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EDITORIALE

Roberto Albarea

Con questo numero termina la mia collaborazione a IUSVEducation, in quanto direttore scientifico della rivista. Gli articoli qui presentati sono, a mio parere, rilevanti e di diversa provenienza, così da testimoniare la tensione e il rispetto (e mi si perdoni l’inserzione personale) che mi hanno accompagnato in questi otto anni di lavoro. Si è cercato di non escludere aprioristicamente alcun autore, al di là del ruolo ricoperto: potevano essere docenti o affermati ricercatori, neolaureati o collaboratori esterni, confidando nelle risorse dell’intelligenza personale di ciascuno. Sono stato aiutato da molte persone, sia dai membri del comitato di redazione sia da collaboratori capaci, perché su di essi ho fatto affidamento. Lo ripeto: ho fatto riferimento principalmente alle persone. A tutti loro va il mio ringraziamento sincero. Per quanto riguarda il presente numero, si vedrà che alcuni scriventi sono gli stessi che hanno fornito contributi apparsi nei due numeri precedenti (Michele Marchetto e collaboratori, di cui abbiamo apprezzato l’impegno nel contributo del n. 16; Enrico Orsenigo e Marco Marcato), altri autori sono collaboratori non nuovi nel contesto della rivista (Marcella Bounus e Cristiano Chiusso). Questo per testimoniare la continuità nei percorsi di riflessione e di ricerca che ciascuno ha intrapreso. A tali affezionati collaboratori si aggiunge in questo numero Vincenza Festa, la quale presenta uno studio sulla dispersione scolastica in una zona del Napoletano complessa e frastagliata; d’altra parte la Festa lavora da anni presso il Cantiere Giovani, una ONG di Frattamaggiore che favorisce e diffonde azioni di volontariato, si occupa di politiche giovanili, di inclusione sociale e di promozione culturale, per cui il lavoro, frutto della sua tesi magistrale, si presenta come una ricerca sul campo, documentata sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista della propria esperienza personale. Gli articoli spaziano da alcune riflessioni propriamente filosofico-educative (Marchetto e coll.) ad attente esplorazioni su casi specifici (Bounous e Marcato), dall’importanza del pensiero critico e divergente (Orsenigo) a interessanti indicazioni relative ad una rinnovata configurazione del ‘fare impresa’ (Chiusso) sino alla ricerca testimoniata sul campo della citata Vincenza Festa. Il contributo di Luca Cremasco, Francesco Manfré e Denis Rossi, coordinato da Michele Marchetto, dal titolo Letture jaspersiane: Psicologia delle visioni del mondo, è l’esito di un laboratorio condotto con gli studenti del corso di laurea di Psicologia dello Iusve nell’a.a. 2019-2020. Il suo intento è di introdurre alla lettura dell’opera dello psichiatra e filosofo tedesco Karl Jaspers, Psychologie der Weltanschauungen, con l’attenzione a riflettere sia sullo statuto epistemologico della psicologia in relazione alla filosofia, sia sulle implicazioni esistenziali della pratica psicologica. In ciò l’articolo, che non vuole nè può essere esaustivo, si distingue per gli strumenti ermeneutici che offre al lettore interessato alla tematica.

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Marco Marcato sviluppa una analisi dell’Hikikomori, come manifestazione socio-psicologica e patologica, per spaziare oltre, attraverso un percorso intrecciato di riferimenti interessanti e stimolanti, fra i quali emerge l’esperienza del Monte Verità, che diede vita anche agli incontri multidisciplinari di Eranos, descritti ed analizzati dall’autore. Da parte sua Marcella Bounous offre in questo numero uno stimolante studio sperimentale che ha come focus l’autoregolazione corporea nella pratica sportiva, la quale include le dimensioni educative della consapevolezza, della disponibilità e della interpretazione di sé; dice l’Autrice: «Il nucleo portante di queste pratiche di accettazione è quello di sviluppare una capacità contemplativa rispetto ai propri stati interni: osservare, accettare senza modificare». L’articolo di Enrico Orsenigo porta a pensare e a riflettere intorno al lavoro dell’intelligenza critica e al ruolo della resistenza (o della resilienza), facendo emergere la dimensione dell’interrogativo (piuttosto che le facili risposte) rispetto alle problematiche emerse agli inizi di questo terzo decennio del XXI secolo. Il contributo di Cristiano Chiusso risulta essere un puntuale excursus sulle competenze imprenditoriali oggi necessarie: sottolineando come l’imprenditorialità sia intesa soprattutto: «come l’abilità dell’individuo di trasformare le idee in azioni; comprende competenze trasversali quali la creatività, l’innovazione e l’assunzione di rischi, la pianificazione e la progettazione per raggiungere degli obiettivi; essa non serve solo alla professione, ma alla vita di tutti i giorni» (cit.); in questo modo le Entrepreneurial Skills non sono un sinonimo delle Business Skills ma convogliano altre dimensioni che si rifanno (come si desume dalla citazione) alle General e Soft skills. Si tratta di appellarsi alla cultura e all’educazione, rivolte esse stesse ad una nuova figura di imprenditore, in un processo di Self-empowerment. Come non riferirsi a tale proposito alla lungimirante persona che fu Adriano Olivetti?1 Come si vede, sono questioni di rilevanza fondamentale che mostrano, ancora una volta, come l’attività educativa rivolta alla crescita dei giovani e delle giovani sia polivalente e come essa richieda un atteggiamento e uno sguardo di ampi orizzonti, capace di coniugare la correttezza/competenza professionale e la comprensione umana e relazionale dell’operare. Infine, per terminare, vorrei avanzare alcune considerazioni in merito a come si è affrontata (e si affronta) nel nostro Paese la lotta contro la diffusione della pandemia virale: si tratta di riflessioni che hanno a che fare con il nostro compito di educatori. Sono state le competenze scientifiche degli esperti e le responsabilità etiche assunte dai numerosissimi operatori sanitari e volontari impegnati nel sociale che hanno permesso di superare la prima fase, delicatissima, della diffusione del virus.

In tale contesto la tecnologia è stata preziosissima ma (come ho scritto nel precedente editoriale) sono state le persone che sono state capaci di gestirla. Noi tutti, infatti, assistiamo a due tempi di elaborazione. Da un lato si fa riferimento alla scienza, la quale per sua natura è cauta, deve vagliare attentamente le proprie procedure e le conclusioni cui essa arriva (la sostenibilità), tenendo presente le numerose variabili che intervengono in un dato fenomeno (la complessità); dall’altro ci sono le esigenze economiche e sociali sempre più pressanti, che chiedevano nella prima fase di fare in fretta. La buona politica ha cercato, e cerca, di mediare fra queste due modalità di tempistica, in un processo che ha posto in risalto il senso di responsabilità individuale e comunitario. Ecco, vorrei dire che questo è il compito primario dell’educazione: sviluppare l’intelligenza in tutti i suoi aspetti, con umiltà, senza troppe esaltazioni, stando in continua ricerca, e permettere a ciascuno di fare le proprie scelte responsabili, in vista del bene comune. Detto questo, non mi resta che augurare buon lavoro a tutti.