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Come ridurre il gender pay gap?

Scopriamo la nuova legge, in vigore dallo scorso ottobre

A introdurre un divieto legale alla discriminazione ed eliminare gli ostacoli che impediscono la realizzazione delle pari opportunità è il cosiddetto Codice delle pari opportunità, che fissa un principio fondamentale: l’impegno da parte dello Stato di “superare condizioni, organizzazione e distribuzione e del lavoro" che provocano discriminazione nella formazione, nell’avanzamento professionale e di carriera, ovvero nel trattamento economico e retributivo. Nello specifico è l’art. 46 del Codice che dispone l’obbligo per aziende pubbliche e private che occupano oltre 50 dipendenti di redigere un rapporto almeno biennale sulla situazione della retribuzione del personale effettivamente corrisposta. Secondo una ricerca dell'Harvard Business Review (il primo studio empirico sull'impatto della trasparenza salariale obbligatoria ndr.) conferma che la comunicazione delle disparità retributive di genere contribuisce di fatto a ridurre il divario retributivo.

Un altro importante traguardo sulla strada dell’equità è stato raggiunto lo scorso ottobre, quando è passata, con voto unanime alla Camera e al Senato, la Legge sulla parità salariale e di opportunità sul luogo di lavoro.

Oggi in Italia il gap salariale di genere assume comunque varie forme e dimensioni, a seconda del settore e della posizione geografica. Un uomo, ad esempio, può arrivare a guadagnare fino al 20% in più rispetto a una donna, a parità di salario e ore lavorate. La situazione per le lavoratrici è migliore nel settore pubblico rispetto al privato, e peggiora con l’aumentare del livello di posizione e con le dimensioni dell’azienda.

Vista la complessità del contesto, la legge recentemente approvata agisce anche sul piano della trasparenza, organizzando una sistematica raccolta dei dati sulla situazione lavorativa delle donne e sulla messa a disposizione delle informazioni. Con questa legge, infatti, il Rapporto della parità di genere entra pienamente in funzione, diventando obbligatorio per le aziende sopra i 50 dipendenti e volontario per le più piccole. Sarà pubblicato l’elenco delle imprese che lo redigono o meno, diventando a tutti gli effetti anche una questione di reputazione, non solo nei confronti delle donne, dirette interessate, ma anche nei confronti delle aziende clienti, che possono consultate l’elenco per sapere con che aziende hanno a che fare.

Nella nuova legge, inoltre, è stata estesa la definizione di discriminazione di genere sul posto di lavoro. In particolare si fa riferimento ai comportamenti che creano posizioni di svantaggio rispetto ad altri lavoratori, che limitano le opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali, o che limitano l’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione della carriera. Il rapporto sul personale stilato dalle aziende prenderà in considerazione salari, organizzazione, opportunità di carriera, criteri di assunzione, inclusività e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Questo documento andrà trasmesso alle Consigliere di parità, Rappresentanze sindacali, Ispettorato del lavoro e Ministero del lavoro. Per dichiarazioni mendaci o mancanti è prevista la revoca di sgravi fiscali e sanzioni da 1.000 a 5.000 euro.

Come dicevamo, nonostante la recente legge, in Italia la situazione varia molto in base al settore dell’azienda e alla sua collocazione geografica. L’Emilia Romagna ad esempio, secondo un’indagine Ue, è prima in Italia per la condizione delle donne. È nella nostra Regione, infatti, che le donne possono contare su migliori opportunità di vita e lavoro. La ricerca dell'Unione europea analizza la condizione femminile in base a sette indicatori: lavoro e denaro, conoscenza, tempo, potere, salute, sicurezza, qualità della vita. Essa è stata realizzata combinando due indici, quello di successo e quello di svantaggio femminile, la mappa elaborata dall'Osservatorio sull'uguaglianza di genere della Commissione Ue assegna all'Emilia-Romagna un punteggio complessivo pari a 51, collocandola al vertice della classifica nazionale, seguita da Lombardia e Provincia autonoma di Bolzano, entrambe con 50. Questo però non ci deve indurre ad abbassare la guardia; l’indagine infatti è stata condotta in 235 regioni ed evidenza le maggiori difficoltà per le donne in alcuni territori della Grecia o della Romania dove si arriva intorno ai 30 punti. C’è anche un lato opposto della classifica, però, dove si colloca la regione finlandese di Helsinki-Uusimaa a cui sono stati assegnati ben 79 punti, molto lontani dai nostri 51 e che ci fa capite come ci sia ancora tanto lavoro da fare.

Il vero cambiamento, infatti, deve avvenire cambiando la cultura del nostro paese, eliminando il pregiudizio che mette le donne sempre in secondo piano a causa dei loro impegni familiari e azzerando le disparità geografiche o di settore.