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Epidemia da Coronavirus Chiamata alle armi
Epidemia da Coronavirus Chiamata alle armi
Lo “slancio di generosità” dei medici durante l’epidemia da Covid-19, non supportato dalle doverose tutele, è stato pagato a caro prezzo dalla categoria. L’esperienza della Cina avrebbe dovuto costituire un allarme, che invece è stato sottovalutato. Ora speriamo che la gratitudine nei riguardi della nostra classe professionale resti custodita nella memoria di tutti.
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di Franco Lavalle Vice-Presidente OMCeO di Bari
Come in una guerra, anche nel corso dell’emergenza Covid 19 il medico è sempre pronto a garantire, con tenacia ed efficacia, la propria opera di assistenza nei confronti di tutti coloro che ne abbiano necessità, senza tracciare alcuna distinzione tra “pazienti infetti” o “non infetti”, ma solo fornendo il proprio massimo contributo per salvare vite umane. Tuttavia, questo “slancio di generosità” non supportato dalle opportune (rectius: indispensabili) garanzie, lo stiamo pagando, noi tutti, ogni giorno, a caro prezzo: tanti, troppi i colleghi che, anche se privi dei DPI necessari, hanno rispettato con estrema fedeltà il Giuramento di Ippocrate che, come è noto, impone a noi medici, di prestare aiuto a chi purtroppo fa i conti con la sofferenza: “dare significa essere” ed il medico dà se stesso perché è Medico. Se è vero l’assunto secondo il quale la vita di ogni essere umano è sacra, lo è a fortiori quella del medico che, per converso, è stata oggetto di sacrificio a causa della miopia e della scarsa attenzione da parte di chi non ha saputo garantire la disponibilità per tutti gli operatori sanitari di idonei e sufficienti DPI. Ebbene, ritengo di non essere una persona che “le manda a dire”, pertanto vorrei essere ben chiaro nel presentare a tutti voi il mio pensiero: sono fortemente e convintamente contrariato per quanto si è venuto a verificare. Mi spiego: l’esperienza della Cina doveva costituire un allarme per tutti e non doveva, con tutta evidenza, autorizzare qualcuno a pensare che la tragedia che si stava in quel momento consumando potesse rimanere confinata in quello Stato; ritengo inoltre che convincersi che potesse essere sufficiente fermare i voli diretti “da e per” la Cina al fine di arrestare il contagio, omettendo di scrutinare che in un mondo globalizzato, il movimento e l’incontro costituiscono i fondamentali della attuale società, non poteva chiaramente essere sufficiente ad arrestare la diffusione della malattia. Un dato tra i tanti è certo. Il virus è arrivato – senza bussare alla porta – anche in Italia. E, stando a quanto si dice in materia, per il tramite di un soggetto proveniente dalla Germania. Ritengo, invero, che una diversa ma soprattutto maggiore attenzione alla vicenda, avrebbe potuto (rectius: dovuto) mettere in guardia chi di dovere, che si sarebbe dovuto attivare illo tempore al fine di recuperare il materiale sanitario necessario per fronteggiare il virus. Tale semplice ma lungimirante condotta avrebbe permesso di far fronte immediatamente alle iniziali necessità di protezione, favorendo, peraltro, l’acquisto della merce a prezzo di mercato calmierato.

E ancora. Rivolgendomi a coloro i quali, benché esperti in materia, hanno a più riprese e in più occasioni sostenuto che il contagio da Covid 19 fosse “poco più che una banale influenza”, e a coloro i quali effettuavano il conteggio dei soggetti infetti al principio della infezione e non al termine (come si dovrebbe fare di norma) sostenendo letteralmente che “l’influenza comune miete più vittime”, sarebbe il caso che in assenza di un mea culpa, perlomeno da adesso tacessero. Attualmente il mio Paese è in ginocchio tanto dal punto di vista sanitario quanto economico: la Nazione è ferma, inerme e sono sospese sia le libertà personali che le attività industriali, il tutto senza il necessario supporto politico-economico-strategico da parte dell’Europa, alla quale carenza si aggiungono previsioni di una ripresa lunga e dolorosa. Ma si sa: l’Italia è abitata da persone orgogliose che rialzeranno presto la testa e riprenderanno a correre con grande dignità.

Ma torniamo per un attimo alla nostra vacillante situazione sanitaria: allo stato, il numero degli operatori sanitari infettati supera le 15mila unità e quasi 110 medici hanno, ahinoi, pagato con la propria vita il loro impegno nell’emergenza. Preciso al riguardo che sono particolarmente amareggiato e addolorato per la morte di un amico, il dottor Roberto Stella, presidente dell’Ordine dei Medici di Varese, con il quale ho spesso collaborato per attività istituzionali e del quale mai potrò dimenticare la disponibilità, generosità ed eleganza nel pensiero. Un medico di medicina generale la cui priorità erano i pazienti e l’ambulatorio, che pare essere stato contagiato in seguito ad un incontro con i medici dell’ospedale di Varese nel bel mezzo della epidemia lombarda. Allo stesso modo sono addolorato per la morte di tutti gli altri colleghi ed operatori sanitari che, con la loro scomparsa, hanno non di rado lasciato famiglie, spesso con figli in tenera età i quali non potranno più ricevere una carezza, un abbraccio, un bacio da parte del proprio genitore. In altri termini, quella che siamo chiamati ad affrontare è una tragedia immane. Un pensiero non può non andare anche alle tante persone (molti anziani) che sono state portate via dalla malattia. Per tutti chiedo una commossa preghiera e lo faccio convintamente, perché è stato doloroso vedere le tantissime bare di persone che si sono accomiatate dalla vita da sole, senza nessun familiare vicino. Una orrenda morte in solitudine. La nostra vita cambierà, sta già cambiando. La grande forza fisica, psicologica e morale dimostrata dai tanti colleghi nell’affrontare questa emergenza non può che essere la chiave di lettura per comprendere il fondamento del nostro impegno professionale. Concludo auspicando che la gratitudine che in molti stanno esprimendo nei riguardi della nostra classe professionale resti custodita nella memoria di tutti: noi medici non siamo eroi ora e non eravamo neppure delinquenti quando, fino a poco tempo fa, venivamo perseguiti a piè sospinto. Siamo semplici persone che salvaguardando i principi etici della professione, cercano di onorare al meglio il loro Giuramento, operando per il bene di tutte le vite umane.