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1.1 Dinamiche affettivo-relazionali
from Cyberbullismo
by Jon Bove
1.1 DINAMICHE AFFETTIVO-RELAZIOLANI
Connesso con lo sviluppo del pensiero logico-formale vi è la maturazione degli schemi sociali e relazionali. Questa fase di raccordo tra l’infanzia e l’età adulta è contraddistinta principalmente da una ricerca sempre maggiore di identità e di autonomia. L’adolescenza, infatti, può essere definita come una condizione di confine nella quale si esaspera il conflitto tra scelta e identità: l’elemento di sofferenza è collegato all’inasprirsi di un divario tra il non sapere chi si è e la paura di perdere ciò che si potrà essere. Tale desiderio di ricerca di sè si esprime mediante la volontà di emancipazione sopratutto dalla famiglia di origine, processo che solitamente avviene attraverso una serie di comportamenti oppositivi e conflittuali. In questa età l’adolescente esprime la desiderio di collocarsi in modo originale nell’ambiente sociale. Tale processo risponde ad una particolare necessità da parte del ragazzo di ricercare la propria identità, in relazione ad una capacità del soggetto di differenziarsi rispetto all’altro, inteso come infante e sopratutto come adulto. Nel corso dell’adolescenza il sentimento dell’amicizia acquista molta importanza in quanto è attraverso la relazione con i coetanei che sia il senso di identità individuale che di gruppo si vanno a rafforzare. Sperimentando una nuova forma di appartenenza il ragazzo affina i criteri su
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cui costruire un rapporto di amicizia, in base agli interessi comuni e alla condivisione di determinate esperienze. Il gruppo diventa dunque fondamentale per l’adolescente in quanto è mediante di esso che sperimenta un senso di appartenenza e di costruzione della propria identità. Il gruppo viene definito dal sociologo Robert Menton (1910-2003) come «un insieme di individui che interagiscono secondo determinati modelli, provano sentimenti di appartenenza al gruppo, vengono considerati parte del gruppo dagli altri membri». Il bisogno di consenso da parte dei membri del gruppo però può originare conseguenze non totalmente positive: la mentalità di gruppo tende a distorcere i processi decisionali. Come sostiene Leon Festinger (1919-1989), psicologo e sociologo statunitense, l’appartenenza ad un gruppo presuppone il rispetto di regole: quando un elemento del gruppo ha opinioni o comportamenti divergenti rispetto alla maggioranza, questo manifesta la tendenza ad uniformarsi, e se ciò non avviene, ad essere escluso. Tale riflessione rimanda alla teoria dell’Impatto sociale di Bibb Latané (1937) secondo cui la pressione esercitata dall’altro può indurre il soggetto a cambiare idee e opinioni nelle più diverse circostanze; esso aumenta tanto più è grande la dimensione del gruppo di appartenenza. Ed è sopratutto all’interno delle dinamiche relazionali tra pari che l’adolescente può sviluppare un comportamento conflittuale con il fine di
affermare la propria identità e compensare mediante prepotenza il proprio scarso inserimento sociale o carenza di modelli educativi e sociali adeguati. Il gruppo rappresenta, infatti, l’ambiente sociale più appropriato per il ragazzo aggressivo il quale, attraverso la svalorizzazione dell’altro, è in grado di salvaguardare l’immagine di sè e affermare la propria superiorità tra i membri del gruppo. Il potere che il delinquente assume sottomettendo l’altro, all’interno di dinamiche relazioni complesse, lo promuove a ottenere l’importante ruolo di capobranco trovando consenso tra i propri pari. Ed è proprio attraverso questa placida approvazione nei confronti del comportamento violento che si va a rinforzare quelle tendenze comportamentali aggressive e reattive del bullo. Tuttavia l’assenso da parte dei membri nei confronti del capo gruppo non sempre è dettato da un sentimento di ammirazione, ma può essere anche determinato dalla paura di essere anch’essi soggetti ai medesimi atti violenti. E come un dittatore, il capobranco determina la propria superiorità sfruttando quell’emozione ancestrale che ha caratterizzato i periodi più bui della storia umana: la paura. In relazione a ciò è inoltre utile riferirsi a un’altro aspetto fondamentale, ovvero la visibilità che l’azione aggressiva assume all’interno del gruppo e, in secondo piano, all’estero del gruppo.
Infatti, l’atto aggressivo diviene un vero e proprio atto dimostrativo che va a rafforzare il senso di superiorità del soggetto violento. Tale dinamica assume maggiori caratteri di complessità all’interno di un mondo digitalizzato, in cui ogni azione può avere una visibilità mediatica molto vasta, andando ad ampliare il pubblico dell’azione aggressiva, il quale, con indifferenza, fornisce potere e autorità al soggetto violento.