’atrio della scuola e nel cortile, di udire il loro vociare gioioso, di incontrare volti e sorrisi, di stringere mani e stare di nuovo vicini.

PSICHE-SOMA

“Mens Sana in corpore sano”

di Jacopo Giuseppe Saturno

E quante volte abbiamo pronunciato o udito questa frase senza conoscerne l’origine? Ebbene la radice di questa locuzione latina risale al poeta Decimo Giulio Giovenale, vissuto nel IV secolo d.C.: in essa è racchiusa un po’ la sintesi del suo pensiero fondato sulla ricerca dell’equilibrio attraverso il benessere fisico e spirituale, oltre che sul rifiuto delle ricchezze e dei piaceri mondani. L’intuizione di Giovenale prende forma anche attraverso l’incisiva influenza delle filosofie precedenti, in primis quella platonica, espressa dal dualismo tra il mondo eterno delle idee, incorruttibile e perfetto, base della conoscenza vera e quello sensibile, materiale, imperfetto e corruttibile tipico, invece, dell’opinione. Come in un gioco di scatole cinesi la teoria platonica trae spunto, a sua volta, dal pensiero di Pitagora e da quello del fisico pluralista Empedocle e si è mantenuto sostanzialmente inalterato per buona parte dell’antichità. In altri termini, anche se per i non addetti ai lavori la figura e il pensiero di Giovenale sono passati sicuramente nel dimenticatoio, la sua massima è rimasta come un vero marchio di fabbrica a sancire e a rappresentare la reciproca influenza tra corpo e mente. Giovenale, tuttavia, con tutta probabilità non poteva immaginare l’enorme eco che questa sua massima avrebbe ricoperto nel futuro, persino tramandata sino ai giorni nostri: il suo successo, del resto, si deve anche alle conferme avute in campo scientifico e psicologico nel corso del tempo. Psicologi, scienziati, esperti di neuroscienze, nutrizionisti di tutto il mondo concordano, infatti, nell’affermare l’esistenza di un legame indissolubile tra quelle che gli antichi greci definivano “Psiche-Soma”, binomio imprescindibile dell’esistenza umana, da cui prende il nome la nostra stessa rubrica”. La salute del corpo è, a rigor del vero, indissolubilmente connessa alla salute della mente e viceversa ma questo importante nesso non è sempre stato tenuto in dovuta considerazione: infatti, attraverso un’indagine retrospettiva che parte dal momento patristico, si incontra la figura di Sant’Agostino che, intorno al 400 d.C, riprende l’idea platonica di anima e la direziona verso la salvezza eterna, rendendola così capace anche di vincere la morte. Non deve allora stupire la conseguenza seicentesca a cui porta il razionalismo cartesiano, attraverso la divisione tra “res cogitans” e “res extensa”, in una visione che, elaborata accuratamente, ha poi permesso da un lato al “corpo” di divenire oggetto della medicina e della scienza in generale, e dall’altro alla “cosa pensante” di finire ancora in gestione della religione. È necessario giungere fino alla filosofia contemporanea, affinché si cominci ad intravedere il riscatto del corpo rispetto alla mente, attraverso l’intuizione di un grande pensatore di fine Ottocento, Nietzsche che, in “Così parlò Zarathustra”, ci parla del “corpo” persino come “un grande risultato”. Oggi fortunatamente stiamo realmente recuperando questa basilare e imprescindibile cultura dell’Essere al centro del nostro mondo e a supporto di ciò arriva in soccorso la scienza. Come ci ricorda, infatti, il celebre neuroscienziato portoghese Antonio Damasio “non è solo la separazione tra mente e cervello ad essere mitica ma probabilmente anche la separazione tra mente e corpo è altrettanto fittizia”. Ecco allora che in questa direzione si muove tutta una mole di studi che affronta la dimensione dei “neuroni specchio”, la cui funzione proprio grazie alla mediazione di un cervello strettamente legato al corpo, pone la mente umana in intima relazione con ciò che è diverso da sé, con ciò che

sperimentiamo nel mondo fuori di noi. Pensando al nostro quotidiano, è innegabile che l’attività fisica, anche una semplice passeggiata, crei le ideali condizioni psico-fisiche per un impegno più proficuo nelle varie occupazioni: aumenta l’ossigenazione del sangue, stimola le endorfine, abbassa il livello di stress, ristabilizza l’umore, rilassa e migliora al contempo la concentrazione. Pertanto, i momenti trascorsi all’aria aperta non tolgono energie magari…allo studio…se penso alla realtà di noi giovani ad esempio: anzi, le due cose si potenziano l’un l’altra!

Le relative ricerche di Darla M. Castelli, Charles H. Hillman, Sarah M. Buck e Heather E. Erwin (della University of Illinois at Urbana-Champaign, pubblicate nel Journal of Sport & Exercise Psychology) continuano infatti a dimostrare che una buona forma fisica è associata positivamente ad indici neuro-elettrici di attenzione e di lavoro della memoria. Tutto ciò rafforza l’idea che per un corretto utilizzo del nostro intelletto sia necessario anche mantenere il corpo in buona salute. Pertanto è indispensabile per ognuno di noi svolgere attività fisica e attenersi ad una sana ed equilibrata alimentazione. Tuttavia ciò non basta per offrire al nostro fisico condizioni ottimali: è indispensabile anche mettersi al riparo da fonti di stress, interagire correttamente coi nostri simili ed evitare sostanze che possano causare dipendenza. In questo modo non solo allungheremo sensibilmente la nostra esistenza, provando a proteggerci da malattie pericolose, come infarti e tumori, ma renderemo più facile e serena anche la vita di chi ci sta intorno. Altra minaccia per la nostra salute, più attuale che mai, è uno stile di vita sedentario, oggi molto diffuso grazie ai progressi della tecnologia e dei mezzi di trasporto. In altri termini, uno stile di vita, che spinge l’uomo a divenire pigro fisicamente e mentalmente lo rende vulnerabile a malattie e disfunzioni sia fisiche che mentali, non solo di natura ipertensiva e cardiovascolare ma lo espone anche a problematiche come depressione, ansia, e stress elevati, che quindi hanno un’importante ricaduta sulla nostra mente. È inutile ricordare nei tempi odierni, così caratterizzati da crisi, incertezze e “tempi sospesi”, come sia fondamentale restare in buona salute non solo per aumentare le nostre chances di sopravvivenza ma anche per determinare la qualità della nostra vita. Insomma l’equilibrio psico-fisico degli esseri umani è oggi più che mai messo in pericolo dalle nuove condizioni di isolamento e solitudine in cui ci troviamo costretti a trascorrere la nostra esistenza, il che rende ancor più importante conoscere ciò da cui il nostro essere può trarre giovamento e al contempo essere consapevoli di ciò che può danneggiarci a livello fisico e psichico, con grande gioia dello stesso Giovenale.

INTERVISTA A...

“Prof. Francesco Calimeri”

di Nicole Lo Moro

Chi è Francesco Calimeri e quale rapporto lo lega alla Calabria? Qual è stato il percorso che l’ha portata nel mondo della ricerca accademica e nel settore dell’innovazione e del trasferimento tecnologico? Francesco Calimeri è un cittadino europeo, nato in Italia e in Calabria, e qui cresciuto. Non credo che serva dire molto di più: non ci sono molti rapporti più forti di quelli costruiti durante l’infanzia, l’adolescenza e la giovane età adulta… come con le persone, così con i luoghi. Quanto al percorso che mi ha portato nel mondo della ricerca, dell’innovazione e del trasferimento tecnologico, la risposta non è semplice. Mi piace pensare che esistano i sogni di una vita e che poi possiamo realizzarli; e ogni tanto capita, per fortuna. Tuttavia, a volte la vita è un susseguirsi di scelte fatte “in corso d’opera”; in altri termini, è un po’ come giocare a carte: non possiamo davvero decidere quali carte ci capiteranno, ma possiamo comunque decidere come giocare quelle che abbiamo in mano. Nel caso specifico, tutto è frutto in parte di accadimenti inaspettati, in parte delle scelte che ho fatto in occasione di questi accadimenti.

Qual è stata la sua maggiore fonte di ispirazione nell’intraprendere questo percorso? È stata una propensione che ha sempre avuto o una scelta che ha maturato nel corso degli anni trascorsi al Liceo? Ho sempre avuto una curiosità molto viva per il mondo, le persone, le cose; probabilmente (anche se non solo) per “colpa” dei miei genitori e dei miei nonni, e delle cose che mi hanno fatto leggere e fare da bambino. L’ispirazione può venire da tante fonti, non necessariamente omogenee; magari, non abbiamo Docente di Computer Science presso l’Università della Calabria, è stato uno studente del Liceo “F. Fiorentino” dal 1989 al 1994. Lo scorso 17 marzo il professore Calimeri ha tenuto nel nostro Liceo un incontro relativo all’intelligenza artificiale tra umanità, utilità ed etica: le sue parole hanno generato in noi una grande curiosità, per questo abbiamo deciso di porgli alcune domande in merito all’affascinante ambito in cui lavora e al percorso che gli ha permesso di arrivare dov'è oggi.

Per gentile concessione del prof. F. Calimeri Foto della sua classe (sez. A, Liceo Classico “F. Fiorentino”) anni ’90 Foto con alcuni dei membri del gruppo di ricerca di cui fa parte presso l’Università della Calabria.

nemmeno piena coscienza di alcune di queste: un libro, un incontro, un racconto, un professore, un personaggio storico, un evento… La scelta, in verità non è stata facile, né immediata. Non sono mai riuscito ad accettare la divisione netta che spesso viene tracciata tra il sapere “umanistico” e quello “scientifico”: come pensate che la prenderebbero Socrate, Ipazia, Leonardo, od altri illustri donne e uomini del passato sapendo che oggi ci sono persone che si “specializzano” nelle lettere ignorando completamente il sapere tecnico-scientifico, ovvero persone che sono tecnici “senza lettere”? Quando lo facciamo, quando separiamo la “scienza” in compartimenti stagni che non comunicano, non credete che finiamo con l’essere un po’ “uomini a metà”? Forse questa idea, questa consapevolezza, se volete, è una delle cose che mi ha più segnato durante la mia maturazione ai tempi del liceo.

In che modo ritiene che la formazione classica le abbia fornito delle basi per proseguire nel suo percorso di studio e di vita? Credo di avere già in parte risposto… posso aggiungere che la formazione “classica” mi ha insegnato l’amore per la bellezza, la ricerca dell’eccellenza ma anche del compromesso, il valore della conoscenza, e, soprattutto, il rispetto per gli altri.

Sappiamo che insegna nel Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università della Calabria ed è un esperto di AI: ci può fornire qualche delucidazione sulla specifica offerta formativa? L’Università della Calabria è un ateneo “generalista”: si intende con questo che è possibile trovare risposte

a domande di formazione in quasi tutti, se non tutti, i settori: umanistico, economico, dell’educazione, biomedico, tecnico-scientifico, e così via. L’università deve assolvere a diversi compiti: oltre alla didattica e alla ricerca, c’è anche la cosiddetta “terza missione”, che consiste di molte cose, tra cui trasferimento tecnologico, divulgazione, coinvolgimento del territorio. Il Dipartimento di Matematica e Informatica, presso il quale ho l’onore di lavorare, opera su tutti i fronti; in particolare, l’offerta formativa prevede il corso di laurea magistrale a ciclo unico in Scienze della Formazione Primaria (5 anni, l’unico corso direttamente abilitante all’insegnamento in Italia), i corsi di laurea triennali in “Informatica” e in “Matematica”, e i corsi di laurea magistrali internazionali (interamente erogati in lingua inglese) “Artificial Intelligence and Computer Science” e “Mathematics”. Vi invito ad andare a verificare online tutti i dettagli sull’offerta aggiornata: vale la pena di studiare in Calabria, vedrete!

Quali sono le skills necessarie per lavorare nel suo settore? Ah, domanda difficile. Si rischia sempre di semplificare, rispondendo a domande del genere, o di essere fuorvianti. Negli anni, lavorando con tantissime persone di ogni tipo, credo di aver capito che tutti possono riuscire in tutto, letteralmente: è solo una questione di prerequisiti. E non è poco, specie quando si pensa a cose che ne richiedono tanti. Ma se ci pensate, la cosa è entusiasmante per persone come voi, che siete negli anni migliori per la formazione: nessuna porta è chiusa a priori. E dico davvero. Ad ogni modo, sono utili una formazione logico-matematica solida, curiosità, spirito di osservazione, senso del dovere e… tanta, tanta pazienza. Ah, naturalmente una buona dose di umiltà non fa mai male, anzi! E dato che “fa figo” tirare fuori qualche citazione, eccone una per voi (un po’ parafrasata): ricordiamoci che siamo nani sulle spalle di giganti. Io, tra i giganti, non annovero solo chi ci ha preceduti, ma anche tutti coloro che lavorano con noi, qui, ora. Anche se esistono persone che segnano la storia, alcune più di altre, nessuno fa grandi cose davvero da solo.

Secondo lei cosa fa la differenza nel successo o insuccesso di un progetto? Che ruolo ha l’etica oggi? Altra domanda cui non è affatto facile rispondere senza rischiare di indulgere alla retorica… vediamo. Certamente preparazione, progettazione, competenze; ma anche visione, capacità di adattarsi ed imparare dagli errori, ambizione mista ad umiltà, capacità di lavorare in gruppo; riconoscenza verso gli altri e… sì, “fortuna”. Certo, unusquisque faber… ma ecco uno dei motivi per cui penso che dobbiamo restare umili, sapere che da soli non si va molto lontano, e rispettare i fallimenti (almeno, alcuni di essi): operare bene non garantisce il successo. Accettare una cosa del genere è molto difficile, ma non significa che non convenga impegnarsi: infatti, operare bene aumenta le probabilità di riuscire. Meglio operiamo, più possibilità avremo di farcela, nonostante qualche insuccesso. Mi chiedete che ruolo abbia l’etica oggi: non so se io sia la persona più adatta a rispondere. Credo che l’etica abbia un ruolo non diverso da quello che ha sempre avuto nella storia dell’umanità; forse, rispetto al passato, ancora più rilevante. Infatti, il progresso ha reso noi uomini, come singoli e come collettività, certamente molto più “potenti” che in passato. Scelte e azioni che possono avere significative conseguenze sugli altri, sul presente e sul futuro, dovrebbero essere fatte con molta, molta cautela.

Quale libro, a suo avviso, dovrebbe necessariamente fare parte del bagaglio culturale di un ragazzo o di una ragazza e perché? Qual è il senso della letteratura per uno scienziato? E come scegliere in mezzo al mare magnum che piccoli e grandi autrici e autori ci hanno lasciato? Provo a dirne alcuni, ma è una cosa straziante: vorrei infatti rispondere “tutti!”, consapevole del senso di frustrazione che si prova sapendo che non si riuscirà a leggere (a sapere) tutto quanto si dovrebbe o si vorrebbe; in questo senso, penso sempre con affetto alla figura di Varrone Reatino. Cito: la Bibbia, patrimonio culturale dell’umanità e dell’Occidente in particolare; La Repubblica di Platone, che forse, dopo la Bibbia, è uno dei libri che più influenza ha avuto nella storia; Philosophiae Naturalis Principia Mathematica di Newton, come simbolo della rivoluzione scientifica; la Divina Commedia di Dante (devo dire davvero perché?). Quanto al senso della letteratura per uno scienziato, direi che è tanto personale quanto universale; in accordo a quanto ho già detto, uno scienziato è un uomo. Potrei citare Terenzio, ma viene da sé; citerò in aggiunta Goethe, indirettamente tramite il mio professore di lettere del liceo: “Lust zu fabulieren”.

Per concludere, ci racconta un aneddoto che, secondo lei, rappresenta al meglio gli anni trascorsi nel nostro istituto? Ne avrei tantissimi, e i miei amici e le mie amiche, i miei compagni e le mie compagne, le mie professoresse e i miei professori, il personale… ne avrebbero molti di più. Per non fare torto alla memoria di nessuno, menzionerò il clima incredibile che si respirava durante e dopo le assemblee di istituto, quando alle mere questioni accidentali seguivano quelle politiche, universali e umane nel senso più ampio, e spesso ci si trovava a discutere di gossip, dell’uomo, dei massimi sistemi e del nostro futuro, tra una goliardata ed una canzone arrangiata con chitarra e tastiere. Vi auguro di lasciare questo istituto consapevoli che tutto è alla vostra portata, e vi auguro di cuore di poter affrontare il resto della vostra vita portando con voi ricordi meravigliosi dei vostri anni al liceo, così come è successo a me.

Ad maiora, semper!

LA NOSTRA VOCE SU...

“Ambiente e natura”

di Paola D’Amico e Federica Pia Vaccaro

In questi ultimi 50 anni la crescita a dismisura dei consumi e l’adozione di stili di vita non sostenibili hanno creato -e continuano a creare- forti pressioni sull’ambiente. Così abbiamo deciso di intervistare tre ragazzi della nostra scuola di - 15, 16 e 17 anni - proprio sulle problematiche ambientali che mettono a dura prova la situazione del nostro pianeta. Quest’intervista punta a sensibilizzare noi giovani su problemi che ci riguardano da vicino e a farci acquisire maggiore consapevolezza sulle caratteristiche dell’ecosistema in cui viviamo e su come agire per proteggerlo.

Molti dicono che dopo la pandemia torneremo alla vita di prima. Altri dicono che “la vita di prima” non sarà più possibile e che dovremo tornare ad una “normalità” da intendersi in modo diverso. In questo periodo la natura ci ha dimostrato che con un cambiamento dei nostri stili di vita lei sta meglio. Cosa pensate in relazione a queste affermazioni? Sicuramente il ritorno alla normalità, dopo la brutta esperienza del Covid 19, non potrà avvenire senza porre maggiore attenzione ai problemi ambientali: infatti, proprio la grave pandemia, che ci ha costretto a momenti di isolamento, ha di fatto modificato il nostro stile di vita e certi nostri comportamenti e tutto ciò, paradossalmente, ha avuto un impatto positivo nel rapporto con la natura. La diminuzione dell’uso dei trasporti pubblici e/o privati, la scarsa presenza di uomini nelle strade, la limitata produzione industriale hanno reso meno inquinata l’aria nelle città. Un esempio lampante arriva dalla Cina, dove la diffusione del virus e il conseguente, ma momentaneo, azzeramento della produzione industriale hanno diminuito il livello di biossido di azoto -una sostanza ad alto tasso di inquinamento atmosferico-, rendendo possibile la trasformazione del cielo dal colore marrone intenso all’azzurro molto tenue. Ma fino a quando ciò sarà possibile? Siamo sicuri che dopo la scomparsa della pandemia, sia giusto che tutto ritorni come prima? Io penso che la brutta esperienza del Coronavirus ci abbia fatto capire il valore della vita, che per essere degna del mondo non può fare a meno di rispettare tutto quello che la circonda, mare o terra che sia, partendo dalla città in cui si vive.

L’aria che respiriamo è composta da sostanze inquinanti. Come possiamo ridurne la presenza? Sicuramente il sempre più rapido processo di industrializzazione, dovuto ad una crescita esponenziale dei nostri bisogni quotidiani, ha prodotto tantissime Poiché tutti ne parlano, anche noi abbiamo desostanze inquinanti con un impatto decisamente neciso di parlare della difficile situazione dovuta al gativo sulla vivibilità del nostro ecosistema e di quelli Covid-19 e abbiamo voluto farlo dal punto di vista marini. Oggi, soprattutto nelle grandi città, l’aria è più indegli studenti, i protagonisti della DAD e forse quinata non solo per la presenza di industrie ed aziende, che producono scorie e sostanze altamente nocive coloro che ne risentono più di tutti. come l’ossido di carbonio, ma anche per certi comportamenti negativi dell’uomo, come l’uso eccessivo dell’auto, l’aumento della temperatura del termostato per il riscaldamento, lo scarso approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili e la mancata scelta di elettrodomestici a basso consumo. Credo che per rendere l’aria più respirabile occorra trovare il giusto equilibrio tra le esigenze primarie dell’uomo, con i suoi sistemi economici e produttivi, e le risorse naturali. Oggi si parla tanto di sviluppo sostenibile, principio che cerca di conciliare il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali con un occhio a quelle future attraverso un risanamento ambientale. È pur vero, però, che lo sviluppo sostenibile, per essere conseguito, ha bisogno di una presa di coscienza da parte dei cittadini, che devono orientare il proprio vivere quotidiano verso comportamenti sani e verso il rispetto di regole, che li impegnino a non inquinare, a tenere i luoghi pubblici puliti, a smaltire i rifiuti in modo ordinato secondo le istruzioni impartite dal Comune. Come sostituire oggetti di uso quotidiano, realizzati con materiali che danneggiano l’ambiente, con altri più ecologici? Sono i cosiddetti oggetti non biodegradabili a provocare un eccessivo coefficiente di inquinamento potenziale e sono, quindi, quelli da evitare. La carta di giornale, i chewing-gum, la legna da ardere, gli pneumatici, i composti di plastica (sacchetti, bottiglie, scarpe) sono alcuni dei materiali che possono essere nocivi per l’ambiente e rappresentare possibili concause di cambiamenti climatici, inquinamento marino, deforestazione dei territori con conseguenti danni all’ecosistema e alla biodiversità. Per un miglioramento della difficile situazione occorrono semplici accorgimenti, che modifichino o annullino certe nostre abitudini o stili di vita. Per esempio, bisogna evitare di buttare per terra mozziconi di sigaretta o gomme da masticare, entrambi tossici e difficili a decomporsi; sostituire materiali di plastica con quelli di vetro, legno o ferro (borracce al posto di bottigliette di plastica); limitare l’uso della macchina, utilizzando la bicicletta o i mezzi pubblici per gli spostamenti . Bisogna cambiare le nostre abitudini di vita anche all’interno della nostra abitazione, rendendo accogliente e pulita la nostra casa in modo ecologico, ricorrendo ad una attenta raccolta differenziata dei rifiuti, non sprecando l’acqua, che è di-

ventata una risorsa preziosa, visto l’uso eccessivo che se ne fa. Per ridurre lo spreco idrico potremo usare dei riduttori di flusso ai rubinetti, fare la doccia invece che il bagno, chiudere il rubinetto mentre ci laviamo le mani o i denti, usare lavatrice e lavastoviglie a pieno carico.

Quali sono, secondo voi, i motivi per cui avviene lo scioglimento dei ghiacciai? Lo scioglimento dei ghiacciai è uno delle conseguenze più disastrose dei mutamenti climatici. Le varie attività umane, come i trasporti, i processi industriali, l’allevamento, la deforestazione degli spazi verdi, immettono nell’aria sostanze inquinanti, come l’anidride carbonica, che provocano un aumento della temperatura globale e di conseguenza lo scioglimento delle masse di ghiaccio non solo ai Poli, ma anche sulle montagne. Si calcola che ogni anno si verifichi la perdita di circa 300 miliardi di ghiaccio al Polo Nord e di 130 miliardi a Polo Sud; sono cifre allarmanti, che hanno conseguenze nocive per tutti gli ecosistemi e gli esseri viventi che li abitano. Gli animali che risentono maggiormente delle mutazioni climatiche e dello scioglimento dei ghiacciai sono gli orsi polari - costretti a fare lunghi viaggi, a causa della mancanza di pesci e foche, per procurarsi nuovo cibo- e le tartarughe marine -obbligate a muoversi verso temperature più idonee per sfuggire ai pericoli dell’inquinamento e dei residui plastici-. Ognuno di noi può fare qualcosa per tentare di arginare il fenomeno, attraverso piccole azioni quotidiane, come l’ottimizzazione del consumo energetico, l’approvvigionamento da fonti rinnovabili, la scelta di elettrodomestici a basso consumo, la riduzione della temperatura del termostato del riscaldamento, l’uso di mezzi pubblici per gli spostamenti e di biciclette e monopattini al posto dell’auto.

In questi anni molti animali si stanno estinguendo; voi cosa ne pensate? Sapete da cosa è causato questo fenomeno? Crediamo che il problema vada ricercato nella deforestazione del territorio, causata da fattori inquinanti, da incendi spesso dolosi, ma anche da variazioni o alterazioni del clima. D’estate assistiamo spesso a gravi incendi, che distruggono la flora montana e l’equilibrio degli ecosistemi. Simbolo del WWF è il panda, che a causa delle continue modifiche al suo habitat è a rischio estinzione: infatti, cibandosi di bambù e non trovandone a causa della deforestazione di cui l’uomo è responsabile, non è in grado di sopravvivere. L’uso eccessivo del materiale plastico, che confluisce nei fiumi e subito dopo nel mare, e la pesca incontrollata provocano un grave danno agli ecosistemi e alla biodiversità del mondo marino attraverso l’estinzione di pesci, balene, gabbiani, tartarughe marine. In Italia, fortunatamente, ci sono delle aree protette, di notevole ampiezza, localizzate in Sardegna, Toscana, Sicilia, che sono l’unico sistema per proteggere alcune specie di animali marini. Cosa sapete circa quello che è successo alla foresta amazzonica ? La foresta amazzonica, che copre 7 milioni di Km quadrati con il suo territorio boschivo, è detta il “polmone del mondo” per la sua capacità di produzione di ossigeno, dai 90 ai 240 miliardi di tonnellate: essa risponde a buona parte del fabbisogno mondiale, conGennaio 2021. Siamo in tribuendo al mantenimento della stabilità climatica e alla biodiversità. Nel corso del precedente anno la un brutto sogno o in un foresta amazzonica è stata vittima di gravi incendi e roghi, che secondo l’Istituto nazionale di ricerche spafilm di fantascienza? ziali del Brasile (INPE), hanno fatto registrare gravissime distruzioni; inoltre, sempre secondo l’INPE, sono stati rasi al suolo quasi dodici mila chilometri quadrati di alberi, che hanno provocato una grave processo di desertificazione, con la diminuzione di una vasta area di territorio boschivo. Secondo il WWF, ad aggravare la situazione sono state le recenti politiche del governo brasiliano, che hanno fatto della deforestazione uno strumento per dare maggiore impulso a vaste operazioni edilizie o alla vendita di legname, depredando selvaggiamente le risorse del suolo con gravi danni per gli ecosistemi. Ma secondo il WWF anche le popolazioni locali sono vittime di gravi atti di violenza e di torture. Qual è lo scopo di tutto questo disastro? Garantire lo sfruttamento del legname, delle miniere di oro, dei pascoli e delle coltivazioni.

Riuscite a fare un bagno nel mare della Calabria in estate, senza dovervi troppo spostare? L’inquinamento delle acque marine riguarda anche il nostro mare, dove, d’estate, è quasi impossibile fare un bagno per la presenza di grosse macchie giallastre, di rifiuti che galleggiano. Tutto ciò è dovuto a sistemi di depurazione poco o per nulla funzionanti, allo scarico illecito di rifiuti industriali nei fiumi che poi arrivano al mare, al liquame che proviene dalle navi in transito, alla pratica della pesca incontrollata. Questi fenomeni contribuiscono a rendere sporco il nostro mare, specialmente nella stagione estiva, con gravi danni agli ecosistemi -per l’estinzione di numerose razze di pesci- e anche al nostro turismo, che potrebbe costituire una risorsa fondamentale per la nostra Regione. Lungo la costa di Falerna, qualche tempo fa, è stata trovata un’enorme tartaruga morta: in genere le tartarughe non si trovano nella nostra zona, questo ci fa capire come gli habitat degli animali si siano ormai sfasati. La cura dell’ambiente è un tema che riguarda tutti: il nostro benessere e la nostra salute dipendono dal modo in cui trattiamo le risorse ambientali e dalle scelte che compiamo per preservare la natura che ci circonda. Perciò dobbiamo cercare di condurre una vita più sostenibile, per salvare la biodiversità. Ricordiamocelo!

ARTE-FICIO

“Concorso e mostra INSIDE”

“Premiazione del Concorso INSIDE, bandito dal gruppo Arte_ficio del Liceo Classico Artistico F. Fiorentino di Lamezia Terme.” “Giorno 2 marzo si è tenuta, in modalità meet su J-suite di Google, la cerimonia di premiazione del Concorso INSIDE, bandito dal gruppo Arte_ficio del Liceo Classico Artistico F. Fiorentino di Lamezia Terme. Il bando, divulgato nel mese di dicembre, prevedeva la partecipazione delle scuole medie del territorio lametino, con elaborati artistici, contenuti in una scatola. Le scatole, in una sorta di interno definito, avrebbero dovuto raccontare questo tempo sospeso, di lunghi lockdown che si alternano a brevi periodi di aperture. All’incontro sono state invitate le scuole medie che hanno partecipato all’iniziativa. Dopo i saluti del dirigente del Liceo Fiorentino, prof. Nicolantonio Cutuli, che ha sottolineato l’originalità delle proposte pervenute, ha preso la parola il dirigente dell’istituto comprensivo di Maida, prof. Giuseppe De Vita, che ha espresso la propria soddisfazione per la specificità dell’iniziativa. Gli organizzatori hanno ribadito la necessità di creare occasioni e gesti che aiutino ad interpretare il tempo speciale che stiamo vivendo. INSIDE, tradotto letteralmente in DENTRO, costituisce una piccola riflessione su questo periodo con il linguaggio dell’arte, “un linguaggio - aggiungono - che ci fa cogliere il senso profondo di ciò che ci circonda, oltre le parole, e ci aiuta ad essere comunque vivi e creativi ” Le attività, che il gruppo Arte_ficio del liceo Fiorentino svolge ormai con appuntamenti annuali, hanno subìto un rallentamento, anche se nessuna delle attività programmata è stata annullata, come dicono gli organizzatori del concorso: “Abbiamo cambiato le modalità: ciò che si faceva in presenza si sta facendo in digitale, come la mostra Artealfemminile realizzata a novembre. La mostra INSIDE, in corso di allestimento, presenterà una sezione dedicata agli elaborati del concorso e le altre sezioni ospiteranno i lavori sullo stesso tema realizzati dagli alunni del liceo.” Una breve anteprima è stata presentata proprio nel corso dell’incontro. Si è poi passati alla premiazione virtuale assegnando il primo alle classi prima e seconda media di Feroleto, seguite dalla prof.ssa Vittoria Russo, per l’entusiasmo e la cura che hanno profuso in un momento molto difficile. Gli alunni hanno realizzato le opere documentando tutte le fasi dall’ideazione alla realizzazione, attraverso video, foto e relazioni finali. Nel conferire il premio gli organizzatori hanno ringraziato la professoressa Vittoria Russo e gli alunni: Alessandra, Alessia, Beatrice Fazio, Felicia, Gemma, Giuseppe, Joe Raffaele, Mario, Paolo, Rosy, Sara, Sofia, Sonia Edelwais,Valentino, Valerio, Veronica, sottolineando “Siamo arrivati al quarto anno di organizzazione di concorsi, ma è la prima volta che una docente delle scuole medie accetta la sfida da noi lanciata attraverso un concorso e la trasforma in un’attività di classe. Quando aprendo le mail abbiamo visto la provenienza, ci siamo commossi. Questo è una modalità creativa di continuità didattica” Il secondo premio ex equo va alle alunne Beatrice Macrì della scuola media di Maida per il tema proposto: “Piccoli uccelli chiusi a loro volta in piccole scatole trasparenti in uno scorcio di città silenziosa e deserta. Una metafora della condizione di lockdown: si percepisce una visuale libera e una visione completa sul mondo attraverso i media, ma non si può andare oltre la soglia”. E all’alunna Eliana Barletta dell’IC di Falerna Nocera per il suo The space in a box “per aver descritto nel limite di una piccola scatola lo Spazio di per sé illimitato. Come se, nella condizione di separatezza, si trovasse la Terra con tutto l’Universo”. Il terzo premio è stato attribuito alla classe di Soveria Mannelli, agli alunni Chiara, Noemi, Salvatore, Joe, sempre seguiti dalla prof.ssa Russo. Tutti i lavori pervenuti sono interessanti e stimolanti e ogni alunno ha evidenziato un bisogno, una privazione. Spesso il tema è stato trattato con crudo realismo, qualche volta si intravede anche una via d’uscita, una speranza, un arcobaleno. Pertinenti sono anche i titoli che i ragazzi hanno scelto:: Riflessi urbani, Mondo prigioniero, Feste in quarantena ecc. Nei saluti finali si è notata, al di là dello schermo, la contentezza dei ragazzi per l’attenzione che hanno ricevuto: i lavori che hanno prodotto sono stati considerati. Basta questo per capire che l’arte, svelando la fragilità umana, può essere antidoto e vaccino.”

VIAGGIO NEL CINEMA

“Into the wild”

di Cristian Autolitano e delle classi Quarta A Classico, Quarta A e Quarta B Artistico

Elena Barberio 4 A Classico

Nel mondo caotico e industrializzato di oggi, all’interno di grandi città inquinate, tra i palazzi, le piazze, i locali, in mezzo alla confusione, ai rumori, al tempo che scorre veloce, alla modernità che incalza e invita al consumo, alla cura dell’aspetto e delle apparenze, si può provare un sentimento di estraneità, di stanchezza e a volte anche di repulsione, di rifiuto, come nel caso del protagonista del film “Into The Wild”, che compie un viaggio dentro il desiderio innato di libertà e di emancipazione, fuggendo da una società che impone sempre più numerosi modelli da seguire e convenzioni. Il film Into the Wild, uscito nel 2007, diretto da Sean Penn, tratto dal libro di Jon Krakauer, Nelle terre estreme (1996), è la storia vera dello statunitense Christopher McCandless, che abbandona la famiglia, rinuncia ai beni e agli agi della modernità, per fuggire dalla società e vivere unicamente a contatto con la natura, lontano dalla presenza di altri uomini, a volte poco autentici, dall’inquinamento acustico, atmosferico, dalle cose materiali, dalla tecnologia, dalle regole non condivise, dalle imposizioni della società a volte contrarie al vero bene, che impediscono di realizzare al meglio la propria natura e vivere un’esistenza felice. Il protagonista, Chris, è un ragazzo anticonformista, unico e raro, che sente dentro la necessità di rompere gli schemi imposti e di superare i limiti tracciati dalla società capitalistica “Il cinema è il viaggio per antonomasia che la mente umana compie nella solitudine della sala di proiezione: via libera alle associazioni, alle identificazioni, agli spostamenti, alla riattivazione di tutti quei meccanismi psichici in funzione allorché siamo immersi nel sogno… Così il grande schermo per me si è trasformato in uno scalo dove si prende un aereo e via in ogni luogo, e via con la fantasia e la ragione ben unite, l’una per dare il piacere del vedere, l’altra per quello del guardare.” (G. Grossini)

americana. Il mondo benestante e formale in cui era cresciuto e in cui aveva vissuto prima di intraprendere il viaggio verso l’Alaska, gli era sempre stato stretto. Conformarsi alle aspettative poste dalla società o anche dalla famiglia, aveva impedito a Chris, un ragazzo brillante negli studi, di sentirsi libero e appagato. Allora Chris tenta di fuggire lontano, in un luogo il più possibile dominato dalla Natura, che dispensa pace e armonia, per vivere “secondo natura”, immerso nella flora e nella fauna e senza l’aiuto di futili apparecchi artificiali, per raggiungere uno stato di piena contemplazione della bellezza naturale, di libertà assoluta, “senza cellulare, piscina, animali da compagnia, sigarette”, intraprendendo una battaglia per debellare l’uomo falso e ipocrita che è in lui e “concludere vittoriosamente una rivoluzione spirituale”. Questa fuga lo aiuta a riprendere il controllo della propria vita, ad essere lui il capitano della sua nave, delle sue giornate non più monotone e guidate da impegni, doveri, abitudini, routine. La frase pronunciata dalla sorella “La fragilità del cristallo non è una debolezza ma una raffinatezza”, riferita a Chris rispecchia pienamente la personalità del fratello, uno spirito libero, come altri, come pochi, che non vogliono essere vincolati da niente e da nessuno, che vogliono poter fare ciò che più gli piace, che vogliono mettersi alla prova, imparare a vivere autonomamente, superare gli ostacoli, misurarsi con la realtà, con le prove della vita. Essere diversi, rompere gli schemi, è in realtà molto più bello che essere omologati ad altre persone. In una società dove ormai conta più l’apparire che l’essere, andare contro corrente è una rivoluzione, è un atto di coraggio, è un atto di vera forza. Non è qualcosa di negativo, non rappresenta una debolezza, significa semplicemente avere il coraggio di mostrarsi per come si è. Vivere le emozioni, mostrare le proprie fragilità rendono l’uomo più veritiero; spesso alcuni commettono l’errore di

nascondere le proprie paure, le proprie fragilità, la propria sensibilità e insicurezza, indossando quella maschera che all’esterno fa apparire forti e invincibili. Però, la “fragilità” fa parte di noi, non siamo macchine, siamo umani, e questo significa che possiamo essere anche tristi, piangere e avere di bisogno degli altri. Tutti siamo fragili. Tutti prima o poi sono

Sara Matarazzo 4A Artistico

chiamati a fare i conti con le proprie fragilità, ma dopo un’iniziale senso di paura e di vergogna, quando si inizia a capire e a maturare la consapevolezza di cosa veramente essa sia, in quel sottile momento di presa di coscienza la “fragilità del cristallo” si trasforma da Debolezza a Raffinatezza. La fragilità ci serve a ricordare che siamo Vivi, che stiamo trascorrendo il nostro presente non in maniera passiva, inerme, facendoci scivolare la vita addosso, come fossimo costantemente coperti con un impermeabile. No! stiamo vivendo la vita che ci prende a pugni, a botte e a volte ci accarezza. La scelta di Chris di vivere da solo, completamente immerso nella natura, lontano dalla mondo civilizzato, l’ha aiutato a ritrovare se stesso, il senso della sua esistenza, ma lo ha privato di una delle cose essenziali nella vita di un uomo: il rapporto con le altre persone, soprattutto con i familiari. Il contatto umano, di cui Chris ha fatto esperienza, lungo il viaggio per l’Alaska, arricchendo notevolmente se stesso, si interrompe quando giunge in Alaska. Le relazioni sono fondamentali per l’uomo “animale sociale”, anche se, per quanto siano fondamentali i rapporti umani sono altrettanto complicati. Si ha sempre paura di essere giudicati, ci si demoralizza per paura di non essere abbastanza o per timore di non valere quanto gli altri, di essere giudicati e incompresi. Condividere il nostro tempo, i nostri momenti con le persone che fanno parte della nostra vita, è sempre, nonostante tutto, una delle cose più belle della vita. E’ proprio vero, la felicità è reale solo se condivisa. Quando qualcuno condivide, tutti partecipano, tutti vincono! Molte persone non si sentono felici in una società caratterizzata dal voler accumulare beni e denaro, una società in cui la vita è frenetica ed è scandita da numerosi impegni, in cui non si ha un momento da dedicare alla famiglia e ai propri affetti, in cui fa da padrone il vile denaro che tutti cercano per conformarsi alle nuove abitudini. Allontanarsi dalla società consumistica e materialistica è il motivo della scelta di Chris che, “per non essere più avvelenato dalla civiltà fugge, cammina solo sulla terra per perdersi nella natura selvaggia”. Decide di intraprende un viaggio che gli permetterà di conoscersi e che lo formerà, fino a quando, rimasto solo, stremato dal freddo e dalla fame, immerso in una natura selvaggia e ostile all’uomo, mangerà dei frutti velenosi di una pianta selvatica, scambiati per commestibili, che gli causeranno la morte. Isolato e non potendo ricevere aiuto da altri, passa gli ultimi giorni sofferente e scrive su uno dei libri che abitualmente leggeva la frase “Happiness is only real when shared”, il vero antidoto all’infelicità: circondarsi di persone a cui vogliamo bene e che ci vogliono bene. Prendersi cura di qualcuno, vivere la quotidianità con gli affetti più cari e agire con e per gli altri, è ciò che può renderci felici. La pandemia causata dal Covid-19 ci ha fatto riconoscere l’importanza delle relazioni umane, è proprio in questo periodo che sentiamo tanto la mancanza di abbracci, baci, sorrisi, sguardi di complicità e risate condivise. Into The Wild ci esorta all’introspezione, alla riflessione su quale possa essere il miglior stile di vita, in un’epoca in cui tutto è automatizzato, quasi nulla di ciò che ci occorre richiede alcuna fatica, molto è “usa e getta”, a volte anche le persone. Durante la permanenza in Alaska, nella sua profonda solitudine, Chris conosce le sue fragilità, ma scopre anche l’accettazione degli altri e delle loro fragilità, nel momento in cui sta per esalare l’ultimo respiro, pensa ai suoi genitori, al mondo che ha lasciato e capisce in quell’istante che in realtà la sua famiglia lo ha sempre amato, semplicemente non l’ha fatto nel modo in cui desiderava lui. Un film da vedere e rivedere!!!

NON SOLO LATINO E GRECO

“Gli studenti del Liceo Fiorentino e la solidarietà”

di Agnese Aiello, Giusy Gigliotti e Camilla Latelli

Alcuni studenti dell’indirizzo Biomedico del Liceo Classico-Artistico ‘F. Fiorentino’ di Lamezia Terme, unica realtà formativa in convenzione con l’Ordine dei Medici della Provincia di Catanzaro nella nostra città, il 31 dicembre 2020 e la Vigilia dell’Epifania, hanno partecipato ad un incontro tramite video-call con i bambini e il personale sanitario del reparto di Pediatria, diretto dalla Dottoressa Caloiero. La situazione critica che tutti noi stiamo vivendo, ci sta mettendo a dura prova, ma questo incontro anche se in video-call ha dato dimostrazione che si può fare, che si possono portare sorrisi, comprensione a chi come i piccoli pazienti si sentono tristi e soli soprattutto nel periodo natalizio, quando invece si vorrebbe solo giocare e preparare decorazioni sotto l’albero e anche per dare sostegno a quel personale sanitario sempre in prima linea per non lasciare mai solo nessuno ma che meritano anche loro il giusto supporto e ringraziamento. Questa lodevole iniziativa ha permesso un incisivo scambio umano. Durante la giornata i ragazzi hanno svolto performances musicali e canore per intrattenere grandi e piccini. Con l’intervento iniziale, il preside Nicolantonio Cutuli ha espresso il suo entusiasmo nel rendere la scuola sempre attiva e pronta ad aderire ad attività così significative. Un modo per non farli sentire soli soprattutto durante queste festività natalizie. A dare il via alle due giornate, il Dirigente Scolastico Nicolantonio Cutuli che ha espresso soddisfazione nell’iniziativa, sottolineando che la Scuola non si è mai fermata, ma ha continuato a fornire sempre attività di alto rilievo. La giornata è proseguita, poi con le performances musicali e canore degli allievi che hanno così rallegrato tutti. Il primario di ‘Pediatria’, Caloiero, ha invece espresso grande soddisfazione per l’avvenimento, gli appuntamenti sono poi terminati la vigilia dell’Epifania. Un piccolo grande regalo per i bambini e il personale sanitario, che hanno così potuto trovare un po’ di serenità e allegria insieme a rispetto e comprensione, in un tenero abbraccio anche se virtuale.

“Gli studenti del Liceo Fiorentino e la solidarietà”

di Agnese Aiello, Giusy Gigliotti e Camilla Latelli

Il Liceo classico-artistico “Francesco Fiorentino” non è solo l’Istituto “vecchio stampo”, quello nel quale si pensa esclusivamente allo studio in strictusensu, ma apre le porte a nuovi mondi che conducono alla formazione completa di ciascun alunno. A testimonianza di ciò, la realizzazione di uno spot per presentare il liceo nella varietà della sua offerta formativa. Il lavoro è stato concretizzato in un laboratorio virtuale condotto dal regista, film-maker Francesco Pileggi, coadiuvato dalle insegnanti Gianna Nicastri e Maria Cristina Cittadino e supportato dal dirigente scolastico, prof. Nicolantonio Cutuli, responsabile del progetto. Visibile sui maggiori social, ha dato dimostrazione di come la scuola non intenda fermarsi. Attraverso incontri in modalità a distanza i ragazzi hanno dato spazio alle loro passioni e hanno motivato la loro scelta verso i diversi indirizzi della scuola. Sono riusciti ad illustrare accuratamente e virtualmente l'importanza dello studio e la formazione che dona il Liceo classico-artistico “Francesco Fiorentino”, essenziale per il futuro. Leitmotiv dello spot, grazie al quale gli studenti consigliano così l’iscrizione nello storico liceo lametino ai futuri studenti, è l’ironia. Toccando temi importanti, come la pandemia, hanno donato speranza e solidarietà affermando che solo uniti potremo provare a riavere indietro le nostre vite. Un video che vuole andare fuori dagli schemi, trasmettere il messaggio di una scuola che non si ferma, di un istituto che senza dubbio è al passo coi tempi, con un’ampia offerta formativa: l’indirizzo Biomedico e il Liceo Quadriennale Europeo, senza tradire la sua vocazione classica.

NON SOLO LATINO E GRECO

“Le Olimpiadi delle lingue e delle civiltà classiche”

La Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici e per la valutazione del sistema nazionale di istruzione del Ministero dell’Istruzione ha promosso e organizzato le Olimpiade di Lingue e civiltà classiche in collaborazione con gli Uffici Scolastici Regionali e con il supporto del Liceo Classico “T. Campanella” di Reggio Calabria. Giunta alla IX edizione - A.S. 2020-2021, la competizione è inserita nel Programma annuale Valorizzazione Eccellenze del Ministero dell’Istruzione. Tra gli istituti convolti, il Liceo classico-artistico “Francesco Fiorentino” che ha colto al volo quest’opportunità, dando ai suoi studenti la possibilità di partecipare a queste gare individuali e formative che arricchiscono il loro bagaglio culturale. La competizione è rivolta agli studenti del secondo biennio e dell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado, statale e paritaria. Lo scopo è quello di promuovere, incoraggiare e sostenere le potenzialità didattiche e formative delle lingue e delle civiltà classiche. La cultura non può che essere al centro, con un grande obiettivo: favorire l’approfondimento culturale del mondo classico negli ambiti linguistico-letterario, storico-antropologico, filosofico-scientifico, artistico- archeologico nei percorsi di istruzione della scuola secondaria di secondo grado. La Gara Regionale online su piattaforma di gara si è tenuta il 29 marzo 2021.Fabiana Davoli, studentessa della VC del Liceo, ha superato la fase regionale delle semifinali ottenendo il terzo posto su 53 partecipanti, accedendo così alla finale nazionale del 5 maggio, che si terrà probabilmente in modalità online. Saranno 8 le eccellenze calabresi che parteciperanno alla finale. In Foto: Fabiana Davoli

“Le Olimpiadi di Italiano”

Il Liceo classico-artistico “Francesco Fiorentino” non è solo l’Istituto “vecchio stampo”, quello nel quale si pensa esclusivamente allo studio in strictusensu, ma apre le porte a nuovi mondi che conducono alla formazione completa di ciascun alunno. A testimonianza di ciò, la realizzazione di uno spot per presentare il liceo nella varietà della sua offerta formativa. Il lavoro è stato concretizzato in un laboratorio virtuale condotto dal regista, film-maker Francesco Pileggi, coadiuvato dalle insegnanti Gianna Nicastri e Maria Cristina Cittadino e supportato dal dirigente scolastico, prof. Nicolantonio Cutuli, responsabile del progetto. Visibile sui maggiori social, ha dato dimostrazione di come la scuola non intenda fermarsi. Attraverso incontri in modalità a distanza i ragazzi hanno dato spazio alle loro passioni e hanno motivato la loro scelta verso i diversi indirizzi della scuola. Sono riusciti ad illustrare accuratamente e virtualmente l'importanza dello studio e la formazione che dona il Liceo classico-artistico “Francesco Fiorentino”, essenziale per il futuro. Leitmotiv dello spot, grazie al quale gli studenti consigliano così l’iscrizione nello storico liceo lametino ai futuri studenti, è l’ironia. Toccando temi importanti, come la pandemia, hanno donato speranza e solidarietà affermando che solo uniti potremo provare a riavere indietro le nostre vite. Un video che vuole andare fuori dagli schemi, trasmettere il messaggio di una scuola che non si ferma, di un istituto che senza dubbio è al passo coi tempi, con un’ampia offerta formativa: l’indirizzo Biomedico e il Liceo Quadriennale Europeo, senza tradire la sua vocazione classica. In Foto: Asia Molinaro

“PCTO”

di Mariangela Isgò

Nonostante le difficoltà che la pandemia ha comportato, il nostro Liceo ha promosso quest’anno varie attività di PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), per tutte le classi del secondo biennio e del quinto anno, continuando così il percorso che da anni ormai aiuta noi studenti ad acquisire competenze utili e necessarie per la nostra scelta formativa e professionale futura. Le classi terze, che per la prima volta hanno avuto un approccio con la realtà “dell’alternanza scuola-lavoro”, hanno iniziato il loro percorso incontrando più volte la Compagnia dei Carabinieri di Lamezia Terme, con la quale hanno discusso di importanti tematiche, come il bullismo, la violenza di genere, la pedopornografia, ed altre realtà che è giusto conoscere a quest’età per evitare di incorrere in esse. Le classi quarte hanno invece continuato ciò che avevano iniziato lo scorso anno, attraverso incontri con l’Ordine dei medici della nostra città, acquisendo così le competenze riportate da diversi dottori specialisti, i quali hanno spiegato le varie patologie, facendo anche accenni agli studi da intraprendere e ai sacrifici che un lavoro così notevole comporta. Importante è anche il ruolo dell’Ordine degli Avvocati che ha aiutato noi ragazzi delle classi quinte a distinguere le varie differenze fra processo penale e processo civile, facendo riferimento anche ad esempi concreti di casi risolti. Le modalità con cui si sono svolte queste attività sono insolite, rispetto a quelle degli anni scorsi, ma allo stesso tempo i docenti e noi alunni, con l’aiuto dei mezzi tecnologici e la disponibilità di questi gentilissimi professionisti, siamo riusciti ad apprendere senza difficoltà quanto esposto da questi ultimi, orientandoci nel nostro percorso di studio e in futuro di lavoro e arricchendo la nostra esperienza formativa attraverso quelle competenze trasversali (autonomia, creatività, innovazione nel gestire il compito assegnato, capacità di risolvere i problemi, comprensione della complessità dei vari linguaggi, comunicazione, organizzazione, capacità di lavorare e saper interagire in un gruppo, flessibilità e adattabilità), utili da applicare ai diversi contesti.

STORIA E STORIE

“Il caso Spotlight”

“… siamo stati sfidati a guardare a testa alta questo conflitto, ad assumerlo e a soffrirlo insieme alle vittime, alle loro famiglie e a tutta la comunità per trovare vie che ci facessero dire: mai più alla cultura dell'abuso. Questa realtà ci impone di lavorare sulla consapevolezza, la prevenzione e la promozione della cultura della cura e della protezione nelle nostre comunità e nella società in generale, affinché nessuno possa vedere la propria integrità e dignità violata o abusata…” - Papa Francesco1

Il caso Spotlight è una storia scottante, pesante come un macigno, che narra con estrema crudezza le violenze di un gruppo di preti perpetrate per anni su un ampio gruppo di minori. La storia riguarda le indagini portate avanti da Spotlight, il più longevo team giornalistico d’inchiesta degli Stati Uniti, nato nel 1970, che, prima del Massachusetts Catholic sex abuse scandal (di cui parleremo) aveva già portato a galla numerosi casi di frodi, di abusi e di corruzione all’interno della città. Tutto prese avvio nel 2001, quando al Boston Globe arriva il nuovo direttore Martin Baron, il quale si interessò in particolar modo alla questione riguardante gli abusi sui minori da parte di importanti esponenti dell’arcidiocesi di Boston. Lui si era imbattuto anche nella lettura di alcuni articoli scritti da Eileen McNamara su Padre John Geoghan, un prete cattolico accusato di aver abusato di almeno 84 bambini, ed era rimasto molto colpito da come quelle notizie fossero state considerate di minore importanza e quindi inserite nelle pagine locali del quotidiano. McNamara aveva poi concluso uno di questi articoli scottanti dicendo: “La verità potrebbe non venire mai fuori, perché i documenti sono sigillati” e il neo direttore Baron, colpito dal materiale che si trovava per le mani, vide gli estremi per avviare una pesantissima inchiesta giornalistica, guidata proprio dal team Spotlight, che facesse luce sugli abusi perpetrati da preti e parroci nei confronti di minori. Secondo il direttore Baron, le indagini sarebbero state difficili da portare avanti dal momento che sarebbero dovuti andare contro la Chiesa cattolica di Boston sebbene più della metà dei lettori del Boston Globe si dichiarasse fermamente cattolica. Il team, composto da Walter Robinson, Mike Rezendes, Sascha Pfeiffer e Matt Carroll e Ben Bradlee Jr., si mise subito a lavoro partendo dal caso già conosciuto di Padre Geoghan e si propose l’obiettivo di capire se la diocesi di Boston fosse a conoscenza di maggiori dettagli riguardanti lo scandalo, rispetto a quelli di cui erano in possesso i tribunali, e se, soprattutto, ne fosse a conoscenza già prima dei processi tenuti contro Padre Geoghan. Dal 2002 al 2003 una serie di articoli, pubblicati in seguito alle ricerche fatte dal team, ha fatto accrescere in maniera esponenziale il caso Spotlight, arrivando a coinvolgere ben novanta preti e parroci della sola diocesi di Boston e più di mille vittime. Gli articoli andavano nel dettaglio ad accusare di negligenza esponenti sempre più importanti dell’istituzione cattolica, che si erano limitati a spostare di diocesi in diocesi i preti che si macchiavano di stupro o molestie e che si erano preoccupati di insabbiare le prove e di mettere a tacere le vittime affinché gli scandali non venissero a galla e non venissero impugnati dalle testate giornalistiche. Uno dei più importanti personaggi che ha lavorato a mantenere segreti i casi di pedofilia è stato l’arcivescovo della diocesi di Boston Bernard Francis Law, morto nel recente 2017, il quale, in seguito agli articoli del Boston Globe, fu costretto a dimettersi dalle sue funzioni per poi essere trasferito da papa Giovanni Paolo II, con l’incarico di semplice arciprete, nella basilica liberiana di Santa Maria Maggiore a Roma. Il caso Spotlight ha causato un effetto a catena tra le vittime di abusi che, credendo di essere sole, soffrivano in silenzio e molte di loro testimoniarono e fornirono informazioni sui preti sotto accusa: dal primo articolo pubblicato nel Gennaio del 2002, i giornalisti del Boston Globe scrissero più di 600 articoli in cui ne raccontavano le storie. Nel settembre 2003 l’arcidiocesi di Boston pagò circa 85 milioni di dollari come risarcimento nei confronti di molte di queste vittime e nell’agosto 2011 l’arcidiocesi di Boston ha

pubblicato una lista con i nomi di 159 preti accusati di pedofilia. Il coraggio della denuncia ha permesso alla Chiesa Cattolica di operare una grande opera di introspezione e di ferma condanna del fenomeno, che ha portato ad una serie di misure repressive molto dure all’interno della Chiesa. Tant’è che nel 2020 Papa Francesco ha emanato un vademecum per i casi di pedofila all’interno del clero in cui fornisce una linea comune obbligatoria da seguire per affrontarne uno, partendo dalla semplice ipotesi di abuso fino alla conclusione definitiva della causa. Ad oggi si è accertato con verità processuali che i casi di pedofilia non riguardano solo il contesto religioso o clericale: per esempio, sono estremamente frequenti casi di pedofilia all’interno di squadre sportive (recentemente sono emerse 840 nuove vittime all’interno delle giovanili di alcuni club calcistici inglesi), all’interno delle scuole, all’interno dello stesso nucleo familiare o ancora sul web, dove la pedopornografia dilaga a macchia d’olio (lo scorso luglio è stata sventata una maxi rete di contenuti pedopornografici con utenti in tutta Italia). Era ed è un crimine senza eguali, una oscenità che può avvenire in qualsiasi scenario dove la mente malata di un pervertito incontra (non sempre) dei ragazzi o degli adolescenti trascurati dalle proprie famiglie o carenti di figure genitoriali che vanno erroneamente a cercare figure di riferimento in queste persone che, vedendo delle debolezze o percependo un atteggiamento confidenziale, si approfitta di loro sessualmente, convincendoli, talvolta, che quello sia un gioco o qualcosa di “giusto”.

1 Papa Francesco.Prefazione a “Teologia e prevenzione” edito dal Centro di ricerca e formazione interdisciplinare per la protezione dei minori (CEPROME) dalla Pontifica Università del Messico, 2020

I LUOGHI DELL’ANIMA

“Monumento a Pietro Ardito”

di Giulia Pagano

Non tutti lo sanno, ma a Lamezia si trova una piccola opera d’arte all’aperto, un gioiello prezioso ed elegante nella sua misteriosa presenza. Dove? Proprio lungo il vialone delle scuole Superiori, all’incrocio tra via Cristoforo Colombo e via Leonardo da Vinci, in mezzo ai Giardini dedicati alla prof.ssa Graziella Riga, vicino ai semafori, sì proprio quell’arco strano e solitario che incornicia un pezzo di cielo e ci invita ad alzare lo sguardo nelle giornate in cui di corsa ci appressiamo a svolgere indaffarati i nostri piccoli impegni. Si tratta del Monumento a Pietro Ardito opera dell’architetto Natale Proto. Ma cosa significa e perché è così trascurato nonostante si trovi sotto gli occhi di tutti? Per rispondere a queste domande qualche giorno fa sono andata a prendere un tè a casa di un ex docente del nostro liceo, il Professore Renato Borrello, mio zio. Abbiamo a lungo parlato della nostra scuola e della nostra città, di Pietro Ardito e della storia dell’arco. Mio zio mi ha raccontato di come negli anni ‘30 fosse stata istituita la scuola media che oggi chiamiamo Pietro Ardito ma che non era dove siamo soliti vederla oggi, bensì dietro la Cattedrale, a fianco dell’arcivescovado; fu la prima scuola media di Nicastro (in quegli anni non esisteva ancora Lamezia Terme): infatti, prima di allora c’erano solamente le scuole elementari e i licei. Negli anni ‘40 Oreste Borrello fu nominato preside e docente di lettere e fece in modo che la scuola venisse intitolata a Pietro Ardito. Nessuno sapeva bene chi fosse quest’uomo a cui avevano intitolato una scuola, spesso ci si chiedeva se fosse stato un personaggio politico importante o un uomo di cultura. Per togliere ogni dubbio, allora, l’amministrazione civica all’inizio degli ‘50 fece apporre una lapide commemorativa che, ancora oggi, recita così: “Il sacerdote, il letterato, il poeta, fedele a Cristo e alla sua patria, conosciuto e apprezzato anche oltre i confini d’Italia". Infatti, gli scritti di Pietro Ardito sono stati tradotti anche in francese e tedesco. Ho scoperto grazie a mio zio che Ardito è una figura molto importante anche per il nostro liceo: nel 1882, dopo vent’anni d’assenza dalla sua amata terra per insegnare a Spoleto, Pietro Ardito tornò a Nicastro per dirigere il ginnasio; in quegli anni c’erano pochissimi studenti, solo le tre classi del ginnasio inferiore. Ardito non riuscì ad assistere alla ripresa del liceo, che verso la fine del 1800 si popolò di studenti che provenivano anche da centri lontani, come Napoli e Bologna, a causa della sua morte prematura nel 1889. Pian piano la figura di Ardito riconquistò la fama che lui aveva avuto in vita: non era più conosciuto solamente come “un sacerdote patriota di spiriti liberali come lo avevano brevemente definito quando gli era stata intitolata la scuola, ma la storia della sua vita e delle sue azioni tornò in circolo, il suo prestigio aumentò ritornò finalmente ad essere ricordato. Per assicurarsi che il suo nome non morisse di nuovo, è stato persino eretto un monumento in suo onore, di fronte alla nuova sede della scuola media: la scuola “Pietro Ardito” che vediamo oggi, fu costruita a metà tra gli anni 60 e gli anni 70 del 1900. Negli anni ‘80 del 1900 sono iniziati i lavori per un fantastico progetto, di cui possiamo ammirare solo una piccola parte, perché non è mai stato portato a termine. Come possiamo notare, il punto in cui è stato eretto l’arco in onore di Pietro Ardito è l’inizio del lungo viale dove troviamo gran parte delle scuole secondarie di secondo grado di Lamezia Terme, tra cui il nostro liceo, il liceo scientifico e l’istituto tecnico commerciale. La posizione dell’ arco non è casuale: infatti, proprio da qui avrebbe dovuto prendere avvio una strada, in cui sarebbe stata probabilmente vietata la circolazione ai mezzi a motore; si sarebbe dovuto trattare del centro della cultura di Lamezia, un luogo in cui gli studenti avrebbero potuto passeggiare liberamente. Qui si sarebbero dovuti piantare tanti aranci, posizionare tante panchine. Immagina quanto sarebbe stato bello se tu e i tuoi amici, usciti da scuola, aveste potuto sedervi su una panchina all’ombra della chioma di qualche arancio a chiacchierare della giornata o a ripassare greco. Effettivamente sarebbe stato stupendo, ma purtroppo è difficile che il progetto venga completato e per questo dobbiamo impegnarci a proteggere la piccola parte che è stata portata a termine, ovvero il piazzale in cui sorge l’arco. La struttura in metallo ricorda un tempio greco, un chiaro rimando all’età classica e alla cultura, e fu ideato negli anni ‘80 dall’architetto Natale Proto; invece, le colonne e le piastrelle intorno al monumento sono opera del professore e architetto Bruno Bagalà. Il monumento fu vandalizzato poco tempo dopo l’inaugurazione: imbrattarono ogni cosa, spaccarono le bellissime piastrelle. Non venne mai ristrutturato, ma fu solamente pulito. Ho più volte chiesto all’amministrazione cosa si potesse fare per farlo risplendere come il giorno in cui era stato presentato alla comunità Nonostante i numerosi appelli del Professore e di altre persone che avevano e hanno a cuore il monumento, la richiesta non è finora mai stata accolta. Speriamo che presto quella piazzetta risplenda come un tempo, così che tutti noi studenti possiamo godere della fresca ombra di quegli alberi e della bellezza del monumento dedicato a uno dei primi presidi della nostra scuola.

Il Progetto di Natale Proto

di Adriana Frijia

Nella sua relazione al progetto datata 3-10-1984 l’architetto Natale Proto in Cinque piccoli paragrafi essenziali e chiarissimi, scritti nello stile proprio di un uomo di cultura che sa unire la parola alla concretezza di un’immagine definisce l’UBICAZIONE, Il MONUMENTO e La CITTÀ, LA PROGETTAZIONE, I MATERIALI, L’ESECUZIONE. Così scriveva in premessa: Erigere un monumento ad un uomo del passato equivale ad imporre nel tempo una figura i cui connotati, ritenuti oggi validi, vengono affermati nella storia. La commemorazione riferita ad un personaggio che operò nella città e che di essa è segno culturale deve risultare risonante per mezzo di un’architettura anomala rispetto al contesto, di facile lettura e di ricca evocazione. Quindi l’architetto delinea i connotati del personaggio storico nella forma architettonica. L’Umanista attraverso un’immagine immediata di classicità: l’arco, il fregio, il timpano, il podio gradonato, la stele votiva. Il Docente attraverso un ampio portale spalancato alla cultura, una aperta strada verso l’antico. Il Meridionalista attraverso un segno di gloria in un giardino di aranci. L’Idealista da una base solida, una leggera struttura disegnata nel cielo e infine una trave di pietra con il suo nome. Il monumento si conforma con materiali moderni, che possano quindi rappresentare la scelta odierna, e materiali antichi, che riprendono l’aspetto storico. L’arco in acciaio, il podio gradonato e l’architrave in travertino, la fascia stradale in porfido, la stele in cemento armato e l’effigie in gres smaltato

Bozzetto e Monumento dell'architetto Natale Proto

PILLOLE DI CLASSICI

“De Gustibus”

di Elena Barberio, con il contributo di Martina De Sandro e Valentina Talarico

Vi siete mai chiesti quali sapori deliziassero il palato di un uomo greco dell’età periclea o di un uomo romano nel periodo augusteo? Io l’ho fatto e ho deciso di vivere un’esperienza culinaria fuori dal tempo. Immergendomi nella tipica routine di un uomo greco, ho gustato la varie pietanze costituite fondamentalmente da pesce, cereali e legumi, tutti prodotti mediterranei vicini alla nostra cultura gastronomica. Appena sveglia ho mangiato la tipica focaccia di farina d’orzo impastata con olio e vino, poi ho assaggiato un cibo dolciastro a base di miele, latte e farina di grano, il τηγανίτης (un lontano parente della nostra frittella). Dal momento che la colazione è stata parecchio abbondante, a mezzogiorno ho optato per un pranzo leggero: zuppa con cavolo, cipolle, lenticchie e altri legumi. A cena, in greco δεĩπνον, ho assaggiato una caratteristica portata spartana: il μέλας ζωμός, una brodaglia nera simile ad una zuppa, preparata con carne e sangue di maiale, aceto e sale. Oggi il sangue di maiale è usato in cucina per il “sanguinaccio”, una crema in cui viene mescolato a zucchero, cacao e vino. Plutarco, nella Vita di Licurgo, racconta che un re del Ponto, incuriosito, incaricò un cuoco spartano di cucinargli il brodo nero ma, una volta che ebbe assaggiato quell’intruglio, lo trovò rivoltante. A quel punto il cuoco ribatté che per apprezzare il μέλας ζωμός era necessario allenarsi come uno spartano e fare un bagno nel fiume Eurota, lasciando capire che solo a chi era nato a Sparta poteva davvero piacere. Come accompagnamento ho scelto pane cotto sotto la cenere e avvolto in foglie di fico con un po’ di formaggio. Alla cena segue il συμπόσιον, tuttavia, in quanto donna, non ho potuto parteciparvi. Questo non è un problema, perché il mio amico Alceo me ne ha parlato. Si tratta di un banchetto durante il quale gli invitati sorseggiano vino, mangiano frutta secca come stuzzichino e, soprattutto, conversano di diversi argomenti tra canti e danze. Molto importante è mantenere un certo decoro, infatti è compito del simposiarca misurare la quantità di vino e di acqua che vengono miscelate nel κρατήρ (“cratere”). In uno dei suoi componimenti (fr. 33 Gentili), Anacreonte mette in evidenza l’aspetto equilibrato del simposio greco, contrapponendolo al modo barbaro di bere del popolo degli Sciti. Dopo aver gustato i piatti dell’antica Grecia, ho voluto fare prova della dieta romana del I secolo, meno semplice e più ricca rispetto a quella dell’età monarchica. Al mattino devo ammettere di aver trovato faticoso svegliarmi non avendo potuto prendere il mio consueto caffè, già scoperto in Etiopia ma non diffuso nella Roma del tempo. Allora ho consumato lo ientaculum, ossia la colazione, composta da latte, formaggio, frutta secca e olive. Per il prandium invece ho provato il garum: una salsa di interiora di pesce marinate e lasciate fermentare che gli antichi Romani erano soliti utilizzare come condimento per svariati piatti. Ce ne parla Apicio nel De re coquinaria (una raccolta di ricette della cucina romana) in cui definisce il garum insaporitore di almeno venti diversi piatti, come la carne o il pesce, ma anche la frutta e la verdura (altro che l’aceto balsamico o la maionese!). Abbiamo informazioni più dettagliate grazie a Plinio il Vecchio che, nel XXXI libro della Naturalis Historia, parla del garum come di un liquido pregiato, specialmente se derivato dagli sgombri (garum sociorum). Tale condimento, per i nostri gusti nauseabondo, era costosissimo, ma aveva come ‘effetto indesiderato’ quello di lasciare in chi lo gustava un alito a dir poco pestilenziale. Marziale, in uno dei suoi Epigrammi (XI, 27) definisce ferreus l’amico Flacco, che è capace di resistere all’odore emanato da una ragazza che ha bevuto sei ciati di garum. Anche questa ‘leccornia’, che sembra così lontana da noi, ha lasciato qualche traccia di sé, basti pensare

alla colatura di alici di Cetara, una salsa liquida campana preparata facendo macerare le alici in un composto di acqua e sale. Seguendo la tradizione romana, alle tre del pomeriggio ho assaporato la cena, detta anche secundae mensae, caratterizzata da diverse portate (di solito sette, praticamente un matrimonio). Come antipasto o gustatio ho preparato dei crostacei accompagnati da uova, olive e mulsum (vino mescolato con miele e stemperato con acqua calda). Poi, per rifarmi la bocca, ho assaporato lentamente un bicchiere di Caecubum, quel vino pregiato e gelosamente custodito nelle cantine di cui ci parla Orazio nelle Odi. Per la cena vera e propria, formata dalle portate prima, secunda e tertia cena, i Romani mettevano sulla tavola carni di animali che oggi ci lascerebbero sbalorditi: dai pavoni ai merli, dai piccioni ai ghiri, dai fagiani ai tordi… Così, per timore di trovarmi catapultata in una delle luculliane cene di Trimalchione, ho scelto qualcosa di più familiare come la carne di vitello, mangiata però con un cochlear, dunque con un cucchiaio, come solevano fare al tempo. Inoltre, i Romani usavano la mappa o il linteum (“tovagliolo”) che riempivano, prima di andar via, di cibi da portare a casa; si servivano anche del culter (“coltello”) ma non conoscevano la forchetta. Per quello che oggi definiremmo dessert ho assaporato i placentae, dolci a base di farina, miele e vino e delle palmulae (“datteri”). Visto che il vino degustato non era mai abbastanza, dopo cena i Romani stuzzicavano il palato con cibi secchi e piccanti che stimolassero la sete per bere ancora durante il convivium, il corrispettivo del simposio greco. In particolare aveva luogo la comissatio (“brindisi”) in cui un magister bibendi fissava le qualità dei vini, in quale proporzione si dovessero mescolare con acqua e quando si dovesse bere. Ormai sazia fisicamente, ma soprattutto mentalmente, giunta al termine di una giornata così particolare, non mi resta che abbandonarmi tra le braccia di Morfeo. Ora tocca a voi: viaggiate nel tempo grazie alla cucina!

POESIA E MUSICA

“Il tango struggente di A. Piazzolla e I. Sarajlic”

di Francesco Maione e Savina Scaramuzzino

A cent’anni dalla nascita di Astor Piazzolla, avvenuta a Mar del Plata l’11 marzo del 1921, la sua musica rappresenta un importante spartiacque nel panorama musicale del Novecento, un punto d’incontro tra avanguardia e tradizione. Nato in Argentina da genitori italiani, Assunta Manotti, di Massa Sassorosso, un paesino toscano, e Vicente (soprannominato Nonino) di Trani, cresce a New York dove il padre faceva il barbiere nell’East Side di Manhattan e il fabbricante di whisky clandestino. Grazie a quest’ultimo che, appassionato di tango, gli regala un bandoneon usato, si avvicina alla musica fin dalla tenera età, dapprima sbirciando gli show dalla porta del Cotton Club, poi seguendo le lezioni di Bela Wilda e Nadia Boulanger. Le influenze della musica classica (ammirava in particolare Bach e Brahms) e del jazz newyorchese degli anni Trenta, dominato da Duke Ellington e dal blues di George Gershwin, saranno alla base delle sue geniali contaminazioni. Ritenendo che il tango fosse ormai un genere che aveva esaurito la sua espressività e il cui scopo era solo quello di far ballare la gente, lo rinnova, rendendolo una musica da ascoltare in teatro, depurandolo dalle scorie popolari delle origini. Nasce così il Nuevo Tango, che sconvolse i canoni del genere tradizionale, un tango d’ascolto e non più solo una musica da ballo, una rivoluzione frutto di commistioni musicali diversissime, tra cui anche i canti yiddish della musica tradizionale ebraica. La base ritmica è sempre quella della milonga, antenata del tango, ma l’introduzione nell’organico del basso elettrico, della chitarra elettrica, della batteria e dell’organo Hammond, il rallentamento del ritmo, l’accentuazione dell’espressività della melodia, l’uso di dissonanze e cromatismi e l’eliminazione del ballo rivoluzionano il genere, facendo storcere il naso ai puristi del tango argentino. Piazzolla riceverà molte critiche da parte dei conservatori che lo definiranno “l’assassino del tango”, non comprendendo l’evoluzione musicale che il compositore italo-argentino stava operando. Piazzolla vive il suo periodo di maggiore ispirazione proprio in Italia, dove conosce Mina, Milva e molti musicisti jazz, tra cui Tullio De Piscopo e Pino Presti. Qui, nel 1974, nasce un pezzo divenuto leggendario, il Libertango, vincitore del Grammy Award nel 1998, da cui emerge a pieno questa nuova idea musicale. Seguiranno brani altrettanto famosi, come Oblivion, Milonga Del Angel, Adiòs Nonino ed Otoño Porteño. Composizioni struggenti, intrise di quella malinconia già forte nel tango perché legata alla storia dell’emigrazione e alla nostalgia della patria lontana (non a caso i maggiori compositori di tango sono figli di italiani; pensiamo ad Anibal Trolio, Juan D’Arienzo, Francisco De Caro). Con Astor Piazzolla il tango è sublimato; spogliato del folklore, da musica di strada si fa musica di teatro, superando le frontiere dell’Argentina per entrare a tutti gli effetti nel panorama della musica colta. E proprio sulle note di un tango sono costruiti i bellissimi versi del poeta bosniaco Izet Sarajlic (Doboj,1930 –Sarajevo, 2002). “Ultimo tango a Sarajevo” nasce durante l’assedio di Sarajevo (1992-1995), mentre i palazzi della città sono sventrati, mentre bambini, giovani e vecchi muoiono nei campi di detenzione e donne vengono incessantemente abusate e violentate. È una guerra che prima di logorare il territorio, deteriora e scartavetra l’animo di chi assiste all’orrore e tenta di sopravvivere. Sarajlic, pur potendo fuggire, decise di restare accanto alla sua gente, di raccogliere le loro urla di disperazione, di “cantare” il fragore delle bombe e l’eccidio che si stava consumando sotto i suoi occhi. Dalla poesia emerge l’ardente desiderio di creare spazi e occasioni di vita “normale” in un contesto che non conosce più la normalità in quanto distrutto e sopraffatto dalla guerra. È evidente lo spirito di resilienza di un popolo che tenta di ritagliarsi momenti di svago e di spensieratezza, alimentando la speranza di un domani. Il poeta si ritrova allo Sloga, il locale da ballo più famoso di Sarajevo, con la compagna di una vita, la cui bellezza, nonostante sia illanguidita dagli anni, ai suoi occhi resta immutata. I suoi pantaloni sono un po’ logori, come la gonna di lei, ma l’aspetto esteriore è nulla in confronto al dono della vita. L’importante è esserci, è cingere la schiena della propria dama e ballare al suono di un magnifico tango, riassaporando per un attimo la vita. È una precarietà confortante la loro, un legame fatto di complicità, che resiste agli anni e non si lascia piegare dalla guerra. L’idea di poter morire sotto i bombardamenti è alleviata dalla certezza di un sentimento così forte. La musica si fa pianto emozionale e grido di libertà laddove tutto è macerie e devastazione. Un particolare ricordo, infine, merita il generale Jovan Divjak, morto lo scorso 13 aprile: Comandante dell’Armata della Repubblica di Bosnia-Erzegovina, nonostante le sue origini serbe, ha combattuto dalla parte di Sarajevo, schierandosi contro gli aggressori e in favore degli assediati. Un uomo giusto e un eroe di guerra, il quale, una volta dismesse le armi, ha fondato un’associazione con la quale è riuscito a dare un futuro a molti bambini orfani del genocidio bosniaco. Nei versi, il generale, lasciato il fronte in un momento di pausa dai combattimenti, scrollatasi di dosso quella sensazione di alienante provvisorietà di chi è ogni giorno faccia a faccia con la morte, si lascia andare alla musica e alle note avvolgenti di quello che avrebbe potuto essere, anche per lui, l’ultimo tango.

DEDICATO A...

“Pietro Ardito - Continuo rimando ad infinito!”

di Mariangela Pia Isgrò e Marco Bilotti

Proseguiamo il nostro viaggio tra le figure che hanno rappresentato (e continuano a rappresentare) l’identità della nostra Città, nel solco della bellezza della “parola incarnata”, disvelata anche dall’arte che si fa poesia e prosa. Rievocare Pietro Ardito (1833-1889) in continuità ideologica con Natale Proto (1948-2004) che con il suo monumento ha inteso preservarne la memoria, significa sforzarsi di cogliere nella grandezza di un Uomo che fu intanto uomo di Dio, quei tratti veri e vivificanti che, anche a distanza di secoli, continuano ad imporsi visivamente nell’arte e risuonano nell’animo del fruitore.

UMANITÀ

Pietro Ardito nasce a S. Teodoro, il più antico rione di Nicastro alle pendici del Castello, secondogenito di cinque figli; subita prematuramente la perdita del padre: «Ti vidi appena! Ché presto rapito / T’ebbe al povero figlio un fato rio», cresce in amore e saggezza, nutrito dalla «povera madre» coadiuvata dallo zio materno, don Michele Torcasio, canonico. È in questo borgo antico, in questa famiglia, che il giovane Pietro prova sulla sua carne, per la prima volta, sentimenti di tristezza («Primo ricordo mi fu il dolore. / Rinasce l’anno ma invecchia il core!») mista a vibrante circolarità d’amore… «Lieto il mattino, mesto la sera / Io vidi il fato mutarmi parte». Ma la sua orfanezza (termine tanto caro a papa Francesco), in lui non diviene alienante disperazione, invidia, ferocia, al contrario, si sublima nell’a-mor e nell’amore fraterno. Se non c’è più un padre in terra - ci ricorda l’Ardito nella splendida lirica L’orfanello - c’è comunque Dio Padre celeste, intermediato dalla Madre, che attrae tutti i suoi figli in un afflato di fratellanza: «Mesto ricordo! Quinci un fratello / io sempre scorsi nell’orfanello!» Nei versi dell’Ardito “risuona” quel triste momento/ segno di speranza per l’Umanità intera: l’offerta e il gesto di affidamento di Cristo sulla croce (Gv 19, 25-27). Analogamente nella lirica Ai miei versi, la singolarità dell’Amato, la cui voce si conosce e si segue (Gv 10, 4-5), conferma la familiarità, l’amore che va oltre la morte; il tutto declinato al femminile… «Di lei chiedete, chè alla favella. / Saprà conoscermi la mia sorella. / Teresa ha nome, modesta e buona, / Ha dolci gli atti gentile il core».

IDEALITÀ

Il giovane Ardito frequenta il Seminario vescovile di Nicastro: precocemente studente, insegnante (1854-1860), sacerdote (1857) e direttore (1859-1860). In questa feconda «nostra casa di educazione» (dallo stesso definita «cosa piuttosto unica, che rara») pur nella più ferrea disciplina, si «ispiravano gli animi a sentimenti d’indipendenza e di avversione la più spinta contro ogni sorta d’ipocrisia e di delazione». All’unisono, quasi “canto ad una voce sola”, si muove con i compagni: Francesco Fiorentino, Antonio Paola, Carlo Maria Tallarigo e altri spiriti vigorosi ed insigni di cui la nostra terra si fregia. In particolare, nasce il legame di forte amicizia con Francesco Fiorentino (1834-1884), filosofo sambiasino cui verrà poi dedicata, grazie allo stesso Ardito direttore del Ginnasio “pareggiato” nel 1888, la nostra Scuola. Vivo è il ricordo del suo «infaticabile compagno di studii nel Seminario di Nicastro, ove si fu uniti per due anni» e con cui si divertiva a drammatizzare «interi canti di Dante» oltre che a trascrivere nottetempo poesie del Leopardi, del Berchet e del Giusti. Pertanto, evidenziamo l’affinità elettiva intercorsa tra i cultori nostrani del Sommo Fiorentino (di cui peraltro quest’anno ricorre l’anniversario della morte), motivata anche dalla considerazione protopatriota del Poeta trecentista. Gli stessi valori, gli stessi ideali, abitano questi vivaci ingegni giovanili che, durante i moti del 1860, di fronte “al grido di libertà” lasciano i banchi di scuola unendosi ai garibaldini al seguito di patriottici precettori, per

poi ritornare, consci del proprio dovere, agli studi e alle occupazioni quotidiane. «E, tutti unisca in alleanza vera, una legge, una fede, una bandiera». E quando poi, il Seminario verrà chiuso per motivazioni d’ordine politico, l’Ardito si trasferirà a Spoleto (1861), così come i suoi migliori amici intellettuali, e sarà impegnato nell’insegnamento, nella direzione del Ginnasio (dal 1873) nonché nella produzione della maggior parte delle sue opere: saggi di critica letteraria, antologie, manuali ad uso scolastico, raccolta di liriche… Manterrà «la fede in una chiesa profondamente cristiana, umana, aperta al nuovo» e sosterrà sempre il suo cattolicesimo liberale conforme agli insegnamenti di Gesù Cristo che «inculcando ai suoi discepoli l’insegnamento della fede non donò loro né mannaia, né roghi, né torture per farla promulgare e diffondere fra le genti, ma la sola arma della parola per rendere ragionevole l’ossequio».

CULTURA

Dal saggio Artista e critico (forse la sua opera più significativa che gli valse la cattedra in Lingua e letteratura Italiana all’Università di Napoli nonché l’inserimento fra i più grandi del tempo) fino alle epistole private, si scopre, poi, un mondo straordinario, dove la memoria si fa un tutt’uno con la bellezza dell’antichità: «Oh tempi, davvero avvolti in sonni eterni! Che instancabile pazienza di studio; quanti appunti presi; che ardore infinito d’imparare e quante lotte per riuscirvi! (…) si scriveva: retorica, letteratura, filosofia, formulando da noi la sera una lezione, che poi si ripeteva la mattina a scuola, con un po’ d’orgoglietto, contenti d’averci lavorato sopra; e giù esempi a iosa, tratti dalla lettura dei classici, de’quali s’erano fatti spogli e zibaldoni (…) ». Pensieri come quelli dell’Ardito motivano la necessità degli studia humanitatis e la valorizzazione dei luoghi della cultura come luoghi “vivi” ove crescere insieme con un approccio proattivo, volto a prevenire situazioni di disagio, e attento alla formazione dell’Uomo nella sua completezza; urgeva ed urge la Scuola come comunità educante per «giovani più aitanti della persona, più innamorati del sapere, più baldi di libertà». Lo stesso Ardito, fine pedagogista e precursore di metodologie attente alla centralità dell’allievo, sostiene l’efficacia del metodo del «dottissimo Vicario» Crecca «Non la rigida stecchita lezione che si circoscrive in un punto; ma [quella che] facendosi largo all’interno apriva la mente a mille considerazioni (…)» Da qui «il mutuo insegnamento tra i giovani dei quali i più provetti istruivano i meno, e che riuscì la più efficace forza della coltura di quei tempi». Non a caso l’arch. Natale Proto, nell’omaggiare Pietro Ardito, sceglie di sottolinearne il ruolo di docente e di padre fondatore del Ginnasio con un portale: sacra e metaforica “porta della

sapienza” in equilibrio compositivo fra varie epoche e generi; “porta aperta” come invito all’azione, al coraggio di oltrepassarla, ma, soprattutto, da interpretare alla luce della parola che è verità.

AMORE PER LA PROPRIA TERRA

Rientrato definitivamente a Nicastro nel 1882, a seguito della morte della sorella Teresa, sceglie di restare accanto all’anziana madre e di dedicarsi alla direzione del Ginnasio, all’insegnamento delle lettere, all’attività pastorale in S. Teodoro e alla creazione di nuove opere. Tratto distintivo di questo multiforme spirito è l’umiltà, nel senso etimologico da humus, e autenticità. Già nella dedica alle Spigolature storiche sulla città di Nicastro (opera alla quale lavorerà fino alla morte), rivela la profondità di un rapporto con il «natio loco» radicato nei primi anni di vita. Il desiderio è di «portare un contributo di documenti alla storia» per superare controversie locali non ancora sopite.

«A me preme la fredda e nuda verità storica, e quel sincero amore della città, per cui rincresce qual si vuol farla scendere più basso di quel che sia stata». I suoi insegnamenti e ideali, ancora oggi, possano essere un richiamo all’accuratezza, al rispetto, alla verità, come lezione di educazione sentimentale, per una rinascita spirituale e civile della nostra Città, dell’Italia e della Umanità tutta.

Gruppo Arte-ficio Progetto grafico

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