Sono ricercatore in sociologia al Ministero Francese della Cultura e lavoro su tematiche estremamente varie, incluso il circo, che ho scoperto nel ‘91 realizzando uno studio sulla frequentazione e l’immagine del circo nella popolazione francese. Avevo fatto già molto teatro di strada quando ero giovane, quindi non sono partito proprio da zero nel circo. Ma mi sono presto innamorato di questo ambiente e ho iniziato a scrivere degli articoli, prima di stampo sociologico, poi anche di critica estetica. Sono diventato professore di analisi critica e di estetica del circo nelle scuole superiori di circo francesi (Rosny e CNAC). Proprio al CNAC ho conosciuto due studenti con un progetto di spettacolo che mi interessava molto. Li ho aiutati a formularlo ed elaborarlo, e insieme abbiamo finito per fondare una compagnia, ritrovandomi nel ruolo di autore e regista. Attualmente continuo a occuparmi di creazione, insegnamento, ricerca sociologica. E dalla necessità dell’insegnamento e di un’attenta analisi globale dell’ambiente e della politica del circo, ho sentito l’esigenza di costruire dei mezzi per il lavoro con gli studenti e per una sensibilizzazione del grande pubbl ico, come il dvd sull’estetica del circo contemporaneo. Da due anni ho infine inventato un nuovo format, che chiamo ‘Circonférences’; si tratta di conferenze-spettacolo che concepisco e metto in scena in partenariato con un artista di ogni disciplina: una ‘circonferenza’ sulla giocoleria, una sul palo cinese, una sul filo, etc. e anche questo è un mezzo per spingere l’analisi su ogni disciplina e al contempo raggiungere un grande pubblico.
CIRCONFÉRENCES
Non credo alla immediatezza dell’opera d’arte. È un ideale utopico degli artisti quello di avere degli spettatori non informati, ingenui e allo stesso tempo totalmente ricettivi. La verità è che ci troviamo in un mondo in cui la mediaziofoto di Simone Mondino e Andrea Macchia ne culturale ha un ruolo prioritario, perché uno di Jean Michel Guy spettatore non andrà a vedere un’opera d’arte senza avere fatto prima un percorso informativo in cui legge la brochure, decide se lo spettacolo è accessibile, se ci può portare i bambini, etc. La mediazione è al primo posto, e lo sguardo di uno spettatore sull’opera d’arte è già mediato ancora prima di scoprire l’opera. La mediazione è potente e inevitabile, e la responsabilità dei mediatori è enorme. Hanno il potere di indicare “questo è circo” oppure “questo non lo è”. “questa è arte”, “questa non lo è”. A volte sono fedeli alla concezione dell’arte e del circo degli artisti, altre volte vogliono più affascinare, ammaliare il pubblico. Tuttavia, anche se sono potenti, non esisterebbero se non ci fosse l’opera d’arte. Ritengo che la loro prima missione sia quella di fare capire, di tradurre il pensiero dell’artista. Gli artisti molto spesso prendono in giro il modo in cui vengono classificati, o meglio, detestano le classificazioni. Spesso dicono che non sanno se quello che fanno è circo o non è circo, perchè gli artisti non pensano in termini di categorie, ma in termini di emozioni, di effetti estetici che vogliono produrre, o del rapporto che vogliono istituire col pubblico (empatia, simpatia, forte vicinanza oppure inquietudine, estraniamento, destabilizzazione, interrogarsi). È vero comunque che hanno delle opinioni sull’arte, sul circo, su cos’è, e sanno quello ci cui parlano. Quasi tutti gli artisti di circo hanno fatto una scuola di circo, conoscono la storia e la pratica del circo, i suoi vincoli, lo stato della loro arte, e prendono posizione rispetto alla loro concezione del circo, anche quando si allontana dalla immagine consueta di esso. Il sociologo americano Howard Becker ha come concetto centrale quello del ‘mondo dell’arte’, ossia: l’arte è il risultato specifico di una negoziazione tra i rapporti di forza di tutte le persone coinvolte, e non solo gli artisti; é una negoziazione permanente. Purtroppo oggi l’artista non ha abbastanza potere, quindi la sua parola è o troppo deformata o troppo formata, ossia messa in un cliché e non in un quadro adeguato. Penso sia estremamente urgente dare molto di più la parola agli artisti nelle istituzioni, che ragionano usando ancora vecchie categorie. Se si ascoltassero di più gli artisti ci potrebbero essere nuove formule di aiuti, e anche nuove categorie. In tutte le arti c’è sempre un gap culturale tra le convinzioni del pubblico e la ricerca degli artisti, che necessariamente creano partendo da quello che già stato fatto prima
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