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Affidamento e riqualificazione degli impianti sportivi pubblici

Sarebbe il caso, una buona

Le piscine di Amga Sport di Legnano, complesso datato ma con diverse vasche, sono state chiuse ristrutturata a pezzi, ma non abbastanza.

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Insomma, la situazione è talmente disastrosa da essere, francamente, imbarazzante. Ma la Grande Milano non è l’unica città a vivere questa agonia per le sue piscine. Verona non sa cosa farsene del suo splendido Lido, chiuso da più di dieci anni, Amga Sport a Legnano ha chiuso e gli esempi sono talmente tanti che non ci sarebbe spazio per scriverli tutti.

Eppure, a nessuno viene in mente che, forse, serve ripensare tutto daccapo. Non nell’emergenza, però, ma con il tempo e la serenità necessari.

L’esempio elle piscine del Comune di Milano è emblematico: l’estate 2023 vedrà le piscine di Argelati, Suzzani e Saini chiuse, con la previsione di 120.000 ingressi in meno e un conseguente aggravamento della situazione economica di MilanoSport, la municipalizzata che gestisce tutte le piscine della città, già abbastanza precaria. La previsione è che, presto o tardi, tutti gli impianti verranno affidati a gestori privati.

L’impianto Argelati è in situazioni che definire precarie è un eufemismo da circa vent’anni. Ad ogni estate ci si interroga sulla opportunità di aprire, e ad ogni estate si apre, fino a quest’anno, quanto (finalmente!) ci si è convinti che aspettare un crollo improvviso di qualche parte strutturale per chiudere forse non era una buona idea. Suzzani è stata ristrutturata, ma evidentemente ci si è “dimenticati” qualcosa e mancano le autorizzazioni per aprire. Saini è stata

A partire dalla soluzione di una domanda fondamentale: cosa significa l’aggettivo “pubblico” riferito ad un impianto sportivo in generale e ad una piscina in particolare? E, una volta trovata la risposta a questa domanda viene la successiva: è compatibile il significato che vogliamo dare a questo termine con una gestione privata?

Nessuna di queste due domande è scontata.

Un’altra riflessione è doverosa. Laddove la gestione pubblica fallisce, il fallimento riguarda tutti noi. Perché non si tratta, praticamente mai, di condizioni avverse non immaginabili, si tratta di mala-gestione. Nel migliore dei casi di tratta di incapacità nel superare le difficoltà dovute ad una gestione inevitabilmente più laboriosa e complessa, di lassismo dei dirigenti, nel peggiore si tratta di spreco di denaro pubblico, di ruberie, di tangenti. Spesso, di entrambe le cose. Quindi non ha senso dire che il pubblico non sa gestire gli impianti mentre il privato sì. Ha senso dire che i dirigenti pubblici sono inetti oppure ladri. Perché, se non fosse così, allora avrebbero ragione quelli che evadono le tasse con la motivazione che “lo Stato è il più ladro di tutti”. Lo Stato siamo noi, e se non sappiamo gestire le piscine pubbliche significa che le persone che abbiamo incaricato di farlo, pagandogli lo stipendio con le nostre tasse, non sono adatte al proprio ruolo e vanno sostituite.

Se, invece, si decide che debbano essere i privati a gestire gli impianti sportivi, bisogna dare loro la possibilità di fare ciò che qualunque imprenditore deve fare: guadagnare. Un imprenditore senza scopo di lucro è un ossimoro assurdo, quindi se si decide di far gestire un bene pubblico ad una impresa questa impresa va messa in condizione di agire sul mercato e di ricavare utili.

Tornando a Milano, ci sono due situazioni opposte che chiariscono molto bene ciò che intendo: la piscina Argelati e quella dei Bagni Misteriosi. Si tratta di due impianti meravigliosi, progettati e costruiti in un’epoca in cui l’Architettura era davvero una cosa seria. La prima, gestita sempre dal pubblico, è chiusa e ridotta in condizioni pietose. La seconda, è stata alienata dal pubblico, ceduta ad un privato che l’ha ristrutturata e l’ha fatta diventare un vero gioello. Su questo impianto è in corso da anni una polemica relativa alla impronta “radical chic” data all’utenza, poiché i prezzi sono stati mantenuti volutamente molto alti per creare una frequentazione elitaria. E’ giusto? Non si può affermarlo senza una analisi della domanda e dell’offer- ta. Queste scelte andrebbero fatte a monte, da un Ente Pubblico accorto, che stabilisca quali impianti debbano restare più accessibili, a prezzi più popolari, e quali no. Questo per dire che la gestione privata non può e non deve tenere conto delle esigenze sociali, perché questo spetta al pubblico. Quello che non funziona è la finzione di un affidamento ai privati con l’idea di mantenere le condizioni favorevoli proprie del pubblico. Le grandi società di gestione che sono fallite prima del Covid, così come le numerosissime gare che vanno deserte oggi, dimostrano il fallimento di questa impostazione

Il privato deve fare il suo, cioè guadagnare gestendo bene, anche perché se gestisce male fallisce, mentre il pubblico deve fare il suo, cioè non tollerare amministratori incapaci o corrotti solo perché le nomine rispondono a criteri di spartizione di potere e non di merito.

Non è vero che gestire i grandi impianti sportivi direttamente da parte dell’ente pubblico non è possibile. È vero che spesso non funziona, ma non perché non sia possibile, semplicemente perché non lo si vuole fare. Il che è molto, ma molto diverso. 

Marco Tornatore redazione@wbox.it