Lea

Angelo Di Liberto

Lea non è una cagnolina qualsiasi: ha il potere di tingere il mondo di colori che scaldano il cuore. Succede così quando entra nella vita dell’anziana maestra Gertrude e in quella di Marco, che a nove anni, grazie a lei, pronuncia la sua prima parola intera. Ma una sera tutto cambia: Lea si ritrova imbrigliata in una rete e caricata su un furgone.

Un uomo dallo sguardo di pece la vuole addestrare alle corse dei cani per le scommesse clandestine. Da quel momento la cagnolina può solo correre, correre, correre, senza una pausa, fino allo sfinimento, con l’unica speranza di ritrovare un giorno i suoi due amici…

Angelo Di Liberto

Romanzo

Marco guardò gli occhi di Lea. La cagnolina inclinò la testa prima a destra e poi a sinistra e lui fece la stessa cosa. Il bambino allargò la mano e la protese verso di lei. La cagnetta smise di tremare e gliela leccò. Il bimbo non si mosse, sembrava quasi ipnotizzato, poi sorrise come non aveva mai fatto.

Angelo Di Liberto vive a Palermo. A cinque anni ha letto il suo primo libro. In copertina c’era una signora che portava a spasso un cagnolino. S’innamorò di quel cane ma perse il libro. Non ha mai smesso di cercarlo. Da allora i cani accompagnano la sua vita. Autore di romanzi e racconti, in rete ha fondato la comunità di lettori consapevoli “Billy, il vizio di leggere - il gruppo” e ha dato vita a “Modus legendi”, l’iniziativa che porta in classifica nazionale autori e libri di qualità. Le avventure di Lea sono illustrate dai disegni empatici di Cecco Mariniello.

Consigliato dai ai anni

9 99

disegni di Cecco Mariniello

UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni

Angelo Di Liberto Lea disegni di Cecco Mariniello ISBN 978-88-3624-592-5 Prima edizione marzo 2022 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2026 2025 2024 2023 2022 © 2022 Carlo Gallucci editore srl - Roma Gallucci e il logo

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Angelo Di Liberto

ROMANZO

disegni di Cecco Mariniello

A Moby, Orso, Akita, Paco, Zodi, Pupa, Nina, Leo, a tutti i nostri animali perduti, a tutto il loro amore ritrovato.

Avete presente il Giardino Inglese, l’elegante parco cittadino al centro di Palermo?

Bene, allora non perdete l’occasione di entrarci. Tra alberi secolari, cespugli e fiori provenienti da tutte le parti del mondo, c’è un ficus gigante, uno dei più grandi alberi che abbiate mai visto, alto, talmente alto, che per arrivare a scorgerne la cima dalle foglie larghe e lucide, dovrete curvarvi all’indietro stando bene attenti a non cadere per terra. Ma se avrete la pazienza di lasciare scorrere lo sguardo lungo il tronco, la vedrete: Lea sporgerà la testa come un piccolo canguro dal marsupio della mamma e vi guarderà coi suoi occhietti timidi. Solo un attimo però, poi correrà via all’inseguimento del suo amico Marco, che si è nascosto da qualche

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parte lì intorno. La riconoscerete dal manto arruffato e da una virgola di pelo bianco sul collo.

Gli occhi dorati di Lea hanno un potere magico, leggono nel vostro cuore. Perciò se avete bisogno di lei, non dovete fare altro che chiamarla. Gridate il suo nome, Leaaaaa!, e subito accorrerà.

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Gertrude Piraino l’aveva scelta tra sette cuccioli festanti. Lea era l’unica ad avere un nome.

Quando aveva visto la cagnolina raggomitolata in un angolo del recinto su un cuscino rosa, ricciuta e timida, non aveva avuto dubbi. Era bastato chiamarla e quei due occhietti si erano impressi nei suoi pieni di lacrime di gioia.

A casa Lea entrò come una gazzella che ritorna al suo rifugio, come se riconoscesse l’appartamento della maestra che, fino a poco tempo prima, traboccava delle voci scoppiettanti dei bambini che venivano a ripetizione da lei dopo la scuola.

Dall’ingresso girò immediatamente a sinistra, ma si fermò davanti alla cucina. Vide quei mobili bianchi sui quali scorse i colori dei barattoli,

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delle bottiglie, delle calamite attaccate al frigorifero, dei piatti che Gertrude si era portata dai numerosi viaggi all’estero e che aveva appeso a una parete, dell’orologio color salmone con i due fiori ai lati, dell’enorme coccinella salvadanaio su una mensola. Addossata a una parete di mattonelle lucide come uno specchio, inquadrò la sua cuccia, accogliente come il bocciolo di un fiore appena colto, ancora profumato. Nonostante tutto, non si mosse e infilò la coda tra le zampe.

«Che succede?» la maestra non capì.

Lea faceva la spola tra gli stipiti della porta, annusava il pavimento e tremava. Allungava una zampa cercando di superare l’uscio, ma subito rinunciava.

Gertrude si chinò per accarezzarla e la cagnolina indietreggiò. La maestra si sedette per terra appoggiando la schiena a una cornice della porta, con le gambe piegate. Il suo corpo sbarrò il passaggio tra le stanze. A sinistra il pavimento di marmo bianco, a destra il blu delle mattonelle della cucina. D’un tratto intuì. Di-

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stese le gambe annullando il confine tra i colori.

Lea fu velocissima a infilarsi in cucina passando per quel ponte di carne. Girò intorno al tavolo, poi tornò indietro per la stessa strada, fece dei passi a zig zag, annusò qualche mattonella e infine si decise a posizionarsi sul cuscino. Seduta sulle zampette posteriori con la faccia rivolta alla maestra, cominciò a tremare.

«Ho capito» disse Gertrude. «Hai fame, come ho fatto a non pensarci?»

La donna afferrò la ciotolina d’acciaio e andò verso un mobile poco distante. Aprì una scatoletta e vi versò parte del contenuto.

Lea annusò e si allontanò. Nonostante la lingua spazzolasse le labbra, iniziò a sbavare, ma non mangiò. Gertrude si ricordò di Cocò e di Franca. “Cocò prendeva il latte solo dalla mia mano” aveva detto l’eccentrica signora, la più anziana della comitiva di amiche che la maestra frequentava, mentre le mostrava una foto del suo cane, un barboncino bianco defunto l’anno prima, dopo diciassette gloriose primavere di capricci. Nel suo completo a paillettes blu

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elettrico, dal sussiego del suo caschetto biondo, Franca aveva aggiunto: “Mi faceva il solletico con la sua linguetta rosa”. E subito si era affrettata a infilarsi un cioccolatino in bocca.

La maestra prese una piccola porzione di carne dalla ciotola e se la mise sul palmo della mano. Si voltò, vide uno sgabellino che in genere utilizzava per poggiare le gambe stanche e vi si sedette. La cagnolina arrivò zampettando festosa. Il suo manto si drizzò di piacere e, annusando timidamente, diede una leccatina.

Gertrude stavolta prese la ciotola, spostò lo sgabellino avvicinandolo all’uscio della cucina. Lea la seguì. La donna ripeté lo stratagemma, avanzando via via nel corridoio, dove il pavimento tornava a essere bianco, e si sedette. Lea allungò il collo. Piluccò come un uccellino i suoi semi.

Appena la linguetta rosa toccava il cibo, accarezzando il boccone, il naso palpitava dalle narici larghe arrendendosi al profumo del pasto.

Gertrude, senza farsene accorgere, indietreggiò e Lea la seguì finché la piccola uscì dalla cucina.

La maestra posò la ciotola per terra. La cagno-

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lina finì soddisfatta, annusò intorno in cerca di qualche resto e solo in quel momento si accorse di trovarsi in corridoio. Paralizzata dalla paura, cominciò a tremare con la coda appiccicata al ventre. Gertrude la guardò con amore e l’accarezzò. Con la mano calda le sfiorava la testa, il dorso e la coda. Ricominciò di nuovo e di nuovo, finché Lea smise di tremare. La donna sentì istintivamente di doverla prendere in braccio e di affondare il viso nel pelo dell’animale.

«Non m’importa quanto sia difficile, resterai sempre con me, figlia mia».

Le sembrava di averla sempre avuta, di averla sempre stretta, di avere sempre sentito quell’odore di lana e latte caldo, nonostante Lea fosse appena entrata nella sua vita.

Era solo il giorno prima quando l’uomo dagli occhiali rosso corallo l’aveva fatta accomodare in salotto, dove aveva sistemato un recinto basso per contenere i cuccioli. Il pavimento era foderato da traversine per i bisognini. I cani erano

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tutti fuori, in giardino. L’uomo li aveva chiamati e loro erano entrati nel recinto zampettando. Si mordicchiavano, si rotolavano. Uno addentava la coda di un altro, qualcuno guaiva e qualcun altro invece accennava ad abbaiare. Erano tutti di piccola taglia e di vari colori. Nina, la mamma, si teneva fuori dal recinto, con le mammelle sgonfie e i capezzoli arrossati. Nonostante le razioni di cibo a disposizione, infatti, i cagnolini ancora le pizzicavano il ventre con i denti.

Gertrude si era seduta sul divano e li osservava. Com’erano gioiosi e veloci, quasi li confondeva. Non sarebbe stata facile la scelta tra sette cuccioli maculati, arruffati e chiassosi. Non faceva in tempo a seguirne uno che subito il fratello gli montava sopra e i due corpi s’intrecciavano come gomitoli rotolanti ora d’un colore, ora d’un altro. Cercava un segno, un gesto, un indizio che attirasse la sua attenzione e la convincesse.

Li aveva contati. Erano sei. Gertrude ricordava che al telefono quell’uomo le aveva detto che erano sette. Ne mancava uno. Poi, in un an-

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golo del recinto, aveva visto un esserino ricciuto raggomitolato su un cuscinetto rosa, il cui manto color salmone si distingueva per una virgola di pelo bianco sul collo. «È la più timida di tutti» si era affrettato a dire l’uomo.

«Non sarà malata?» si era preoccupata Gertrude.

«No, è sanissima. Il veterinario li ha visitati.

La prima vaccinazione è stata già fatta e tutti godono di ottima salute. Lea è solo un po’ timida, gliel’ho detto» «Lea? Ha già un nome?»

«Sì, è l’unica a cui l’ho dato» aveva aggiunto l’uomo. «Ho deciso di tenerla. È diversa dagli altri» «Lea!» La maestra aveva concentrato la sua attenzione sulla cagnolina e le era venuto istintivo chiamarla come se l’avesse sempre fatto.

«Lea» aveva detto di nuovo a voce alta, e la piccola aveva ricambiato lo sguardo scodinzolando freneticamente.

In quel momento si era aperta una voragine

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di luce davanti a Gertrude Piraino. In fondo agli occhi di quella cagnolina che la fissava ardentemente aveva rivisto se stessa bambina nel giardino di casa insieme ai genitori e ai fratelli, aveva risentito le risate lontane di sua madre mentre le accarezzava le trecce. Tutte le immagini amate, tutte le immagini perdute.

Fu amore a prima vista. La maestra si era girata verso l’uomo e gli aveva fatto segno in direzione di quella cucciola. Lui l’aveva ricambiata con uno sguardo perplesso.

«Sì, lo so che aveva deciso tenerla, ma io… cosa ci posso fare? Credo che potrei stare seduta giornate intere e la scelta ricadrebbe sempre su di lei» «Lea è diversa, gliel’ho detto, non è per tutti.

Mi dispiace ma non gliela posso dare» «Perché?»

«L’ha osservata bene?»

«Sì, certo. Non c’è nulla che non vada in lei. È così delicata e tenera. Saprò prendermene cura».

L’uomo dagli occhiali rosso corallo si era al-

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zato in piedi ed era entrato nel recinto in direzione di Lea. L’aveva presa in mano, se l’era portata al petto stringendola. La piccola aveva alzato appena la testolina per fissarlo e aveva scodinzolato timidamente. Lui l’aveva messa per terra e lei era corsa a nascondersi tra le gambe della maestra. Era minuta, stava ritta sulle zampe posteriori, immobile, col collo lungo e rigido. Muoveva lo sguardo a destra e a sinistra come se ci fosse un nemico in agguato. Le punte delle sue orecchie si erano avvicinate fino a formare un arco sopra la testa.

Poi si era rasserenata e aveva infilato gli occhi in quelli di Gertrude.

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Il mondo era andato incontro alla maestra, con i colori carmini di un tramonto estivo che le aveva scaldato il cuore. Lea l’aveva guardata come se la conoscesse da sempre e fosse stata lei la sua mamma.

A quel punto non c’era più nessun dubbio né per Gertrude né per l’uomo dagli occhiali rosso corallo. Anche Lea aveva fatto la sua scelta.

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Angelo Di Liberto

Lea non è una cagnolina qualsiasi: ha il potere di tingere il mondo di colori che scaldano il cuore. Succede così quando entra nella vita dell’anziana maestra Gertrude e in quella di Marco, che a nove anni, grazie a lei, pronuncia la sua prima parola intera. Ma una sera tutto cambia: Lea si ritrova imbrigliata in una rete e caricata su un furgone.

Un uomo dallo sguardo di pece la vuole addestrare alle corse dei cani per le scommesse clandestine. Da quel momento la cagnolina può solo correre, correre, correre, senza una pausa, fino allo sfinimento, con l’unica speranza di ritrovare un giorno i suoi due amici…

Angelo Di Liberto

Romanzo

Marco guardò gli occhi di Lea. La cagnolina inclinò la testa prima a destra e poi a sinistra e lui fece la stessa cosa. Il bambino allargò la mano e la protese verso di lei. La cagnetta smise di tremare e gliela leccò. Il bimbo non si mosse, sembrava quasi ipnotizzato, poi sorrise come non aveva mai fatto.

Angelo Di Liberto vive a Palermo. A cinque anni ha letto il suo primo libro. In copertina c’era una signora che portava a spasso un cagnolino. S’innamorò di quel cane ma perse il libro. Non ha mai smesso di cercarlo. Da allora i cani accompagnano la sua vita. Autore di romanzi e racconti, in rete ha fondato la comunità di lettori consapevoli “Billy, il vizio di leggere - il gruppo” e ha dato vita a “Modus legendi”, l’iniziativa che porta in classifica nazionale autori e libri di qualità. Le avventure di Lea sono illustrate dai disegni empatici di Cecco Mariniello.

Consigliato dai ai anni

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