Technopolis 22

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NUMERO 22 | GIUGNO 2016

Storie di eccellenza e innovazione

VIZI E VIRTù DELLO SMART WORKING Il tema dei nuovi modelli di lavoro raccontato da Luca Failla e Francesco Rotondi, cofondatori dello studio legale LabLaw. open source

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Il ruolo delle tecnologie aperte e condivise nella trasformazione digitale: le testimonianze di Idc, Red Hat e Intel.

speciale mobilità

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I numeri dell'enterprise mobility e le strategie da seguire per guadagnare in efficienza e flessibilità, senza rischi.

obbiettivo su 3m

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Un viaggio nel futuro all'interno del nuovo centro per l'innovazione alle porte di Milano.

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LA TECNOLOGIA HA CAMBIATO LA SOCIETÀ E LE STRATEGIE DI BUSINESS INIZIANO A CAMBIARE RADICALMENTE LE AZIENDE

Oggi bisogna adattarsi velocemente alle nuove esigenze e operare in modo “connesso” a tutti i livelli. Quali sono le opportunità offerte dal mercato che bilanciano tecnologia e gestione dei processi aziendali? Il software gestionale ha, nell’ambito della mobilità, un ruolo ancora più importante perché chiamato a rispondere tempestivamente ai cambiamenti, alle necessità di connessione e alla gestione sempre più efficiente dei processi aziendali. Deve essere versatile e fruibile su piattaforme scalabili e possibilmente in cloud, rispondendo anche a nuove opportunità di smart working senza la necessità di interfacce o complesse integrazioni, nel rispetto della sicurezza dei dati. L’importanza di centralizzare non solo informazioni, ma anche regole di processo per ottenere rigorosità ed efficienza diviene ora sempre più importante per accelerare la crescita aziendale e preservarne l’agilità. L’accesso immediato, fruibile via web su qualunque device, deve avere un’interfaccia semplice, ma coerente con la tecnologia orientata inequivocabilmente al Touch e al Mobile. Poter consultare le giacenze, approvare una trattativa commerciale con una precisa marginalità o un acquisto di commessa, attivare una richiesta di intervento, navigare nella storia di un cliente, controllare l’avanzamento di una produzione o approvare un pagamento… sono solo un piccolo esempio di procedure aziendali “liberate” dalla posizione fisica dell’utente o dal device usato. Non bisogna dimenticare che l’esperienza per l’utente deve essere però omogenea, sia con accesso in modalità deskstop (ufficio) che da device IOS o Android. La user experience ha quindi un ruolo decisivo per l’abilitazione ed il governo del processo per aumentare la produttività e la collaborazione aziendale, ponendo attenzione non solo alle funzioni, ma anche alla modalità di utilizzo, integrando motori di workflow e attività event-driven. È importante capire che la soluzione non è costruire app di business dedicate o stand alone, ma poter governare centralmente informazioni e regole, sfruttando la tecnologia del cuore gestionale aziendale.

Queste esigenze, si declinano in funzione dei diversi profili: • L’utente - che richiede semplicità di navigazione tra le molteplici informazioni e la capacità di gestione di regole sempre più complesse e particolareggiate. • I CIO - che necessitano di piattaforme tecnologiche unificate, minimizzando e gestendo le integrazioni in modo semplice e tecnologico (web services), garantendo flessibilità e velocità attuativa, nel rispetto di sicurezza e scalabilità. • La direzione aziendale - che richiede velocità di reazione ai cambiamenti del business, con attenzione alla redditività globale ed alle informazioni utili alle decisioni. Siamo quindi in una nuova era, dove è importante eliminare le barriere alla comunicazione, avere un approccio semplice ma omogeneo per allargare la partecipazione e la collaborazione, con l’obiettivo di catturare il valore della condivisione e la capacità di adattarsi ai cambiamenti con velocità e rigore. Le imprese industriali potranno così sfruttare una nuova capacità competitiva, grazie alla possibilità di interconnettere e far cooperare le proprie risorse che operano in sede o in mobilità.


SOMMARIO Storie di eccellenza e innovazione

N° 22 - GIUGNO 2016 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012. Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Carlo Fontana, Paolo Galvani, Andrea Keller, Anna Nocella, Fabio Rizzotto, Claudia Rossi Progetto grafico: Inventium Srl Foto e illustrazioni: Dollar Photo Club, Istockphoto, Adobe Stock images, Martina Santimone

4 storie di copertina

La nuova frontiera del lavoro flessibile

9 IN EVIDENZA

Digital index: l’italia non s’è desta

Viaggia on premise e in cloud il treno delle applicazioni

Cyber risk: aziende al bivio

L’opinione: i pagamenti digitali? Un’opportunità reale

16 SCENARI

Digital Transformation: la rotta verso il 2020

I nuovi data center che spingono il cambiamento

Trasformarsi è più facile con l’open source

Sale macchine agili e software-defined

Architetture it sempre più virtuose

24 speciale Enterprise mobility

La mobilità di ogni cosa

L’importanza della consumer experience

Un percorso ancora incompiuto

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Correggio, 48 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.it Stampa: RDS Webprinting - Arcore © Copyright 2016 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati.

32 ECCELLENZE.IT Gruppo Sapio - Fortinet Rilievi - Ovh

Ipso Facto Synergy - Canon

Casa di Cura Dott. Pederzoli - NetApp

36 italia digitale Il nuovo piano per l’Agenda

L’innovazione possibile che parte dal basso

Alla scoperta della Net Valley sarda

42 OBBIETTIVO SU 3M

Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

47 VETRINA HI-TECh

Pubblicazione ceduta gratuitamente.

L’archiviazione ormai è senza confini


STORIA DI COPERTINA | LabLaw Perpiciatis

LA NUOVA FRONTIERA DEL LAVORO flessibile Gli strumenti digitali abilitano nuovi modelli di relazione fra azienda e dipendente. L’innovazione a livello normativo c’è stata, ora tocca agli Hr manager. Che per il momento si dimostrano poco ricettivi al cambiamento.

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”I

l modello fordista, con i suoi luoghi e i suoi orari rigidamente strutturati, è obsoleto ed è stato rottamato. Siamo di fronte, e da tempo, a una grande transizione che parte dagli anni Settanta: oggi l’organizzazione del lavoro non è più, e non può più essere, quella di trenta o vent’anni fa”. Parole di Luca Failla, cofondatore con Francesco Rotondi di LabLaw, uno studio legale che rappresenta una vera e propria eccellenza italiana in materia di diritto al lavoro. Il tema dello smart working

è di stretta attualità. Non deve essere considerato un fenomeno per pochi, né tantomeno una moda passeggera. C’è un disegno di legge che lo regolamenta e ne decreta lo status sotto la definizione di “lavoro agile”. Una nuova frontiera è stata finalmente raggiunta ed è la libertà di prestare la propria opera di dipendente anche da remoto e non solo all’interno dei luoghi aziendali, sfruttando strumenti tecnologici e senza una postazione fissa e ben definita. Aziende come Barilla (che ha l’obiettivo di estendere lo smart working al


Illegali le email di lavoro INVIATE nel weekend? “Un ritorno al passato” A fine maggio il governo francese ha sdoganato per legge il diritto per i lavoratori a “disconnettersi” nel fine settimana. La nuova norma, nello specifico, vieta alle aziende che impiegano almeno cinquanta dipendenti di inviare email al di fuori dell’orario di lavoro settimanale. “Lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, se mal gestito o mal regolato, può avere un impatto sulla salute dei lavoratori” recita l’articolo 25 del disegno di legge. Sulla questione esistono sono pareri contrapposti. C’è chi, come Benoit Hamon, parlamentare socialista dell’Assemblea Nazionale Francese, è dell’idea che la norma sia necessaria per contrastare l’aumento di stress dei professionisti. “Il lavoratore lascia fisicamente l’ufficio ma di fatto non stacca mai, mentre i documenti, i messaggi Sms e le email colonizzano la sua vita fino al punto di farlo scoppiare”. Secondo Luca Failla, al contrario, “la norma segna un ritorno al passato perché gli elementi di spazio e tempo guardano a una separazione rigida fra lavoro in azienda e vita personale. Le nuove tecnologie sono invece profondamente intervenute su questi due elementi, mescolandoli e intrecciandoli in maniera flessibile e duttile, nello svolgimento di tutta l’attività lavorativa. Che deve sempre e comunque rispondere a ben definite regole di ingaggio fra azienda e dipendente”. La separazione fra spazio e tempo si sta riducendo, anche se il modello nordeuropeo – ma parliamo di policy aziendali e non di quadro normativo – privilegia la netta distinzione fra vita professionale e privata. La norma approvata in Francia, a detta di Failla, apre invece a una “grandissima conflittualità”.

100% dei suoi colletti bianchi entro il 2020), Nestlé e Microsoft Italia sono autorevoli esempi di applicazione di questo nuovo paradigma. Oltre i limiti del telelavoro

Il punto focale di questa rivoluzione sta nelle modalità di “conduzione” del

rapporto di lavoro. E chi pensa sia in atto un tentativo di riproporre, in forme diverse, qualcosa di già sperimentato in passato commette un grave peccato di superficialità. “Lo smart working”, spiega in proposito Failla, “non è assolutamente equiparabile al telelavoro, uno strumento ancorato a un vecchio mo-

dello di gestione delle prestazioni e che in Italia ha fallito perché era squilibrata la relazione fra aziende e dipendente”. Il lavoro agile conserva alcuni parametri all’attuale modello (si pensi al badge per l’entrata in azienda o alla busta paga) ma si fonda sul concetto di una retribuzione e di una valutazione legate a ciò che si produce e non al calcolo delle ore. Addio cartellino, dunque, perché siamo entrati nell’era lavorativa della performance? La strada sembra tracciata, ma non si può certo parlare di fenomeno maturo e neppure prossimo alla maturazione. E la prima questione riguarda, appunto, le modalità da seguire per ridisegnare i tradizionali schemi dei diritti dei lavoratori dopo l’avvento del modello agile. “L’Italia è sulla via del cambiamento”, osserva in merito Rotondi, “anche perché la grande azienda italiana, oggi, non è più quella manifatturiera bensì quella che opera in altri settori, a cominciare dal retail. L’impalcatura del diritto del lavoro, nata con lo Statuto degli anni Settanta, è stata costruita sul modello delle grandi fabbriche e le norme che la caratterizzano, di conseguenza, appartengono al passato. Il Jobs Act sta mutando lo scenario e in modo drastico, perché da trent’anni a questa parte non era cambiato nulla. Nessuna riforma è stata così innovativa, mentre questa lo è perché ha introdotto il concetto di smart working”. La sfida di comprendere e valorizzare i Millennials

Se il cambiamento è sancito in termini legislativi, il percorso di trasformazione del lavoro rimane oggi ai suoi albori. Anche a causa di ostacoli ben definiti. “Le criticità nascono spesso dentro le aziende”, sottolinea in proposito Failla, “e sono sollevate dai responsabili del personale o dei team che non hanno più sotto il loro diretto controllo. Si deve invece puntare sulla valutazione del risultato, perché solo così si possono attrarre talenti o comunque giovani nuo5


STORIA DI COPERTINA | LabLaw

vi lavoratori: per l’Hr manager vecchio stampo la sfida dei Millennials è epocale, perché il lavoratore cresciuto nell’era digitale spesso appare loro come un Ufo sbarcato sulla terra”. Molto indicativa, secondo l’esperto di LabLaw, è la visione che esprime Reid Hoffman, uno dei cofondatori di LinkedIn, nel saggio L’alleanza. Gestire il talento nell’era del networking, testo che evidenzia come in California la prima leva per attrarre i giovani programmatori non sia il denaro bensì la relazione fra azienda e dipendenti. Una relazione che si specchia nel principio “lavori dove vuoi e ti misuro per quello che fai”. Lo smart working e l’impiego delle tecnologie per modificare le modalità di lavoro non vanno, quindi, visti dalle organizzazioni come elementi di disturbo e di criticità aggiuntiva a livello gestionale. Le aziende, però, devono essere innovatrici, anticipando il varo delle normative per consolidare modelli rispondenti alle nuove dinamiche delle professioni digitali. Un esempio di sensibilità a questa esigenza, come spiega ancora Failla, è Luxottica, che ha “affrontando il problema dei manager ultracinquantenni presenti a libro paga con un accordo specifico siglato con l’Inps”. Riducendo gli oneri sugli stipendi e versando la quota piena di contributi all’Ente, l’impresa bellunese ha così massimizzato sia un saving a livello di costi fissi sia il vantaggio competitivo di poter inserire nuovi talenti e 6

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svecchiare la sua popolazione aziendale in anticipo sui concorrenti. Le reticenze degli Hr manager

“Il Jobs Acts”, aggiunge Rotondi, “apre i confini delle opportunità di relazione con i dipendenti, ma a tutt’oggi i responsabili delle risorse umane sono timorosi e fanno da barriera alle nuove logiche del rapporto di lavoro. Antepongono il rispetto degli accordi contrattuali definiti nell’ambito dello status quo tradizionale e non percepiscono i benefici legati ai dati raccolti in azienda, dati che possono essere utilizzati anche per misurare le performance e i comportamenti delle persone. Oggi a livello normativo siamo più avanti rispetto all’Inghilterra, ma gli Hr manager non vogliono mettere in discussione un assetto consolidato”. La “disruption”, invece, è un passo obbligato e si concretizza anche in oggetti materiali. Il badge diventa una sorta di “controllore” del dipendente nonché il primo anello della catena di reportistica, mentre i nuovi dispositivi digitali sono lo strumento chiave con cui misurare le prestazioni del lavoratore. Un esempio? La possibilità di combinare l’uso di sistemi Gps e droni per controllare il movimento degli addetti all’interno dei grandi magazzini degli operatori della logistica, rilevando e visualizzando lo status fisico del dipendente per monitorarne l’attività e garantirne la sicurezza. Gianni Rusconi

lablaw parla internazionale Fondato a inizio 2006 da Luca Failla e Francesco Rotondi, LabLaw è oggi il primo studio legale di diritto del lavoro in Italia per numero di professionisti (circa 70 tra collaboratori e dipendenti) e conta undici soci. Oltre alla sede di Milano, la società opera a Padova, Pescara, Genova, Napoli e Bari. Il suo core business è l’attività di consulenza per importanti aziende italiane ed estere. Nel suo curriculum spiccano numerosi premi fra cui il “Firm of the Year” (The Lawyer) e il “Business Restructuring Law Firm of the Year – Italy” (Finance Monthly Law Awards 2016). Nel 2011 Lablaw ha consolidato la propria presenza a livello internazionale costituendo, insieme a cinque dei più importanti studi legali specializzati in diritto del lavoro, la Global Employment and Labor Law Alliance. Si tratta di un organismo composto da oltre mille avvocati, che offre assistenza giuslavoristica alle aziende in Europa, Stati Uniti, Canada, Sud America, Cina e India.


Le aziende devono fissare le regole del gioco Le nuove tecnologie non bastano a rendere il lavoro flessibile. Il trattamento dei dati e la privacy sono le sfide più importanti da affrontare.

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ntrambi avvocati e giuslavoristi. Uno professore a contratto presso l’Università Lum Jean Monnet di Casamassima e l’altro con una cattedra alla Liuc – Università Carlo Cattaneo di Castellanza. L’esperienza e le competenze di Luca Failla e Francesco Rotondi in tema di diritto del lavoro sono tali che per loro parlano i tanti riconoscimenti conseguiti. E a loro, quindi, chiediamo di spiegare come comprendere la rivoluzione del lavoro agile. Il nuovo rapporto fra azienda e dipendente è tutto da costruire. Come conciliare i diversi interessi in gioco?

Per le aziende la privacy è ancora uno scoglio e dal punto di vista normativo lo è ancora di più. Il Garante della Privacy è molto tutelante rispetto ai diritti del lavoratore, ma questo approccio si scontra con le esigenze gestionali delle aziende che guardano allo smart working. Il dipendente che viene “scoperto” mentre chatta su Facebook diventa un problema di privacy e non lavoristico. E può inficiare in modo sostanziale sulle cause di lavoro relative all’attività professionale. Come evitare, allora, questo rischio?

È una questione di regole del gioco, che vanno definite con chiarezza. Servono policy precise per assegnare i dispositivi

Francesco Rotondi

aziendali ai dipendenti e per consentire loro di utilizzare quelli personali. Il trattamento del dato e la compliance per la privacy sono al centro del campo di battaglia di domani. Chi deve fare le regole?

È una responsabilità assoluta dell’azienda, che ha le possibilità e gli strumenti per farlo. Un esempio: i tabulati che registrano le telefonate dei dipendenti devono corrispondere alle attività prefissate e concordate fra il lavoratore e l’azienda. La normativa sulla privacy attuale è dettagliata (il Testo Unico, ndr) e stabilisce delle linee guida molto precise sul rapporto di lavoro. Le aziende devono fissare le regole del gioco e queste devono essere coerenti con la normativa. Lo smart working in Italia?

Siamo solo all’inizio e non dobbiamo fermarci alla prima buca o alla prima scivolata. Abbiamo fatto soltanto i primi passi. Ci sono fattori di grande resistenza al cambiamento, come quello sindacale. Il diritto del lavoro deve essere, invece, flessibile anche per aiutare i processi di

Luca Failla

nuovi investimenti e il Jobs Act si rivolge alle imprese per far sì che quelle esistenti rimangano in Italia e che ne nascano di nuove. È stato aperto uno spiraglio e introdotto un approccio nuovo, rispetto all’emblema della conservazione costituito dall’art. 18. Le tecnologie permettono di introdurre nuovi modelli di gestione delle postazioni e delle attività sul campo, rendono possibili cose ieri impensabili, ma devono essere supportate da un adeguato progresso culturale. L’Hr manager deve essere un alleato della tecnologia, non un nemico. Che ruolo possono avere le aziende tecnologiche presenti in Italia?

Devono essere gli apripista del nuovo modo di lavorare, non può essere altrimenti. Perché sono, per definizione, sinonimo di innovazione. Un grande innovatore di relazioni industriali in Italia?

Sergio Marchionne, un manager che ha saputo usare occhiali nuovi per leggere il nuovo mondo del lavoro e le nuove norme del lavoro. G.R. 7



IN EVIDENZA

l’analisi DIGITAL INDEX: L’ITALIA NON S’È DESTA. CONNETTIVITÀ DA MAGLIA NERA Connettività, capitale umano, uso di Internet, integrazione delle nuove tecnologie, servizi pubblici digitali: sono i cinque indicatori presi in esame dall’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (il Desi) elaborato dalla Commissione Europea. Un indicatore che misura lo stato di avanzamento dei 28 Stati membri dell’Unione nel processo di digitalizzazione eletto a imperativo dall’organismo di Bruxelles. L’aggiornamento più recente risale a fine maggio e l’Italia – non è, purtroppo, una novità – non evidenzia grandi passi in avanti. Anzi. La 25esima posizione occupata dalla Penisola si spiega con i “pochi progressi registrati nella maggior parte degli indicatori”. Non mancano positivi segnali di risveglio e fra questi c’è sicuramente la maggiore incidenza dell’e-commerce sul fatturato delle Pmi, salita all’8,2% del totale. Ma siamo ancora lontani dallo sfruttare appieno l’opportunità offerta dai canali digitali, perché, come scrive la Ue, “l’economia italiana potrebbe trarre vantaggio da un utilizzo più diffuso delle soluzioni per il business elettronico”. E siamo, soprattutto, nel campo delle eccezioni. La maggiore disponibilità di servizi pubblici digitali ha finalmente portato l’Italia a un punteggio vicino alla media Ue, al 17esimo posto del ranking, e a iscriversi nella lista dei Paesi che stanno recuperando terreno (i cosiddetti “catching up”). Ma la scarsa penetrazione dell’e-government continua a zavorrare le performance complessive, dimostrandosi ancora una volta un tallone d’Achille.

La Penisola occupa il 25esimo posto (su 28 Stati membri) nell’indice di digitalizzazione dell’economia e della società elaborato dalla Ue. Preoccupante il gap in fatto di capitale umano e utilizzo dei servizi Internet. Poche le eccezioni positive, fra cui l’e-commerce nelle Pmi. Le notizie peggiori arrivano però dall’indicatore relativo alla connettività, che ci conferma penultimi in Europa, davanti solo a Cipro. La copertura delle linee a banda ultra larga per l’utenza residenziale è, sì, aumentata dal 36% del 2014 al 44% del 2015, ma la media Ue è del 71%. Nel nostro Paese le connessioni ultrabroadband (con almeno 30 Mbps) si fermano al 5,4% del totale , mentre quelle broadband interessano il 53% delle famiglie. Il 37% di popolazione non utilizza Internet regolarmente e questo è un dato che fa a pugni con la necessità di un cambio culturale ximprorogabile, accompagnato da un piano di copertura ultrabroadband finalmente affidabile e capace di dare concretezza al disegno

di digitalizzazione messo a punto dal Governo. E consolarsi con le connessioni a banda larga mobile, per cui siamo al decimo posto in Europa con 75 abbonamenti ogni 100 individui, lascia il tempo che trova. La criticità della scarsa diffusione delle reti fisse super veloci dunque rimane, e non è la sola. Siamo all’ultimo posto quanto alla propensione a utilizzare i servizi Internet, e al 24esimo posto per quanto riguarda il valore del “capitale umano”, cioè del livello di alfabetizzazione e competenza informatica. Nonostante i tanti proclami istituzionali (ne parliamo in modo approfondito a pag. 36) la strada da fare è ancora molto lunga. Gianni Rusconi

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IN EVIDENZA

viaggia on premise e in cloud il treno delle Applicazioni “Le applicazioni oggi governano il mondo. Sono critiche in molti ambiti, influenzano le nostre vite e ciò che facciamo ogni giorno”. Così ha riassunto uno dei grandi cambiamenti tecnologici di questi anni John McAdam, presidente e Ceo di F5 Networks. Scozzese di nascita e statunitense di adozione, il veterano dell’industria It è tornato a occupare la doppia carica (lasciata l’estate scorsa, per rimanere membro del board) dopo le dimissioni di Manuel Rivelo dello scorso dicembre. Technopolis l’ha incontrato a Vienna durante l’ultima edizione dell’Agility, l’evento itinerante dedicato ai parter di F5 Networks. L’azienda di Seattle è specializzata in soluzioni di application delivery networking, cioè si prende cura del buon funzionamento, delle prestazioni, dell’availability e della sicurezza delle risorse di rete e delle applicazioni. Spenta la ventesima candelina, oggi il vendor vanta 1,92 miliardi di dollari di fatturato (nel 2015), 45mila clienti, oltre 4.250 dipendenti e una presenza diretta in 32 Paesi. Ci focalizziamo sulle applicazioni”, ha spiegato McAdam, “o, come mi piace dire, siamo ‘application fluent’. Tipicamente ciò che garantisce il vero vantaggio competitivo a un’azienda sono le applicazioni: pensiamo a una banca o a una compagnia aerea, a quanto l’interazione con i loro servizi pesi sul giudizio del cliente e a quanto sia critico, oggi, offrirli su mobile. Il nostro obiettivo è quello di rendere sicure e ottimizzate le app indipendentemente dalla loro collocazione e tipologia, siano esse fruibili da mobile, collocate nel cloud o nell’Internet of Things”. F5 Network è convinta che il cloud ibrido sia “la nuova normalità”, sebbene per alcuni settori l’on premise sia destinato a restare almeno in parte la scelta di riferimento, se non quella obbligata per ragioni di compliance. “I servizi finanziari avranno sempre soluzioni on premise, ma anche loro stanno 10

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John McAdam

Secondo F5 Networks sono le applicazioni a costituire il vero vantaggio competitivo di un'azienda. riflettendo su come ottimizzare le proprie architetture”, spiega McAdam. “Una grande banca europea, per esempio, utilizza on premise le nostre soluzioni per i propri servizi di online banking e per la sicurezza degli sportelli Atm, mentre ha spostato alcune applicazioni non critiche sul cloud pubblico e sta costruendo un private cloud per i suoi clienti”. La stessa F5 Networks sta sfruttando la nuvola per allargare l’offerta: nel 2015 con il lancio di un servizio di protezione dagli attacchi DDoS (Silverline DDoS Protection) e quest’anno con il varo di un servizio di Web Application Firewall. La strategia per il 2106 è di continuare a crescere sia in giro d’affari sia in portafoglio. Tre le novità annunciate a Vienna: Big-Ip 12.1, Big-Iq e iWorkflow 2.0. Si tratta, rispettivamente, degli aggiornamenti della soluzione di Application Delivery Controller (Adc), di quella per la gestione centralizzata (destinata ad architetti di rete e amministratori) e di quella per l’orchestrazione dei servizi F5 tramite soluzioni di altri vendor, come Cisco e Vmware. Valentina Bernocco

in italia si punta al raddoppio Dopo l’acquisizione da parte della multinazionale belga Cegeka, l’ex Brainforce si è regalata di recente una nuova veste europea, strutturandosi soprattutto in Italia, Germania e nei Paesi Bassi. L’abbandono della “vecchia” denominazione è l’ultimo step di un percorso che ha portato l’azienda ad assumere una dimensione finanziaria e operativa tale da poter accompagnare i clienti, anche di caratura internazionale, nel difficile compito della digital transformation. “Dopo 30 anni di gavetta sul territorio nazionale”, ha dichiarato Stefania Donnabella, amministratore delegato di Cegeka in Italia, “siamo ora in grado di offrire una struttura adeguata dal punto di vista dimensionale, mantenendo la filosofia che ha sempre contraddistinto il lavoro di Brainforce, vale a dire operare in stretta collaborazione con i clienti”. Nel 2015 il gruppo ha raggiunto un fatturato di 369 milioni di euro, con una crescita del 31% rispetto all’anno precedente. “Il piano quinquennale che abbiamo stilato per il mercato italiano”, prosegue Donnabella, “prevede un raddoppio del fatturato, oggi attestato intorno ai 30 milioni di euro, e una forte crescita dell’organizzazione, da ottenere anche attraverso acquisizioni”. Stefania Donnabella


l’intervista

internet delle cose: come ridurre il rischio che arriva dagli oggetti Il fenomeno IoT mette a dura prova la sicurezza di informazioni e persone. Per tutelarsi è necessario fare qualche rinuncia.

Saranno 25 miliardi gli oggetti connessi entro il 2020 secondo Gartner. Un’opportunità di business senza precedenti ma anche un incubo per chi si occupa di vulnerabilità. Technopolis ha intervistato Cesare Garlati, chief security strategist di Prpl Foundation, una vita dedicata allo studio delle minacce e delle difese in campo informatico.

Cesare Garlati

zione di policy mirate per incoraggiare l’interoperabilità e tutelare la privacy. Restano però validi alcuni consigli importanti che gli utenti devono seguire: il primo passo è realizzare che questi dispostivi non sono sicuri, e che l’IoT ha trasformato ogni casa in un data center, ma senza tecnici informatici o esperti di sicurezza a presidiarlo! E una volta presa coscienza?

Qual è il contesto attuale della sicurezza in ambito IoT?

Secondo le stime di Idc, il 90% delle organizzazioni che implementerà l’IoT entro il 2017 avrà dovuto almeno una volta affrontare delle falle di sicurezza a causa di questi oggetti. Gartner,ì invece, fa una stima di 348 milioni di dollari spesi quest’anno per mettere in sicurezza l’Internet of Things, una cifra che salirà poi a oltre 840 milioni nel 2020. Stiamo parlando quindi di un fenomeno enorme, su scala planetaria. Può farci qualche esempio di rischi concreti e di settori più esposti?

I rischi riguardano tutti i settori. Nel campo della sanità, ad esempio, la Us Food and Drug Administraton ha rivelato come alcune tipologie di dispositivi per la regolazione della somministrazione dei medicinali possano venire controllate da remoto da qualche malintenzionato. Nell’automotive, alcuni esperti hanno dimostrato che chi riesce a violare la sicurezza di un’auto connessa in rete può arrivare persino a disattivare i freni e spegnare il veicolo in mezzo a un’autostrada.

Parliamo, quindi, di un pericolo reale.

Certo, e non è finita. Alcuni ricercatori hanno evidenziato come gli hacker possano facilmente prendere il controllo di un fucile di precisione. Per non parlare degli aerei, dotati di una complessa rete di comunicazione interna che interconnette tutti i componenti elettronici e che rende possibile, come ha mostrato l’esperto di sicurezza Chris Roberts, avere accesso al computer di bordo e cambiare la posizione dell’aereo in volo a partire dalla manomissione del sistema di intrattenimento. Che cosa possiamo fare per difenderci?

L’IoT introduce nuove sfide dal punto di vista tecnologico, a partire dalla progettazione degli oggetti sempre connessi. Nel mitigare i rischi, buona parte del lavoro spetterà alle aziende che dovranno ripensare una sicurezza integrata negli oggetti stessi e a un approccio globale per la lotta contro le minacce attraverso la condivisione delle informazioni tra i vari vendor e la promo-

È necessario tenere presente che tutti i dispositivi IoT possono essere violati ma che, in particolare, il router è quel bastione di sicurezza che si trova frapposto tra questi oggetti e il resto del mondo. Il router è a tutti gli effetti un Pc benché privo di sistema operativo, e va quindi sempre aggiornato per correre meno rischi. Poi, sarebbe bene proteggersi dalle attività non necessarie, come aprire le porte di accesso del router per utilizzare servizi, ancor più a pagamento (come accade con le console di gioco o con i servizi di videoconferenza). Altri accorgimenti?

Bisogna impostare una solida password per il router (e non mi riferisco a quella della rete WiFi) e se possibile creare una rete “guest” a cui far connettere amici e parenti, per preservare la rete principale. Questo accorgimento, che permette di separare e isolare le attività, andrebbe adottato anche per i dispositivi IoT. Infine consiglio di evitare, se non sono indispensabili, i servizi con controllo da remoto (come le videocamere che ci trasmettono le immagini dalla casa di villeggiatura) e quelli in cloud.

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IN EVIDENZA

QUANDO IL BUSINESS DELLO STORAGE PAGA Il futuro è rappresentato dal software. Almeno per Emc Italia. La divisione del colosso statunitense che opera nel nostro Paese deve sempre più ai prodotti la maggior parte del proprio fatturato (70%), mentre i servizi sono in costante calo. Ma non parliamo solo di hardware, poiché il 40% del giro d’affari generato dai prodotti è legato a soluzioni software. A contribuire a questo risultato è soprattutto la componente dedicata alla gestione e all’automazione dello storage all’interno dei data center (Vipr), a cui si uniscono le soluzioni di backup e di ripristino dei dati (Avamar). La flessione dei servizi, comunque, non è stata accolta come una cattiva notizia. Anzi: in questo modo sono i partner a poter trarre più benefici. “Preferiamo concentrarci sugli aspetti legati alla consulenza, restando ai margini dei servizi per trasferire soprattutto competenze sul mercato”, ha spiegato Marco Fanizzi, da quasi cinque anni alla guida della filiale che

Marco Fanizzi

La componente applicativa pesa per circa la metà dei ricavi di Emc Italia. La svolta attesa sui Big Data. nel 2015 ha messo a segno le migliori performance di tutta l’area Emea. Sullo sfondo, ovviamente, rimane sempre la fusione in corso con Dell, che porterà a ottobre alla nascita di Dell Technologies. Le due aziende stanno però accelerando al massimo il processo

di integrazione, per arrivare al nuovo assetto societario già a luglio e cogliere da subito i frutti del più grande matrimonio mai celebrato fra due aziende private nella storia dell’It. In attesa del “day one”, il mercato continua a premiare Emc, che in Italia detiene ormai il 28,5% di quota nello storage (secondo i dati di Idc). “Il fatturato 2015 mette in evidenza soprattutto l’effervescenza di alcuni settori come il finance, il manifatturiero, la sanità e la Pubblica Amministrazione locale”, prosegue il country manager, precisando come la maggior parte degli investimenti si concentri ancora sulle piattaforme tradizionali. C’è però molto rumore per quanto riguarda Big Data e analytics. “Sulle nuove piattaforme”, conclude Fanizzi, “si registrano fughe in avanti, ma siamo ancora nell’ordine del proof of concept: in generale si tratta di progetti che puntano a spostare nel cloud i carichi di lavoro meno critici per guadagnare agilità”. C.R.

HP Inaugura la casa dell’innovazione È stato Tino Canegrati in persona, amministratore delegato di Hp Italy, ad accompagnare i giornalisti nel tour che ha svelato i segreti del nuovo Innovation Center, già “profanato” nei giorni precedenti da partner e clienti della multinazionale e situato all’interno della nuova sede di Cernusco sul Naviglio, in cui la nuova società ha preso casa dopo lo split da Hpe. “Questo di Cernusco è il secondo Innovation Center in Europa dopo quello realizzato a Barcellona”, ha dichiarato Canegrati, “e si estende su una superficie di circa 1.200 metri quadri, di cui la metà allestiti a showroom. Al piano di sotto c’è uno spazio altrettanto abbondante

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dove clienti e partner possono provare i prodotti insieme ai nostri tecnici”. Lo spazio polifunzionale è dotato di alcune sale riunioni, un piccolo auditorium, una caffetteria e tante isole tematiche per le altrettanto numerose famiglie di prodotti Hp, dalle stampanti di gran-

de formato alle multifunzioni PageWide, dall’atteso smartphone Elite X3 al Pc desktop Sprout. Il centro aderisce perfettamente alla nuova linea strategica della multinazionale, improntata all’innovazione e alla collaborazione con il suo ecosistema di partner e grandi clienti.


piratERIA in FLESSIONE

Alleanze nel segno del cloud Citrix accelera sul modello “as-a-Service”, puntando sulla piattaforma Azure di Microsoft. Senza però rinnegare Ibm. Quest’anno a Las Vegas si sono dati appuntamento in 15mila per scoprire le ultime novità per il lavoro “smart”, quello che sfrutta i vantaggi della virtualizzazione. Novità firmate da Citrix e annunciate durante l’annuale convention Synergy. Dal palco Krill Tatarinov, alla sua prima apparizione ufficiale in veste di Ceo all’appuntamento con clienti e partner, ha ribadito la scommessa di voler accelerare la trasformazione basandosi sul software e sul cloud. Le novità riguardano un po’ tutti gli ambiti dell’attività di Citrix, dalle app agli endpoint, passando per la mobilità e le reti. Ma i colpi di teatro sono stati sostanzialmente due: la brusca accelerata sui servizi erogati in modalità cloud e la partnership con Microsoft. “Il cloud non è più il futuro”, ha spiegato a Technopolis Benjamin Jolivet, country manager per Italia e Sud Europa, “è il presente. Le imprese italiane hanno ormai tutte una strategia a tre o cinque anni per

sfruttare i vantaggi di questo nuovo paradigma. Ma non facciamoci ingannare: la missione di Citrix non è cambiata, è sempre quella di creare un mondo dove l’It sia capace di distribuire dati e applicazioni ovunque e in qualunque momento, in modo da liberare la produttività di ciascuno. E in questo momento il cloud è esattamente il fattore che può scatenare la reazione giusta”. Per quanto riguarda l’alleanza con Microsoft, a Las Vegas è stata annunciata la scelta di usare la piattaforma cloud Azure per erogare i servizi dell’ecosistema Citrix e del suo portafoglio di soluzioni. La decisione è coraggiosa perché l’azienda resta partner di Ibm (che, con Softlayer, non avrà certo accolto con un sorriso l’annuncio) e deve poter integrare anche le piattaforme dei clienti basate su Amazon Aws e Google, tanto per citare i nomi più importanti. “Abbiamo sempre tenuto fede alla filosofia che vede il cliente libero di usare la piattaforma che vuole”, ha rimarcato Jolivet, “e non vi rinunceremo ora. Softlayer e Amazon, tra gli altri, sono supportati da Netscaler, quindi per i clienti che usano cloud diversi da Azure non ci sarà nessun problema”. Emilio Mango

Secondo i dati del Global Software Survey di Bsa, la percentuale di software illegale impiegato in Italia è calata dal 47% al 45% nel periodo 2013-2015. A ridurre la diffusione di programmi senza licenza installati sui computer tricolori hanno contribuito più fattori, dalla progressiva maturazione del mercato dell’Information technology alla tendenziale flessione della base installata e delle vendite di nuovi Pc fino all’incremento dell’utilizzo di software in modalità “subscription” (in cloud) e di servizi di Software asset management. Resta il problema di un tasso di illegalità attuale di circa 20 punti percentuali superiore alla media europea (pari al 28%), dato che secondo Paolo Valcher, presidente del comitato italiano di Bsa, “è un freno ulteriore alla ripresa della nostra economia e dell’occupazione qualificata”.

L’IOT HA IL SUO LABORATORIO Nasce il primo laboratorio italiano di Ericsson dedicato all’Internet delle cose. Il gruppo svedese ha inaugurato all’interno del proprio campus di Roma un Business Lab in cui far convergere dispositivi, piattaforme, software e servizi per elaborare nuovi progetti IoT. Il laboratorio sarà il luogo d’incontro per aziende, sviluppatori e startup, che avranno a disposizione ambienti per test pre-commerciali e potranno vedere le loro idee diventare prototipi a costi contenuti, creando demo personalizzate. Nel progetto Ericsson mette a disposizione la proprie soluzioni per l’Internet of Things, incluso il recente programma IoT Accelerator che integra piattaforme tecnologiche, servizi e un marketplace.

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IN EVIDENZA

CYBER RISK: AZIENDE AL BIVIO Le modalità di valutazione del rischio non sono adatte a tecnologie come il cloud e l’Internet delle cose. Così racconta uno studio di Deloitte e The Innovation Group. Il rischio cibernetico sembra essere uno dei pericoli più sottovalutati dalle aziende italiane e, fatto ancora più grave, anche dalle stesse funzioni che dovrebbero supportare la corretta gestione da parte del management. La trasformazione digitale e il fiorire di nuovi trend e tecnologie, come l’Internet of Things e il cloud, stanno rendendo lo scenario sempre più complesso e potenzialmente pericoloso. Come viene governato oggi il rischio cibernetico dalle imprese del nostro Paese? Deloitte e The Innovation Group hanno effettuato un’indagine su un campione di 52 aziende della Penisola appartenenti a diversi settori di mercato. La ricerca, intitolata “Cyber Risk Management Survey 2015”, ha evidenziato come l’Ict sia ancora la funzione principe nella gestione del rischio informatico. Ma, sottotraccia, si registra una positiva tendenza da parte della dirigenza a identificare modalità di valutazione sempre più complete, anche di tipo quantitativo, che riescano a descrivere più precisamente gli

impatti reali del rischio sul business. Secondo l’indagine, una delle priorità è l’introduzione di figure professionali di vertice capaci di gestire in modo adeguato la sicurezza, anche attraverso l’adozione di “framework” strutturati: queste soluzioni sono oggi sfruttate ancora poco, solo dal 35% delle imprese. Nella maggior parte dei casi, quindi, ci si trova di fronte a pure dichiarazioni di intenti e non a strategie con tappe già definite. Il 12% delle organizzazioni, per esempio, afferma di aver istituito un comitato specifico per discutere i rischi

cyber, mentre il 39% delle aziende li gestisce nell’ambito di altri gruppi di lavoro (Comitati Risk & Compliance/ CdA) e i momenti di confronto con il board sono limitati. In quattro situazioni su dieci i team includono un chief information security officer (Ciso) e in questi casi il 67% di loro riporta direttamente al Cio. Solo pochissime volte (18%) sono stati identificati degli elementi oggettivi per la misurazione del rischio (chiamati Kri, Key Risk Indicator), oppure metriche allineate con il business (19%) e documentate periodicamente. Gli obiettivi che le organizzazioni vorrebbero raggiungere nei prossimi tre anni sono diversi, ma a spiccare su tutti è il “miglioramento della consapevolezza degli utenti finali sul fronte della sicurezza” (citato ai primi posti dal 67% del campione), seguito dall’implementazione di un “framework di cyber risk management” (49%) e dallo “sviluppo/miglioramento delle capacità di risposta agli incidenti” (44%). Alessandro Andriolo

Dai gestionali alle startup della stampa 3D Prosegue la strategia di diversificazione di Zucchetti, annunciata nei mesi scorsi. L’ultimo colpo della società lodigiana, frutto di un investimento stimato in 1,5 milioni di euro, è l’ingresso di qualità di socio di maggioranza (al 51%) in Fabtotum, azienda milanese nata nel 2013. Dopo aver prodotto e venduto (in 64 diversi Paesi) tutte le 1.400 stampanti 3D previste nella

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fase iniziale, avviata attraverso un crowdfunding da 600mila dollari su Indiegogo, la startup è ora impegna-

ta nella fase di sviluppo di un nuovo modello rivolto soprattutto alla clientela professionale.


Banche pronte a cambiare? Il mondo dei pagamenti è in fermento, sia grazie alla spinta della tecnologia sia a quella delle normative. La nuova direttiva Ue 2015/2366/ sui servizi di pagamento nel mercato interno, nota come Psd2, dovrà essere recepita dagli Stati membri dell’Unione Europea entro il 13 gennaio 2018. Il suo scopo è quello di promuovere lo sviluppo di un mercato interno dei pagamenti al dettaglio più efficiente, sicuro e competitivo, che sfrutti quindi la tecnologia per creare nuovi servizi ma anche per proteggere i dati degli utenti. A che punto siamo? Secondo un’indagine commissionata da Ca Technologies a Freeform Dynamics (basata su 1.500 interviste a responsabili It e dirigenti d’azienda in area Emea, Americhe e Asia), nel mondo il 14% delle organizzazioni ha introdotto elementi di innovazione digitale significativi, classificabili come “disruptive”, mentre un 32% ha intrapreso cambiamenti meno dirompenti e un 54% di organizzazioni definite come “mainstream” si è limitato a seguire la corrente. Nel primo gruppo rientra chi ha posto enfasi sui canali digitali e sul rapporto con il cliente, chi ha usato la tecnologia per rendere più efficiente ed efficace il core business, e chi ha sfruttato le Api (Application Programming Interface, cioè moduli software che accelerano la creazione di applicazioni) per migliorare la velocità e la produttività interna. I benefici per chi innova radicalmente sono evidenti: i “digital disrupter” hanno una probabilità superiore alla media (doppia o anche, in Europa, tripla) delle altre aziende di sfruttare meglio le Api, cioè di usarle per creare applicazioni Web, app mobili e sistemi di backoffice, oppure per integrare servizi di fornitori esterni all’interno delle proprie applicazioni. V.B.

l’opinione

pagamenti digitali, un’opportunità REALE

Grazie alla diffusione degli smartphone dotati di tecnologia Nfc (Near Field Communication), i pagamenti elettronici in mobilità oggi rappresentano un’importante quota delle transazioni complessive. L’ultimo rapporto del Politecnico di Milano mostra come nel 2015 il fenomeno sia cresciuto del 55% e come i pagamenti di bollettini effettuati con telefonini intelligenti abbiano superato i 57 milioni di euro, in aumento del 172% rispetto all’anno precedente. Gli esperti hanno definito il 2016 l’anno del mobile payment e vi sono diversi indicatori che confermano questa tesi. Da un lato c’è il proliferare di applicazioni dedicate che sostituiscono la carta di credito con lo smartphone, da Apple Pay ad Android Pay fino al Google Wallet. Dall’altro la crescente adozione da parte di commercianti ed esercizi pubblici della tecnologia Nfc, che incrementa le forme di pagamento “contactless”. Il panel di servizi e prodotti che oggi si possono acquistare con il telefonino è sempre più ampio e, anche in Italia, i tempi sono maturi per l’ingresso di nuovi attori in questo mercato. Per questo motivo Edenred ha scelto di integrare il servizio di pagamento dei buoni pasto Ticket Restaurant anche su smartphone. La diffusione di app per la digitalizzazione dei pagamenti rappresenta un’opportunità di sviluppo per il nostro Paese: numerosi studi confermano che il loro utilizzo aumenta la capacità di crescita economica e riduce il peso dell’economia sommersa. E

Andrea Keller

L’adozione di applicazioni “contactless” cresce. Ma per motivare consumatori ed esercenti serve un piano di incentivi pubblici. la gestione del contante costa all’Italia ben 9,5 miliardi di euro all’anno. Colmare il ritardo della diffusione dei pagamenti digitali rispetto al resto d’Europa è una missione possibile. Per incentivare consumatori ed esercenti a intraprendere la strada della digitalizzazione bisogna anzitutto realizzare un’offerta efficiente, attraente e ad alto valore aggiunto. Ma è anche indispensabile promuovere un piano di incentivi di sistema da parte del soggetto pubblico. Numerosi Paesi europei hanno realizzato con successo forme di incentivazione del “cashless” autosostenibili economicamente. È tempo che anche l’Italia colmi questo gap. Andrea Keller, amministratore delegato di Edenred Italia

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SCENARI | Digital Transformation

Il progresso è spinto dalle tecnologie, ma anche da nuovi profili professionali. Le aziende ci credono: secondo Idc, per proiettarsi nel futuro arriveranno a spendere 2.100 miliardi di dollari all'anno prima della fine del decennio.

Digital Transformation: la rotta verso il 2020

È

ancora giovane, ma mostra grande carattere: la digital transformation si è affermata nel 2014-2015, sta accelerando nel 2016 e porterà aziende ed ecosistemi di mercato verso nuove direzioni nei prossimi anni. Se l’innovazione tecnologica è il motore, a guidare il cambiamento siamo noi. La trasformazione è fatta dalle persone, grazie anche alla tecnologia. Alla semplicità di questa constatazione si contrappongono contorni e significati complessi per le organizzazioni. In tutti i settori si vive un cambiamento che chiama in prima linea top management, Cio, Cxo, decisori e non, 16

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coinvolgendo intere strutture e relazioni di lavoro. Dai primi tratti della trasformazione digitale abbiamo imparato che sperimentare è fondamentale per le nuove forme di competizione; che servono capacità e nuove attitudini; che l’apporto dell’ecosistema esterno è necessario; che senza metodo e governance si è esposti a rischi di insuccesso o ritardi; che i mercati e i concorrenti non perdonano. E, inoltre, che la “circolarità” (intesa come dialogo, condivisione, apertura) sta facendo evolvere le forme collaborative del passato. In sostanza, un primo salto culturale è stato fatto e sta aiutando a essere

più consapevoli della portata delle sfide e delle opportunità. In questo quadro di grande trasformazione di logiche, modelli, distribuzione di architetture e tecnologie, la direzione che la digital transformation ci sta presentando per l’immediato futuro è fatta di un “scala” crescente, di dimensioni sempre più significative. Idc prevede che nel 2019 la spesa mondiale in tecnologie per la digital transformation superi i 2.100 miliardi di dollari, con una crescita media annuale (Cagr) del 16,8% nel periodo 2014-2019. Secondo Idc, le sfere coinvolte in questi nuovi scenari sono principalmente tre.


La prima è relativa all’adozione e pervasività delle logiche e dei modelli digitali nel tessuto socioeconomico. L’incremento esponenziale degli oggetti interconnessi (IoT, indossabili), dei dati, dei “touch point” digitali (customer experience, customer engagement), stanno aprendo all’opportunità di fare “customizzazione di massa”, ovvero coniugare la variabile “volume” con quella della “personalizzazione”. Nei settori dei media, del retail, dell’industria e dei servizi privati e pubblici si stanno aprendo molte potenzialità. Nei processi di marketing, analytics, sviluppo di prodotti e servizi entrano abilitatori quali i sistemi cognitivi, gli analytics predittivi, le tecnologie Big Data e la realtà aumentata. A guidare gli scenari futuri è anche una diversa e nuova “scala” tecnologica. Dobbiamo aspettarci un’economia digitale apparentemente più frammentata ma interconnessa tramite infrastrutture, architetture e applicazioni che dovranno rispondere a nuovi principi: openness, software-defined, cloud-based, edge computing. Saranno sufficienti le pratiche “agili” e le logiche DevOps per dare accelerazione ai nuovi progetti digital-intensive? Sicuramente sì, anche se molte aziende stanno ancora affrontando progetti di consolidamento e razionalizzazione dei modelli It del passato, a partire dalle infrastrutture data center,

Fabio Rizzotto

It e fisiche. Il terzo fattore che traina la “scala” della digital transformation è l’evoluzione dell’ecosistema di relazione (clienti, partner, influencer) che fa assumere ai tradizionali “attori” (clienti, fornitori) ruoli diversi a seconda delle esigenze, in un contesto di partecipazione multilaterale: clienti che giocano in logica di co-design e co-innovation, partner tecnologici che scommettono insieme alle aziende secondo nuove regole, community open-source e di sviluppatori che partecipano nella ricerca di idee innovative. Per le aziende, questo significa anche una trasformazione dei ruoli. I Cio sono coinvolti in prima persona nel portare le proprie competenze e capacità al servizio delle nuove direzioni del business.

Con il digitale pervasivo emergono altre figure quali il Cdo (il chief digital officer), figure che si stanno affermando con il ruolo di “evangelist” o di “disruptor”. Ma fanno capolino anche i “digital factory manager” e i “digital building manager”. La sfida è la governance continua di questo processo, che vede da un lato una forte spinta di innovazione (inventare qualcosa di mai visto finora), dall’altro la necessità di incorporare e integrare operation e processi, riadeguando il tessuto di architetture e meccanismi che rischia oggi di limitare la scalabilità delle nuove iniziative. L’evoluzione dei mercati e il riposizionamento della domanda verso nuovi modelli di consumo apriranno a nuove opportunità. Significativa sarà anche la capacità delle aziende di intrecciare e valorizzare cambiamenti che apparentemente procedono su piani diversi, ma che hanno sempre più punti di contatto. Ad esempio, alla trasformazione organizzativa possono accompagnarsi iniziative di “smart working”, espressione dalle molteplici sfaccettature e significati. Anche questo, se vogliamo, è uno dei tasselli per motivare e coinvolgere per raggiungere obiettivi non solo verso l’esterno, ma anche di customer experience interna. Fabio Rizzotto, senior research & consulting director di Idc Italia

A SCUOLA DI innovazione Il business incontra il no profit per formare le giovani menti del nostro Paese. È partito a maggio il progetto voluto da Sap Italia, in collaborazione con l’associazione Nuvolaverde e con la Fondazione Distretto Green and High Tech Monza Brianza, per sviluppare percorsi formativi legati alla digitalizzazione e alle nuove tecnologie. Nella prima fase il progetto ha coinvolto trecento studenti delle

scuole secondarie superiori di Milano, Lecco, Monza, Vimercate e Roma ed è stato caratterizzato da incontri nelle aule per una serie di approfondimenti su temi come Big Data e Internet of Things. Le “lezioni”, che proseguiranno poi con il nuovo anno scolastico per tutto il 2016, sono state gestite dai manager di Sap con esempi concreti e hanno cercato di far capire ai ragazzi il loro doppio ruolo di utenti e

protagonisti della digital economy. Alcune classi saranno poi ospitate nella sede di Vimercate del colosso tedesco, per scoprire anche l’Innovation Centre e toccare con mano le soluzioni Sap dedicate al mondo del calcio, della vela, del golf e di altri sport. Le attività formative dell’azienda, inserite nel programma Digital4You, nel 2015 hanno coinvolto oltre 2.400 studenti in tutta Italia.

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SCENARI | Digital Transformation

dai nuovi data center il cloud che spinge il cambiamento Carmine Stragapede

intervistato Carmine Stragapede, direttore generale di Intel Corporation Italia, per capire da quali basi si parta per valutare il tasso di digitalizzazione delle imprese e le tecnologie coinvolte.

analizzare i dati, quindi gli analytics. Ecco, quando Intel parla di digital transformation parla di un grande puzzle formato da questi quattro pezzi fondamentali. Nemmeno un accenno alla sicurezza?

Quali sono i fattori chiave della trasformazione digitale?

Intel punta alle nuove architetture che integrano calcolo, memoria e networking. Senza dimenticare l'Iot e la sicurezza.

S

e la digital transformation è un concetto talmente ampio da poter essere declinato in infiniti modi ed essere osservato da molteplici angolazioni, il punto di vista di un’azienda che progetta e costruisce i mattoni fondamentali dell’It è particolarmente interessante per capire quali siano le fondamenta di questo processo. Technopolis ha

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Noi vediamo quattro elementi da cui non si può prescindere. Il primo è l’erogazione dei servizi in ambito cloud. Il nostro punto di vista è che siamo solo all’inizio di questo fenomeno, che continuerà a crescere in modo impetuoso. La crescita passa da data center sempre più sofisticati, al cui sviluppo Intel sta dando un contributo essenziale aiutando a integrare le architetture di calcolo, memoria e rete. Stiamo investendo tantissimo in queste nuove tecnologie, che comprendono lo sviluppo della famiglia di Cpu Intel Xeon ma soprattutto il networking e la memorizzazione dei dati, con la tecnologia 3d Xpoint che arriverà sul mercato il prossimo anno. Se ci spostiamo in periferia, invece, vediamo la possibilità di mettere intelligenza in molti diversi dispositivi. Quindi parliamo di mobilità ma anche di Internet of Things. Gli altri due fattori?

Il terzo aspetto è la strategia digital, che non deve essere limitata alla presenza sui social network (come tante aziende italiane, purtroppo, ancora pensano) ma che deve per forza comprendere anche il marketing e le vendite. Infine, ma non ultima in ordine di importanza, c’è la capacità di

La sicurezza è un aspetto trasversale, che va a toccare tutti gli altri elementi. La nostra attenzione a questo tema è talmente alta che anni fa abbiamo acquisito McAfee, oggi Intel Security, e abbiamo inserito funzioni di sicurezza molto sofisticate già all’interno dei firmware delle nostre Cpu. È una scelta costosa in termini di ricerca e produzione, ma Intel ha la massa critica per poter inserire queste “barriere” anche all’interno dei chip destinati agli oggetti di Iot, un elemento che al momento ci rende unici sul mercato. Che ruolo hanno i sistemi aperti nella digital transformation?

La nostra propensione verso i sistemi aperti, che riteniamo fondamentali nell’ambito della trasformazione digitale, è duplice. L’open source, infatti, sta al software come la micro-architettura x86 sta all’Open Industry. Chi ha valore aggiunto da mettere sulle nostre architetture lo può fare, differenziandosi dalla concorrenza. È un fenomeno che crescerà di pari passo con l’ascesa dell’IoT. E poi non scordiamoci che Intel ha tra i suoi ranghi migliaia di softwaristi. Se dovessimo fare uno split delle attività che coinvolgono il software noi saremmo la quarta software house al mondo. Emilio Mango


L'open source è in prima linea nel processo di digital transformation. Perché garantisce velocità, flessibilità e costi contenuti.

Gianni Anguilletti

trasformarsi è più facile se il software è aperto

L

a trasformazione digitale incombe e le finestre temporali a disposizione per intervenire, sia sul fronte dell’impresa privata sia della Pubblica Amministrazione, si fanno sempre più strette. Un attore coinvolto in entrambi i settori è Red Hat. La software house gode anche di un punto di vista privilegiato, perché opera nel comparto sempre più importante dell’open source, che ha tra le sue caratteristiche proprio l’agilità, la velocità e il costo accessibile. Requisiti importanti per affrontare la trasformazione. Technopolis ha intervistato Gianni Anguilletti, country manager di Red Hat Italia, per capire la relazione tra le architetture open e la digital transformation. Perché l’open source è una risorsa fondamentale della trasformazione?

È un modello che consente economie di scala, ma che allo stesso tempo agevola l’innovazione. Usare tecnologie aperte significa evolvere verso uno stadio di maggiore innovazione dell’azienda o dell’organizzazione. L’analogia con il mondo automobilistico è

significativa: pensiamo a come potrebbero essere oggi le auto se i componenti non fossero progettati dagli ingegneri delle singole case ma da una comunità aperta e collaborativa, che condivide un codice deontologico. Sicuramente avremmo vetture più performanti e innovative in termini di prestazioni, design e sicurezza. Il tutto a una frazione del costo sostenuto fino a oggi per la ricerca e la progettazione. Quali sono i driver del cambiamento dal vostro punto di osservazione?

Le tecnologie devono essere sempre più rispondenti alle esigenze degli utenti finali, e le aziende si scontrano con il vecchio ma sempre attuale mantra del “fare di più con meno”. In questo contesto, assume molta importanza la capacità di intercettare e analizzare le enormi quantità di dati che vengono generate quotidianamente dai processi di business e ora anche dall’Internet of Things. Consapevole di queste dinamiche, Red Hat si è impegnata nello sviluppare e rilasciare uno “stack” completo, costituito da diversi mattoni tecnologici,

che oggi viene identificato da molti come lo strumento più integrato ed efficace, sia dal punto di vista tecnologico sia finanziario, per affrontare la trasformazione digitale. Da che cosa è costituito questo “stack”?

L’offerta va dal sistema operativo (Linux, ovviamente) fino alla punta della piramide, che è il framework destinato alla costruzione di infrastrutture cloud. In mezzo, i mattoni che consentono di realizzare soluzioni software-defined storage, di creare e gestire sistemi virtualizzati e di sviluppare applicazioni. I componenti permettono di sfruttare al meglio le infrastrutture tecnologiche per gli analytics e i Big Data, nonché per le tecnologie mobili, integrando tutto il mondo delle soluzioni open anche non necessariamente marchiate Red Hat, come ad esempio Hadoop per i Big Data e Android per la mobilità. Per integrare tutto questo e permettere alle aziende di accedere anche a risorse esterne, mettiamo a disposizione una gamma di servizi di consulenza e di training. E.M.

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SCENARI | Data Center

Il data center di Novartis a Siena

SALE MACCHINE AGILI E SOFTWARE-DEFINED La rivoluzione digitale sta imponendo un profondo ripensamento dei data center, chiamati a supportare un business sempre più dinamico. Il requisito principe è la flessibilità, garantita da alcuni imprescindibili pilastri tecnologici.

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P

er decenni i data center hanno conservato immutato il proprio Dna, mantenendo requisiti di base sostanzialmente identici: alti livelli di disponibilità e di ridondanza, processi documentati per la gestione del cambiamento e una rigida organizzazione per silos. Caratteristiche oggi messe in discussione dalle esigenze di un business sempre più digitale. A chiederne la riformulazione sono soprattutto i volumi di dati generati da un ecosistema crescente di oggetti connessi: una fonte preziosa di informazioni che, per fornire indicazioni utili alle aziende, devono essere aggregate e analizzate in tempo reale. “Nell’era digitale, la customer experience in tempo reale guida le aspettative di clienti sem-

Daniel Cobb

pre più esigenti”, osserva Daniel Cobb, vice president e distinguished engineer Nvm Strategy di Emc. Si tratta di aspettative che, per essere soddisfatte, “chiedono una lettura in tempo reale di quantità variabili di dati, in modo da


permettere alle organizzazioni di intervenire e correggere in modo dinamico i servizi offerti”. Un livello di flessibilità che solo un data center estremamente agile è in grado di assicurare. “Senza dubbio l’agilità rappresenta la pietra angolare dei data center moderni: una caratteristica che, di contro, non è mai stata critica nella progettazione delle infrastrutture tradizionali” commenta ancora Cobb, sottolineando però come all’interno delle aziende il traguardo dell’agilità operativa sia ancora molto lontano. “Per abbracciarla completamente, occorre che i data center adottino alcune componenti tecnologiche chiave, da integrare all’interno di un unico framework. Prima fra tutte, l’implementazione di una piattaforma storage di tipo flash, una tecnologia veloce, affidabile, oggi economicamente accessibile per tutti i tipi dati e che assicura una gestione in tempo reale di qualsiasi mole di informazioni”. Fondamentale, sempre secondo il guru di Emc, è disporre di un’architettura “scale out”, in grado di incrementare capacità e prestazioni in funzione delle effettive necessità di business e – a differenza delle infrastrutture tradizionali, la cui scalabilità obbliga semplicemente all’acquisto di multipli dello stesso sistema – di estendere elasticamente le soluzioni in uso, facendole crescere proporzionalmente al business. Imprescindibile è quindi l’adozione di una logica infrastrutturale “softwaredefined”: l’utilizzo di Api programmabili per le diverse componenti permette, infatti, l’astrazione di tutte le risorse, garantendone l’orchestrazione e il provisioning automatizzato. Questo approccio non solo riduce la complessità gestionale, ma anche accelera l’erogazione dei servizi, aumentandone la flessibilità. L’ultimo, ma non meno importante, pilastro tecnologico di un data center moderno è rappresentato dalla componente protezione. Più le infrastrutture devono soddisfare esigenze in tempo

reale, più le loro funzioni critiche devono essere garantite. “Il real time obbliga alla messa in sicurezza di tutti i componenti architetturali, alla verifica di conformità delle configurazioni infrastrutturali e al rispetto di normative sempre più stringenti in merito all’uso delle informazioni” conferma Cobb. In sostanza, nella visione di Emc, occorre disporre di tecnologie in grado di assicurare la protezione di ogni singolo aspetto dell’infrastruttura e di ogni sua funzione. Un percorso a tappe

Ma qual è la strada migliore da seguire per trasformare un data center tradizionale in uno moderno e flessibile, pronto a supportare il business nella sua evoluzione digitale? “Le porte d’ingresso verso una maggiore agilità operativa possono essere diverse, ma in generale sono riconducibili a tre figure: gli sviluppatori, i proprietari delle informazioni e i team It”, precisa Cobb. Che dettaglia anche le modalità con cui le aziende dovrebbero muoversi: “Oggi sempre più organizzazioni chiedono agli sviluppatori versioni delle proprie applicazioni abilitate per il cloud, al fine di approcciare il tema della Terza Piattaforma (nella concezione di Idc, il modello di computing caratterizzato da accesso mobile ad alta velocità, cloud, Big Data e social media, ndr). Il consiglio è di compiere il primo passo abbracciando da subito piattaforme di sviluppo open source, come Cloud Foundry, per assicurarsi la completa portabilità delle applicazioni stesse”. Le aziende che fanno un uso intensivo dei dati, invece, puntano ad acquisire una maggiore agilità operativa mettendo a frutto la mole di informazioni di cui già dispongono. In tal caso il suggerimento di Emc è quello di iniziare ad approcciare la trasformazione del data center sviluppando interfacce e gateway con applicazioni cloud che rispondono ai dettami della Terza Piattaforma Claudia Rossi

La server farm PARLA con l’uomo La vera sfida nella progettazione di un data center consiste nell’armonizzare contenitori e contenuti, attraverso un assiduo confronto tra progettisti, imprese e operatori del settore. Questo modello risponderà in futuro a una duplice esigenza delle aziende: un altissimo livello di adattabilità ai repentini mutamenti del mercato e la massima garanzia di continuità del business. Al primo bisogno occorrerà rispondere con strutture modulari e flessibili, governate da sistemi intelligenti in grado di elaborare grandi quantità di dati prelevati in tempo reale. Si ottimizza, così, il funzionamento delle infrastrutture elettriche, meccaniche e It, che si auto-regolano al variare delle necessità. L’integrità dei dati gestiti e la loro reperibilità nel tempo richiedono inoltre eccellenze di progettazione integrata in ogni ambito e fase: nella scelta dell’architettura distributiva della potenza elettrica e di raffreddamento più idonea, così come nell’applicazione delle opportune ridondanze, per ridurre ai minimi termini il rischio di spegnimento degli apparati a seguito di un guasto. Un ulteriore aspetto fondamentale consiste nell’applicazione dei principi di ergonomia e umanizzazione degli spazi: il data center non deve essere più visto solo come un contenitore di macchine, bensì anche come spazio tecnologico che comunica con l’uomo e veicola i valori dell’azienda al mondo esterno. Pietro Matteo Foglio, Ceo & founder di In-Site

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SCENARI | Data Center

ARCHITETTURE IT SEMPRE PIù VIRTUOSE Le nuove sale macchine saranno in grado di sostenere approcci moderni allo sviluppo delle applicazioni e aumenteranno i livelli di automazione e flessibilità.

L‘

infrastruttura delle sale macchine si evolve grazie al software. Ne sono convinti gli analisti di Idc, che stimano entro i prossimi tre anni il raggiungimento dei 50 miliardi di dollari di valore per il mercato delle soluzioni di software-defined infrastructure (Sdi). Tra le sue componenti, vale a dire server, storage e networking, proprio quest’ultima sarà quella caratterizzata dai maggiori tassi di incremento nel periodo 2014-2019: la società di ricerca americana stima un tasso di crescita annuo composto del 63,4%, che porterà il giro d’affari globale a 12,5 miliardi di dollari nel 2020. 22

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Secondo la maggior parte delle aziende coinvolte da Idc in una recente indagine, l’infrastruttura definita dal software si inserisce in un circolo virtuoso: per il 70% delle imprese, per esempio, il modello Sdi facilita lo sviluppo di strategie cloud (soprattutto ibrido), mentre il 97% ritiene l’approccio open source un tassello fondamentale delle stesse architetture software-defined. Tutte le aziende, inoltre, si aspettano miglioramenti sostanziali nell’agilità, nella capacità di abbattere i costi di gestione dell’It e nella possibilità di creare e implementare le cosiddette applicazioni di prossima generazione (le cosiddette “next generation application”). In sintesi, il modello Sdi dominerà lo scenario dei nuovi data center e delle iniziative, già messe in atto da molte realtà, di trasformazione delle sale macchine moderne. Gli elementi fondanti della nuova “era” dei data center, secondo gli analisti, saranno in particolare le tecnologie convergenti e iperconvergenti, che permetteranno di concretizzare appieno il paradigma del software-defined.

Oltre all’adozione di ambienti cloud ibridi, i data center di prossima generazione saranno in grado di sostenere approcci moderni allo sviluppo software, come il DevOps. Questa, almeno, è l’opinione degli esperti di Gartner, che sottolineano come i nuovi paradigmi porteranno a livelli di automazione e di flessibilità ancora maggiori, sostenendo così la crescita del business in modo agile. La maggior parte delle aziende, secondo la società di ricerca americana, non è però ancora pronta per procedere con una corretta distribuzione dei nuovi servizi e dovrebbe, quindi, avanzare con cautela. “Sostituire un’infrastruttura legacy con una serie di prodotti software-defined difficilmente porterà a benefici”, avverte Gartner. “Prima di arrivare alle attività automatizzate e all’implementazione del self-service, i processi associati con i servizi It devono essere completamente ripensati e ottimizzati. Questo cambiamento richiede nuove competenze e una cultura diversa rispetto a quella diffusa oggi in alcune organizzazioni”. A.A.


TECHNOPOLIS PER INTEROUTE

IL NETWORKED CLOUD GLOBALMENTE INTEGRATO DI INTEROUTE

Interoute allarga la sua rete e batte la concorrenza in velocità. Lo scorso maggio l’azienda ha inaugurato due nuovi Virtual Data Center (VDC) a Istanbul e a Singapore, che vanno ad aggiungersi agli altri quattordici distribuiti su tre continenti e posizionati a Milano, Parigi, Ginevra, Zurigo, Londra (due in città e uno a Slough, a 30 chilometri dalla capitale), Madrid, Amsterdam, Berlino, Francoforte, Hong Kong, New York e Los Angeles. L’operatore si conferma così come proprietario di una fra le piattaforme tecnologiche più grandi in Europa, un network esteso per oltre 70mila chilometri di fibra su cui viaggiano sia servizi di cloud pubblico, sia privato. Il Virtual Data Center è, infatti, una soluzione Infrastructure as a Service scalabile e completamente automatizzata, che fornisce capacità di calcolo, storage e applicazioni on demand combinando la semplicità e la convenienza economica del cloud pubblico con la sicurezza di un’infrastruttura privata. Il cliente può scegliere fra un servizio di private cloud fornito attraverso la rete Vpn aziendale oppure un servizio cloud appoggiato a Internet o, ancora, una combinazione di entrambi. Il VDC ha tutti i vantaggi tipici della nuvola: mette a disposizione un’infrastruttura indipendente dal possesso dell’hardware, elastica e scalabile, con un modello di pagamento a consumo (calcolato su base oraria e corrisposto su base mensile) e con un deployment in tempo reale. Ma non si tratta di una semplice raccolta di server sul cloud: è un approccio nuovo, che fornisce al cliente un data center inserito in una grande rete e gestibile con un click. In altre parole, è l’equivalente virtuale di un data center “fisico”, rispetto al quale però non esistono costi di hardware, networking, colocation, consumi energetici e manutenzione. Si accede al servizio attraverso il portale online cloudstore.interoute. com, da cui è possibile configurare e personalizzare ciascuna macchina

virtuale con i parametri desiderati di Cpu, Ram, capacità di storage, backup, disaster recovery e preferenze di networking. In ciascun momento è possibile intervenire aggiungendo o togliendo risorse, per adattarsi elasticamente alle necessità del business, ed è anche possibile controllare l’infrastruttura virtuale attraverso numerose funzionalità Api (Application Programming Interface). Il trasferimento dei dati tra i diversi nodi è gratuito, il che rende estremamente flessibile ed economicamente efficiente l’elaborazione dati multi-zona e le relative architetture. Le performance sono ottimizzate poiché i dati sono instradati all’interno della dorsale globale, e questo si traduce in livelli di latenza tra i più bassi del mercato. Nel mese di gennaio 2016 uno studio indipendente di Cloud Spectator ha misurato le performance di alcune proposte concorrenti, dopo aver creato endpoint in otto città: la piattaforma di Interoute si è dimostrata superiore ad Aws, Azure e Rackspace per throughput di rete, latenza e velocità di trasferimento. Sono state misurate, inoltre, prestazioni di rete tra il 121% e 385% più elevate fra il data center di Milano di Interoute e l’endpoint utente creato da Cloud Spectator nel capoluogo lombardo, rispetto alle connessioni di Amazon, Microsoft e Rackspace. “Le aziende di successo”, ha commentato l’amministratore delegato di Interoute Italia, Simone Bonannini, “stanno sviluppando strategie per trasformare digitalmente il proprio business e considerano il cloud la chiave di questa evoluzione. Per assicurare che le operazioni It considerate business critical siano efficienti e possano coesistere con i processi di migrazione, consolidamento e lavoro flessibile, è fondamentale che la piattaforma su cui si poggiano offra performance ottimali”. www.interoute.it 23


SPECIALE | Enterprise mobility

LA MOBILITÀ DI OGNI COSA Il mercato italiano è in forte crescita, guidato dalla domanda di servizi di outsourcing e system integration. Il focus è ora sui processi, sulla massimizzazione dell'efficienza e sul cambiamento del ruolo di Cio e team It. E si va verso il concetto di “enterprise of everything”.

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uest’anno le aziende italiane spenderanno 660 milioni di euro in software e servizi professionali in ambito enterprise mobility, per poi far crescere gli investimenti a un ritmo del +17% annuo e infine superare il miliardo di euro nel 2019. La fotografia, molto precisa e dettagliata, è di Daniela Rao, senior research & consulting director di Idc Italia, che spiega a Technopolis come la prevista accelerazione di domanda sarà “generata soprattutto dall’acquisto di servizi di system integration, outsourcing e assistenza software” e correlata alle esigenze di estendere e stratificare i progetti di “mobilizzazione” degli addetti e dei processi 24

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delle medie e grandi imprese italiane. Realtà da sempre molto sensibili agli evidenti vantaggi di comodità, velocità e flessibilità offerti dalle tecnologie mobili. “Le aziende hanno superato la fase dei progetti tattici”, ha spiegato l’analista di Idc, “e nell’ultimo anno si sono impegnate nello sviluppo di progetti strategici e di ampio respiro, spostando la loro attenzione dalla protezione del device a quella dell’organizzazione e al ripensamento dei processi. Ora cercano nelle soluzioni di enterprise mobility gli strumenti che permettono di ottenere reali vantaggi competitivi legati alla maggiore flessibilità, al recupero di efficienza e anche alla migliore qualità della vita professionale degli addetti”.

In questo mercato complessivamente dinamico, i settori che stanno investendo maggiormente in soluzioni di mobilità aziendale sono sostanzialmente tre, ovvero nell’ordine telecomunicazioni & media, utilities e industria di processo. I progetti più rilevanti, come precisa Rao, “continuano a essere quelli legati alla trasformazione dei field service, in particolare nelle aziende che hanno molti addetti impiegati sul campo e nei processi di vendita”. In linea generale si può affermare che le aziende italiane stanno ricorrendo sempre più alla mobility e in questo percorso stanno soprattutto riservando attenzione alla questione delle competenze necessarie per affrontare il cambiamenGIUGNO 2016 |


Decollano le app enterprise Ammonta a diversi miliardi di dollari la spesa mondiale che le aziende sono disposte a sostenere per far lavorare i propri dipendenti attraverso applicazioni mobili. La stima è di Idc e certifica la propensione a investire su soluzioni che consentono l’accesso ai dati aziendali ovunque, in ogni momento e da qualsiasi dispositivo. Secondo la società di ricerca americana, il mercato globale delle app mobili di classe enterprise (Crm, Erp, collaboration, content management e altre categorie ancora) è cresciuto dai 2,6 miliardi di dollari del 2014 agli oltre tre miliardi del 2015. Nel computo rientrano soluzioni dedicate a un processo aziendale e declinate anche sulla base di specifiche esigenze settoriali, fruibili dentro e fuori dall’azienda attraverso smartphone, tablet e dispositivi indossabili. Tra i fruitori rientrano non solo i dipendenti, ma anche diversi attori della catena del valore che va dai fornitori ai clienti finali. Il dato più interessante riguarda le proiezione a medio termine di questo mercato, che dovrebbe superare i 3,5 miliardi di dollari alla fine di quest’anno per arrivare a sfiorare i cinque miliardi nel 2019. La categoria di app mobili su cui si concentrerà maggiormente la spesa nel corso del 2016 è quella dell’Enterprise Resource Management (Erm, e cioè i software adibiti alla gestione delle risorse aziendali ad ampio spettro), mentre a crescere di più nel periodo 2014-2019 sarà quella della collaborazione, con un incremento annuo del 19,3%.

Daniela Rao

stare un punto di forza fondamentale dei vendor. Guardando all’orizzonte, nell’immediato futuro assisteremo a una focalizzazione dell’offerta su applicazioni personalizzate su misura, integrate nei processi e aventi la capacità di dialogare con piattaforme intelligenti, sistemi centralizzati e persone fisiche distribuite sul territorio. Uno sguardo al futuro

to. “Il focus dell’attività dei chief information officer”, sottolinea in proposito l’analsta di Idc, “si sposta dal controllo e dalla gestione delle infrastrutture Ict all’identificazione di soluzioni per gestire nuovi processi di business e nuovi flussi di informazioni, livelli di accesso e libertà degli utenti”. Cambia di conseguenza anche il ruolo dei dipartimenti It aziendali, che da centro di controllo si trasformano in centro di competenza, con una spiccata focalizzazione sull’innovazione e un approccio più attivo e più collaborativo che ne aumenta il coinvolgimento nella pianificazione degli investimenti in tecnologie. Un’offerta personalizzabile

Al crescente numero di imprese che stanno affrontando la mobilità con un approccio strategico corrisponde, come facilmente ipotizzabile, un’evoluzione delle soluzioni di enterprise mobility disponibili sul mercato. Stiamo cioè assistendo, spiega Rao, a uno “spostamento progressivo dell’offerta dalla gestione del device a quella della mobilità intesa in modo olistico, comprendendo anche le applicazioni, i contenuti e gli oggetti connessi”. A detta di Idc, poiché la complessità degli ambienti da gestire tende ad aumentare, la capacità di affiancare l’impresa cliente nel percorso di “mobilizzazione” di risorse e processi è destinata a re-

Le applicazioni mobili più diffuse nelle aziende con meno di cinquanta addetti riguarderanno email, messaggistica e social network utilizzati in chiave professionale. Con una precisazione necessaria: “L’attenzione di queste imprese”, sottolinea Rao, “rimane focalizzata più sui dispositivi che non sugli applicativi utilizzabili in mobilità e per questo motivo la spesa si concentra su smartphone, tablet e connettività”. Più in generale, gli investimenti aziendali per dotare addetti e manager di strumenti e servizi Ict idonei a supportare il lavoro in mobilità cresceranno di più nelle medie e grandi imprese, dove troveranno ampia diffusione le applicazioni mobili customizzate. Queste dovranno soddisfare le esigenze di moltiplicare i canali di comunicazione in diversi ambiti dell’impresa, supportare la collaborazione e l’evoluzione dei processi di business (appoggiate alle piattaforme di Crm, Erp e Sales force automation) e razionalizzarne la gestione. Quanto al futuro, Idc stima che durante i prossimi due anni nelle aziende (e in particolare in quelle grandi) si svilupperanno molte iniziative di “lavoro agile” e smart working, mentre nelle strategie di enterprise mobility diventeranno sempre più centrali i processi abilitati e automatizzati da device, app e sensori. Questo passaggio segnerà anche un cambio di paradigma: la “mobile enterprise” di oggi, questo l’assunto dell’analista, diventerà la “enterprise of everything” di domani. Piero Aprile 25


SPECIALE | Enterprise mobility

L’IMPORTANZA DELLA consumer experiencE La rivoluzione digitale obbliga a ripensare le strategie aziendali e quelle tecnologiche. Entrambe devono dare priorità alla relazione con il cliente.

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ggi gli utenti sono costantemente connessi attraverso differenti dispositivi, sono più inclini a fornire i propri dati personali e sono raggiungibili tramite diversi canali di comunicazione. Le vendite online si stanno progressivamente spostando sul mobile, favorendo l’ingresso di nuovi player che interagiscono direttamente con i consumatori. In questo scenario, si rende necessario il ripensamento delle strategie aziendali, che devono dare priorità al fattore “customer experience”. La centralità della componente “mobile” trova concretezza nell’aumento dei budget di marketing destinati a questo canale, mentre in termini tecnologici è molto diffuso (in due aziende su tre) il ricorso alle app. La creazione di un’applicazione richiede però alcune accortezze, imprescindibili affinché sia adottata con successo dai consumatori. È innanzitutto importante capire quale sia il cosiddetto “mobile moment”: in pochi passaggi l’utente deve essere in grado di raggiungere le informazioni rilevanti, spesso diverse da quelle che si ricercano sul sito Web. I canali devono quindi essere differenziati anche in termini di interfaccia, che deve essere adattata al device e all’uso che se ne fa. Nel caso in cui sia possibile identificare 26

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diversi “mobile moment”, è bene sviluppare più app, ognuna rispondente a uno specifico bisogno, e collegarle tra di loro in un’ottica di “seamless experience”. Nel miglioramento dell’esperienza del cliente, inoltre, assume sempre più importanza l’utilizzo di strumenti quali gli iBeacon e i tool di context-based marketing, che aiutano a fornire maggiori livelli di personalizzazione. Obiettivi chiari e integrazione

Per assicurare il successo di un’iniziativa finalizzata a migliorare la mobile customer experience, è fondamentale che vi sia, a priori, una chiara identificazione degli obiettivi. In questo modo è possibile creare un’organizzazione verticale, dotata di una propria autonomia decisionale, assicurando allo stesso tempo il commitment dei vertici aziendali. Altrettanto fondamentali sono il collegamento e l’integrazione con altre aree del business, necessari a risolvere eventuali conflitti o ad aiutare a supe-

rare aspetti di “disruption” che possano essere visti come un limite. L’impresa, nel suo complesso, deve sviluppare una sensibilità tale da catturare maggiori informazioni di contesto, che possano aiutarla a identificare le migliori opportunità e a indirizzare le scelte. Per una corretta integrazione dell’organizzazione, è estremamente importante che la strategia digitale non derivi da quella aziendale e che, al contrario, esse siano elaborate congiuntamente, in modo da assicurarne la massima unitarietà e onnicomprensività. Nella definizione della strategia è necessario considerare che le decisioni degli utenti connessi sono sempre più influenzate dall’esperienza di consumo e sempre meno dal prezzo o dal brand. Per questo motivo le imprese devono riuscire a fornire ai loro clienti una “consumer experience” che faciliti loro le scelte e diminuisca il carico cognitivo. Anna Nocella, analista di The Innovation Group GIUGNO 2016 |

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TECHNOPOLIS PER MOBILEIRON

DALLA MAIL AL LAVORO IN MOBILITÀ, IN SICUREZZA

Riccardo Canetta, regional sales director Italia, Turchia e Grecia di MobileIron

Molte aziende stanno abbandonando le soluzioni "primordiali" per adottarne altre che consentono l'accesso a Intranet, applicazioni cloud e piattaforme di collaboration. Quello della mobility è un viaggio che ciascuna azienda intraprende con tempi diversi: il mercato è nato ormai quasi dieci anni fa con l’introduzione dei primi smartphone in sostituzione dei BlackBerry e oggi si sta evolvendo per consentire sempre di più il lavoro in mobilità. Molte organizzazioni stanno abbandonando i sistemi di Mobile Device Management (Mdm) “primordiali”, che permettevano la configurazione del profilo email e poco più, per andare verso soluzioni che consentono di dare accesso a Intranet e a piattaforme di collaborazione aziendali, oppure soluzioni che, come la nostra, permettono di fornire assistenza remota. È anche in atto un consolidamento del mercato: se osserviamo il quadrante di Gartner, notiamo che il numero dei vendor si è più che dimezzato in cinque anni. Un ulteriore tema riguarda la trasformazione di ruolo dei responsabili It aziendali: un tempo avevano un controllo

totale sui Pc in uso ai dipendenti, ora si devono abituare a guidare e in qualche caso assecondare le scelte degli utenti, sia per quanto riguarda i dispositivi (iOs, Android, Windows 10) sia per quanto riguarda le app. E questa transizione, che potremmo definire quasi “culturale”, è ancora in atto. La più grande novità dell’anno scorso è stata, forse, il lancio di Windows 10. Iniziano a concretizzarsi i primi casi di utilizzo che suggeriscono la gestione dei tablet basati sul sistema operativo di Microsoft tramite una soluzione come quella di MobileIron, anziché con i vecchi strumenti di client management. E questa è una grande opportunità per le aziende, che possono valutare una migrazione da laptop Windows 8 verso tablet o dispositivi “due-in-uno” con a bordo Windows 10. Questi ultimi, fra l’altro, hanno il vantaggio di offrire la user experience che gli utenti si aspettano da un dispositivo smart: per esempio, danno la possibilità di installare delle app tra quelle approvate dall’amministratore It. Per quanto riguarda MobileIron, la nostra più recente novità, introdotta nel 2016, è una soluzione che consente alle aziende di autenticare gli utenti ai servizi cloud tenendo conto anche del dispositivo e dell’app da cui viene effettuato l’accesso. Il problema dei servizi Web-based, infatti, è che l’utente può accedere a essi da qualsiasi dispositivo semplicemente attraverso username e password, lasciando potenzialmente “in giro” dati riservati. Con MobileIron, invece, diventa possibile per esempio garantire l’accesso a Office 365 o a Salesforce solo dalle app gestite dall’It aziendale. In questo modo i dati restano all’interno di una sorta di “bolla virtuale” gestita tramite la nostra soluzione. Questo è solo un esempio dell’innovazione che stiamo continuando a portare al mercato: essere rimasti l’unico player indipendente ci permette di non dover disperdere energie nell’integrazione con altri prodotti venduti da noi. Al contrario, possiamo offire ai nostri clienti la massima libertà di scelta per quanto riguarda i dispositivi e i sistemi operativi, le app e i sistemi di terze parti (come Network Access Control, antimalware, log management, eccetera) che formano senz’altro l’ecosistema più ampio sul mercato, come può essere facilmente verificato sul sito marketplace.mobileiron.com. 27


SPECIALE | Enterprise mobility

Un percorso ancora incompiuto La domanda di app mobili aziendali cresce cinque volte più rapidamente della capacità dei team It interni di soddisfarla. Ma l’entusiasmo si scontra con alcune questioni tecniche e infrastrutturali da affrontare.

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ondata che ha travolto e stravolto gli stili di vita, nella dimensione privata e sociale, ha ormai raggiunto anche il mondo del lavoro. Smartphone, tablet e applicazioni non soltanto si sono fatti spazio negli uffici ma ne sono diventati una sorta di estensione “in palmo di mano”, con le ben note conseguenze di commistione fra la sfera professionale e quella personale. Siamo, però, solo in una tappa intermedia di un percorso iniziato anni fa con i dispositivi Blackberry e che oggi prosegue a ritmo più rapido con Android e iOs (su smartphone e tablet) e con Windows 10 (sui portatili “due-in-uno”, cioè notebook con schermo tattile e tastiera remo-

vibile). “Le applicazioni che sono state ‘mobilizzate’ per prime sono quelle che senza dubbio hanno permesso un basso impatto a livello infrastrutturale sui dati di backend”, spiega Francesco Tragni, senior solution strategist di Ca Technologies. “La posta elettronica, ad esempio, per sua natura contiene dati che già nativamente erano esposti su Internet. Risulta più complesso invece poter disporre di applicazioni che esportino su mobile dati consultabili solo dall’interno dell’azienda, a meno di non rivedere pesantemente le architetture”. Se la posta elettronica ha fatto da apripista, lo spostamento su mobile ha poi coinvolto altre applicazioni come quelle destinate alla forza vendita (un ruolo che, per sua GIUGNO 2016 |

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sorta di ambiente operativo isolato: tutto ciò che sta al suo interno è protetto da password di accesso, crittografia, sistemi di rilevamento dei malware e delle manomissioni al kernel di Android. “L’enterprise mobility rappresenta un mercato in forte crescita”, concorda Matteo Losi, innovation sales director di Sap Italia. “Secondo l’analisi pubblicata lo scorso marzo da Transparency Market Research, il suo valore globale, stimato in più di 86 miliardi di dollari nel 2014, supererà i 510 miliardi di dollari entro fine 2022, con un’ascesa annua del 24,7% tra il 2015 e il 2022. Anche in Italia stiamo riscontrando un elevato interesse da parte dei nostri clienti ad estendere l’accesso in mobilità ad applicazioni critiche, dall’Erp all’Hcm (Human Capital Management)”. A det-

LUCA ZERMINIANI - VMWARE

FRANCESCO TRAGNI - CA TECHNOLOGIES

ENRICO TROVATI - TIM

stessa natura, impone spesso di essere lontani dalla scrivania) e come gli strumenti di collaborazione. Altri elementi, invece, cominciano solo ora a trovare una declinazione mobile, con il prerequisito essenziale dello spostamento dei dati nel cloud: gestionali come gli Erp, i Crm, gli strumenti di analytics. Perché, dunque, il mobile fatica a raggiungere le attività business-critical? “Sulla scelta pesa sicuramente il fattore sicurezza”, riflette Luca Zerminiani, senior systems engineering manager di Vmware Italia. “Molte applicazioni critiche hanno a che fare con sistemi in cui risiedono i dati più sensibili di un’organizzazione e portarle in mobilità può creare problemi in termini di violazione e perdita dei dati, con un conseguente danno per l’azienda”. Che questa sia una preoccupazione è confermato da uno studio recente della stessa Vmware: il 55% dei decision maker della regione Emea e addirittura il 66% di quelli italiani hanno detto che poter contare su una maggiore sicurezza è fondamentale per chi debba abbracciare un modello mobile. “In altri casi”, prosegue Zerminiani, “a incidere è la natura stessa delle applicazioni, le cui caratteristiche rendono difficoltoso portarle in mobilità”. Samsung concorda con questa visione ma ponendola in una luce più ottimistica, parlando cioè di “ostacoli ormai superati, che consistevano principalmente nei costi di portabilità e sicurezza dei dati aziendali, e quindi nella convivenza sullo stesso dispositivo mobile dell’ambiente lavorativo e quello privato”, come illustrato da Mauro Palmigiani, head of B2B di Samsung. “Fino a ora le aziende si sono concentrate sulle applicazioni base, in una logica di estensione della postazione di lavoro in ambito mobile. Oggi, invece, sta crescendo l’interesse per portare anche le attività critiche su mobile, grazie a una maggiore disponibilità di applicazioni ottimizzate per queste piattaforme”. Il vendor sudcoreano ha affrontato il problema della sicurezza con Samsung Knox, una suite che crea sul telefono o tablet una

ta del manager di Sap, in alcuni casi la spinta proviene dall’adozione di modelli di smart working all’interno delle aziende, mentre altre volte è la risposta alla “necessità sempre più stringente di dover accedere ai dati in tempo reale e da qualsiasi luogo per chiudere un ordine, approvare la nota spese di un collaboratore o verificare lo stato di un reclamo prima dell’incontro con il cliente”. L’esplosione delle app

Anche Microsoft segnala un crescente interesse delle aziende per l’accesso in mobilità ad applicativi business critical. “Si tratta di un percorso che inevitabilmente inizia con il primo step della produttività”, commenta Vincenzo Esposito, direttore della divisione piccola e media impresa e partner di

alleati per un office 365 più sicuro L’annunciata partnership con Microsoft e lo spostamento del focus sul cloud rappresentano per Citrix due elementi importanti della sua nuova strategia mobile. Nel primo caso, perché diventa centrale il supporto alla Enterprise Mobility Suite di Microsoft; nel secondo, perché Citrix Cloud è proprio la piattaforma su cui si basano i servizi in mobilità della multinazionale. Al Citrix Synergy, tenutosi a Las Vegas a fine maggio, la multinazionale e Microsoft hanno annunciato l’integrazione tra Citrix XenMobile e

NetScaler con Microsoft Enterprise Mobility Suite (Ems), una mossa che potrebbe far guadagnare a entrambi parecchi punti nella competizione sul fronte della mobilità aziendale. “Il valore aggiunto che offriamo in questa partnership”, ha dichiarato Suzanne Dickson, alla guida del marketing delle soluzioni mobili di Citrix, “è soprattutto la sicurezza intrinseca che le nostre soluzioni hanno, e che in questo modo viene riportata, su vasta scala, ad esempio per l’utilizzo di Office 365 in mobilità”. E.M.

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Microsoft Italia, “ovvero con soluzioni di collaborazione e condivisione delle informazioni. La una produttività a 360° si può raggiungere solo abilitando l’accesso a soluzioni più complesse per esempio di Crm, Erp o Business Intelligence. Siamo, quindi, sicuri che sempre più aziende daranno vita a progetti di trasformazione digitale in cui anche questi tipi di applicazioni giocheranno un ruolo chiave. Fondamentalmente è solo un tema di maturità del mercato, perché di fatto questo tipo di progetti possono essere accelerati grazie al cloud computing e garantiscono un ritorno

sull’investimento legato anche all’ottimizzazione della produttività”. Accanto alla nota offerta di servizi cloud (OneDrive per l’archiviazione, Office 365 per la produttività, Azure per gli analytics e altre applicazioni), la società di Redmond propone PowerApps: un servizio che consente a chiunque di creare app mobili anche senza possedere capacità di programmazione, collegandole ad altre applicazioni (quelle di Microsoft, ma anche Salesforce, Drobox, database di Oracle e altro ancora). “Le organizzazioni possono così sviluppare sia soluzioni basiche sia applicazioni

Apple stende il tappeto rosso a Ibm e Sap Dopo l’alleanza oramai consolidata con Ibm, Apple coltiva una nuova amicizia con Sap. Nel 2014 l’azienda di Cupertino aveva stupito tutti aprendo le porte di iOs, con tanto di tappeto rosso, ai prodotti software e ai servizi di Big Blue: l’accordo prevedeva di realizzare insieme un centinaio di applicazioni per iPhone, iPad ed Apple Watch, poggiate sull’infrastruttura cloud di Ibm e rivolte a diversi settori e ruoli aziendali. Promesse tradotte nell’offerta MobileFirst, che oggi può contare su decine di app utili a venditori, medici, addetti alla logistica, responsabili di cantiere, a chi si occupa di diagnosi e riparazioni di impianti, a chi fa ispezioni per conto di un ente pubblico e altro

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RICCARDO CANETTA - MOBILEIRON

VINCENZO ESPOSITO - MICROSOFT

LUIGI SCAPPIN - ORACLE

MAURO PALMIGIANI - SAMSUNG

SPECIALE | Enterprise mobility

ancora. Lo scorso maggio poi, Apple e Sap hanno annunciato il lancio un kit di sviluppo software (Sdk) per la creazione di applicazioni per iOs che daranno accesso ai dati e ai processi aziendali appoggiati su Sap S/4Hana. Il focus è sull’Erp e sull’accesso ai dati in tempo reale, combinato con le funzionalità tipiche del mobile (interazione touch, geolocalizzazione, notifiche). “In quanto leader nel software enterprise e con il 76% delle transazioni business che toccano un sistema Sap”, ha commentato Tim Cook, “Sap è il partner ideale per aiutarci a trasformare davvero il modo in cui le attività di business in tutto il mondo vengono gestite su iPhone e iPad”.

mission critical”, sottolinea Esposito, “in uno scenario in cui, secondo Gartner, fino al 2017 la domanda di servizi di sviluppo di app mobili crescerà cinque volte più rapidamente della capacità interna dei team It”. Le applicazioni fruibili da smartphone e tablet, tuttavia, non sono solo strumenti di lavoro per dipendenti e collaboratori, ma anche un servizio da offrire al cliente. “Negli ultimi anni”, commenta Enrico Trovati, responsabile marketing Ict solutions & service platforms di Tim, “le aziende stanno introducendo alcune innovazioni volte soprattutto a meglio soddisfare le esigenze dei propri clienti, per competere su un mercato diventato| GIUGNO altamente concorrenziale. Di qui l’incremento significativo nell’ambito del Web mobile e delle app, che rappresentano soluzioni in grado di assicurare ritorni pratici in termini di efficienza ed efficacia in mobilità. Se si vogliono traguardare vantaggi strutturali, occorre però lavorare più profondamente sui processi di business e sulle interfacce tra sistemi legacy e applicazioni mobili. L’investimento spesso non è banale in termini di tempi e costi, e un ulteriore elemento di attenzione è rappresentato dalla necessità non solo di nuove tecnologie ma soprattutto di nuove competenze”. I passi da compiere e gli errori da evitare

Per diventare davvero “mobili” alle aziende serve qualcosa in più rispetto al semplice utilizzo di app e dispositivi portatili. Serve, innanzitutto, una visione d’insieme. “È fondamentale considerare l’ecosistema mobile aziendale nel suo complesso”, illustra Luigi Scappin, technology sales consulting director di Oracle Italia, “per dotarsi di una straGIUGNO 2016 |

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tegia di gestione strutturata, in grado di garantire allo stesso tempo la sicurezza e la fruibilità delle applicazioni, dei servizi e delle piattaforme mobile da parte degli utenti”. La società di Redwood mette a disposizione sistemi ingegnerizzati, sia acquistabili come hardware da installare on-premise sia fruibili attraverso il cloud, in entrambi i casi con il fine di assicurare performance, scalabilità e continuità di servizio. L’offerta per la “mobile enteprise” include una suite di sicurezza e la protezione dei dati (Mobility Security Suite), una per l’integrazione delle app con l’ambiente It aziendale (Mobile Application Suite), un Mobile Application Framework per la standardizzazione dello sviluppo software sui diversi sistemi operativi e, infine, un servizio (Mobile Cloud Service) per la realizzazione di interfacce di programmazione applicativa. Sono necessari, inoltre, alcuni investimenti infrastrutturali in piattaforme di gestione dei dispositivi mobili (Mobile Device Management), in sicurezza, nel porting applicativo e, infine, nel cloud che deve sostenere e rendere possibile l’accesso ubiquo alle applicazioni e ai dati. “Il fenomeno più diffuso”, aggiunge Palmigiani, “è lo spostamento in cloud dell’interazione mobile, sia perché in ogni caso tale interazione avverrebbe tramite Internet, sia per la flessibilità e scalabilità virtualmente infinita della nuvola”. A chi voglia intraprendere un percorso verso la mobility, Vmware suggerisce invece di “evitare di adottare soluzioni puntuali per problemi specifici, con il rischio di avere una stratificazione di prodotti che portano complessità e costi”, come illustrato da Zerminiani. La proposta di Vmware è Workspace One, una soluzione integrata che permette ai dipendenti di fruire tutte le applicazioni (legacy e non) su qualsiasi dispositivo, mentre gli amministratori It possono da qui gestire sia i dispositivi sia gli accessi e le identità. Altre scelte hanno risvolti importanti sulla sicurezza dei dati. “Per definire gli investimenti di un progetto di enterpri-

se mobility”, suggerisce Matteo Losi di Sap, “bisogna partire dalla strategia mobile dell’azienda: quali obiettivi, quali utenti devono essere coinvolti, quali le implicazioni organizzative? La definizione di questi aspetti inizia identificando gli utenti finali, se siano impiegati, manager, consumatori o partner, e il relativo scenario operativo. Per agevolare questi cambiamenti non sono necessari solo device ad alte prestazioni o connessioni efficienti, ma anche modelli organizzativi coerenti rispetto alle nuove strategie e agli strumenti innovativi di collaboration”. L’enterprise mobility, insomma, non si esaurisce solo in scelte tecnologiche. Un punto da considerare con attenzione riguarda la protezione dei dati. “Nel caso un’azienda voglia concedere accesso ai suoi servizi tramite dispositivi mobili, è consigliabile una soluzione che integri la possibilità di implementare Virtual Private Network applicative” spiega Riccardo Canetta, regional sales director Italia, Turchia e Grecia di MobileIron. “Le Vpn per device, infatti, andavano bene quando i dispositivi erano controllati al 100% dall’It, mentre oggi che gli utenti possono installare proprie app esse non rispettano requisiti di sicurezza e di efficienza dei costi. E questo gateway

per le Vpn applicative (che nel caso di MobileIron è una virtual appliance prehardenizzata da noi) deve stare dove si trovano i server a cui l’utente deve accedere, ossia on-premise, nella maggior parte dei clienti italiani di una certa dimensione”. Per MobileIron, dunque, il sistema di gestione può anche risiedere nella nuvola, ma “adottare una soluzione cloud-only significa escludere la possibilità di offrire agli utenti servizi innovativi come l’accesso a repository documentali o l’assistenza remota”. “Il punto principale è l’esposizione sicura ed affidabile dei dati aziendali”, concorda Tragni di Ca Technologies, “necessaria per poter visualizzare le informazioni dalle mobile app in modo ottimizzato e in tempo reale. Per fare questo le aziende devono utilizzare le Api (Application Programming Interface) e una piattaforma che le gestisca, fungendo da gateway per l’accesso dall’esterno”. Tra gli errori da evitare, a detta di Tragni, c’è quello di “buttarsi sulla mobility senza aver correttamente valutato gli impatti sul backend, e in particolare sulla messa in sicurezza dei propri dati sensibili”. L’entusiasmo per le novità e i traguardi da raggiungere, dunque, non deve giustificare l’improvvisazione. Valentina Bernocco 31


ECCELLENZE.IT |

Gruppo Sapio

Business continuity, obiettivo vitale La storica realtà monzese fornisce gas tecnici e servizi ai più disparati settori, dall’industria alla sanità. Per garantirsi la continuità operativa, più che cruciale in alcuni casi, ha scelto Fortinet.

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erte volte, dal buon funzionamento di una tecnologia dipende non solo il business, ma la vita delle persone: succede a chi, come Gruppo Sapio, annovera fra i propri clienti anche ospedali, cliniche, biobanche. Nata a Monza nel 1922 come azienda produttrice di gas tecnici, Sapio è cresciuta negli anni sia dal punto di vista commerciale sia portando avanti la ricerca e l’innovazione tecnologica. A questa prima società nel 1989 se ne è affiancata una seconda, Sapio Life, il cui pane quotidiano sono le tecnologie per camere iperbariche, aerosolterapia, ossigenoterapia, medicina del sonno, telemonitoraggio, nutrizione artificiale, assistenza domiciliare e altro ancora. La più giovane divisione BioRep, creata nel 2003, si occupa della conservazione di cellule e materiale biologico per alcuni tra i più importanti istituti di ricerca italiani. Oggi Gruppo Sapio è una realtà da 1.450 dipendenti che vende gas, tecnologie e servizi ai settori più vari: dall’alimentare (per il confezionamento in atmosfera protettiva o la realizzazione di bevande gasate) all’ambiente (per la depurazione delle acque e la bonifica dei suoli, ad esempio), dalle biotecnolo32

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gie all’industria dei microchip, dalla produzione di vetro e cemento alla chimica farmaceutica, senza dimenticare gli oltre 150 ospedali serviti. “Nel settore in cui operiamo, la disponibilità dei sistemi è un elemento realmente critico”, ha spiegato il chief information officer, Riccardo Salierno, responsabile di un team It di una ventina di persone. “Lavoriamo LA SOLUZIONE Dopo una prima fase di testing, con il supporto del partner Maticmind sono state implementate due appliance ForftiGate 800C, installate nel data center di Monza, da cui svolgono funzioni di firewall di rete, Web filtering e Virtual Private Network. A questa infrastruttura si è aggiunta, in una seconda fase, una soluzione per la protezione dagli attacchi DDoS. Gruppo Sapio ha ottenuto una semplificazione della gestione It e migliori garanzie di business continuity, con un uptime dei sistemi pari al 99,4%.

molto spesso con realtà pubbliche, per le quali partecipiamo a gare ufficiali, nelle quali i tempi di risposta ricoprono un’importanza fondamentale”. Molti dei servizi erogati operano, dunque, in modalità di business continuity, mentre quelli destinati al settore medico sono addirittura “life-critical”. Potendo già contare, fin dal 2012, sulla protezione garantita dai firewall di Fortinet, Gruppo Sapio di recente si è rivolta al medesimo vendor per dotarsi di una soluzione specifica per la difesa dagli attacchi DDoS (Distributed Denial-of-Service). “Il modulo DDoS”, ha sottolineato Salierno, “ci permette di avere una ragionevole certezza di detenere sempre il controllo dei nostri sistemi, evitando il rischio di blocchi inattesi e indesiderati, i quali potrebbero avere conseguenze anche molto gravi per noi come azienda ma soprattutto per i pazienti che seguiamo”. L’infrastruttura di sicurezza basata sulle tecnologie Fortinet è completa, facilmente gestibile (da un unico punto di controllo) e scalabile, potendo crescere in caso di future necessità. “Abbiamo raggiunto un uptime dei sistemi del 99,4%, che contiamo di portare presto fino al 99,6%”, precisa il Cio.


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Rilievi

Il filo che lega il cloud all’alta moda L’azienda bolognese realizza accessori e fornisce servizi “on site” per celebri marchi del fashion. Spostando sulla nuvola di Ovh l’applicativo Erp di Microsoft, ha ottenuto flessibilità durante l’implementazione del progetto e libertà di accesso anche da dispositivi mobili.

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ai capi di alta moda che sfilano sulle passerelle al cloud computing, il collegamento potrebbe non essere immediato. Eppure c’è un filo – è il caso di dirlo – che lega l’offerta del provider francese Ovh alle attività di Rilievi, azienda bolognese nata negli anni Novanta e specializzata in ricami eseguiti a mano. La sua struttura è distribuita in più angoli del mondo: alla sede di Bologna, in cui lavorano una settantina di persone, si affiancano un secondo centro produttivo a Mumbai (circa ottocento addetti, che operano a stretto contatto con i tecnici italiani) e uno showroom a New York. L’azienda realizza capi e accessori finiti per marchi di alta moda, fra cui anche Valentino, Armani, Versace, portando i suoi pizzi e decorazioni sul corpo di celebrità come Beyoncé, Jennifer Lopez, Nicole Kidman e Cate Blanchett. Ma non è tutto, perché Rilievi offre alcuni servizi “on site” in occasione di sfilate ed eventi: ricamatrici e materiali si spostano direttamente sul luogo in cui il cliente presenta la collezione e devono essere in grado di tener traccia e certificare il lavoro svolto, in tempo reale. Ed è qui che entra in gioco la tecnologia. Nel 2015 è iniziato un progetto di esternalizzazione dell’Erp Microsoft Dynamics Ax curato da Skybackbone Engenio, un system integrator di Carpi (Modena), che ha suggerito la via della nuvola. “Nella fase di implementazione del progetto, durata circa otto mesi, abbiamo fornito un’infrastruttura di sviluppo e test in cloud”, racconta Giuseppe Nale,

LA SOLUZIONE L’applicativo gestionale Microsoft Dynamics Ax è erogato attraverso il servizio Dedicated Cloud di Ovh, che mette a disposizione un data center virtuale, una rete e server dedicati. Skybackbone Engenio si occupa di eseguire il dimensionamento dell’infrastruttura cloud del cliente e di assicurare la continuità del servizio, le prestazioni applicative e la sicurezza. I dipendenti di Rilievi possono accedere all’Erp da postazione fissa o mobile attraverso una Vpn.

chief techology officer di Skybackbone Engenio. “Quest’anno l’azienda ha rilasciato in produzione il nuovo sistema Erp, inizialmente nella sede di Bologna e poi anche nella filiale indiana. In un secondo momento abbiamo aggiunto la possibilità di accedere all’Erp in mobilità”. Sfruttando un notebook, uno smartphone o un tablet gli addetti si collegano attraverso una Vpn (Virtual Private Network) all’applicazione installata nel cloud, potendo così tenere traccia di tutte le operazioni gestionali. “Il lavoro che precede e segue le sfilate”, spiega Nale, “consiste nel confezionare in maniera dinamica gli accessori e poi perfezionarli o cambiarli anche all’ultimo minuto prima che la modella esca in passerella. In queste occasioni le ricamatrici, oltre a portare con sé gli attrezzi del mestiere, hanno anche bisogno di terminali informatici per svolgere alcune operazioni, per esempio gestire la movimentazione dei materiali”. Skybackbone Engenio non ha solo curato l’implementazione della soluzione, ma si occupa anche della gestione dell’applicativo che Rilievi ha scelto di non conservare on premise bensì di spostare nel cloud. A ospitarlo è il data center di Roubaix di Ovh, una struttura ad altissima efficienza energetica che può contenere fino a 35mila server. “Abbiamo da tempo un rapporto consolidato con Ovh”, sottolinea il Cto, “perché la loro offerta di cloud dedicato ha contenuti tecnologici che riteniamo essere allo stato dell’arte e, per chi fa servizi gestiti, ha una grande flessibilità d’uso”. GIUGNO 2016 |

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Ipso Facto Synergy

Stampa e app: due mondi, un’unica tecnologia La società milanese fornisce servizi di comunicazione tradizionali e non, producendo materiale stampato ma anche guide turistiche con una doppia declinazione: digitale e cartacea. Con l’aiuto di Canon.

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l “vecchio mondo”, fatto di testi, immagini e colori stampati su supporto fisico, può ben convivere con il “nuovo mondo” della comunicazione digitale, delle app e della mobilità. Ipso Facto Synergy, realtà milanese nata nel 2012 come naturale evoluzione di un’azienda specializzata nella stampa offset, oggi ama definirsi come un “fornitore di servizi di comunicazione a 360°”. L’esigenza di partenza era quella di staccarsi dai limiti di staticità della stampa offset, restando però fedeli alla qualità garantita da questo tipo di processo. E la risposta individuata si chiama Canon. Inizialmente l’azienda ha adottato la imagePress 7000, un modello che si presta a sostenere elevati volumi di stampa, anche in grande formato, “a partire dai cartelli portone o cartelli vetrina per il gruppo Tree Real Estate, in cui ordini di centinaia di pezzi devono essere evasi utilizzando carta di maggiore grammatura”, spiega la titolare di Ipso Facto Synergy, Chiara Bramani. Tree Real Estate è per lo stampatore uno dei principali clienti: un gruppo composto da 1.400 agenzie immobiliari, che inoltrano i propri ordini tramite un portale di e-commerce. La imagePress 7000 permette velocità di produzione costanti indipendentemente dalle grammature scelte e viene adoperata anche per lavorazioni in cui è richiesto il punto metallico a sella, funzionalità integrata nel dispositivo. Ai grandi volumi Ipso Facto Sinergy ha affiancato un tipo di offerta opposta e complementare, soddisfatta da un altro modello di Canon, la imagePress 700: adottata nel 2014, svolge per il cliente il 34

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LA SOLUZIONE Canon imagePress 7000 è utilizzata per stampare elevati volumi, anche su grandi formati, mentre Canon imagePress 700 viene impiegata per le produzioni su carta chimica e su supporti insoliti come il cartoncino goffrato o martellato. Permette, dunque, di soddisfare tutte le richieste di personalizzazione dei clienti, anche su numeri molto ridotti. Con le stampanti Canon vengono anche realizzate le guide turistiche cartacee di Chinatoitaly, personalizzate con il logo dell’hotel e aggiornate continuamente con l’aggiunta di nuovi inserzionisti. doppio ruolo di sistema di backup e di “erede” della vecchia stampa offset. Garantisce, infatti, un risultato di qualità anche su supporti non abituali, come il cartoncino goffrato o martellato, ed è particolarmente indicata per la carta chimica poiché, non surriscaldandola, evita gli inceppamenti. Un dettaglio che si traduce in un crollo degli sprechi di materiale e di tempo. I vantaggi ottenuti con la tecnologia di Canon vanno però oltre il semplice guadagno di produttività e i semplici risparmi. Grazie alla stampa digitale è stato possibile supportare l’unico operatore interno addetto alla produzione con processi digitali e automatizzati e limitando gli interventi manuali. “Per noi è fondamentale la flessibilità sia delle macchine

sia di forma mentis”, aggiunge Bramani. “In alcuni casi l’esigenza è quella di soddisfare clienti che richiedono ordini di pochissimi pezzi personalizzati, i quali devono essere evasi lavorando con la massima concentrazione”. A fine 2014, sei mesi prima dell’avvio di Expo 2015, è stato avviato un nuovo progetto imprenditoriale con la realizzazione di ChinatoItaly: un’app per iOS e Android rivolta ai turisti cinesi in visita in Italia. All’applicazione si affianca la stampa di guide cartacee da fornire alle strutture ricettive aderenti all’iniziativa, versioni declinate su singole città o territori e personalizzate con il logo dell’hotel. Ed ecco fatta la sinergia tra mondo cartaceo e mondo digitale.


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Casa di Cura Privata Polispecialistica Dott. Pederzoli

Uno storage tutto nuovo per prendersi cura dei dati

I sistemi di hardware e i software di NetApp, cuore di un progetto realizzato da Elmec, hanno permesso di unificare due infrastrutture in precedenza distinte. Ottenendo risparmi, efficienza e garanzia di continuità.

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ettere al sicuro i propri dati e la propria continuità operativa è la base su cui poter costruire un buon servizio al cittadino. Nata nel 1947 per volontà del medico che l’ha battezzata e poi divenuta, quarant’anni dopo, Presidio Ospedaliero dell’Ulss 22, la Casa di Cura Privata Polispecialistica Dott. Pederzoli è un punto di riferimento per il territorio intorno a Peschiera del Garda: ogni anno qui vengono ricoverati 24mila pazienti, 38mila persone transitano dal pronto soccorso, si realizzano un milione di prestazioni ambulatoriali e nascono mille bambini. Crescere, fino ad arrivare a questi numeri, per l’azienda ha significato l’obbligo di modificare le proprie

risorse tecnologiche da più punti di vista. Innanzitutto, bisognava aggiornare l’infrastruttura hardware del sito di disaster recovery, che negli ultimi due anni di fatto veniva usata come una seconda sala server in quanto applicativi e dati non potevano essere contenuti tutti in un unico sito. “L’obiettivo era quello di realizzare un’infrastruttura ad alta affidabilità all’interno del campus della clinica, centralizzando in un’unica soluzione anche l’infrastruttura del Sistema Dipartimentale del Servizio di Diagnostica per Immagini”, spiega Andrea Monastero, addetto ai sistemi informativi sanitari. “Il backup dei dati aziendali veniva effettuato utilizzando la modalità tradizionale, copiando semplicemente i dati applicativi ritenuti importanti e non prendendo in considerazione la configurazione del server da cui venivano prelevati i file”. Si volevano ottenere, inoltre, la possibilità di upgrade hardware e software senza interruzione dei servizi erogati e un’alta affidabilità in caso di guasti. E c’è di più: i sistemi destinati all’esecuzione dei server virtuali utilizzavano una versione dell’hypervisor di Vmware

non compatibile con il sistema operativo Windows Server 2012, la Esxi 5.0.0, né potevano consentire l’aggiornamento alla release 6.0. “Entrambe le infrastrutture hardware erano distribuite su due siti fisici, quello primario e quello di disaster recovery”, racconta Monastero, “e a breve sarebbero state trasferite in nuove sale macchine”. L’azienda ha così scelto di adottare la soluzione Metro Cluster di NetApp, avvalendosi del supporto del partner Elmec per la progettazione e implementazione. La nuova architettura è altamente affidabile e assicura la business continuity con tempi di ripristino pari a zero: nell’eventualità di problemi su uno dei due siti o in caso di attività di manutenzione, l’altro è pronto per la replica in modalità sincrona. La Casa di Cura Dott. Pederzoli ha così ottenuto un incremento di efficienza e prestazioni, una riduzione dei costi di gestione (avendo centralizzato le due infrastrutture in una sola, ad alta affidabilità) e una maggiore sicurezza nella gestione dei dati. LA SOLUZIONE Il progetto ha previsto l’integrazione di due sistemi di storage NetApp Fas8020 in configurazione a due nodi attivi e con il software MetroCluster per i due siti di produzione. In un’altra sala del data center è posizionato un sistema Fas2554, usato come repository di backup (eseguito con Veeam). La soluzione garantisce semplicità di gestione e supporto nativo di tutti i protocolli San e Nas. Il software NetApp Data Ontap permette di eseguire aggiornamenti hardware e software senza interruzioni di operatività.

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ITALIA DIGITALE

Il nuovo piano per l’Agenda Il direttore dell'Agid, Antonio Samaritani, ha confermato il varo del programma triennale per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. L'imperativo: coinvolgere nella trasformazione tutti gli attori in gioco.

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obbiamo superare la fase artigianale e definiremo obiettivi di performance, qualità e sicurezza che gli enti pubblici dovranno rispettare”. Parole e indicazioni di Antonio Samaritani, direttore generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale, che all’ultima edizione del Forum Pa (svoltasi a fine maggio) ha ufficializzato il varo del nuovo piano triennale contenente le azioni da portare a termine per completare i progetti previsti dall’Agenda. Un piano, come ha detto lo stesso Samaritani, sviluppato su tre livelli operativi (reti, infrastrutture immateriali ed ecosistemi) e che sarà inizialmente un documento aperto, condiviso e discusso, ma non negoziabile. Un piano che sarà aggiornato anno dopo anno, “perché è un documento vivo” e sottoscritto dalla presidenza del Consiglio dei Ministri. Il timbro apposto dal premier Matteo Renzi è importante, dicono i diretti interessati, perché mette nero su bianco i termini di una strategia dell’innovazione ancora mancata (o comunque non applicata o applicata male), per troppi anni, nella Pubblica Amministrazione. Serve accelerare, passando da una fase artigianale a una fase industriale del processo di rinnovamento e quindi della trasformazione della macchina pubblica: è questa la sostanza del messaggio evidenziato dal numero uno 36

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dell’Agid. Che, giustamente, ha sottolineato come la mancanza di una strategia abbia “causato una frammentazione totale, che oggi dobbiamo superare”. Da qui il piano su tre livelli e lo sforzo di definire per ciascuno, entro la fine dell’anno, obiettivi di performance, di qualità e sicurezza che la Pa dovrà

Facciamo avvenire le cose nei prossimi 36 mesi. Non di più. Si può fare. Siamo entrati in una fase nuova e decisiva e ora dobbiamo capitalizzare

Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale

rispettare. Il nuovo corso dell’Agenda, insomma, cerca solidità in un modello sistematico, ma anche pratico e operativo, di trasformazione della Pubblica Amministrazione, attraverso un cambiamento che ha come imperativo il coinvolgimento di tutti gli attori in gioco. Le azioni da attivare sul campo sono, come logico immaginare, diverse. Sul fronte infrastrutturale, per esempio, Samaritani ha illustrato la situazione dei data center della Pa: sui mille centri di elaborazione dati in esercizio, il 70% è inferiore ai 50 metri quadri e la metà non ha l’agibilità per questioni fisiche relative ai locali. Una situazione, ha enfatizzato il direttore

dell’Agid, “che il Paese non si può permettere”, mentre per quanto riguarda le infrastrutture immateriali la stessa Agenzia ha finito un primo giro di consultazione con le amministrazioni centrali, cui seguiranno contatti con le Regioni e coi Comuni per raccogliere esigenze, bisogni e suggerimenti. Quanto al terzo livello, quello dell’ecosistema, la ricetta del piano triennale è quella di definire “regole tecniche e una semantica comuni per chiamare le cose nello stesso modo”. Accelerazione, crescita di domanda e offerta e percorso condiviso sono i tre dogmi che Samaritani ha messo in tavola per vincere una sfida che è in-


L’Italia ha le potenzialità necessarie per colmare il ritardo di crescita accumulato nell’ultimo ventennio

Vincenzo Visco, Governatore di Bankitalia

nanzitutto sua e dell’organismo che dirige, ma anche del Governo, degli enti pubblici e anche delle aziende private che operano a vari livelli nel mondo del digitale. La copertura economica per realizzare l’Agenda digitale sulla carta c’è, dato che il Governo non ha ancora cominciato a spendere gli 1,6 miliardi di euro annui messi a disposizione dalla programmazione europea 2014-2020. Una cifra addirittura leggermente superiore rispetto alla stima dei costi prevista del programma di attuazione dell’Agenda, il quale prevede investimenti da parte della Pa per circa 1,5 miliardi l’anno. I traguardi raggiunti e le criticità

I progetti in campo in chiave digitale, ormai li conosciamo, sono tanti: Spid, l’anagrafe, i pagamenti, la sanità, la scuola, la cybersecurity. I numeri che li caratterizzano oggi li ha resi noti proprio Samaritani al Forum Pa e vanno

dalle 15mila amministrazioni collegate alla piattaforma centralizzata di epayment (rispetto alle 300 del giugno scorso) ai sei nuovi siti di Governo e amministrazioni centrali, dall’avvio della sperimentazione dell’anagrafe unica nelle realtà pilota ai 50mila utenti registrati per circa 600 servizi del sistema di identità digitale già funzionanti. Tutto, dunque, prosegue nella direzione giusta? Non esattamente. Almeno per chi, con elementi oggettivi dalla propria, denuncia l’immobilismo in fatto di innovazione finora esibito da coloro che guidano le varie anime della Pa. E lo fa evidenziando un particolare non di poco conto: il piano triennale dell’Agid, in realtà, deve ancora prendere forma e il progetto di una Pa 4.0 (che viaggi in parallelo alla strategia Industry 4.0, anch’essa parcheggiata nel cassetto del neo ministro Calenda) appare al momento solo uno slogan propagandistico. Se non lo si può definire un fallimento, il processo di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e dell’intero sistema Paese quantomeno patisce un imbarazzante ritardo (secondo l’indice Desi della Commissione Europea) per cui diventa sempre più difficile trovare giustificazione. Piero Aprile

PADOAN: “LA PA DIGITALE VERO MOTORE DI CRESCITA” “Nella Pubblica Amministrazione ci sono molte best practice ma evidentemente c’è stato un fallimento gigantesco nella capacità di sfruttare al meglio queste risorse gigantesche”: la frase a effetto porta la firma del titolare dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, anch’esso intervenuto al Forum Pa. Quella del ministro suona come una velenosa tirata d’orecchie a chi ha gestito in questi anni la macchina pubblica, ma va interpretata anche

come uno stimolo. “L’Europa può ritrovare la via della crescita grazie all’innovazione, anche se non è un processo semplice. Perché l’innovazione integra una molteplicità di aspetti, dalle idee alle risorse fino agli incentivi; è però una sfida che si può vincere se si gioca a livello europeo e se si gioca tutti insieme”, ha detto Padoan. E il suo appello affinché l’Italia, e in primis il Governo, cavalchi l’economia 4.0 si materializza con la convinzione che, nell’era del

digitale, la Pa ha “un ruolo nuovo ed è chiamata a fungere da motore di crescita”. Dalla fatturazione elettronica all’informatizzazione delle dogane (questi gli esempi citati dal ministro), i modelli virtuosi non mancano. L’obiettivo è quello di una Pubblica Amministrazione moderna, per ottenere la quale “non c’è solo bisogno di tecnologie ma anche di nuovi processi, perché sono questi che cambiano i comportamenti e che producono risultati”.

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ITALIA DIGITALE | Startup

Mario Mariani ha dato vita nel 2009, a Cagliari, all’incubatore The Net Value, mettendo a disposizione delle startup digitali l’esperienza maturata in 15 anni di carriera manageriale. Ecco perché continua a credere in questo progetto.

L’innovazione che viene dal basso è possibile

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ssere una “digital media nursery” per aspiranti startupper: questa la missione di The Net Value, una scommessa che nasce nel 2009 in quel di Cagliari per idea e per mano di Mario Mariani, ex amministratore delegato di Tiscali Italia e braccio destro di Renato Soru nel dare vita a una delle storie imprenditoriali più brillanti (e durature) della net economy italiana. Fare da chioccia e incubatore alle startup tecnologiche, e farlo nel capoluogo sardo, è una scelta di vita e professionale cui Mariani non ha rinunciato neppure quando è diventato partner di United Venture, venture capital milanese che ha erogato alle nuove imprese finanziamenti per decine di milioni di euro. Una scelta che il manager ha motivato così a Technopolis: “Cagliari è una delle tre piazze digitali italiane, insieme a Roma e Milano. Una stella del Fintech come MoneyFarm 38

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è nata nei nostri uffici e ha raccolto in seguito oltre 10 milioni di euro di finanziamenti. Vivocha, BuzzMyVideos, Paperlit sono altre realtà cresciute in un distretto che ospita grandi aziende come Tiscali, centri di eccellenza come il Parco Scientifico di Pula dove Huawei investirà 20 milioni di euro, centri di sviluppo software come quello di Avanade”. Parliamo quindi di un ambiente per l’innovazione che Mariani definisce “florido e protetto” e che sta attirando, non a caso, le attenzioni di nuove imprese che arrivano dall’estero e trovano in Sardegna competenze a costi competitivi e condizioni di partenza molto favorevoli (grazie ai fondi pubblici regionali). Per contro c’è il “minus” di un mercato che va cercato e intercettato altrove salvo rarissime eccezioni. Come per esempio il caso di MarinaNow: finanziata da United Ventures e da The Net Value, questa startup

Mario Mariani

cagliaritana è diventata riferimento assoluto per il “booking” dei posti barca e il noleggio delle imbarcazioni in tutto il Mediterraneo. Fra le tante convinzioni dell’ex Ad di Tiscali c’è la valutazione del fenomeno startup: “È un business ad alto rischio e


sulla legge per le startup innovative contenuta nell’Agenda Digitale, “un primo grande passo in avanti a cui ogni anno si aggiunge un pezzetto del framework”. Il problema vero, casomai, è la conclamata penuria di fondi di investimento e di venture capital. “In United Ventures analizziamo circa un migliaio di progetti all’anno e investiamo al massimo in quattro: significa che ci devono essere più investitori per aumentare la quantità di startup finanziate”, precisa ancora il fondatore di The Net Value, che bolla senza esitazioni come pura illusione il sogno di andare in Silicon Valley e trovare subito qualcuno disposto a mettere sul piatto milioni dollari. Ciò che serve davvero, conclude Mariani, “è un approccio sistemico, un quadro normativo speculativo ma lo è in senso positivo: si scommette molto, si guadagna moltissimo e si è consapevoli di un tasso di fallimento elevatissimo. Ed è in quest’ottica che vanno inquadrate acquisizioni miliardarie come quelle di YouTube e Next”. Aziende come Google, spiega Mariani, “non possono permettersi di non dominare il mercato in cui operano e il venture capital più lungimirante investe nella startup che poi verrà acquisita dal gigante tecnologico di turno. L’impresa innovativa, di conseguenza, cresce velocemente e dentro la grande multinazionale diventa un vero business”. Ma questo modello virtuoso è replicabile anche in Italia? I limiti del sistema Italia

La risposta, come immaginabile, evidenzia limiti noti del nostro sistema Paese. “Siamo indietro in fatto di cultura imprenditoriale, quella anglosassone è avanti anni luce”, conferma il manager. “Non abbiamo la densità necessaria perché la nostra è un’economia polverizzata. Ma le Pmi non sono un limite in quanto tale: oggi aprire una società è più facile rispetto al passato, tuttavia i paletti sono troppi ed espressione di un sistema fiscale farraginoso e confuso”. Qualcosa è stato fatto, sottolinea Mariani, e l’accento va

Il venture capital in Italia esiste. Le nuove imprese devono pensare a idee che non siano "nane" e potenzialmente scalabili all’infinito. Le startup rappresentano un’opportunità unica di rendere più competitivo il tessuto imprenditoriale italiano Gianluca Dettori, chairman di Dpixel

migliorato, la creazione di un set di incentivi per l’avvio delle nuove imprese e acceleratori che non affossino le startup nella culla. A Londra e San Francisco gli incubatori entrano nel capitale delle nuove imprese con una quota del 3 o 4% e le lasciano libere di crescere, mentre in Italia si arriva al 40% condizionandone negativamente lo sviluppo”. Nella sua dimensione di piccolo “porto” per le nuove imprese, The Net Value ha concluso in sette anni una dozzina di investimenti (a cifre molto contenute) e oggi ospita nella sua sede una quindicina di startup e una settantina di giovani aspiranti imprenditori. Pronti a vincere una scommessa che parte dal basso. Gianni Rusconi

TRIESTE VA IN TILT A soli tre mesi dalla presentazione ufficiale, Tilt, acronimo di Teorema Incubation Lab Trieste, rilancia la scommessa di essere il primo digital hub in Italia per le nuove imprese tecnologiche con un secondo bando di selezione pubblica per la creazione e lo sviluppo di startup innovative in ambito B2B. Denominato “IfChallenge Ict”, è stato pubblicato a metà giugno da Innovation Factory, l’incubatore certificato di Area Science Park, e si chiuderà a fine luglio.

AL CENTRO-NORD I FONDI DEL MISE A tutto aprile 2016 sono stati erogati oltre 362 milioni di euro a 937 imprese, con una media di 253mila euro a prestito per ciascuna e un totale di 1.427 operazioni. I dati sono del Ministero dello Sviluppo Economico e riguardano l’accesso al Fondo di garanzia di startup e incubatori. Rispetto al precedente rapporto bimestrale, tra i beneficiari del Fondo sono comparse 133 nuove startup mentre l’incremento delle risorse erogate è stato di 37 milioni. A livello territoriale, più di 300 milioni di euro sono andati alle startup e agli incubatori delle regioni del CentroNord: la Lombardia svetta con 138 milioni di euro destinati all’attivazione di 372 finanziamenti, seguita dall’Emilia-Romagna con 39,2 milioni (172 operazioni) e dal Veneto con 34,2 milioni (162 operazioni).

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ITALIA DIGITALE | Startup

Alla scoperta della Net Valley Sarda Dall'Open Campus di Tiscali alle attività di Sardegna Ricerche. L'isola si conferma un terreno molto florido per l'innovazione tecnologica. Ecco le startup che si affacciano alla ribalta del mercato

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re anni di vita, 14 startup che vi trovano attualmente dimora, una settantina di persone che vi lavorano senza vincoli di orario (il centro è aperto in modalità 24x7) e una tariffa di 150 euro mensili per usufruire di una postazione e di una serie di servizi a corredo. Che sono tanti e non misurabili solo in termini di velocità di accesso alla Rete. Descrivere che cosa sia Open Campus, lo spazio di coworking nato in seno a Tiscali per volere di Alice Soru (figlia di Renato), che di questa struttura è ideatrice e responsabile con il ruolo di community manager, non è semplice. Innanzitutto perché, oggi, questo centro realizzato all’interno della sede di Tiscali alle porte di Cagliari opera anche da facilitatore e acceleratore, pur non avendo ancora investito un euro in una delle nuove imprese nate e cresciute fra i suoi tavoli. La sensazione di valore aggiunto che rimane di questo 40

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centro, dopo averlo visitato e vissuto per un giorno, è quella di un ambiente dove poter realmente “respirare” cultura digitale. Dove formazione, consulenza, open innovation e networking sono all’ordine del giorno per dare sostanza a progetti che cercano visibilità (e finanziamenti) oltre gli orizzonti locali. “Il nostro ecosistema delle startup è molto dinamico, possiamo sfruttare la leva dei finanziamenti pubblici europei che abbiamo a disposizione e le sinergie attivate con l’Università di Cagliari, con Sardegna Ricerche e con altri incubatori attivi sul territorio come The Net Value”, spiega a Technopolis la fondatrice di Open Campus. Nascono così progetti come Contamination Lab, finalizzato a valorizzare i talenti e creare gruppi interdisciplinari su scala nazionale, e si cerca di affermare la valenza di un sogno: quello di una “Net Valley” isolana, che non è certo una chimera. Cagliari, sottolinea in proposi-

to Alice Soru, è al decimo posto in Italia per numero di startup innovative iscritte al Registro delle Camere di Commercio, considerando il rapporto fra densità di nuove imprese e popolazione. Nel capoluogo le startup sono un centinaio, su un totale di circa 5.700 imprese, mentre 150 sono quelle attive in tutta la Sardegna. Le aziende nate in questo ecosistema hanno conosciuto destini diversi, abbracciato sfide importanti (come MoneyFarm e Jusp in campo Fintech) e raccolto investimenti degni della Silicon Valley (come nel caso di Sardex, un circuito di scambio di beni e servizi in moneta complementare che ha chiuso un round di tre milioni di euro). Oppure puntano su filoni che vanno per la maggiore come la sharing economy, il turismo esperienziale o la smart mobility, cui guardano realtà come GuideMeRight (marketplace per la condivisione di esperienze territoriali, nato nel corso di uno Startup Weekend


Una startup deve guardare oltre i fondi accessibili tramite i bandi pubblici, necessari per iniziare ma non costituiscono un asset per lo sviluppo dell’azienda

La startup che sfida Amazon e Google Cynny Space è una delle poche imprese italiane a competere con i giganti Usa nel cloud storage.

Andrea Marchi

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in Open Campus e capace di raccogliere oltre 500mila euro di finanziamenti), NausDream (progetto per la nautica di diporto partorito in crowdfunding su Eppela e prossimo a chiudere un foundrising di 250mila euro), Green Share (che si muove nell’ambito del car pooling urbano e in quello del mobile ticketing) o Wayonara (una piattaforma social fotografica per la creazione di itinerari di viaggio, che ha chiuso un equity crowdfunding di 135mila euro). Tutte queste realtà in comune hanno la convinzione, riassume Alice Soru, di “guardare oltre i fondi accessibili tramite i bandi pubblici regionali ed europei, che sono necessari per iniziare ma non possono costituire un asset per lo sviluppo dell’azienda”. Per crescere servono ovviamente i capitali, ma senza un progetto con solide basi non si va da nessuna parte. E la contaminazione di competenze che fa parte del Dna di Open Campus aiuta a costruirle. G.R.

iovane, tutta italiana e sorella minore di Cynny Spa. Cynny Space è una startup che prova a scalfire il dominio assoluto o quasi di Amazon a Google provando a mettere in campo soluzioni tecnologiche del tutto inedite. Come il più piccolo micro-server al mondo mai creato con processori Arm e un file system progettato in modalità “organic computing” con funzionalità automatiche di apprendimento, organizzazione, diagnosi e manutenzione. Il suo segreto? Combinare il tutto in un’architettura in grado di offrire servizi di storage as-a-service a costi estremamente vantaggiosi. Andrea Marchi, amministratore delegato di Cynny Space, ha raccontato a Technopolis la nascita della sua azienda.

Perché lanciare una startup in un mercato presidiato da grandi vendor?

Per fare innovazione in Italia e in Europa. La genesi di Cynny Space è collegata a un’idea rivoluzionaria: quella di sfruttare una tecnologia di mass market, la stessa utilizzata dagli smartphone, per gestire in modo efficiente i dati in cloud. Pensiamo di avere tutte le carte in regola per competere con i big vendor americani perché portiamo un’innovazione tecnologica hardware e software dai costi estremamente vantaggiosi, unita alla localizzazione dei dati all’interno dell’Unione Europea.

Come siete partiti in termini finanziari?

Da un investimento di circa mezzo milione di euro, utilizzati per creare gli strumenti e le interfacce necessarie ai clienti B2B e per sviluppare la rete commerciale. State cercando o cercherete capitali da investitori e venture capital?

Abbiamo i fondi necessari per gestire al meglio l’ingresso sul mercato, ma prevediamo un secondo round nel 2017 per passare al prossimo passo di sviluppo commerciale e tecnico. I vostri obiettivi in termini di fatturato e di clienti?

L’obiettivo è quello di essere quanto più veloci e presenti sul mercato. Stiamo parlando di un settore in fortissima crescita, valutato circa 10 miliardi in Europa e per cui si prevede una crescita di tre volte nei prossimi tre anni. Abbiamo l’obiettivo di espanderci su scala internazionale e siamo ben consapevoli che non sia un mercato semplice. Ma ci sono ancora ampi margini per quanti propongano qualcosa di davvero innovativo. P.A.

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OBBIETTIVO SU | 3M

La scienza che migliora la vita quotidiana Nella sede di Pioltello (Mi) della multinazionale è nato nel 2015 un Customer Innovation Center che lavora a soluzioni innovative destinate a vari settori: dall’industria ai trasporti, dall’energia fino ai beni di consumo.

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a scienza applicata alla vita quotidiana, a settori come l’automotive, l’oil&gas, i trasporti, la salute, i beni di consumo, la grafica, il design, l’elettronica, l’industria, la sicurezza e le telecomunicazioni, ha un nome di riferimento: 3M. Un vero colosso da 90mila dipendenti nel mondo e 32 miliardi di fatturato nei soli Stati Uniti. Il 6% del giro d’affari annuo viene destinato alla ricerca e sviluppo, con un impegno che ha permesso all’azienda di raggiungere la soglia record dei 100mila brevetti: dai celebri Post-It Notes (uno degli oltre cinquanta marchi registrati)

alle microsfere cave di vetro impiegate per diversi componenti delle automobili, dallo stetoscopio con Bluetooth alle pellicole riflettenti Scotchlite che contribuiscono alla sicurezza stradale. In Italia la multinazionale annovera una presenza commerciale più che cinquantennale, oltre a contare oggi un migliaio di collaboratori e un fatturato superiore ai 455 milioni di euro. Nello Stivale, 3M ha i suoi punti di riferimento in tre unità produttive, un centro di distribuzione e due sedi a Roma e a Pioltello, alle porte di Milano. Qui lo scorso anno ha aperto i battenti, all’interno di un edificio

“green”, un nuovo Customer Innovation Center: più che un semplice luogo, un viaggio attraverso le tecnologie più innovative, in cui si possono osservare in azione 46 piattaforme. Il percorso attraversa cinque aree destinate alla clientela B2B (focalizzate sull’industria, sugli individui, sulle città, sui trasporti e su superfici e materiali), mentre un ulteriore spazio è dedicato alle tecnologie per il mondo consumer. Fanno parte di questo “polo dell’innovazione” anche i sei Centri Tecnici ubicati a Pioltello e nel centro distribuzione di Carpiano: qui si spazia dai prodotti decorativi e abrasivi alla sicurezza, passando per l’aftermarket automobilistico. V.B. 42

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Il Customer Innovation Center si trova all’interno dell’eco-building del quartiere Malaspina, a Pioltello (Mi), in cui ha sede 3M Italia. Si sviluppa su otto percorsi, 18 demo tool, 200 video e 46 piattaforme tecnologiche inserite in cinque contesti (industria, individui, città , trasporti, superfici&materiali).

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OBBIETTIVO SU | 3M

La missione aziendale è riassunta nello slogan “science applied to life”

I dispositivi 3M Clean Trace™ controllano e monitorano in tempo reale l'efficacia dei programmi di igienizzazione. Novec™1230 (nella pagina a fianco) è una soluzione a basso impatto ambientale per la protezione dagli incendi: i residui di fluido estinguente scompaiono dall’atmosfera dopo cinque giorni e sono privi di effetti sullo strato di ozono.

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La multinazionale produce seimila nuovi prodotti ogni due anni. Sono italiani circa 1.400 DEGLI OLTRE centoMILA brevetti registrati

I nastri biadesivi 3M VHB™ sono in grado di assorbire stress dinamici e di tornare successivamente alla forma originale, assicurando incollaggi duraturi e resistenti. Le grane abrasive 3M Cubitron II™ sono formate da un minerale ceramico dotato di una forma triangolare precisa e tagliente. In questo modo l’abrasione è costante e non sviluppa calore.

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TECHNOPOLIS PER WOLTERS KLUWER TAX&ACCOUNTING

LA COLLABORAZIONE DIGITALE, FACILE ED EFFICIENTE

La fatturazione elettronica verso la Pa, i nuovi strumenti per i pagamenti, le smart card e le firme elettroniche dimostrano come il digitale sia un passaggio obbligato per i professionisti. Wolters Kluwer Tax&Accounting Italia si pone al servizio del mondo professionale con soluzioni innovative, concrete e di grande usabilità. ”I modelli organizzativi e quelli di business stanno velocemente assumendo forme differenti per adattarsi a nuove esigenze, in parte dettate dalle normative e in parte da alcune prassi divenute d’uso comune. La velocità di adeguamento al cambiamento indotto dal digitale diventa, quindi, una variabile strategica.” Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax&Accounting Italia, conosce il mondo digitale e sa che attraverso quel linguaggio i professionisti e la loro clientela possono raggiungere i rispettivi obiettivi valoriali e di efficienza e trasparenza. Wolters Kluwer Tax&Accounting è protagonista del mercato del software con una importante presenza territoriale che raccoglie e sviluppa l’eredità di marchi storici tra cui Ipsoa, Osra e Artel, e offre al mercato italiano la partnership di un’azienda inserita in un grande gruppo internazionale, quotato in Borsa, presente in oltre quaranta Paesi e che ha fatto dell’informazione e dei servizi ai professionisti e alle aziende la propria missione. Questa partnership si concretizza grazie al lavoro di oltre 300 sviluppato46

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ri della software farm di Wolters Kluwer Tax&Accounting Italia, che propongono sempre nuove soluzioni in linea sia con le novità riguardanti gli adempimenti fiscali, contabili e gestionali, sia con le nuove esigenze del business moderno di cui il professionista deve tenere conto. Proprio l’evoluzione del business impone una sempre maggiore e più intensa collaborazione tra studio professionale e impresa. Il dialogo, la collaborazione e la condivisione sono alla base del successo che perseguono le aziende e i loro studi professionali. In quest’ottica, la capacità di produrre innovazione di Wolters Kluwer Tax&Accounting Italia ha generato webdesk, un vero e proprio portale nel quale professionista e committenza possono condividere, collaborare e dialogare in tutta trasparenza. Il successo di un software è racchiuso in pochi ma fondamentali requisiti: semplicità, automatismi, integrazione. E webdesk è stato sviluppato esattamente su queste basi. La soluzione digitale è semplice: attraverso una connessione Internet le comunicazioni e i documenti vengono condivisi tra lo studio e i propri clienti. L’automatismo è garantito: un solo click avvia la condivisione delle informazioni e dei documenti. Il nuovo software è totalmente integrato e i dati inseriti in webdesk sono sempre disponibili per gli applicativi Wolters Kluwer. In questo modo webdesk consente, attraverso i servizi offerti, di aumentare la customer experience incrementando così il grado di soddisfazione dei clienti dello studio professionale. Il flusso di dati e delle informazioni tra studio e clienti è automatico, con conseguente recupero di efficienza nei processi lavorativi di tutti i giorni. Tutte le informazioni utili e i servizi sono disponibili su webdesk 24 ore su 24, sette giorni su sette. “Webdesk”, spiega Angeleri, “è un applicativo che concretizza ciò che persegue Wolters Kluwer Tax&Accounting Italia: innovare attraverso il software e la tecnologia è creare strumenti di evoluzione aziendale che consentono il recupero e la valorizzazione di risorse disponibili alla creazione di valore”. Per Angeleri l’impegno quotidiano è il sostegno alla crescita dei professionisti italiani grazie all’innovazione, la condivisione e la collaborazione digitale.

Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax&Accounting Italia


VETRINA HI-TECH

L’ARCHIVIAZIONE ORMAI è SENZA CONFINI Dai dati generati dall'Internet delle cose ai contenuti in 4K: i Nas moderni sono sempre più flessibili e ben si adattano ai bisogni di tutti i tipi di business, anche in uffici dalle dimensioni ridotte e nella piccola e media impresa.

S

ono ormai fondamentali per i bisogni di tutte le aziende, anche di quelle più piccole: i mercati Pmi e small office home office (Soho), soprattutto, sono quelli in cui sono riusciti negli ultimi tempi a entrare e affermarsi in maniera convincente. Grazie a caratteristiche come scalabilità e flessibilità d’utilizzo. Sono i dispositivi Nas che, secondo Technavio, nel 2015 hanno alimentato un mercato globale (small and midsize business-enterprise) da 4,4 miliardi di dollari, in crescita entro il 2020 fino a 18,1 miliardi. Ed essere flessibili significa anche saper rispondere ai nuovi trend emergenti, dimostrando

di mettere a disposizione delle aziende soluzioni di storage efficaci in ogni contesto. Anche, per esempio, quello dell’Internet of Things. È il caso del Ts-453A di Qnap, che oltre al sistema operativo proprietario Qts (giunto alla versione 4.2.1) supporta anche Linux, rendendo questo Nas a quattro bay un vero e proprio gateway per le soluzioni IoT su altri dispositivi “intelligenti”. In questo caso, le applicazioni che regolano l’Internet delle cose possono essere sviluppate ed eseguite direttamente sul Nas. Grazie alla virtualizzazione è possibile eseguire Linux e archiviare centralmente i dati sul Ts-453A, interagendo con una tastiera, un mouse e

un monitor Hdmi: come se si utilizzasse un normale computer. Un potente processore Intel Celeron N3150 a quattro core assicura inoltre la riproduzione video in 4K e la transcodifica in tempo reale di video 1080p/4K direttamente su un display esterno. Si basa invece su processori Arm il Netgear Readynas 214, realizzato per garantire alte velocità di scrittura e lettura dei dati (fino a 160 e 200 Mbps) e per fornire throughput elevati. Per ovviare alla limitazione di una singola porta Ethernet, tipica di molti Nas, la soluzione di Netgear permette di collegare alla seconda porta del dispositivo uno switch o un modem in modalità link aggreGIUGNO 2016 |

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VETRINA HI-TECH

gation. In questo modo, il sistema può fornire fino al doppio del throughput rispetto a una singola connessione via cavo. Ha puntato sulla dotazione hardware anche Synology, che ha di recente proposto il nuovo Diskstation Ds916+. Un Nas configurabile anche con 8 GB di memoria Ddr3 e con unità a stato solido al posto degli hard disk, per una capacità massima di 32 TB. Attraverso l’unità di espansione Dx513 è possibile comunque toccare i 108 TB. Il Ds916+ consente la creazione di ambienti cloud completi e permette di sincronizzare i file tra eventuali altre Diskstation presenti in azienda e dispositivi come computer e smartphone. Cloud privati per tutti

La possibilità di accedere ai file da qualunque luogo e su qualsiasi device è ormai una caratteristica imprescindibile dei Nas, che stanno contribuendo ad alimentare migliaia, se non milioni, di veri e propri cloud privati su piccola e media scala. È il caso dei

file memorizzati e condivisi sul Dns340L di D-Link, accessibili anche da reti esterne a quella aziendale tramite l’applicazione gratuita per Android e iOs Mydlink Access-Nas. Il dispositivo (4-bay per 24 TB massimi di archiviazione) comprende infatti un file server Web-enabled che permette di scaricare documenti, fotografie e altri file multimediali da qualsiasi luogo. Il Dns340L supporta anche il protocollo iScsi per il trasferimento dei dati su reti locali. È quindi possibile accedere al Nas da più server e macchine virtuali, con una protezione che viene garantita da tecniche di ridondanza per mantenere sempre disponibili i dati condivisi anche in caso di guasti improvvisi. Perché un problema tecnico potrebbe compromettere archivi interi, rendendo completamente vano il compito principale dei Nas. Vale a dire effettuare il backup dei dati. Le Terastation 3400 di Buffalo, rinnovate di recente dal vendor e disponibili anche in versione rack, sono oggetti robusti che vengono consegnati con undici licenze del sof-

NOVITÀ PER IL “CUORE” DEI NAS Il mercato ha visto di recente l’introduzione di hard disk per Nas sempre più capienti ed efficienti dal punto di vista energetico, anche al difuori del settore enterprise. Seagate, per esempio, ha lanciato a marzo un Hdd da 8 TB (3,5”) ottimizzato per l’utilizzo in modalità Raid. Il drive è composto da sei piatti da 1,33 TB ciascuno, che girano a 7.200 rotazioni per minuto (Rpm) e che sfruttano la tecnologia Perpendicular Magnetic Recording. L’unità dispone di 256 MB di cache Dram e di un’interfaccia Sata, con un velocità di trasferimento massi-

tware Novabackup Buffalo Edition (un server e dieci workstation) per backup in locale e online. Inoltre, i Nas sono dotati di una tecnologia proprietaria

ASUSTOR AS6204T

BUFFALO TERASTATION 3400

D-LINK DNS-340L

Tipologia dischi: 2,5”/3,5” Hdd Sata

Tipologia dischi: 3,5” Hdd Sata II/III

Tipologia dischi: 3,5” Hdd Sata I/II

II/III o Ssd

Capacità max: 16 TB (4x4 TB)

Capacità max: 24 TB (4x6 TB)

Capacità max: 32 TB (4x8 TB)

Porte Usb: 2 x 3.0, 2 x 2.0

Porte Usb: 1 x 3.0, 2 x 2.0

Porte Usb: 3 x 3.0, 2 x 2.0

Cpu: Marvell Armada 1,33 GHz

Cpu: Marvell Armada 370 1,2 GHz

Prezzo: 519,99 euro

Prezzo: DA 750 EURO

Prezzo: 279 EURO

(senza dischi)

(con dischi)

(senza dischi)

Cpu: Intel Celeron N3150 1,6 GHz

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ma della cache di 216 MB/s. Il prezzo suggerito è di circa 330 euro. Anche Western Digital ha da poco aggiornato la propria offerta di dischi delle famiglie Red, Red Pro e Purple dedicate a Nas, videosorveglianza e applicazioni desktop esterne con un nuovo modello da 8 TB con fattore di forma da 3,5 pollici. La soluzione sfrutta la tecnologia Helioseal, che sigilla all’in-

che consente una semplice replica dei dati da un sistema di storage all’altro, in modo da fornire una copia sincrona delle informazioni in tempo reale con

terno del drive l’elio invece dell’aria per diminuire la frizione tra i piatti rotanti, aumentare la densità rispetto agli hard disk “classici” e alleggerire il peso complessivo dell’oggetto. La velocità di rotazione nominale dei piatti è di 5.400 Rpm e la dimensione del buffer è di 128 MB. I dischi sono disponibili al prezzo suggerito di 429 euro.

failover automatico opzionale tra le due Terastation. Ma backup significa anche poter spostare i dati direttamente su cloud pub-

blici, in modo da ridurre praticamente allo zero i rischi. Il W2810Pro di Thecus può essere integrato direttamente con Microsoft Azure Backup e nasce proprio per operare negli ambienti del gruppo di Redmond, in quanto è dotato di Windows Storage Server 2012 R2 Essentials. Ideale per studi professionali e piccole aziende, il W2810Pro è un Nas a due bay per dischi con capacità massima di 16 TB, dotato però di una “leggera” unità a stato solido da 60 GB destinata a ospitare il sistema operativo di Microsoft. La parola d’ordine per Zyxel è invece l’estrema semplicità d’uso, senza rinunciare comunque a funzionalità utili in ambito aziendale. I Nas 542 del produttore taiwanese sono dotati di un’interfaccia grafica accessibile via desktop e Web che mette subito in risalto gli strumenti principali di gestione, oltre a mostrare stato e condizioni dei Nas e dischi. La dashboard sviluppata da Zyxel, contenuta nel sistema operativo Nsm 5.1, avvisa l’utente se alcuni componenti del dispositivo necessitano di manutenzione o di assi-

NETGEAR READYNAS 214

QNAP TS-453A

SYNOLOGY DS916+

Tipologia dischi: 2,5”/3,5” Hdd Sata III

Tipologia dischi: 2,5”/3,5” Hdd Sata

Tipologia dischi: 2,5”/3,5” Hdd Sata

Capacità max: 24 TB (4x6 TB)

II/III o Ssd

II/III o Ssd

Porte Usb: 3 x 3.0

Capacità max: 32 TB (4x8 TB)

Capacità max: 32 TB (4x8 TB)

Cpu: Arm Cortex A15 1,4 GHz

Porte Usb: 4 x 3.0

Porte Usb: 3 x 3.0

Cpu: Intel Celeron N3150 1,6 GHz

Cpu: Intel Pentium N3710 1,6 GHz

PREZZO: 439 EURO

PREZZO: 548 EURO

PREZZO: 480 EURO

(senza dischi)

(senza dischi)

(senza dischi)

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VETRINA HI-TECH

stenza tecnica. A proposito di elementi interni: dopo aver scelto il modello di Nas più adatto alle proprie esigenze, è fondamentale valutare quali drive utilizzare in base alla capacità di storage necessaria. Il principale produttore di dischi rigidi al mondo, vale a dire Western Digital, dispone anche di linee di Nas per target differenti. Nella gamma di Wd spicca il My Cloud Ex2 Ultra, soluzione dotata di crittografia dei volumi basata su 256 Aes e diverse impostazioni Radi per personalizzare al massimo il sistema con configurazioni più adatte alle singole esigenze. Asustor, realtà nata da una costola di Asus e dedicata esclusivamente al mondo dello storage, propone infine l’As6204T: un modello a quattro vani dotato di processore Intel Celeron basato sul systemon-chip Braswell. Le porte Usb sono addirittura cinque (quattro posteriori e una frontale), a cui si aggiungono due connessioni eSata per non rischiare di rimanere a corto di spazio. Alessandro Andriolo

IL FASCINO DEL “FAI DA TE” Il “do it yourself” è sempre stato di casa nel mondo It, quindi perché non dovrebbe esserlo anche nel segmento dei Nas? In caso si voglia realizzare un sistema di storage completamente personalizzato è possibile per esempio sfruttare Freenas: un sistema operativo open source che ha da poco festeggiato dieci anni di vita e che permette di costruire dispositivi Nas partendo da semplici computer, anche con componenti di risulta, o in generale da hardware non pensato in origine per questo scopo. L’ecosistema deve il suo successo (attualmente si contano oltre sette milioni di download soltanto dal sito ufficiale) al file system totalmente open source Zfs, che consente alta flessibilità e ridondanza dei dati anche di livello

enterprise. Secondo gli sviluppatori, Freenas ben si adatta all’utilizzo in azienda. In questo caso, però, i creatori del sistema operativo raccomandano di affidarsi a iXsystems, società che sin dall’inizio ha contribuito in modo decisivo al progetto Freenas. La compagnia californiana offre, infatti, sistemi di storage e server di classe enterprise, ma anche dispositivi adatti alle Pmi, agli uffici e in generale agli ambienti Soho. Freenas Mini, per esempio, è una soluzione a quattro vani dotata di processore Intel Atom a otto core (2,4 GHz), 16 GB di Ram Ecc espandibili fino a 32 GB, doppia porta Gigabit Ethernet e gestione di contenuti e funzionalità da remoto. Il prezzo? iXsystems lo propone a partire da 999 dollari.

THECUS W2810PRO

WD MY CLOUD EX2 ULTRA

ZYXEL NAS 542

Tipologia dischi: 2,5”/3,5” Hdd Sata III

Tipologia dischi: 3,5” Hdd Sata III

Tipologia dischi: 2,5”/3,5” Hdd Sata II

Capacità max: 16 TB (2x8 TB)

Capacità max: 16 TB (2x8 TB)

Capacità max: 24 TB (4x6 TB)

Porte Usb: 3 x 3.0

Porte Usb: 2 x 3.0

Porte Usb: 3 x 3.0

Cpu: Intel Celeron N3160 1,6 GHz

Cpu: Marvell Armada 385 1,3 GHz

Cpu: Freescale Cortex-A9 1,2 GHz

PREZZO: 425 EURO

PREZZO: 199,99 EURO

(senza dischi)

(senza dischi)

PREZZO: 189 EURO

50

| GIUGNO 2016

(senza dischi)


Disponibili in tutti i cash&carry BREVI: http://www.brevi.it/rete


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FIPA - logotype 20 years


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