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ESISTE ANCORA IL TEATRO?

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CASA DEL

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Ci sembra utile ricordare ai lettori la rivista "PROGETTO" dimensione associativa edita dal Comitato Milanese ARCI-UISP.

Nella nostra zona sono presenti e attivi molti circoli ARCI, e in oltre vi è anche una struttura teatrale: teatro quartiere.

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Per questo motivo ci sembra interessante pubbicare un articolo sul teatro apparso sul n. 2/3di "PROGETTO" e speriamo così di stimolare un dibattito sulle nostre pagine intorno a questo importante argomento culturale.

Strana situazione: mentre tutto il settore del giovane teatro sta attraversando una crisi che ne mette addirittura in questione la sopravvivenza, nuclei sempre più consistenti di operatori culturali e moltissimi giovani si accostano all'uso di questo mezzo, scoprendone le potenzialità nell'ambito di un discorso culturale che non divide rigidamente prodotti e consumatori ma che valorizza un rapporto dialettico, prefigurando l'aspetto che ogni arte deve assumere in una società più libera.

La domanda "esiste ancora il teatro?"' dunque non esprime un paradosso letterario e non è nemmeno un artificio per rispondere blico. Dal '68 a oggi le statistiche mostrano un incremento quantitativo, per quel che riguarda il numero di località toccate e di spettatori, che certamente significa che il nuovo teatro (le cooperative, le autogesnte hanno saputo rompere l'isolamento del ventennio precedente. Ma questo contatto si è trasformato in un rapporto? O meglio, qual'è oggi la distanza che separa le lotte e la capacità di elaborazione della classe operaia e dei suoi alleati dalla produzione teatrale, e culturale in genere? Bisoeia ammettere che il vuoto da colmare è ancora notevole. Su questo punto però si è ancora tutti d'accor- realtà di base (vedi il recente catalogo informativo dell'ARCI che fornisce dati e indicazioni pei' la programmazione di spettacoli). non si può non considerare che in una prospettiva a medio termine un allargamento puramente quantitativo dell'area di consumo culturale potrebbe risultare solo come una maggiore penetrazione dell'ideologia dominante che, non dimentichiamolo, è ancora quella del capitale, di un capitalismo che è disposto a mille risoluzioni formali piuttosto che cedere il suo potere.

Non si vuole qui affermare che tutto il giovane teatro sia erede e portatore di valori da rifiutare, ma si vuole mettere in guardia momento è preferibilè che la ragione temperi il volontarismo che ha caratterizzato negli anni scorsi la ripresa del discorso culturale. Non dimentichiamo che anche in campo teatrale si sta verificando un recupero teorico del nuovo integralismo cattolico: l'adesione ideologica che Comunione e Liberazione dà a esperienze di teatro radicali, come quella di Eugenio Barba e quella di Grotowski, non è di carattere puramente strumentale, ma aderisce alle motivazioni più profonde di queste esperienze che tendono a "bruciare" nel rituale teatrale le differenze di classe e gli squilibri che esistono all'"estevno" (le contraddizioni della struttura risolte in ambito sovrastrutturale); questo è invece, per esempio, lo spartiacque principale tra il teatro che ci dovrebbe interessa,e, quello che vive nel cambiamento e che rimanda al cambiamento perpetuo, e un teatro che, anche in forme nuove, rimanda a una partecipazione privata (e mistica). Altro problema di cui occorre farsi carico è quello dell'esigenza di partecipazione diretta al teatro: cosa che per moltissimi giovani vuol dire necessità di vivere assieme al proprio corpo, di riscoprirlo in un processo collettivo che stimoli la creatività. Il disinteresse, o la scarsa preparazione, che i partiti di sinistra hanno mostrato verso questa problematica, ha fatto sì che molti si orientassero verso gli unici punti di riferimento esistenti, i "nuovi oratori" della DC (vedi, per esempio, il CRT a Milano) dove a questi problemi si danno risposte distorte, certo, ma comunque risposte. Mentre una pratica collettiva e di massa del teatro, che si lega alla realtà del lavoro e all'esigenza di cambiare le strutture della società, potrebbe dare risultati enormi: il teatro potrebbe entrare nel tempo libero di grandi masse di persone sia come attività creativa diretta che come mezzo di acquisizione di strumenti critici (si vede, a titolo di esempio, l'esperienza condotta da Boal in Sud America e riferita da SCENA). Questo consentirebbe anche di superare il limite giovanilistico di tanto far teatro spontaneo, in quanto si troverebbero naturalmente coinvolti anche strati (casalinghe, anziani, lavoratori) che rifiutano e sono rifiutati dall"'oratorio". affermativamente, cercando nell'esistente una conferma della grande capacità di elaborazione culturale della sinistra. 'Il teatro esiste nel senso che esistono molti prodotti teatrali e molta gente che se ne occupa. ,iuta che è altrettanto certo che in questo momento il teatro non esiste, nel senso che nessuna esperienza di produzione (salvo quelle commerciali, ma con caratteristiche negative) si realizza nel rapporto che al teatro dà la sua qualità storica: un rapporto cioè di identità dialettica con un dato pub- do, troppo genericamente d'accordo. Il vero problema consiste nell'affrontare la prossima fase con un nuovo rigore critico; questo vuol dire innanzitutto approfondire la specificità del teatro, che presenta caratteristiche che lo differenziano da qualsiasi altro mezzo di comunicazione di massa.

Su questo terreno la sinistra e l'associazionismo si trovano notevomente in ritardo. Se è apprezzabile, infatti, lo sforzo per affrontare un servizio a favore di enti locali e dai pericoli di un corporativismo di novo segno che si crea quando, attribt.endo una "garanzia ideologica" in base a una scelta di campo di tipo organizzativo, si rinuncia all'elaborazione di un calmiere critico e allo stabilirsi di un dibattito permanente, che soli possono garantire l'egemonia del nuovo sul nuovo, al posto della nuova egemonia del vecchio.

Queste affermazioni possono, per esigenza di sintesi, risultare lapidarie, ma in questo

I Nostri Circoli

Perchè questo discorso si elevi al livello della concretezza occorre un profondo ripensamento della politica dell associazionismo di questo campo, una pratica che non sacrifichi i contenuti alle alleanze. Non è poco. Da qualche parte si comincia. Chi non ha capito oggi dovrà capire domani; intanto però le forze oscurantiste cercano di recuperare a livello culturale il terreno perduto a livello politico.

Noi dovremmo cercare di avanzare sui due fronti perchè solo in questo modo la tematica del cambiamento sfugge sia all'angoscia dell'incognita che alla mistificazione della "quantità".

D'altronde, quale ruolo migliore l'associazionismo può avere se non quello di promuovere la creatività e la capacità critica delle grandi masse?

Antonio Attisani

Fortarezza

PUGLIESI

L.go dal grossista al consumatore

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