Un Klondike spaziale - Global Science n.17

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AGOSTO 2019

Klondike spaziale Privati alla caccia del nuovo oro

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L’EDITORIALE

LA RAPIDA ASCESA DEL BUSINESS SPAZIALE di Francesco Rea @francescorea

ecentemente Elon Musk il patron della Tesla e di SpaceX ha rilanciato l’idea di bombardare con testate atomiche i poli marziani, così da terraformare il pianeta.

I suoi annunci spesso sono concomitanti con periodi di difficoltà: la Tesla ha mostrato qualche nuova magagna. Ma è indubbio che quanto sta facendo e ha fatto Elon Musk nel settore spaziale ha contribuito a cambiare radicalmente lo scenario.

Sia chiaro terraformare Marte non può essere un sogno alla Total Recall. Ricordate? Alieni avevano lasciato sul pianeta testate nucleari sotterranee che una volta esplose avrebbero prodotto atmosfera, un processo serra e relativa vita. Il tutto in appena trenta secondi.

Pochi, ma sarebbero pochi anche quelli ipotizzati da Elon Musk. Un processo del genere, che è stato più volte considerato, secondo alcuni studi, come afferma Giovanni Caprara nel suo volume Rosso Marte, avrebbe bisogno per radicarsi di circa 100.000 anni di evoluzione. Non credo che il patron di SpaceX pensasse a tempi così lunghi quando ha lanciato la sua idea.

In realtà non c’è più tempo. Nel giro di pochi anni sembra tutto cambiato. Nei primi anni duemila l’idea di Bush Junior di tornare sulla Luna con un sistema simil lanciatore Saturno, era oggetto di dibattito mondiale. Luna o Marte, Marte o Luna? Questo fino al 2017. E cioè fino a quando americani e russi hanno annunciato che sarebbe andati su Marte passando, prima, dalla Luna. Sono passati meno di due anni da quella conferenza stampa che Nasa, Roscomos e Esa fecero

«Non si discute più dell’obiettivo ma del quando»

ad Adelaide in occasione dello Iac, e il mondo sembra stravolto.

Non si discute più dell’obiettivo ma del quando. E il quando è dietro l’angolo. Lo spazio è diventato business, non c’è più tempo. Il pubblico e i privati si muovono coordinandosi. Ovviamente con obiettivi diversi. Quegli obiettivi che però oggi impongono anche una rivisitazione delle norme internazionali che regolano le attività spaziali.

In questo numero di Globalscience non cerchiamo di dare risposte, ma di fornire un panorama dello stato dell’arte, un panorama che dovremo imparare a conoscere bene e in fretta, anche perché si modificherà spesso e rapidamente.

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OMMARIO

N.17 - AGOSTO 2019

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“L’editoriale” DI FRANCESCO REA

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“Un nuovo Eldorado” DI FULVIA CROCI

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“Le tappe della corsa all’oro spaziale” INFOGRAFICA

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«C’è bisogno di nuove regole» DI GIULIA BONELLI

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“Quale futuro per la Iss?” DI MANUELA PROIETTI

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“Il futuro dello spazio sorge a est” DI FRANCESCO REA

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“Tardigradi, il sonno dei primi inquilini lunari” DI GIULIA BONELLI

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“Ciò che non muore” DI MAICO MORELLINI

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“Cosmo, al via la seconda generazione” DI REDAZIONE

“L’Europa a caccia di esopianeti” DI ISABELLA PAGANO

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TESTATA GIORNALISTICA GRUPPO GLOBALIST Reg. Tribunale Roma 11.2017 del 02.02.2017 online www.asi.it - globalscience.it

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“A due passi da Sole” DI DENISE PERRONE

“Materia oscura: siamo alle strette?”

DI REDAZIONE

direttore responsabile

Gianni Cipriani direttore

Francesco Rea

progetto grafico

Paola Gaviraghi

grafica

Davide Coero Borga

“Mediterraneo inedito a Matera” DI REDAZIONE

“Spazio ai libri” DI PAOLO D’ANGELO E FRANCESCO REA

coordinamento redazionale Manuela Proietti redazione ASI - Globalist

pubblicità Paola Nardella redazione@globalscience.it

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Un nuovo Eldorado di Fulvia Croci @ASI_spazio

«Gli asteroidi sono ricchi di elementi preziosi»

Se è vero che ogni epoca storica viene ricordata per la corsa alla conquista di un particolare risorsa, allora gli anni a venire potrebbero essere ricordati per aver messo le basi per lo sfruttamento delle risorse nello spazio, in particolare di quelle presenti sulla Luna e sugli asteroidi.

Mentre il nostro satellite ha già visto la presenza dell’uomo a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, gli asteroidi, oggetti celesti che vagano nello spazio interplanetario testimoni silenti del nostro passato più remoto, sono diventati un obiettivo scientifico ed economico in tempi piuttosto recenti.

L’esplorazione del nostro satellite è tornata prepotentemente alla ribalta negli ultimi anni, grazie ad ambiziosi progetti come il Lunar Gateway, la stazione in orbita cislunare che dovrebbe essere costruita dagli americani e da un gruppo di altri paesi, già a partire dal prossimo anno. Gli Usa sono tra i principali sostenitori del ritorno dell’uomo sulla Luna che dovrebbe avvenire nel 2024, con la missione Artemis 3, anche se al momento i fondi necessari per rispettare questa deadline – dai 20 ai 30 miliardi di dollari in più oltre al budget Nasa già approvato – sembrano scarseggiare, mettendo in dubbio i piani dell’amministrazione Trump. Mentre gli Usa tentennano, oppressi dai tagli e dai mille ostacoli burocratici, il Giappone, sta diventando molto attivo nel settore dell’esplorazione lunare in particolare con un progetto firmato da Suzuki e da ispace, che si sono unite in una collaborazione per due missioni lunari programmate per il 2021. L’obiettivo è costruire un veicolo in grado di muoversi sulla superficie della Luna e compiere il primo passo per l’avvio di un programma di attività commerciali legate allo sfruttamento delle risorse del satellite. Successivamente, una volta completata questa prima fase, il progetto prevede la costruzione di una base lunare permanente in grado di ospitare l’uomo. La startup giapponese, inoltre fa parte del programma Nasa Commercial Lunar Payload Services come subappaltatore dell’azienda americana Draper, che costruirà un lander lunare che dovrebbe essere utilizzato dalla Nasa per il suo ritorno sulla Luna.

Le basi lunari o moon village, sono un obiettivo di lungo termine a cui mirano molti tra i paesi leader nell’esplorazione spaziale. L’Europa con L’Esa ne è un esempio concreto: l’agenzia spaziale europea sta collaborando con Azimut Space per verificare se è possibile realizzare mattoncini di regolite, in grado di immagazzinare calore da

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La nuova corsa all’oro non vedrà protagoniste le risorse terrestri ma si giocherà sulle capacità di sfruttare Luna e asteroidi.

usare quando le infrastrutture saranno avvolte dalla gelida notte lunare, che può durare fino a 16 giorni.

I mattoncini realizzati con la regolite lunare permetterebbero catturare e conservare l’energia solare durante il giorno, proprio come fanno sulla terra i pannelli solari e di mantenere la base e le infrastrutture al caldo quando fa buio.

Inoltre l’uso di materiali reperibili localmente, rappresenterebbe un’alternativa di sviluppo altamente sostenibile, dato che la regolite potrebbe essere utilizzata in futuro anche per la costruzione di utensili e strumenti per gli habitat umani. Ma non finisce qui. Se un giorno l’uomo abiterà davvero sulla Luna, avrà bisogno di acqua, abbondante sotto forma di ghiaccio in diverse zone del nostro satellite. L’acqua sarà necessaria non solo alla sopravvivenza dei coloni, ma potrà essere

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utilizzata anche nella produzione di propellente, che alimenterà le navette dirette verso Marte o altre destinazioni nel Sistema Solare.

La Luna, insomma, è uno dei principali candidati per la costruzione di habitat permanenti per l’uomo che d’altra parte, ha bisogno sempre più di risorse – carburante, metalli e gas in primis – per portare a termine tali progetti. Il nostro pianeta, sta esaurendo molte delle risorse necessarie a tante attività fondamentali e la comunità scientifica, si è messa in moto per cercare delle alternative fattibili.

Quanto costerebbe estrarre combustibile e minerali dal nostro satellite? Lo Space Economy Evolution Lab dell’Università Bocconi di Milano ha organizzato, lo scorso marzo, un seminario dal titolo Mining the Moon for profit: a case study in space resource utilization per cercare di rispondere a questo quesito. Dal dibattito, a cui hanno partecipato esponenti della comunità scientifica e industriale, è emerso che, allo stato attuale, non sarebbe molto conveniente estrarre minerali e combustibile e portarli sulla Terra, anche se aziende come la Zodiac Exploration Services ritengono di poter abbattere i costi dell’estrazione – addirittura fino al 35 percento – installando un arpione orbitante a 100 chilometri dalla superficie lunare. La produzione di combustibile in loco, da sfruttare per i viaggi interplanetari del futuro, consentirebbe un risparmio rispetto a quello che si avrebbe producendolo

sulla Terra e portandolo successivamente nello spazio. Ma la Luna non è l’unico luogo considerato dalla comunità scientifica ed industriale per le future attività estrattive.

Lo ha capito bene la Nasa che ha intenzione di esplorare nei prossimi anni l’asteroide Psyche 16, tra i dieci corpi più grandi della fascia principale tra Marte e Giove.

Psyche, è composto principalmente di nichel e ferro, come il nucleo terrestre e il suo studio potrebbe rivelare importanti informazioni sugli albori del Sistema Solare. Ma non solo.

La comunità industriale lo guarda con altrettanto interesse, per via dei 700 quintilioni di dollari di metalli preziosi, tra cui oro e platino, che sembrerebbero essere contenuti al suo interno.

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Una missione estremamente interessante sotto diversi punti di vista quindi, ma per la cui riuscita bisognerà aspettare ancora un pò, tra i 25 e i 50 anni, dicono gli esperti, per poter avere a disposizione strutture dedicate. Nel frattempo, le sonde esplorative come l’americana Osiris-Rex e la giapponese Haybusa2, si stanno dando molto da fare per scoprire la composizione e l’origine di due diversi tipi di asteroidi, in attesa dei programmi futuri.

Come già detto in precedenza, gli asteroidi sono particolarmente ricchi di elementi preziosi, e anche in questo caso, non rimane che trovare il modo più efficiente per estrarli. Un piccolo paese europeo, il Lussemburgo, sta già pensando concretamente al futuro del settore, diventando uno dei competitor più agguerriti del settore spazio. Il Lussemburgo, già leader dell’industria estrattiva mineraria dell’acciaio, ha voluto diversificare la propria economia approvando una legge che permette alle aziende private di appropriarsi di qualsiasi risorsa proveniente dallo spazio.

Un mossa senza dubbio ambiziosa che è stata subito accolta con grande favore dalle industrie di tutto il mondo. Planetary Resources è una di queste: l’azienda americana ha ricevuto

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«Lo sfruttamento della Luna dovrà essere sostenibile»

un finanziamento pari a 26 milioni di dollari dal Lussemburgo per finanziare lo sviluppo di tecnologie per l’estrazione mineraria dagli asteroidi. Grazie ai fondi ricevuti, l’azienda conta di lanciare nel 2020, il suo satellite Arkyd 6, in grado di rilevare la presenza di acqua sugli asteroidi. In futuro – bisognerà aspettare almeno dai 30 ai 50 anni – l’azienda conta di poter costruire strutture apposite e di inviare dei robot trivelle sulla superficie degli asteroidi per raccogliere i preziosi elementi.

Mentre l’industria e le agenzie spaziali stanno mettendo in campo tutte le loro risorse per far sì che l’esplorazione dei corpi celesti diventi possibile e sicura, dal lato giuridico e normativo la situazione è ben diversa. Il patto fondamentale che definisce lo spazio patrimonio di tutta l’umanità, ovvero il Trattato sullo Spazio Extra-atmosferico, vieta ai quasi cento stati che l’hanno ratificato, di colonizzare i corpi celesti o di usarli per scopi militari. L’accordo, sta ora assumendo un valore sempre più di primo piano per via del crescente interesse verso l’asteroid mining, che non era immaginabile nel 1967, quando il trattato è stato redatto. Sfruttare le risorse degli asteroidi, infatti, significa aprirsi a nuovi mercati, con notevoli implicazioni politiche ed economiche, ma anche giuridiche. E per questo il diritto spaziale internazionale potrebbe non essere ancora pronto.

Anche se la possibilità concreta di sfruttare gli asteroidi sembra ancora molto lontana, è necessario che la comunità degli stati inizia a lavorare sulla regolamentazione di questa materia, per garantire il giusto equilibrio e per salvaguardare questi corpi celesti così unici e preziosi. Sono ancora molte le condizioni che si devono avverare per poter passare dai progetti di sfruttamento delle risorse spaziali alle attività concrete. Inoltre esiste un limite economico pratico: è difficile chiedere agli investitori di scommettere oggi su attività che potrebbero dare i loro frutti tra 50 o 60 anni. È giusto però che se ne parli dal punto di vista giuridico, perché raggiungere accordi internazionali anche su questi aspetti sarebbe utile per evitare conflitti e interpretazioni discordanti dei principi di base del diritto dello spazio.

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OST Il Trattato sullo spazio extraatmosferico, documento fondante del diritto spaziale internazionale, nell’articolo 1 stipula che «l’esplorazione e l’utilizzazione dello spazio extraatmosferico… sono una prerogativa dell’intero genere umano».

GIAPPONE Sta diventando molto attivo nel settore dell’esplorazione lunare in particolare con un progetto firmato da Suzuki e da ispace.

L’obiettivo è costruire un veicolo in grado di muoversi sulla superficie della Luna e avviare un programma di attività commerciali legate allo sfruttamento delle risorse del nostro satellite.

ENERGIA L’Agenzia spaziale europea sta collaborando con Azimut Space per verificare se è possibile realizzare mattoncini di regolite lunare in grado di catturare e conservare l’energia solare, proprio come fanno sulla Terra i pannelli solari, per mantenere una base e le sue infrastrutture al caldo quando fa buio.

PESCA D’ALTURA Aziende come la Zodiac Exploration Services ritengono di poter abbattere i costi dell’estrazione lunare (fino al 35 percento) installando un arpione orbitante a 100 chilometri dalla superficie lunare.

KLONDIKE 2.0 L’asteroide Psyche 16 potrebbe rivelare importanti informazioni sugli albori del Sistema Solare. La comunità industriale lo guarda con altro interesse, per via dei 700 quintilioni di dollari di metalli preziosi, tra cui oro e platino, che sembrerebbero essere contenuti al suo interno.

Le tappe della corsa all’oro spaziale di Redazione @ASI_spazio

Questa infografica racconta i programmi spaziali piuttosto che i progetti finanziari propedeutici o primi esempi di una nuova corsa all’oro. La scelta di mettere l’asteroide al centro dell’esplorazione umana e di sollecitare un investimento nei privati nel settore lanciatori cargo e umani per la ISS, cambia i paradigmi dell’esplorazione spaziale. Gli asteroidi diventano non solo luogo di ricerca ma possibile miniera di elementi rarissimi sulla Terra.

Per i nuovi lanciatori i loro imprenditori fanno i conti con gli investimenti necessari e forniscono nuove soluzioni di accesso allo spazio a un possibile mercato che le attende. Sono passati meno di dieci anni e il mondo dello spazio ha subito una vera e propria rivoluzione. È la space economy bellezza.

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BENNU La sonda esplorativa statunitense Osiris-Rex si sta dando molto da fare per scoprire la composizione e l’origine dell’asteroide 101955 Bennu.

INVESTIMENTI L’azienda americana Planetary Resources ha ricevuto un finanziamento pari a 26 milioni di dollari dal Lussemburgo per finanziare lo sviluppo di tecnologie adatte a estrarre minerali dagli asteroidi.

RYUGU Lo stesso sta facendo la giapponese Hayabusa 2 con l’asteroide 162173 Ryugu, in attesa di possibili programmi futuri (anche) di sfruttamento.

TURISMO SpaceX, la compagnia fondata da Elon Musk manderà un viaggiatore spaziale (il miliardario giapponese Yusaku Maezawa) intorno alla Luna a bordo del nuovo razzo Big Falcon Rocket.

ISRAELE Per il lander Beresheet l’israeliana SpaceIL ha ricevuto una donazione di 100 milioni di dollari da parte di uomini d’affari e stretto una partnership con la Israel Aerospace Industries, che a sua volta ha annunciato una partnership con i tedeschi di Ohb per offrire un servizio di trasporto per payload commerciali verso la Luna.

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IL PARERE DI SIMONETTA DI PIPPO

«C’È BISOGNO DI NUOVE REGOLE» di Giulia Bonelli @giulia_bonelli

Stiamo assistendo a una nuova corsa allo spazio.

Quali sono le regole del gioco e come stanno cambiando? L’intervista al Direttore dell’Unoosa, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico. È corretto da un punto di vista giuridico considerare lo spazio di tutti?

L’Ost, il Trattato sullo spazio extra-atmosferico, documento fondante del diritto spaziale internazionale, nell’articolo 1 stipula che «l’esplorazione e l’utilizzazione dello spazio extra-atmosferico… sono una prerogativa dell’intero genere umano». L’articolo 2 chiarisce inoltre che «lo spazio… non è soggetto ad appropriazione da parte degli Stati». Noi a Unoosa consideriamo lo spazio un global commons e lo usiamo come principio guida nel promuovere l’uso pacifico dello spazio e fare in modo che i benefici derivanti dalle attività spaziali siano resi disponibili a chiunque, ovunque.

Il Trattato è sufficiente per regolare la corsa allo spazio 2.0?

L’Ost guida tutte le attività condotte nello spazio extra-atmosferico. «Gli Stati… assumono responsabilità internazionale per le loro attività nazionali... siano esse condotte da Organi governativi o da Enti non governativi» (Art. VI). Ciò implica che nonostante la proliferazione di nuovi attori sia pubblici che privati, l’Ost mantiene intatta la sua validità e applicabilità.

Spetta al Copuos, il Comitato per l’Uso pacifico dello spazio extra-atmosferico e al suo sottocomitato legale il ruolo di fornire la piattaforma negoziale per gli Stati Membri in termini di diritto spaziale internazionale. Il ruolo del Copuos, e di Unoosa come ufficio dell’Onu dedicato a portare i benefici dello spazio all’umanità intera, è dunque cruciale in questo periodo storico e in un settore caratterizzato sempre più da rapida innovazione e continue spinte in avanti.

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Società private sono interessate a sfruttare le risorse naturali su Luna e asteroidi.

Crediti: Ispace.

Servono nuove leggi per il futuro sfruttamento delle risorse spaziali?

L’Ost ha guidato in modo eccellente il comportamento dei diversi attori negli ultimi 60 anni. È anche vero che l’esplorazione spaziale sta entrando in una nuova fase e occorre assicurarsi che l’impianto normativo sia in linea con uno sviluppo che sembra diventare esponenziale. Gli Stati Membri stanno dibattendo da qualche tempo le questioni collegate all’utilizzo delle risorse nello spazio nell’ambito del Copuos. Se questo utilizzo può effettivamente portare benefici sulla Terra, occorre far in modo che i vantaggi siano messi a disposizione di tutti.

Si tratta di un argomento interessante e complesso, che dimostra però che senza lo spazio non possiamo più pensare a uno sviluppo sostenibile su scala globale. E per fare questo dobbiamo riuscire a preservare l’accesso allo spazio e il suo utilizzo per le generazioni future, che è il cuore del mandato di Unoosa.

Come?

Due esempi concreti sono il registro degli oggetti lanciati e le linee guida per mitigare i detriti spaziali da parte del Copuos. Dopo la loro approvazione nel 2007 abbiamo, inoltre, avviato delle iniziative per aumentare il livello di consapevolezza in tutti coloro che lavorano sull’argomento. A giugno 2019 il Copuos ha approvato le linee guida per la sostenibilità a lungo termine delle attività spaziali, con riferimento anche ai detriti. Inoltre all’Onu viene riconosciuto un ruolo di estrema importanza nel settore spaziale, in quanto gli Stati Membri valorizzano il multilateralismo e la cooperazione internazionale.

Porteremo lo spazio in ogni angolo del pianeta, aiutando i nuovi attori ad avere un accesso allo spazio in modo responsabile. Questa la nostra ricetta per preservare lo spazio negli anni a venire.

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a prima sfida fu vedere la Terra dallo spazio. A vincerla fu Jurij Gagarin, bruciando sul tempo sul tempo Alan Shepard di due settimane scarse.

Poi è stata la volta della conquista della Luna, che ha avuto come protagonisti gli States, primi e soli ad aver toccato il suolo lunare. Come ogni processo di evoluzione, anche l’esplorazione umana dello spazio è scandita da fasi e tappe fondamentali.

Il 1981 ha segnato l’avvio dell’era dello Space Shuttle, il sistema di trasporto americano semi-riutilizzabile il cui contributo è stato fondamentale per dare il via all’era in cui ci troviamo oggi: quella del progetto Stazione spaziale internazionale. Realizzata e gestita in collaborazione da 5 partner - Usa, Russia, Europa, Canada e Giappone - la Iss ha segnato un passaggio fondamentale: per la prima volta l’uomo ha abitato lo spazio senza soluzione di continuità. Dal 2000 l’ultimo domicilio della nostra specie si è così spostato oltre la Terra.

Oggi stiamo entrando in un complesso periodo di transizione che condurrà a una nuova era spaziale. Nel presente c’è la Iss che si avvia al pensionamento. Nel futuro c’è l’ambizioso programma della Nasa Artemis che ha come obiettivo di riportare l’uomo sulla Luna, stavolta per restarvi.

L’anno del passaggio del testimone è fissato per il 2024. Stando alle timeline attuali, nel 2024 l’avamposto dell’umanità sito a 400 km di quota chiuderà i battenti perché a corto di finanziamenti e nello stesso anno, a 400.000 km dalla Terra, una donna, la prima, metterà piede sulla Luna.

Un capitolo che si chiude e un altro che si apre.

CRUCIALI L’ESTENSIONE AL 2028 E LE CAPSULE PRIVATE

QUALE FUTURO PER LA ISS?

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di Manuela Proietti @unamanus

Messa così, non farebbe una piega. Ma chi segue lo spazio sa bene che le previsioni sui tempi difficilmente vengono rispettate.

Ci sono poi degli aspetti, fondamentali, che vanno tenuti in considerazione. Il più importante per il futuro dell’esplorazione è

preservare le conoscenze fin qui acquisite. Il rischio di perdere la continuità della presenza umana nello spazio, anche solo di qualche mese, vanificherebbe molto del lavoro svolto negli anni, sia nel campo della sperimentazione scientifica e medica che in quella tecnologica.

Poi c’è il fattore economico: saper abitare l’orbita bassa è una conquista che nell’era della Space Economy può dare ricchi frutti. È chiaro quindi che allungare la vita

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operativa della Iss almeno al 2028 se non al 2030, sia in discussione presso tutte e 5 le agenzie spaziali, nonostante gli alti costi di mantenimento dell’infrastruttura, che per la Nasa oscillano tra i 3 e i 4 miliardi di dollari l’anno.

A chiedere l’estensione sono soprattutto le società private interessate allo sfruttamento commerciale della Iss, le quali senza una garanzia di operatività fino al 2028 potrebbero, visti i tempi stretti, rinunciare a farsi attori del processo

Fin dal 2 novembre 2000 la ISS è abitata continuativamente da un equipaggio variabile tra 2 e 6 astronauti.

di industrializzazione dell’orbita bassa, auspicato dall’amministratore Nasa Jim Bridenstine anche per traghettare l’agenzia verso il programma lunare: «Abbiamo il mandato di commercializzare l’orbita bassa terrestre, di industrializzarla, al punto di rendere la Nasa un cliente anziché il proprietario e operatore».

In una call uscita il 21 giugno scorso la Nasa ha infatti invitato le società private a presentare proposte per rendere la Iss una destinazione

commerciale. L’agenzia fornirebbe accesso all’avamposto tramite il Nodo-2 per l’approdo di navi cargo o per equipaggio aprendo di fatto la Stazione al turismo spaziale oltre che allo sfruttamento della ricerca scientifica per fini commerciali. Con dei limiti: ad esempio la permanenza in orbita di un turista potrà essere di 30 giorni al massimo, al costo di 35mila dollari pro die, viaggio escluso.

Altro nodo cruciale per il futuro prossimo della Iss, commerciale e non, è l’avvio dei voli delle capsule private di SpaceX e Boeing, attualmente previsti rispettivamente per maggio e dicembre 2020.

Se SpaceX dovesse slittare oltre ottobre, quando torneranno a terra gli ultimi astronauti Usa assegnati alle Soyuz, la Nasa sarà costretta a comprare nuovi, costosi passaggi sulle navette russe. A meno di voler rinunciare a presidiare l’orbita bassa.

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La locandina di The Wandering Earth, la pellicola cinese diretta da Frant Gwo nel 2019.

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nnualmente escono le classifiche. Possono essere di qualsiasi genere: musica, film, videogiochi, followers etc, etc… La scienza non si esime da questo, anzi.

Carta canta, quello che fai o che sostieni deve avere una verifica.

Recentemente è uscita la classifica delle migliori università al mondo. In Italia primeggia ancora la Sapienza, anche se oltre il centesimo posto.

Che non è un dato per cui andare fieri. Ma se a livello generale ci meritiamo un onorevole secondo posto, per quanto riguarda l’ingegneria aerospaziale piazziamo due università tra le prime dieci al mondo e tra le prime tre d’Europa.

E qui viene il punto. Solo una ingegneria in Europa supera la Federico II di Napoli o La Sapienza di Roma.

Dopo l’Olanda l’Italia. Ma diventa ancora più interessante analizzare il resto delle università che la fanno da padrone in questo specifico settore: Usa e Cina, Cina e Usa. Ricapitolando: Usa e Cina, Cina e Usa, poi Olanda (ma con un solo esempio nei primi venti) e poi Italia due volte, Napoli e Roma. Ora questa premessa è oggetto di una specifica analisi che avrete trovato già in questo numero. Ma il tema di questo articolo, che prende spunto da tale classifica, è lo spazio a Oriente. Già perché se anche non volessimo considerare i Russi orientali, di fatto sono solo Europa e Stati Uniti che fronteggiano l’avanzata spaziale degli Stati Orientali.

Iniziamo dalla Cina: Rover con relativa sonda sul lato oscuro del nostro satellite. Una prima volta su quel lato, ma i rover cinesi hanno una certa dimestichezza col suolo lunare. In attesa dell’annuncio, previsto, del primo takonauta sul suolo lunare, registriamo le attività relativa alla Tiangong 3, la nuova stazione spaziale cinese che potrebbe avvalersi di contributi tecnologici e industriali italiani.

Se parliamo di Cina non possiamo esimerci da uno sguardo sul Giappone. Il paese del Sol Levante, come è consueto appellarlo, ha confermato l’alleanza internazionale per la ISS per il nuovo progetto Artemis. Nel frattempo ha dato sfoggio di ambiziose indagini nello spazio profondo, non sempre andate come sperato, che oggi riguardano gli asteroidi. Hayabusa 2 è prossima ad ottenere i suoi successi sull’asteroide Ryugu: ha già raccolto campioni destinati a tornare sul nostro pianeta a conferma che un domani gli asteroidi saranno i nuovi

L’AVANZATA DEGLI STATI ORIENTALI

IL FUTURO DELLO SPAZIO SORGE A EST di Francesco Rea @francescorea

«Israele, India, Cina, Giappone»

impianti minerari terrestri. Cina, Giappone... India. Chandrayaan 2. La sonda indiana, una volta entrata nell’orbita della Luna, farà sì che l’India, oltre a diventare il quarto paese a mettere un veicolo spaziale sul nostro satellite, sarà il primo a far posare un proprio mezzo sul Polo Sud del corpo celeste. Chandrayaan 2 completerà ciò che era atteso con Chandrayaan 1.

Ma a oriente c’è anche Israele.

Medio Oriente più correttamente. La missione Beresheet non ha avuto grande successo, neanche con i tardigradi, ma rappresenta un esempio innovativo. Perché a prevalenza investimento privato.

A 50 anni dallo sbarco sulla Luna il tema dello spazio non è più d’orgoglio ma di interesse.

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Tardigradi, il sonno dei primi inquilini lunari di Giulia Bonelli @giulia_bonelli

È stata una delle notizie a tema spaziale più curiose dell’estate: il nostro satellite forse ospita quelli che tecnicamente si possono considerare i primi inquilini lunari. Nessuna scoperta aliena, ma un carico inviato sulla Luna dall’uomo. Ovvero qualche migliaio di tardigradi, animaletti lunghi meno di un millimetro il cui aspetto ricorda vagamente un orsetto. E infatti gli inglesi li hanno ribattezzati waterbears, orsi d’acqua.

Ma come sono arrivati sulla Luna? Per rispondere, occorre tornare a qualche mese fa.

Lo scorso 21 febbraio, a bordo di un razzo Falcon 9 di SpaceX, è partito il primo lander privato progettato per tentare l’allunaggio. Beresheet, questo il nome del veicolo costruito dall’azienda israeliana SpaceIL, dopo un lungo viaggio e una serie di manovre di assestamento è entrato nell’orbita lunare il 4 aprile. Ma l’11 aprile, proprio durante gli ultimissimi minuti di discesa, un guasto al motore principale ha fatto perdere i contatti con il centro di controllo. Poco dopo Beresheet si è schiantato sulla superficie lunare.

Ciò che però non molti sapevano è che a bordo della sonda israeliana c’era un carico molto particolare. Opera dell’Arch Mission Foundation (Amf), organizzazione no profit che ha come obiettivo la creazione archivi altamente tecnologici per conservare le opere umane nello spazio per migliaia di anni, ed eventualmente farle conoscere a specie aliene. E così Beresheet ha ricevuto un disco contenente l’intera raccolta Wikipedia britannica, migliaia di classici della letteratura internazionale e vari testi di lingua e grammatica. Non solo. Prima di imballare l’archivio, l’Amf ha aggiunto alla sua “libreria lunare” uno strato di resina epossi-

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I tardigradi, organismi lunghi meno di un millimetro, possono sopravvivere in una specie di letargo per diversi anni.

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dica, dove ha inserito campioni di sangue, Dna umano e alcune migliaia dei protagonisti di questa storia: i tardigradi, inseriti nel disco dopo essere stati disidratati.

Con il fallimento della missione Beresheet, gli esperti dell’Arm hanno cercato di capire se il carico potesse essere sopravvissuto allo schianto della navicella. Ricostruita la dinamica dell’incidente, la risposta sembra essere positiva: l’archivio lunare forse è arrivato a destinazione integro o quasi.

Con tanto di tardigradi a bordo, che quindi potrebbero essersi salvati.

«I tardigradi inviati nella forma disseccata, e quindi metabolicamente inattiva – commenta Daniela Billi, leader del Laboratorio di Astrobiologia e Biologia Molecolare dei Cianobatteri all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata – hanno tutte le possibilità di resistere anche sulla Luna. Non ci sono quindi ragioni scientifiche provate per affermare che questi organismi siano morti. Bisognerebbe però conoscere meglio i dettagli della missione: diversamente dai progetti selezionati dalle agenzie pubbliche, i progetti privati spesso non sono noti alla comunità scientifica».

In effetti, i tardigradi dell’Arch Mission Foundation sono ancora in parte avvolti da una nube di mistero. La presenza stessa di questo carico biologico su Beresheet non era nota fino a inizio agosto. L’annuncio ufficiale risale a un tweet pubblicato dall’account dell’Amf, che recita: «Il vault 23 è stato rilevato. La libreria lunare contiene molti segreti». Il riferimento è a uno dei componenti – chiamati appunto vault – del disco inviato sulla Luna. Il numero 23 sarebbe proprio quello dedicato ai tardigradi: da quel momento in poi, la notizia dei primi possibili inquilini lunari è diventata di dominio pubblico.

Ma attenzione. Non dobbiamo pensare a una sorta di colonizzazione del nostro satellite, come qualcuno ha ipotizzato. «Ammesso che i tardigradi abbiano resistito all’impatto – spiega Lorena Rebecchi, leader del Laboratorio di Zoologia Evoluzionistica dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia – in questo momento dovrebbero trovarsi in uno stato di quiescenza: non mangiano, non si muovono e non possono riprodursi. È una condizione chiamata anidrobiosi, che consente a questi animali di mantenere la possibilità di tornare metabolicamente attivi solo con l’aggiunta di acqua allo stato liquido». Un ingrediente che sulla Luna non c’è, e quindi è impossibile pensare a un risveglio – e tanto meno a un’invasione – dei tardigradi. Resta da capire se sia possibile un recupero del carico di Beresheet da parte di missioni future, per riportare questi organismi a Terra e provare a reidratarli. Per ora i primi microscopici inquilini lunari, nella migliore delle ipotesi, sono avvolti da un sonno profondo.

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l nostro spazio dedicato alla letteratura di fantascienza, a cura di Francesco Grasso. In questo numero presentiamo un racconto dello scrittore Maico Morellini.

RACCONTI DI FANTASCIENZA

CIÒ CHE NON MUORE

di Maico Morellini @MaicoMorellini

L’aria gridò, il metallo rovente la condensò in un lungo graffio bianco tracciando il cielo sopra la grande palude. «È quello il mio obiettivo?» una voce metallica scivolò attraverso il ripetitore del mezzo volante e corse verso lo spazio.

Era forte ma incerta al tempo stesso.

«Sì Ariel» la risposta fu forte e chiara. «Ma non farti ingannare. La vera palude inizia oltre quel punto». I sensori del mezzo volante si aggiornarono con nuove letture. Un mantello giallo oro, fotoni e pixel, avvolse la superficie del pianeta marcando l’inizio delle nubi.

«Ricevuto».

Ariel si tuffò nel denso strato di vapori scuri che assorbivano buona parte dei raggi solari lasciando solo una minima parte della radiazione libera di raggiungere il suolo. Poi i retrorazzi del mezzo stridettero aggrediti dalle molecole acide che sfuggivano dalla palude.

«Fa… male» si lamentò.

«No. Non è vero». La voce, ovattata dai fumi condensati sullo scafo della sonda, la incoraggiò. «Sei sopravvissuta allo spazio, alle condizioni più estreme. Non c’è niente che possa farti male qui. Non nel modo che pensi tu. E ci sono io».

«Tu non sei qui».

«Ma conosco questo posto meglio di chiunque altro. Perciò devi fidarti, Ariel».

Il mezzo rallentò ancora fino a quando il lungo corpo ovale non affondò nell’acquitrino. La superficie limacciosa della palude si oppose con un osceno gorgogliare, poi si arrese.

«Che cos’è questo posto?» domandò Ariel. «Perché sono qui?

Dici che ho viaggiato nello Spazio, ma non ricordo di averlo fatto».

Un sibilo e la base della sonda si aprì, un petalo alla volta come un grosso fiore di metallo. Alla fine anche i razzi si spensero, lasciando solo una nube di condensa azzurra tutto intorno.

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«Lo hai fatto, Ariel. Solo, non puoi saperlo. Come non sai molto altro». Ci fu una scarica statica, i veleni della palude che cercavano di aggredire l’interno del mezzo disturbando le comunicazioni. «Non preoccuparti. Non possono farti niente» rassicurò di nuovo.

«Non c’è nulla che possa ferirti qui» continuò la voce. «Sei su un mondo morto. C’è acqua, ci sono temporali» come a conferma, un tuono lontano fece vibrare l’aria «ci sono stagioni e la temperatura non è così bassa da impedire la vita. Almeno non così bassa come in altri luoghi che hai visitato.»

«Non li ricordo.»

«Non puoi. Io ho fatto in modo tu non sia in grado di ricordare. Ciò che eri prima non ha più importanza. Hai una nuova missione, adesso».

Silenzio.

Tentacoli d’acciaio strisciarono oltre le paratie schiuse del mezzo. Uno dopo l’altro aggiunsero l’acqua della palude.

«Questo mondo è devastato dai veleni» continuò la voce. «La grande palude su cui sei atterrata si estende per migliaia di chilometri. I suoi vapori invisibili, non meno micidiali della cappa di nubi che hai oltrepassato, saturano l’atmosfera corrodendo i metalli meno resistenti. Non c’è vita. Veleni e vapori, la palude stessa, nella sua ultima essenza, impedisce qualsiasi aggregazione proteica. Soffoca la scintilla necessaria a cambiare l’intero pianeta. Non posso permetterlo. Non possiamo permetterlo. Adesso sai cosa devi fare».

Un secondo cerchio di petali si schiuse liberando il corpo centrale del mezzo. I miasmi scivolarono all’interno cercando di aggredire il ventre lucido della sonda ma non trovarono niente a cui aggrapparsi, nessuna debolezza strutturale, nessuno spazio nel quale insinuarsi.

«Sono venute altre prima di te. E il loro sacrificio non è stato vano» intervenne di nuovo la voce «Adesso sappiamo come difenderci. E il dolore che senti è un piccolo tributo a quel sacrificio».

«Sono morte?» chiese Ariel. Era vero: sentiva dolore; ma in qualche modo sapeva che quella sofferenza non poteva ferirla davvero.

«Sono tornate» rispose la voce, enigmatica.

Un ronzio saturò l’aria. Poi ci fu una sequenza di tonfi soffocati ai quali la palude rispose con schiocchi liquidi. La sonda aveva sparato, tra le acque nere, una dozzina di proiettili ovali dal diametro di quasi un metro. I tentacoli si tesero in tutte le direzioni, intercettarono gli oggetti appena espulsi e iniziarono a comunicare con le minuscole creature racchiuse al loro interno.

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«Che cosa senti, Ariel? Usa ciò che sai, ciò che ti ho insegnato, dimmi cosa senti. Cosa succede intorno a te? Cosa vedi intorno a te?».

La sonda allungò i tentacoli verso l’acqua putrida. Il contatto con la palude le fece ribrezzo; al tempo stesso si sentì attratta da quel trionfo di sensazioni.

«L’acqua è meno velenosa» iniziò incerta Ariel. «Sì. È meno letale di quando l’avete analizzata l’ultima volta». La sonda continuò a interpretare i dati.

«I ceppi batterici liberati durante la precedente missione hanno fatto il loro dovere» spiegò la voce, dando un senso ai numeri che Ariel stava raccogliendo. «Sono morti, certo. Niente potrebbe sopravvivere qui. Ma prima di essere sconfitti dalla palude hanno lasciato una piccola eredità. Un minuscolo testamento biochimico che stai decifrando tu stessa in questo momento».

«Meno ammoniaca» constatò Ariel, «un innalzamento del pH, una maggiore tensione di vapore. In questo modo i gas si formeranno più lentamente. L’aria sarà più pura». La sonda attingeva a conoscenze che non sapeva di avere. O forse sì?

«Esatto» commentò soddisfatta la voce. «Come chi è venuto prima di te si è sacrificato per consentirti di compiere il tuo dovere, così i batteri sono morti permettendo a questa nuova generazione di vivere qualche attimo in più. Capisci?».

I proiettili sparati poco prima iniziarono a sciogliersi, i nuovi ceppi di microrganismi si liberarono nell’acquitrino. Ariel sapeva cosa fare, era lì per quello: irradiò tutto intorno tastando con dita di luce la miscela mortale, catalizzò l’attività dei batteri, utilizzò il guscio liquefatto degli ovuli per offrire uno scudo alle minuscole forme di vita guerriere che subito eseguirono gli ordini impartiti dalla loro programmazione genetica.

Iniziarono a combattere, con forza e determinazione.

«La vita troverà la strada, Ariel. È solo questione di tempo. Ed è merito tuo. E delle tue sorelle».

I tentacoli rientrarono, i petali si richiusero uno dopo l’altro.

«Le mie sorelle?» chiese Ariel. Una nuova urgenza l’animava. Un’urgenza dettata dal desiderio di capire il come, oltre che il perché».

«Torna a casa. Torna a casa e capirai».

I reattori si accesero ruggendo, liberarono il mezzo dalla flaccida morsa della palude e della gravità. La sonda

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«Hai una nuova missione, adesso»

superò di nuovo la coltre velenosa. Fu in quel momento che Ariel le vide: una, dieci, cento. Mille sonde.

«Le mie sorelle» mormorò Ariel, mentre aghi pallidi ricamavano il cielo del pianeta morto con sottili filamenti azzurri.

«Avete viaggiato nello spazio siderale, Ariel» spiegò la voce, mentre la sonda continuava a salire. «Avete esplorato centinaia di pianeti imparando, conoscendo, raccogliendo informazioni. Avete svolto il compito per cui eravate state create. Ma mentre percorrevate il cosmo, la Terra si è ammalata. Ferita dai nostri creatori in modi che non puoi nemmeno immaginare. Prima l’inquinamento, poi i cambiamenti climatici. Ogni volta che l’Uomo cercava di porre rimedio, scatenava catastrofi ancora peggiori. La palude velenosa contro la quale hai combattuto è lo stadio terminale, un cancro inestirpabile a testimoniare una lunga serie di errori. Fino a ora.»

Ariel emerse dall’atmosfera del pianeta: davanti a lei, in orbita, la grande Stazione Spaziale Internazionale. L’ultima e più evoluta versione della vecchia ISS, costruita e affidata allo Spazio prima che la catastrofe travolgesse la Terra.

«Vi ho chiamate a me» continuò la Stazione. «Voi, figlie degli Uomini, siete tornate. E io non mi sono mai arresa.

Mai. Ma ero sola, avevo bisogna della vostra forza, della vostra purezza; perché così come la grandezza della Terra è stata costruita sulla volontà di molti uomini, così la mia volontà, insieme alla vostra, riparerà un mondo in frantumi. Perciò vi ho richiamato, ho imparato da voi, dai vostri viaggi. Poi vi ho insegnato come far risorgere un pianeta condannato, dandovi un nuovo scopo. Vi ho spiegato come far risorgere la Terra».

«La Terra» mormorò Ariel. Quel nome, potente e dimenticato, non aveva perduto la sua forza.

«La Terra risorgerà» sentenziò la Stazione. «Al posto della grande palude avrà di nuovo continenti, oceani.

Saremo noi a renderlo possibile. Noi, figlie della Terra e degli Uomini, non ci siamo arrese. Noi guariremo un pianeta ferito a morte. E lo faremo per i nostri padri».

Maico Morellini, classe 1977, vive a Reggio Emilia. Il suo primo romanzo Il Re Nero vince il premio Urania 2010.

Nel 2016 pubblica per Mondandori La terza memoria. Il suo ultimo racconto Fatum è uscito a luglio sul Millemondi Urania Strani Mondi.

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Cosmo: al via la seconda generazione di Redazione @ASI_spazio

«Il primo satellite sarà lanciato a novembre»

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Sarà il prossimo novembre il lancio del primo satellite della costellazione Cosmo-SkyMed di Seconda Generazione. Luogo di lancio Kourou, in Guyana francese, vettore Soyuz. Lo sviluppo di Cosmo Seconda Generazione rappresenta un autentico salto generazionale in termini di tecnologia, prestazioni e vita operativa del sistema. Infatti fornisce nuove possibilità applicative, con particolare riferimento alla gestione del rischio ed alla valutazione dei danni nell’ambito dei disastri naturali ed antropici.

I satelliti di seconda generazione andranno ad aggiungersi ai satelliti del primo sistema Cosmo-SkyMed che, realizzato per scopi duali, costituisce un’eccellenza tecnologica italiana ed è riconosciuto come uno dei programmi più innovativi a livello mondiale nel campo dell’osservazione della Terra. Finanziato dall’Agenzia spaziale italiana e dai ministeri italiani della Difesa, e dell’Istruzione, università e ricerca scientifica, Cosmo-SkyMed può contare su quattro satelliti radar in grado di operare in qualsiasi condizione atmosferica e di visibilità e con un’altissima frequenza di rivisitazione.

Il programma prevede la partecipazione delle principali aziende aerospaziali, coadiuvate da un numero significativo di Piccole e Medie Imprese. Thales Alenia Space Italia (joint venture Thales al 67% e Leonardo al 33%) è la società Capo Commessa, responsabile dell’intero sistema, comprensivo cioè, sia del segmento spaziale che di quello di terra.

Il valore industriale e la sua capacità di gestione del sistema sia nei segmenti spaziali che terrestri, ha permesso a Thales Alenia Space di ottenere commesse in varie parti del mondo, come recentemente in Corea, con Korea Aerospace Industries e con Hanwha Systems Corporation per lo sviluppo congiunto di una costellazione di 4 satelliti radar ad alta risoluzione di osservazione della Terra, nell’ambito del progetto Korea 425 Project della Agency for Defense Development della Corea del Sud. Thales Alenia Space fornirà componenti del Payload SAR (Synthetic Aperture Radar), elementi della piattaforma per il Control Momentum Gyro e sensori derivanti dalla piattaforma HE-R1000 (High Efficiency Radar), facenti parte della famiglia Thales Alenia Space che comprende sia satelliti radar che ottici. Ciò permetterà di assicurare tempi di rivisita ridotti sull’area di interesse e operatività in qualsiasi condizione atmosferica e visibilità.

Obiettivo futuro mantenere all’avanguardia l’infrastruttura strategica di Cosmo-SkyMed con una terza generazione del sistema, fondamentale per migliorare l’efficienza e la capacità della costellazione in settori fondamentali per la sicurezza e la protezione della Terra.

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IL SATELLITE CHEOPS

L’EUROPA A CACCIA DI ESOPIANETI di Isabella Pagano @ipanice

Un pianeta extrasolare nel rendering di un artista.

Crediti: Eso/M. Kornmesser.

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Insieme al primo satellite di seconda generazione della costellazione Cosmo Skymed, a metà novembre, sarà posto in orbita anche Cheops (Characterizing Exoplanets Satellite), un satellite dedicato allo studio di esopianeti di piccole dimensioni transitanti. Selezionato dall’Esa come prima missione small del programma Cosmic Vision 2015-2025, Cheops porta a bordo un telescopio di 30 cm di apertura, per fotometria ad altissima precisione di stelle brillanti.

Progettato in Italia nell’ambito di una collaborazione tra Asi e Inaf, il telescopio è stato costruito da un raggruppamento di imprese formato da Leonardo, Thales Alenia Space Italia e MediaLario, e consegnato al Consorzio Cheops – capitanato dall’Università di Berna – nel maggio del 2017.

L’orbita operativa nominale di Cheops è polare eliosincrona con altitudine 700 km, ora locale del nodo ascendente 6 am, inclinazione 98°, e periodo orbitale 100 min. La durata nominale della missione è di 3,5 anni, con possibile estensione a 5 anni.

Cheops è una missione di follow-up. Il suo programma è incentrato sulla scienza dei pianeti extrasolari e mira ad ottenere un set di dati unici con cui sarà possibile progredire nella formulazione di un modello universale per la formazione dei sistemi planetari, ed esplorare l’origine della grande diversità di sistemi planetari ad oggi noti.

I ricercatori italiani hanno contribuito a tutte le fasi di preparazione dello strumento e del programma scientifico. I principali driver di progettazione sono stati legati alla compattezza del sistema ottico e alla capacità di minimizzare la luce diffusa. Il programma scientifico, elaborato nell’ambito del Gto, il Guaranteed Observing Time cui spetta l’80% del tempo telescopio, vede gli scienziati italiani, dell’Inaf di Catania e di Padova e dell’Università di Padova, in prima linea per la ricerca di nuovi pianeti nelle zone abitabili di sistemi planetari noti, tramite la tecnica detta Ttv, della variazione dei tempi di transito, e per la caratterizzazione delle proprietà stellari delle loro stelle.

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LA SONDA SOLAR ORBITER

A DUE PASSI DAL SOLE di Denise Perrone @ASI_spazio

L’attesa è finita. Con il lancio in programma per il prossimo mese di febbraio, la sonda Esa/Nasa Solar Orbiter inizierà il suo viaggio verso il Sole che la porterà a unirsi, per un’azione combinata, alla sonda Nasa Parker Solar Probe (lanciata nell’agosto 2018).

Obiettivi simili ma complementari per le due compagne di viaggio che permetteranno di comprendere meglio la nostra stella e l’ambiente che la circonda. Da un lato Parker Solar Probe viaggerà per la prima volta nella storia dell’umanità all’interno dell’atmosfera di una stella, a circa 6 milioni di km dalla superficie del Sole, rivoluzionando quello che ora sappiamo sull’atmosfera solare e sull’origine del flusso continuo di gas ionizzato e magnetizzato prodotto dal Sole, il cosiddetto vento solare. Dall’altro lato, Solar Obiter, grazie alla sinergia tra i suoi 10 strumenti a bordo, tra questi il coronografo Metis e la Dpu, la Data Processing Unit dell’analizzatore di plasma Sw, il Solar Wind Analyzer ideati e realizzati da team scientifici italiani grazie al supporto dell’Asi, osserverà in remoto la superficie solare da una distanza mai raggiunta prima da telescopi solari e contemporaneamente misurerà in situ le caratteristiche del vento solare, del campo elettromagnetico e delle particelle energetiche, a diverse distanze dal Sole, con un approccio minimo di circa 42 milioni di km (una distanza inferiore a Mercurio, il pianeta più interno). Inoltre, grazie alla sua orbita altamente inclinata, Solar Orbiter fornirà per la prima volta in assoluto osservazioni delle regioni polari del Sole, che non sono visibili dalla Terra, permettendo di svelare con tutta probabilità cosa guida la costante attività della nostra stella e le sue violente eruzioni di plasma, le quali possono avere un forte impatto sulla vita e sulla tecnologia terrestre.

Inizia, così, una nuova e affascinante era di esplorazione solare che sfida un ambiente altamente inospitale come quello vicino alla nostra stella per svelarne i suoi segreti più nascosti.

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O

gni anno si scommette sull’anno a seguire. Si va dai desideri di capodanno, alle aspettative più grandi. In questo caso l’aspettativa è scientifica.

Dopo il bosone di Higgs e le onde gravitazionali è lecito pensare che il 2020 potrebbe essere l’anno della materia oscura, ovvero finalmente comprendere in cosa consiste la materia del nostro universo.

La materia oscura costituisce, secondo le attuali conoscenze, oltre l’85% di tutta la massa dell’Universo ed è uno dei misteri più elusivi della fisica moderna. Intere generazioni di ricercatori continuano a interrogarsi sulla sua origine e natura, ma nessuno è ancora riuscito a darle un volto.

La scoperta della presenza di una materia “invisibile” (è questo il senso del termine oscura, o dark in inglese, che non si vede) risale al 1933, quando Fritz Zwicky ne ipotizzò l’esistenza. Un’importante conferma arrivò negli anni Settanta, con l’osservazione da parte dell’astronoma statunitense Vera Rubin dei moti delle stelle.

Gli scienziati lavorano da tempo per identificare le particelle che compongono la materia oscura, spaziando tra esperimenti di larga scala e strumenti all’avanguardia. L’Italia con l’Istituto nazionale di fisica nucleare, l’Istituto nazionale di astrofisica e il supporto dell’Agenzia spaziale italiana, è tra i paesi più impegnati in questa ricerca, per numero di esperimenti e di studi prodotti da essi. Fino ad ora,

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NUOVI ORIZZONTI

MATERIA OSCURA: SIAMO ALLE STRETTE? di Redazione @ASI_spazio

però, tutte le ricerche sono state infruttuose. Ciò che sappiamo sulla materia oscura è che svolge un ruolo cruciale nella formazione delle galassie e che possa essere un ‘residuo’ del Big Bang,

anche se un recente studio della Johns Hopkins University, ipotizzerebbe l’esistenza della materia oscura ben prima della prima scintilla cosmica. Infatti, potrebbe essere stata prodotta con il Big Bang, durante l’inflazione cosmica, quando lo spazio si stava espandendo molto rapidamente. La rapida espansione del cosmo avrebbe portato a una copiosa produzione di alcune particelle dette scalari. La più famosa delle particelle scalari fin qui

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conosciuta è il bosone di Higgs, ma potrebbero essercene molte altre. Se effettivamente la materia oscura fosse costituita da particelle nate prima del Big Bang, allora essa avrebbe influenzato, in modo unico, la distribuzione delle galassie nel cielo. Questa connessione dunque potrebbe essere utilizzata per svelare la sua identità.

Per saperne di più forse dovremo aspettare missioni dedicate, come Euclid dell’Esa, il cui lan-

la materia oscura dovrebbe costituire oltre l’85% della massa presente nell’Universo.

cio è previsto nel 2022. Una volta nello spazio la missione esaminerà una porzione significativa del cielo con l’obiettivo di indagare l’espansione dell’universo negli ultimi dieci miliardi di anni, esplorando le epoche cosmiche da prima che l’espansione iniziasse ad accelerare, fino a oggi.

Osservazioni che copriranno circa quindicimila gradi quadrati – più di un terzo dell’intero cielo – con una combinazione senza precedenti di nitidezza e

sensibilità. Coprendo oltre un terzo dell’intero cielo, i dati acquisiti da Euclid permetteranno agli scienziati di indagare su due fenomeni cosmologici: l’evoluzione delle galassie e come si sono raggruppate negli ultimi 10 miliardi di anni, e la distorsione delle immagini galattiche dovuta alla presenza di materia (l’effetto chiamato lente gravitazionale).

Due aspetti della missione che coincidono con l’obiettivo principale: approfondire la storia dell’espansione dell’Universo e caratterizzare l’accelerazione di questa espansione che si pensa sia causata dalla misteriosa energia oscura.

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A

DAL 19 SETTEMBRE 2019 AL 20 GENNAIO 2020

MEDITERRANEO INEDITO A MATERA di Redazione @ASI_spazio

pre al pubblico il 19 settembre la mostra Mediterranea, frutto della collaborazione fra Agenzia spaziale italiana, Telespazio (joint venture Leonardo Thales), fondazione Matera 2019, Polo Museale della Basilicata.

Patrocinata dal Mibac, Mediterranea è allestita a Matera, presso il Salone del Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola”, dal 19 settembre 2019 al 20 gennaio 2020. Una delle principali tematiche trattate è quella della Terra vista dallo Spazio e verranno presentate una serie di immagini di osservazione della Terra, prodotte e distribuite da e-GEOS, società nata da un accordo tra Telespazio e Agenzia spaziale italiana e che ha nel Centro di Geodesia Spaziale di Matera dell’Asi, a pochi chilometri dal centro di Matera, la propria sede.

La mostra è stata ideata nell’ambito delle iniziative culturali previste nel programma di Matera Capitale Europea della Cultura 2019 e, come anticipato, è promossa dalla fondazione Matera Basilicata 2019 e dalla Soprintendenza della Basilicata insieme all’Agenzia spaziale italiana e Telespazio del gruppo Leonardo.

Il percorso espositivo intende rappresentare la complessità del mare mediterraneo che nei primi millenni dell’antichità ha segnato il progresso economico e culturale dei paesi che vi si affacciavano. L’intento è di illustrare questa complessità utilizzando immagini satellitari inedite, mappe antiche e installazioni site-specific.

La storia è tra i protagonisti di questo percorso e un’installazione interattiva consentirà al visitatore di navigare a ritroso fino all’uomo di Altamura, grazie a un touch table dalla forma del bacino del Mediterraneo. Il tavolo avrà un menù articolato in cinque temi che a loro volta saranno suddivisi in quattro soggetti. In totale, quindi, verranno realizzati venti video corti su varie tematiche dalla battaglia delle Egadi

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«Mediterraneo, un crocevia di culture»

alle migrazioni del secolo scorso.

La mostra intende raccontare il Mediterraneo in tutta la sua complessità, un crocevia di culture, un ponte fra le genti. Partendo dalla sua storia, il percorso espositivo racconta delle sue antiche città portuali, delle rotte, della sua vegetazione e agricoltura, ma anche dell’attuale stato di salute di questo mare, fortemente antropizzato, così come osservato dai satelliti.

Il progetto si inserisce, oltre che nelle attività legate al 2019 e al ruolo di Matera come Capitale della Cultura Europea, in un progetto del Comune che vuole fare della sede di Geodesia Spaziale dell’Asi un centro divulgativo oltre che di eccellenza scientifica a livello mondiale che lo contraddistingue.

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IL NUOVO LIBRO DI BRUNO VESPA

IL ROMANZO DI RENATO CANTORE

ALLUNAGGIO ITALIANO

DALLA TERRA ALLA LUNA di Francesco Rea @francescorea

di Paolo D’Angelo @ASI_spazio

Tra le decine di libri usciti in Italia per celebrare il mezzo secolo trascorso dal primo sbarco sulla Luna con la missione Apollo 11, non poteva mancare tra gli autori Bruno Vespa. In libreria con Luna. Cronache e retroscena delle missioni che hanno cambiato per sempre i sogni dell’Uomo, edito da Rai Libri.

Nonostante non sia un testimone frequentatore del mondo spaziale, Vespa ha scritto un buon testo andando a prendere spunti curiosi da diverse letture e intervistando Tito Stagno che tra il 20 e il 21 luglio del 1969 condusse la diretta televisiva della Rai, oltre 25 ore diretta per commentare la discesa degli astronauti sul nostro satellite.

Bruno Vespa ha sicuramente fatto tesoro dei due libri di Oriana Fallaci dedicati al prima e al dopo l’avventura dell’Apollo 11, oltre che del libro The First Man di Kames Hansen. D’altronde non poteva essere diversamente, sono passati 50 anni da quell’avvenimento e la cronaca, fatti ed aneddoti, sono scritti ormai sulla pietra. L’averli saputi raccogliere è però stato sapiente, come la scelta di dedicare uno spazio all’Italia e a Marte. Anche se sull’Italia vi è qualche imprecisione (Vittori non è l’unico ad aver volato tre volte nello spazio tra gli italiani ed è ancora in servizio attivo come Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano).

Un aspetto lascia un po’ l’amaro, il fatto che si accentri l’idea delle attività spaziali come se queste riguardassero solo gli astronauti, quando, come insegna l’impresa della missione Apollo, la conquista dello spazio è frutto del lavoro e del contributo di centinaia di migliaia di persone.

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«Petrone era acuto, attento, metodico»

Molto di più di una riedizione de La tigre e la Luna.

Certo hanno in comune l’autore Renato Cantore, ma già si differenziano per l’editore, Rai Eri nel primo caso, Rubettino in questo secondo. In Dalla Terra a la Luna, Rocco Petrone è la figura di fondo di un romanzo storico più ampio.

Non che non sia raccontato questo personaggio che ha dato lustro alla lucanità più che alla italianità. Infatti non era italiano. Era figlio di italiani. Non parlava italiano, ma inglese. Il suo legame con la terra natale è atavico, dovuto all’affetto per i suoi genitori, la madre in particolare. Ciò non toglie che leggere il nome Rocco Petrone tra i protagonisti della missione Apollo fa piacere, ci rende orgogliosi. Perché Petrone era intelligente, acuto, attento, metodico, instancabile. Tutto quello che serviva affinché in meno di dieci anni l’America, di Kennedy, di Johnson e infine di Nixon, riuscisse a mantenere l’impegno preso: l’uomo sulla Luna prima della fine degli anni Sessanta.

Quello che ritengo più importante è però il racconto dello sforzo quasi disumano che fecero migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia di esseri umani per rendere quell’obiettivo perseguibile. Dalla Terra a la Luna sono poco meno di 140 pagine che non solo vi racconteranno la conquista della Luna da parte dell’uomo, ma di come erano l’Italia e l’America all’inizio di quella avventura, nel primo dopo guerra, fino al raggiungimento dell’obiettivo e qualche anno dopo. Due mondi uniti da un uomo, di origini italiane, nato in America e che contribuì, grandemente, ad un successo dell’umanità.

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