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MORNICO lOSANA Pagine 16 e

Tutti i prodotti sono rigorosamente biologici ed hanno avuto un successo strepitoso quest’anno quando li abbiamo presentati, le persone oggi sono sempre più alla ricerca di prodotti naturali, provenienti dalle piante e così li abbiamo venduti tutti».

in futuro quindi, visto il successo, prevedete di affiancare campi di peonie ai campi di zafferano?

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«Ah guardi, qui bisogna chiedere a mio figlio, è lui che si occupa di persona dell’azienda».

Signor Malerba che caratteristiche ha la sua azienda?

«Il nostro progetto è quello della sostenibilità, agricoltura circolare, non si butta mai niente, e biodiversità. Ed è proprio da questo che è nato il progetto delle peonie. Magari vedremo di aggiungere altre varietà ma quello che ci interessa non è la quantità, è la qualità del prodotto naturale, fatto in modo artigianale. Io sono molto dinamico e curioso e questo è anche quello che mi ha spinto 8 anni fa a coltivare lo zafferano. Devo precisare che nella mia azienda non uso chimica ma dei microorganismi effettivi che sono dei batteri riprodotti in modo naturale che per il criterio della prevalenza vanno ad espletare un’azione sinergica e convertono i patogeni in positivi, quindi vanno a fare del bene alla pianta, a creare una simbiosi. Le avrà già detto mia mamma che facevo un altro lavoro prima, però ho voluto tornare alla mia terra, dove già da bambino mi dilettavo a lavorare in questa azienda di proprietà di mia nonna materna. Ho sempre amato questo posto che era un’azienda agricola vitivinicola. Attualmente la mia è l’unica azienda che non produce vino nella zona. Avendo lavorato nel settore farmaceutico, ho appreso delle straordinarie virtù dello zafferano che è la spezia al mondo più antica e più ricca di proprietà terapeutiche. Ho condotto delle ricerche sul terreno per vedere se era adatto alla produzione e ho appreso che era ben drenato e molto ricco di nutrienti. E quindi sono partito e ho ottenuto risultati eccellenti. Ho scelto la strada più lunga che è anche quella più naturale e vicina al mio modo di pensare. Volevo uno zafferano da pistilli essiccati naturalmente. è un procedimento lungo, lento, per certi versi faticoso e sicuramente impegnativo. Ma ci sono arrivato».

lei è tornato sulle colline del l’oltrepò pavese e sta avendo grandi soddisfazioni dal suo lavoro, ma secondo lei, il nostro territorio è abbastanza valorizzato e tenuto in considerazione dalla politica e dalle istituzioni?

«Siamo un territorio un po’ dimenticato, il paesaggio è molto bello ed accogliente, non abbiamo nulla da invidiare alle Langhe o alla Franciacorta per esempio. In sostanza non riusciamo a far decollare l’Oltrepò a causa della mancata collaborazione tra la gente e soprattutto tra i produttori della zona. C’è molta invidia, non c’è competizione costruttiva, non si riesce a fare sistema. “C’è il mio e c’è il tuo”, non esiste “il nostro”».

cosa si può fare, secondo lei, per ovviare a questa problematica?

«Bisogna fare rete in modo orizzontale e verticale, cioè coinvolgere non solo i piccoli produttori ma anche enti, ristoranti, negozi, riuscire a creare una filiera, un percorso dal campo al consumatore. E poi soprattutto, cosa che io sto facendo con tutte le mie forze, portare gente nel nostro territorio a visitare le nostre realtà agricole, creando eventi e momenti di aggregazione. Un turismo slow che dia la possibilità alle persone di conoscere il territorio e degustare e apprezzare i suoi prodotti. Penso che negli ultimi due anni, a causa della pandemia, le persone abbiano capito che non c’è bisogno di andare troppo lontano per passare un fine settimana all’insegna della natura, dello sport e della buona tavola. Non dimentichiamo che siamo ad una mezz’ora di macchina da Milano… Quello che la politica dovrebbe fare è occuparsi un po’ di più del nostro territorio e stanziare dei fondi per tenere meglio strade e sentieri che spesso sono impraticabili e scoraggiano i turisti».

quale consiglio darebbe ai giovani che stanno facendo un percorso di studi agrari?

«La campagna è un mondo salubre, protetto e le colture innovative che si stanno diffondendo in questo periodo come lo zafferano, la lavanda e le erbe aromatiche sono opportunità da cogliere da parte dei giovani perché permettono di diversificare; abbiamo tante aziende agricole, soprattutto vitivinicole che stanno chiudendo perché non sono riuscite a diversificare. E, nel mio caso, lo zafferano permette di avere una buona redditività e quindi di continuare a pensare a nuovi progetti in azienda. Ci sono tanti terreni incolti che hanno bisogno di tornare a produrre e a me piacerebbe vedere colorarsi un po’ di viola non solo le campagne di Mornico ma anche altre parti di Oltrepò. Ho anche un sogno nel cassetto e penso che ci arriverò. Vorrei aprire un’agri-degustazione per offrire percorsi degustativi e sensoriali ai visitatori. Ai giovani auguro di saper rischiare con passione per ottenere le migliori soddisfazioni».

di Gabriella Draghi

«L’Oltrepò non riesce a garantire le rese utili a remunerare il lavoro agricolo»

Esattamente due anni fa intervistammo l’agronomo Angelino Mazzocchi di Cigognola, il quale ci illustrò un’interessante analisi sull’andamento dei prezzi delle uve Pinot Nero, Riesling e Croatina dal 1973 al 2017. Lo abbiamo nuovamente incontrato per fare il punto della situazione sull’andamento dei prezzi delle uve, alla luce di nuovi dati che si basano sui prezzi al quintale liquidati da Terre d’Oltrepò dal 2016 al 2020 e sull’analisi di una serie di valori estratti dagli ultimi cinque bilanci della cooperativa oltrepadana, della quale in questi giorni si è tenuta l’assemblea in cui i soci hanno espresso il loro voto approvando e bocciando i vari punti all’ordine del giorno.

Mazzocchi, due anni fa esaminò con noi l’andamento dei prezzi delle uve dell’oltrepò pavese dal 1973 al 2017. in questi ultimi due anni, come si è evoluta la situazione?

«Più che di evoluzione bisognerebbe parlare di devoluzione. La situazione dei prezzi è sempre più critica. In questo territorio non c’è un’azienda che riesca a staccarsi da questa situazione piuttosto debole: anche chi paga di più, lo fa con una differenza minima di pochi euro. Come, per esempio, il caso di Torrevilla, che negli ultimi anni sembra essersi ripresa ed aver decisamente migliorato la sua situazione finanziaria: però anche i prezzi di questa cantina, sebbene siano più alti della media, sono ancora lontani dal giusto valore delle uve. Il prezzo superiore alla media non è dato da un “valore aggiunto”, ma dal fatto che sono le altre cantine, come per esempio Terre d’Oltrepò, a pagare sempre meno. E pensare che Broni, nei primi anni 2000, pagava 10\15 euro in più della media…».

e per quanto riguarda la raccolta in cassetta?

«Sono certamente più alti, ma va anche considerato che un’azienda non potrà mai fare bilancio puntando alla sola raccolta in cassetta. In rapporto con le altre uve, le quantità richieste dalle cantine sono ancora troppo basse. Ad oggi, la raccolta in cassetta, non riesce a trainare economicamente le aziende conferitrici o coloro che vendono uve sul mercato: riescono solo quelle piccole aziende che sono riuscite ad incentrare la loro produzione quasi interamente su questa tipologia, ma sono veramente poche. Per un’azienda media oltrepadana, la raccolta in cassetta è solo marginale, visto che è soggetta a costi ulteriori di tempo e manodopera. Quindi, a netto dei costi, la differenza tra le uve raccolte in cassetta e le altre tipologie si riduce non di poco».

lei ha preparato un prospetto interessante che mette a confronto i prezzi delle uve di terre d’oltrepò nel 2016 e nel 2020. come analizzerebbe questi dati?

«Abbiamo tre varietà, il Riesling Italico, il Moscato e il Pinot Grigio, che hanno perso il 30% del loro valore in soli cinque anni, mentre le altre uve hanno perso leggermente meno, come il Pinot Nero e le uve rosse, che però erano già basse all’epoca. Il Pinot Nero DOCG nel 2016 veniva retribuito 66 euro al quintale, oggi 59 euro, e stiamo parlando di una DOCG. In altre zone d’Italia non si verificherebbe una situazione del genere. Parlando complessivamente, il prezzo medio delle uve 2016 era di 56,40 euro al quintale, nel 2020, invece, 44,80 euro: una differenza non indifferente di quasi 12 euro.

A questo prospetto, va aggiunta un’interessante analisi inviatami dell’Ing. Bardone, relativa all’andamento dell’azienda negli ultimi cinque anni».

quest’analisi quali dati contiene?

«Sono dati estratti dai bilanci precedenti, quindi alla mano di tutti. Tra i valori che balzano subito all’occhio troviamo il fatturato: nel 2015 era pari a 41,56 milioni di euro, fino a scendere a 30,85 milioni nel 2020 e poi risalire quest’anno a circa 35,1 milioni. Ma siamo ancora molto lontani dai 46 milioni del 2014. Il fatturato è in salita, ma anche i debiti verso le banche. Nel 2015, il debito era di 6,15 milioni di euro: nel 2021 siamo saliti a 14,7 milioni. Su un’azienda di queste dimensioni non è un dato particolarmente critico, perché è un valore, sebbene alto, che potrebbe essere considerato non allarmante. Che pesa di più, a mio parere è il fondo rischi».

in che senso?

«Il fondo rischi è passato da 5,43 milioni di euro a 180 mila euro nel 2020. Nel 2021 siamo leggermente saliti a circa 480 mila euro. Questo “svuotamento”, probabilmente, è stato voluto per non aumentare troppo il debito».

Mentre per quanto riguarda gli utili e le perdite?

«Nel 2020 si era registrata una perdita di circa 260 mila euro, mentre nel 2021 ci sarebbe un utile di circa 32 mila euro. Aumento sensibile, dato anche dall’aumento del fatturato.».

più in generale, qual è la sua analisi?

«Non limitatamente al caso di Terre d’Oltrepò, questo territorio non riesce a garantire quelle rese utili a remunerare il lavoro agricolo. Se si analizzano questi prezzi, si nota che quelli che hanno avuto un andamento migliore riguardano il Sangue di Giuda, che nel 2021 sarebbe tornato a circa 65 euro al quintale, come nel 2016. Ma se si guarda il disciplinare, che permette una resa di 105 quintali ettaro, si raggiunge una cifra pari 6800 euro all’ettaro. A differenza di altre zone, dove si raggiungono facilmente i 10.000 euro perché le rese sono più alte o il prezzo delle uve è più alto. Quindi le soluzioni sarebbero due: o si alzano le rese, ma questa è una strada agronomicamente impraticabile, dato che sarebbe impossibile irrigare o effettuare altre operazioni utili all’aumento reale del quantitativo, oppure alzare i prezzi. Tenendoli così bassi nessun’azienda riesce a bilanciare i costi, soprattutto in previsione di un 2022 che sarà segnato da un aumento dei costi generalizzato che inciderà non poco su tutta la produzione, dai fitofarmaci ai fertilizzanti, passando per il gasolio ai materiali di consumo. Un incremento che non riguarderà solo il settore agricolo, ma tutto il comparto produttivo».

perché secondo lei, nonostante una vendemmia quantitativamente non ottimale, i prezzi non sono saliti più di tanto?

«Quest’anno c’è stata un po’ di vivacità di mercato sulle uve rosse, ma sulle uve bianche nulla di rilevante, che sono risultate difficili da piazzare sul mercato. Anche per quelle destinate al metodo classico ci sono stati un po’ di problemi. Noi siamo la prima zona italiana per la produzione di Pinot Nero, ma non abbiamo più lo sbocco commerciale che avevamo in passato. Il metodo classico, a sua volta, faceva da traino anche per il Pinot Nero metodo Martinotti, più economico, ma pur sempre di alta qualità. Ora il consumatore ha ripiegato sul Franciacorta e sul Prosecco, creando una diminuzione incisiva di domanda di spumante oltrepadano. Abbiamo un territorio che fortunatamente si presta per alla coltivazione di tante diverse qualità, ma questo paradossalmente ci ha danneggiato perché non si è mai puntato solo ed esclusivamente su una sola uva o un solo vino. Come ho detto anche nella scorsa intervista, l’unico segmento ancora libero su cui potrebbe valere la pena di puntare è il Cruasè Pinot Nero Rosè DOCG».

un breve accenno su quanto accaduto durante l’ultima assemblea soci di terre d’oltrepò. qual è la sua analisi a riguardo?

«C’è poco da dire: erano presenti solo circa 200 soci su circa 650. L’unico punto approvato riguardava il bilancio, con circa 128 voti favorevoli e 48 contrari e 28 astenuti. Va segnalato che il bilancio 2021 comprende l’incorporazione di “Valle della Versa srl” e la rivalutazione dei terreni e degli immobili delle cantine di Casteggio e di Santa Maria della Versa.

Angelino Mazzocchi, agronomo di Cigognola

La maggior parte degli interventi dei soci erano indirizzati sui valori troppo bassi delle uve, facendo emergere così un malcontento generale della compagine societaria. Gli altri punti all’ordine del giorno, che riguardavano aumento del capitale, sanzioni per chi non conferiva le uve e il gettone di presenza ai consiglieri e ai membri del comitato esecutivo sono stati tutti bocciati. Diciamo non benissimo…».

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