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UNA STORIA DA NON DIMENTICARE

QUANDO PRATO “STRACCIAVA” IL MONDO... DI MILA MONTAGNI

Quando si parla di ripresa, in città, il ricordo che immediato affiora è quello dei giorni terribili della Seconda guerra mondiale seguiti dalla Liberazione, nei primi giorni di settembre del 1944. L’industria pratese, che pure durante la Grande guerra aveva lavorato alacremente per l’esercito - pro ducendo il tessuto per coperte militari e uniformi, si trovò a fare i conti con i danni provocati dalle bombe (sganciate sulla cit tà lungo un intero anno) e con la pervicacia dei soldati tedeschi che avevano minato e fatto saltare moltissime aziende. Nel 1912 era nata l’Unione degli industriali prate si e furono loro a elaborare il triste bilancio imprenditoriale: 45 aziende distrutte, 70 gravemente danneggiate, 78 colpite ma recuperabili e 82 che si rivelarono lie vemente danneggiate; secondo le fonti ufficiali, dunque, 1331 furono i telai che mancarono all’appello, inservibili ormai o distrutti, che riducevano del 30% le fabbri che tessili capaci di ricominciare a lavorare. Ma se il prezzo imprenditoriale e umano si rivelò pesante, lo spirito individualista e tenace dei pratesi non cedette (e non man cano nelle famiglie più antiche racconti sui fortunosi, e fortunati, recuperi di pezzi di telai messi in salvo sotto terra o in edifici lontani dal centro!) e anche grazie agli aiuti arrivati con l’European recovery program (il cosiddetto piano Marshall, che inte ressò l’Italia dal 1948 al 1952) fu avviata la modernizzazione delle imprese e dei ser vizi. Una modernizzazione che si affiancò a una tradizione caratterizzata da un attento sfruttamento delle risorse idriche - già organizzate in una complessa struttura - e da un approccio al mercato davvero uni co: infatti, accanto a figure come quella del mezzano, intermediario nella compravendi ta, si definì meglio quella dell’impannatore, il fabbricante di tessuti che non aveva (o ne aveva poche) macchine di proprietà e affi dava le diverse fasi del lavoro a imprese e microimprese che lo realizzavano per terzi. Una figura che oggi non esiste quasi più, come quella del cenciaiolo, l’operaio che degli stracci mai dimenticati di Malaparte sapeva scegliere e classificare pesantez za, composizione e colore al punto tale che da questi le aziende riuscivano nel finale a realizzare tessuti colorati senza tintura. Il prezzo della lana così rigenerata finiva per essere inferiore di un quarto rispetto a quella vergine e, per chi aveva la fortuna di poter ancora usare i vecchi telai, per la vorarla si potevano usare le macchine per la produzione della lana. Con in più una maggior resistenza, stabilità e lavorabilità. Erano arrivati i primi anni Cinquanta e la fame di lavoro che tormentava alcune re gioni italiane e alcune province della stessa Toscana portarono in città una numerosa manodopera, che contribuì a rispondere alla domanda costante di prodotti tessili che la città si trovò ad affrontare per una ventina d’anni, segnati da uno spirito quasi epico quanto a imprese e lungimiranza e fantasia.

I CLASSICI FESTEGGIAMENTI DEL CAPODANNO CINESE CHE QUEST’ANNO SONO STATI ANNULLATI PER L’EMERGENZA COVID19

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