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CRISI IDRICA
L’Adige | 1 Marzo 2023 p. 12
Acqua, verso il commissario chiara zomer
Al Trentino l'ipotesi non piace, ma ci si avvicina a grandissimi passi verso l'ipotesi di commissariamento, per gestire l'estate più secca della storia senza che si trasformi in una guerra dell'acqua tra territori. Sarà oggi il giorno della verità: alle 11.30 si riunirà il vertice interministeriale, guidato dalla presidente Giorgia Meloni. Ma a questo appuntamento si arriva con l'ansia dei dati - il quadro generale resta di grande criticità - e la chiarezza delle posizioni, con la pianura che invoca acqua sia per le colture che per uso potabile, perché Adige e Po fanno fatica adesso, figurarsi quest'estate. E quindi si guarda da un lato ai nostri bacini, dall'altro al Garda. Ma in piazza Dante si vede come fumo negli occhi il commissariamento: «Qui il problema non è come usiamo l'acqua, ma che non ce n'è nemmeno per noi e rischiamo non ce ne sia per nessuno - sbotta il vicepresidente Mario Tonina - il Trentino ha fatto sempre la sua parte, anche più di quanto doveva, com'è accaduto l'anno scorso». I timori, a nord di Borghetto, sono per i meleti della val di Non, che contano sulla poca acqua adesso nei bacini.La crisi idrica. Da noi quel che vediamo è che non piove e soprattutto non è nevicato, l'Adige è bassino, i bacini sono semi vuoti: dei 407 milioni di metri cubi che dovrebbero essere contenuti nei 14 bacini, ne abbiamo adesso 141. Senza speranza di riempirli col disgelo. Ma se si allarga l'orizzonte alla pianura, va peggio. L'ultimo monitoraggio dell'Autorità di bacino delle Alpi Orientali parla di severità idrica bassa per le acque superficiali e media per quelle sotterranee, ma è la prospettiva a preoccupare: la consistenza idrica sotto forma di neve è inferiore del 30% rispetto al valore medio del periodo, decisamente meno del 2022. A Boara Pisani le portate oscillano tra 90 e 100 metri cubi al secondo, con andamento decrescente, ma 60 - 80 mc/s sono i valori soglia, per bloccare il cuneo salino. Cioè per evitare che l'acqua salata del mare, non bloccata dalla pressione del fiume che si immette, risalga rendendo impossibile l'impiego dell'acqua dell'Adige sia per uso potabile sia per uso irriguo. Non sta diversamente il Po, che pure nelle scorse ore ha avuto un minimo di tregua con qualche timida pioggia (e neve in quota) che ha permesso una ripresa dei deflussi dei corsi d'acqua in Emilia Centrale e nella Romagna. Ma nonostante la tregua anche rispetto al Po che forte preoccupazione, un po' perché l'anno scorso ha sofferto molto, e un po' perché i prelievi per l'agricoltura sono già iniziati.Verso il commissario. L'ipotesi di un commissario per la gestione dell'emergenza idrica è stata lanciata qualche giorno fa dal ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin (Forza Italia), subito rilanciato dal vicepresidente del senato Gian Marco Centinaio (Lega). Ma tra lunedì e ieri si sono moltiplicate le dichiarazioni in questo senso. Anche dal Veneto, con il governatore Luca Zaia che pure ieri chiedeva un piano Marshall per la crisi idrica, perché «dobbiamo ripensare a tutto quello che è il sistema di utilizzo delle risorse idriche, che sono un patrimonio per tutti» e invita a pulire gli invasi dai detriti, per aumentarne la portata. Fino al ministro Francesco Lollobrigida, un nome pesante nel governo Meloni, che ieri preannunciava: «Sul tema della siccità il governo lavora su diverse proposte di meccanismo, che può essere un commissario speciale o altra formula che permetta di superare la troppa burocrazia, poiché troppe scrivanie producono un rallentamento del tempo davanti a un problema che va affrontato subito». Questa mattina il vertice, con la presidente Meloni, lo stesso ministro Lollobrigida, il vicepremier Salvini e i colleghi ministri Pichetto Fratin, Fitto, Calderoli e Musumeci e i sottosegretari alla Presidenza del Consiglio Mantovano e Morelli. Tra le ipotesi di lavoro, anche piani di razionamento.La Provincia contraria. L'ipotesi del commissario non piace in provincia, perché lede l'autonomia e perché in piazza Dante sono convinti di aver sempre fatto la loro parte. «Certo che non siamo entusiasti, vorremmo poter decidere autonomamente, non attraverso imposizioni - spiega il vicepresidente e assessore all'Ambiente Mario Tonina - anche perché il Trentino ha sempre fatto la sua parte, anche più di quanto poteva, come l'anno scorso, quando è stata chiesta una deroga a Terna, per abbassare a 5 milioni il bacino di Bissina e Boazzo, per rispondere alla Lombardia che aveva problemi d'acqua e di cuneo salino per il Po. Per questo, pensare che il commissario ci detti delle regole anche no, perché il senso di responsabilità non ci è mai mancato. Capisco i rappresentanti di altre Regioni, che davanti all'emergenza sentono il bisogno di delegare, ma noi no».La narrazione del Trentino che trattiene l'acqua per se per poter vendere energia a costi maggiori, insomma, non regge, secondo Tonina. C'è però, questo sì, un fronte che rischia di vedere confliggenti gli interessi trentini con quelli della pianura. Perché l'acqua resta nei bacini anche per garanzia all'agricoltura nonesa: «In Val di Non hanno investito in tecnologia, hanno impianti a goccia ovunque, ma prendono acqua da Santa Giustina. In altre regioni, con gli allevamenti e con grandi aree coltivate a mais, con anche tre raccolti l'anno, c'è bisogno di una grandissima quantità d'acqua a scorrimento. Ma dobbiamo iniziare a interrogarci se sono ancora sostenibili colture così sul lungo periodo».
Il Nuovo Trentino | 1 Marzo 2023 p. 11
La ricetta di Costantini, progettista di stazioni sciistiche: «Sotto i duemila metri, addio. Ma puntiamo più in su»
gigi zoppello
trento
Il dottor Daniele Costantini è un «costruttore di stazioni sciistiche». Originario di Roncone, oggi vive e lavora in Veneto: sue le realizzazioni delle più importanti piste e funivie delle Alpi. E ovviamente è un grande conoscitore delle dinamiche, anche climatiche. Oggi lavora più all'estero che in Italia, ha importanti contatti con i Paesi Arabi, ed è impegnatissimo in Cina. Ma prima, la sua firma era a Torino per le Olimpiadi del 2006; a Ponte di Legno con il collegamento con il Tonale, di cui si è occupato di tutto, dalla fattibilità ai collaudi fra il 2005ed il 2007; in Veneto con la pista Blizzard a Falcade, poi la Lavadoi ad Alleghe o il collegamento fra Alleghe e la Val Zoldana.«Quando mi affidano una progettazione - rivela - per prima cosa vado sul posto in estate, a piedi. Solo camminando vedi bene la morfologia di un luogo».Costantini, ultimamente può andare a piedi anche in pieno inverno: non c'è più neve. Le stazioni a quote basse sono spacciate? Bonazza ha detto che sotto i 1800 metri... Che certe stazioni a quote inferiori non ce la faranno, è certo. Diciamo che la quota minima di attestamento va alzata, io dico minimo minimo sopra i duemila metri. A tutti gli affetti, è l'unico modo di avere una garanzia.Lei è convinto del surriscaldamento climatico?Io credo che ci siano delle fasi, ricorrenti. Ad esempio negli anni Ottanta fece degli inverni completamente senza neve, ma poi ne sono seguiti di abbondanti. Il problema nuovo però è la temperatura media dell'anno, quello è il vero problema. E cosa si può fare?Molti comprensori hanno iniziato a lavorarci, oggi abbiamo tecnologie per produrre la neve anche a temperature sopra lo zero.Ma per "produrre neve, serve l'acqua, che invece è già carente, non trova?Questo perché si è pensato sempre ad approvvigiornarsi, senza pensare a costruire bacini in luoghi adatti. Cioè in alto, in quota, dove l'acqua non manca. Ma ci sono poche alternative, le soluzioni non sono facili. Io vedo un futuro verso l'alto, come sul Cervino, o sul Monte Rosa, dove gli impianti si spingono oltre i 3 mila metri.E per le stazioni a bassa quota?La vedo molto dura, e parlare di riconversione mi fa un po' sorridere. Casomai, una riconversione estiva, la posso capire. Ma in inverno il 90% della fruizione della montagna è per lo sci. Ciaspole e scialpinismo, fra l'altro, non portano indotto a chi in montagna ci vive.Quindi per Panarotta, Folgaria o Brentonico...Ci sono casi diversi, ed estremi opposti. Ad esempio per la Panarotta io direi che c'è poco da fare. Mentre Bolbeno che è addirittura a 700 metri di quota, pare che funzioni.Perché magari arrivano più sovvenzioni?Ah beh, i contributi provinciali a Bolbeno non mancano mai... Quindi su cosa devono puntare gli impiantisti trentini?Secondo me sui collegamenti. Che vanno ripensati, anche in un'ottica di comprensori più grandi. Quindi: più impianti, più funivie, più in alto...So che gli ambientalisti mi spareranno, ma ci sono abituato. Quello che dico è che in Trentino c'è un futuro per zone alte, come Peio che secondo me andrebbe collegato con il Tonale; o Folgarida e Marilleva, che andrebbe collegata con Ponte di Legno, con il Tonale, ci sono già degli studi. E magari spingersi con un carosello fino allo Stelvio, al Gavia...Insomma, lei allo sci ci crede sempre. Io vedo un pericolo per lo sci e il turismo invernale: il pericolo che diventi uno sport di élite. Perché è inutile negarlo: oggi sciare costa caro, e il pericolo è quello.Però gli impianti sono pieni, anche se qualcuno dice che sono pieni quelli che girano, perché tante stazioni hanno chiuso.Io non vedo come direttamente consequenziale la chiusura di certe stazioni con l'affollamento in altre, anche perché comunque l'offerta è varia ed ancora importante. La sua ricetta è di ampliare ed innalzare. Ma ci vogliono un sacco di soldi. Chi ce li mette?Ho una vasta esperienza di lavoro e consulenza all'estero, e vi dico che ci saranno sempre più grossi investitori esteri, soprattutto dal mondo arabo, e dai fondi di investimento, disposti a metterci capitali. Per gli arabi, investire nella neve è un simbolo di prestigio, di immagine. E poi chi ha enormi capitali è interessato anche ad uno sviluppo urbanistico conseguente. Ma non i grattacieli degli anni Sessanta, come al Tonale o al Sestriere. Qualcosa di integrato nell'ambiente ed ecologicamente sostenibile.Quindi dobbiamo affidarci agli emiri o agli sceicchi.Guardi, sono stato all'Expo di Dubai, dove ho trovato un grande interesse. E se gli investitori stranieri scelgono questi asset, ne guadagna anche la collettività, perché i costi sul territorio sono minori...
Alto Adige | 1 Marzo 2023 p. 18
Inverno troppo secco e mite
Le neve in quota sotto la media
Bolzano
L'inverno meteorologico, che è terminato ieri, è stato eccessivamente mite e secco. Le temperature si sono attestate da 1 a 1,5 gradi al di sopra della media pluriennale riferita al periodo 1991-2020. È ciò che emerge dal bollettino redatto dai meteorologi dell'Ufficio provinciale meteorologia e prevenzione valanghe dell'Agenzia per la Protezione Civile.La temperatura massima registrata questo inverno è stata rilevata il 19 febbraio a Laces, in Val Venosta: "spinta" dal Föhn, si è attestata a 19,3 gradi. La temperatura minima, pari a -21,3 gradi, è stata rilevata il 12 dicembre a Sesto Pusteria. Rispetto alla media le precipitazioni piovose o nevose sono state solo la metà in tutto il territorio provinciale. Particolarmente scarse le precipitazioni nell'area occidentale e meridionale dell'Alto Adige. Anche la quantità di neve in quota è attualmente al di sotto della media stagionale.Oggi, primo marzo, inizia la primavera meteorologica che, in questi primi giorni, si caratterizzerà per la presenza di molto sole, qualche nuvola, temperature che saliranno nuovamente di qualche grado.I diagrammi del clima forniscono informazioni su temperature e precipitazioni per Bolzano, Ora, Merano, Silandro, Bressanone, Vipiteno, Brunico e Dobbiaco. Aggiornati quotidianamente, mostrano se i dati attuali sono superiori o inferiori alla media a lungo termine.La rete di rilevamento delle stazioni meteorologiche in Alto Adige comprende un totale di 95 stazioni di rilevamento automatico, di cui 58 situate nelle aree abitate e 37 in montagna. I dati delle singole stazioni meteo possono essere letti in tempo reale ai seguenti link: stazioni meteo in valle e stazioni meteo in montagna.Le informazioni sulla situazione meteorologica generale e sull'evoluzione del meteo in Alto Adige sono costantemente aggiornate sul sito della Provincia di Bolzano al bollettino online Meteo Alto Adige.Con l'aumento delle temperature, anche le superfici ghiacciate dei laghi più alti vanno incontro a disgelo. In linea di principio, calpestare i laghi ghiacciati è sempre pericoloso. Di qui l'appello alla popolazione dell'assessore provinciale alla Protezione Civile Arnold Schuler a comportarsi in modo responsabile.
L’Adige | 2 Marzo 2023 p. 12
Commissario, il Governo rinvia al decreto
Se sul tema della siccità ci sarà un tentativo di scavalcare le prerogative dell'Autonomia è presto per dirlo. Di sicuro ieri la cabina di regia ha messo sul tavolo qualche premessa, ma ha rinviato le soluzioni - nomina e poteri del Commissario compresi - ad un imminente decreto. E fino a quello non è possibile dire come impatteranno i provvedimenti anche sul Trentino. Nell'attesa, il vicepresidente della Provincia Mario Tonina rassicura: «Se hanno deciso per un Commissario non saremo certo noi a metterci di traverso, anche se su questi temi la Provincia di Trento è in grado di decidere».Ma andando con ordine, la cabina di regia, ieri mattina, ha evidentemente chiarito che la crisi idrica è ora una priorità nazionale e che a livello centrale verrà monitorata e gestita. Seduti al tavolo, oltre alla premier Meloni, ieri c'erano anche i ministri Fitto, Calderoli, Salvini, Lollobrigida, Pichetto, Musumeci, la viceministra Gava, i sottosegretari Mantovano e Morelli e il capo della Protezione civile Curcio. Secondo il governo serve anche un commissario straordinario all'emergenza idrica, che metta in pratica quanto deciso dalla cabina di regia ministeriale, eliminando le lungaggini. L'esecutivo pensa a un decreto legge che preveda le semplificazioni e anche commissario e cabina di regia. È prevista inoltre una campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sull'uso responsabile dell'acqua. Ma cosa farà il Commissario? Avrà o menoquesto interessa in particolare al Trentino - di superare l'Autorità di bacino e obbligare ad aprire gli invasi, in caso di crisi idrica severa della pianura? È noto che l'ipotesi non piace alla Provincia, che anche martedì ha evidenziato con il vicepresidente Tonina che «il Trentino ha sempre fatto la sua parte, con responsabilità, e senza imposizioni». E che ieri ha ribadito il concesso all'Ansa: «Se hanno deciso questo, non è certo il Trentino che si opporrà. Anche se, come ho ribadito, di acqua non ce n'è nemmeno per noi, quindi la vedo dura pensare di obbligarci a cedere acqua ad altri». E ancora, ricordando le riflessioni affidate a l'Adige martedì: «La mia opinione l'ho già espressa, ed è chiara. La Provincia di Trento, che ha la sua autonomia, su temi come questi è in grado di decidere. L'abbiamo dimostrato in particolare l'anno scorso quando, di fronte a una crisi eccezionale, abbiamo ceduto acqua anche se non eravamo obbligati a farlo». Se e quanto il commissario potrà influire nelle scelte della Provincia, ad oggi non è chiaro: serve attendere il decreto.Certamente ieri il Governo ha evidenziato l'urgenza di interventi a breve e a lungo termine. E di necessità di interventi ha parlato ieri anche il ministro all'Agricoltura Lollobrigida che, in Parlamento, ha evidenziato l'esistenza di 8 miliardi «che sono lì da qualche anno con l'impossibilità di essere spesi per ragioni burocratiche e normative su cui bisognerà intervenire rapidamente». E ha annunciato la volontà del governo di realizzare un piano straordinario ed attuarlo.Dal punto di vista della necessità di mettere mano alle reti idriche anche il Trentino ha più di una emergenza. Perché le reti non sono i buone condizioni, o per lo meno le criticità sono tante: si calcola che siano necessari, per efficientare gli acquedotti trentini che "fanno acqua" in un momento in cui l'acqua andrebbe risparmiata, qualcosa come 600 milioni di euro. Servirebbe destinare risorse. E servirebbe un piano di interventi a lungo termine.
Alto Adige | 2 Marzo 2023 p. 24
Schuler: «Se non piove tanto saranno guai»
Bolzano
Si è tenuta ieri a Palazzo Chigi la prima cabina di regia contro l'emergenza idrica. Il vertice interministeriale, presieduto dalla premier Meloni, ha stabilito che sarà adottato un provvedimento d'urgenza per contrastare il fenomeno e le sue implicazioni, dall'agricoltura all'energia, il quale conterrà le necessarie semplificazioni e deroghe per accelerare i lavori essenziali a fronteggiare la siccità. Per rendere concreta l'attuazione di questi progetti, il governo nominerà un commissario straordinario con poteri esecutivi. Ancora non si conoscono i dettagli e quali saranno esattamente le ripercussioni a nord di Salorno, ma, come spiega l'assessore provinciale all'agricoltura Arnold Schuler, «l'emergenza idrica ha due facce: quella territoriale, provinciale, e quella di più ampio respiro, visto che la provincia di Bolzano fa parte del bacino idrografico dell'Adige: dobbiamo garantire una certa quantità di acqua dei nostri fiumi anche per le altre regioni». Come già è stato fatto nell'estate 2022.Intanto, anche in Alto Adige la situazione è difficile, o per meglio dire, c'è grande preoccupazione. Per l'agricoltura, la pastorizia, le foreste, la produzione idroelettrica - scesa già l'anno scorso del 30% rispetto alla norma.«Per ora - così ancora Schuler - non ci sono criticità, ma arriveranno di sicuro se nelle prossime settimane non piove. Se dovesse piovere non poco, ma in maniera intensa, per più giorni, si rientrerebbe in una situazione di normalità. Per il momento però non sono previste precipitazioni significative». Per adesso non è ancora iniziata la stagione vegetale, «ma bisognerà vedere fra qualche settimana; la preoccupazione, grande, riguarda il momento in cui inizierà la fioritura, quando inizierà a crescere l'erba».In una nota esprime preoccupazione anche la Fondazione Dolomiti Unesco: «Con la primavera alle porte il pensiero non può che andare al bilancio nivometrico di un inverno estremamente secco: la neve di gennaio ha limitato i danni solo dal punto di vista paesaggistico e la siccità di febbraio ha confermato la grande preoccupazione per la disponibilità idrica di cui potranno godere tanto i rifugi d'alta quota quanto i fondovalle nel corso dell'estate». Un inverno che non lascia tranquilli, insomma. Le precipitazioni, così ancora la Fondazione, «hanno continuato a farsi attendere fino alla fine di febbraio, fermo restando che quelle tardive non garantirebbero comunque un accumulo durevole di neve; l'esperienza degli ultimi anni ha ormai consentito di verificare come vengano anticipate all'inizio dell'estate le condizioni un tempo osservate tra la fine di agosto e il mese di settembre. Dunque, anche per la prossima estate, sarà importante sensibilizzare i frequentatori della montagna ad un utilizzo responsabile della risorsa idrica, come già avvenuto durante l'estate 2022».Nelle scorse settimane, prosegue la Fondazione, è arrivata la conferma anche da parte di Cai e Avs, proprio dalle pagine del nostro quotidiano: «I ghiacciai stanno esaurendosi, non nevica, non piove», ha evidenziato il responsabile dei rifugi del Cai Bolzano Sergio Massenz, «in alta l'acqua non penetra nel terreno, non arriva alle sorgenti. A valle, dove c'è un bacino di raccolta più ampio, basta che piova qui o lì e si riesce ad approvvigionarsi. Ma se il rifugio sta in cima o quasi, quando non piove resta a secco».La Fondazione conclude precisando che «i gestori di rifugio dell'area Unesco, intanto, si stanno già attrezzando anche sul fronte della sensibilizzazione, con la prosecuzione della campagna #vivereinrifugio che lo scorso anno ha raggiunto 3 milioni di visualizzazioni sui canali social della Fondazione, contribuendo a promuovere una frequentazione responsabile della montagna, che passa prima di tutto per la consapevolezza che l'acqua, in alta quota, non può essere sprecata e che qualche piccolo sacrificio deve essere considerato come un'occasione per vivere un'esperienza più autentica in quota». DA.PA
Corriere delle Alpi | 2 Marzo 2023 p. 19
Febbraio caldo e secco
Precipitazioni pari a zero in mezza provincia
Belluno
Un mese più caldo del solito, ma soprattutto secco. Arpav ha completato l'elaborazione dei dati meteo relativi al mese di febbraio e ne offre un quando completo. L'ultimo mese dell'inverno meteorologico è statisticamente il meno piovoso dell'anno e uno dei più soleggiati e queste caratteristiche anche quest'anno sono state rispettate e accentuate. Nella prima decade sono prevalse correnti miti da nord e successivamente correnti molto più fredde da nord-est, che hanno portato la seconda ed ultima ondata di freddo dell'inverno, dopo quella dell'11-13 dicembre. Nella seconda decade, dopo alcuni giorni con un solido campo di alta pressione, sono seguite giornate con tempo variabile, ma mai perturbato, per l'azione di un flusso atlantico relativamente mite. L'ultima decade ha visto prima il ritorno dell'alta pressione e poi, a fine mese, un nuovo afflusso di aria fredda dal nord-Europa, che ha interessato più direttamente la Francia e la Spagna. Nel complesso, l'inverno 2022-23 si è rivelato più caldo e meno piovoso e nevoso del normale. Le temperature medie mensili sono risultate mediamente 2°C superiori alla norma, nonostante la fase di freddo. Lo zero termico a febbraio è variato fra un minimo di 270 m del giorno 7 ed un massimo di 3410 m del giorno 21. Le precipitazioni totali mensili sono state molto scarse o addirittura assenti. Gli unici fenomeni da segnalare sono le burrasche di neve in quota ad inizio mese sulle Dolomiti settentrionali (alto Agordino, Ampezzano, Val d'Ansiei e Comelico) e il rovescio sulle Prealpi nella notte fra il 25 ed il 26 (Feltrino, Valbelluna ed Alpago).Nel settore centrale della provincia (Dolomiti meridionali), cioè in basso Agordino, Zoldo e Cadore, gli apporti sono stati assenti. La frequenza delle piogge ribadisce lo stesso quadro, a fronte dei 5-6 giorni piovosi o nevosi normali per questo mese. Un mese di febbraio così siccitoso non è da considerare complessivamente eccezionale per la provincia di Belluno, per quanto localmente (ad esempio a Forno di Zoldo, Agordo, Borca e Santo Stefano) non si abbia alcun riscontro, negli ultimi 37 anni, di un febbraio con precipitazioni pari a zero. Se si considera il bimestre gennaio-febbraio, si nota come negli ultimi tre decenni si sono avute alcune situazioni anche peggiori, per carenza di precipitazioni, come negli anni 2020, 2005, 2000 e 1993. © RIPRODUZIONE RISERVATA
L’Adige | 3 Marzo 2023 p. 12, segue dalla prima
Laghi e invasi mai così vuoti
Allarme rosso per l'oro blu. Oggi in Trentino il grado di riempimento dei laghi e degli invasi artificiali è del 32%: significa che l'attuale disponibilità è di un terzo rispetto a quella che potremmo avere. Numeri che fanno scattare l'allerta in Provincia. Ieri il vicepresidente Mario Tonina ha tenuto un sopralluogo a Malga Bissina, in Val Daone, dove la situazione è ancora più preoccupante: il riempimento è del 15% e l'assenza di neve si farà sentire. Tonina torna a lanciare messaggi al Veneto e alla Lombardia: «In estate l'acqua servirà al Trentino» Malga Boazzo, val Daone, Trentino che va verso la Lombardia. Terra di malghe e di acqua. Con l'Adamello che si «sente». C'è la neve.Dalla centrale elettrica si sale con la funivia (non aperta al pubblico) verso la diga di Malga Bissina. Dai 1.227 metri di quota si arriva ai 1.790.C'è la neve, ma poca. Troppo poca. Gli invasi di Malga Bissina e Malga Boazzo sono alcune tra le riserve dell'oro blu della nostra provincia. Invasi che - nei tempi migliori - garantiscono lavoro per le turbine e acqua per tutti: per l'agricoltura del Trentino e anche per le zone sempre più assetate ai confini, vale a dire la Lombardia e il Veneto. Ma non stiamo vivendo i tempi migliori. Anzi. Ad inizio marzo l'allerta per la siccità è già a livelli di allarme.Siamo saliti fin qui, in Val Daone, per capire se davvero si deve stare in pensiero per quanto riguarda l'acqua in Trentino. Le conferme sono importanti: la crisi idrica è nei fatti. Prima di tutto è nelle cifre. Il primo dato? In questa riserva di oro blu si è scesi al sedici per cento del riempimento massimo delle due dighe. Sedici per cento, ad inizio marzo, quando si dovrebbero sentire i primi benefici dello scioglimento delle nevi e delle piogge. Significa che, per fare un esempio, avete a disposizione un vascone da cento litri d'acqua ma ne avete solo sedici, che vi dovranno bastare per una lunga stagione di sete.Ad oggi negli invasi di Malga Bissina e Malga Boazzo sono presenti 11,7 milioni di metri cubi d'acqua (9,5 a Bissina e 2,2 a Boazzo). La capienza massima complessiva delle due realtà è pari a 71,8 milioni (60,1 da una parte e 11,7 dall'altra): nello specifico il riempimento di Malga Bissina è del 15,8% e del 18,8% a Malga Boazzo.La Provincia di Trento sta seguendo con attenzione l'emergenza idrica. Il monitoraggio è costante, giorno per giorno. Ieri in Val Daone sono saliti il vicepresidente Mario Tonina, il responsabile dell'area tecnica di Hydro Dolomiti Energia Michele Buratti e Sandro Rigotti, dirigente del Servizio grandi derivazioni idroelettriche e distribuzione gas della Provincia. Il sopralluogo, come detto, è stato preceduto da una nevicata notturna. Ma davvero poca roba, una spruzzata che non darà molti benefici, oltre a quello di rendere più bianco il bosco. Negli anni scorsi una precipitazione del genere avrebbe portato almeno dieci centimetri di neve, ma dobbiamo accontentarci.A Malga Boazzo c'è la funivia che porta gli operatori a Malga Bissina, visto che la strada è chiusa. Sei-sette chilometri di distanza che non modificano di molto il paesaggio: poca neve nel punto più basso, poca neve in quello più alto.Il fenomeno della crisi idrica si fa sentire in tutto il Trentino. Potremmo dire che il riempimento degli invasi artificiali idroelettrici e dei laghi naturali regolari scende a vista d'occhio, o quasi. Attualmente negli invasi e nei laghi è infatti disponibile un volume idrico complessivo di 128 milioni di metri cubi su una capacità complessiva di 407 milioni: l'attuale grado di riempimento è quindi pari al 32%. La settimana scorsa era al 34%. Gli invasi artificiali in Trentino sono 15: Santa Giustina, Careser, Pian Palù, Tra da Stua, Specchieri, San Colombano, Stramentizzo, Fedaia, Forte Buso, VBal Noana, Schener, Costabrunella, Ponte Pià, Malga Bissina e Malga Boazzo), mentre i quattro laghi in questione sono Molveno, Toblino, Cavedine e Ledro).La situazione più preoccupante riguarda gli invasi artificiali, che hanno una percentuale di riempimento del 26% e che negli ultimi dieci giorni hanno perso sei milioni di metri cubi di acqua.Tocchiamo la neve a Malga Bissina, diventata così preziosa. La neve, infatti, gioca un ruolo fondamentale nel riempimento degli invasi: è evidente che - essendo scesa in maniera poco generosa - l'apporto dello scioglimento sarà insufficiente. Chiediamo: ma è possibile sapere quanta neve abbiamo perso negli ultimi anni? La risposta, ufficiale, che arriva dagli uffici della Provincia è chiara. Si fa infatti riferimento all'indicatore Swe (Snow Water Equivalent) che consente di stimare il quantitativo d'acqua che potrà essere prodotto dalla fusione del manto nevoso presente al suolo: in tutti i bacini primari della provincia di Trento (Noce, Avisio, Sarca, Chiese, Brenta, Vanoi, Cismon, Fersina) lo Swe assume valori molto bassi, inferiori al ventesimo percentile della serie relativa all'ultimo ventennio. Questo significa che, su tutto il territorio provinciale, negli ultimi vent'anni, valori simili (o inferiori) a quelli attuali sono stati registrati in meno del 20% dei casi. Per quanto riguarda il campo neve di Malga Bissina al primo marzo sono stati rilevati 50 centimetri di neve al suolo. Un valore che risulta leggermente superiore a quello registrato nello stesso periodo dell'anno scorso (pari a 40 centimetri), ma comunque di molto inferiore alla media storica del periodo dal 1981 al 2022, che si attesta a 110 centimetri. La disponibilità nelle falde non è solo il risultato delle ultime precipitazioni, perché contano anche processi più lunghi. Non a caso Michele Buratti (Hde) spiega, in riferimento al sopralluogo: «Abbiamo già vissuto periodi con queste poche precipitazioni, ma mai con le falde così basse».Sono rimaste nella memoria le immagini impressionanti del bacino di Malga Bissina quasi prosciugato, l'estate scorsa, dopo la decisione della Provincia di Trento, concordata con Terna e Dolomiti Energia, di cedere alla Lombardia 5 milioni di metri cubi di acqua, la metà della quantità già scarsa, presente allora. Una scelta assunta dalla Provincia di Trento con Terna e Dolomiti Energia: l'anno scorso, per la prima volta, l'atto di responsabilità venne pagato dalla Lombardia con un milione di euro, utilizzato per la messa in sicurezza dell'attraversamento stradale dell'abitato di Breguzzo. Ma la prossima estate non si potranno fare altre cessioni.Sono ferme le turbine a Malga Boazzo. Potrebbero funzionare, ma durante il sopralluogo non si accendono. Restano gli 11 milioni di metri cubi d'acqua, che immaginiamo sotto la neve. Nonostante il nevischio fa caldo: forse è la temperatura, forse è l'effetto personale legato ad una crisi che puoi sentire e toccare da vicino. Viene ricordato che 10 milioni di metri cubi d'acqua rappresentano la riserva strategica per i servizi eccezionali di potenza per il sistema elettrico nazionale: siamo davvero al limite.Lo si vede, che siamo al limite, anche camminando su quella che i tecnici chiamando «coronamento» della diga, vale a dire il livello più alto. La neve, il ghiaccio, l'acqua sono davvero lontani.C'è una realtà che ricorre spesso, nei discorsi di giornata, ed è il lago d'Idro. Lo specchio d'acqua, sempre più in difficoltà, viene considerato un triste paradigma di una politica (a livello di Regione Lombardia) che rinvia di continuo le scelte necessarie. Oggi il lago d'Idro ha un grado di riempimento superiore alla media di periodo registrata negli ultimi anni: tale condizione deriva dalla riduzione operata sulle portate in uscita dal lago, in modo da favorire il riempimento del lago in vista della stagione irrigua. Non ci resta che sperare, oggi.
L’Adige | 3 Marzo 2023 p. 13, segue dalla prima
Tonina: Veneto e Lombardia, ora fate i giusti investimenti
«Siamo al limite. Veneto e Lombardia facciano gli investimenti, invece di chiederci l'acqua». Mario Tonina, vicepresidente della Provincia di Trento e assessore competente in materia di energia, in pochi giorni ha voluto verificare da vicino lo stato dei bacini artificiali di Santa Giustina (la settimana scorsa) e di Malga Bissina (ieri).Vicepresidente, è preoccupato?Nei giorni scorsi abbiamo effettuato un sopralluogo al bacino di Santa Giustina, dove abbiamo potuto toccare con mano il fatto che l'acqua oggi è trenta metri sotto il livello ottimale estivo.In effetti, le immagini sono impressionanti.Sì, e spero che siano servite al resto d'Italia per farsi un'idea precisa della crisi idrica in atto in Trentino, una situazione che tra l'altro si somma a quella dell'anno scorso.A Malga Bissina e Malga Boazzo l'allarme non è da meno.Sì, con un volume d'acqua di 11 milioni di metri cubi su una capacità di 71. Non sarebbe un problema se ci fosse la neve, ma le precipitazioni sono state molto scarse e questo preoccupa non poco. Dobbiamo augurarci una piovosità "normale" in marzo e in aprile.Quali sono i danni che ci dobbiamo aspettare?Parto dall'idroelettrico: se le condizioni rimangono queste non saremo in grado di fornire energia elettrica. Poi penso all'agricoltura e al territorio: in questo caso la situazione è critica, non lo nascondo, ma non ancora drammatica.Il Trentino cosa ha fatto, per invertire la tendenza?Ce ne siamo occupati sin dagli Stati generali della montagna, ad inizio legislatura. Da allora abbiamo approvato diversi strumenti, come la Strategia provinciale per lo sviluppo sostenibile, il Piano energetico ambientale e quello sui cambiamenti climatici, oltre al Piano per la tutela delle acque.L'assenza delle precipitazioni si somma alla riduzione dei ghiacciai.Infatti in futuro potremo contare sempre meno sull'apporto dei ghiacciai.Lei ha già dichiarato che la pianura non avrà l'acqua trentina, in estate. Possibile?Certo, non potremo fare altrimenti. Veneto e Lombardia facciano i giusti investimenti.Ad iniziare da cosa?Dai bacini di accumulo, ma non solo. I dati ci dicono che le precipitazioni non sono calate nel corso dell'anno, ma che queste sono più concentrate in alcuni eventi. È inoltre necessario investire in tecnologia e nelle irrigazioni di precisione. Oggi la tecnologia ci dice quando utilizzare l'acqua senza sprechi.L'agricoltura trentina rischia di perdere acqua perché il Trentino la dovrà dare al Veneto o alla Lombardia?Non possiamo permettercelo. L'agricoltura, la frutticoltura, la zootecnia sono settori di eccellenza del Trentino, che non dovranno essere penalizzati.I bacini in quota per lo sci non rappresentano uno spreco d'acqua?No, nessuno spreco. Si tratta di investimenti necessari: vi immaginate cosa sarebbe stato del turismo dello sci con queste precipitazioni?Ma l'acqua non sarebbe meglio utilizzare per altri scopi?Guardi che non c'è alcun spreco: dopo lo scioglimento l'acqua rimane nel terreno e va a finire nelle falde.La rete degli acquedotti va migliorata, anche in Trentino.Sì. Però servirebbero 450 milioni di euro. Tanti Comuni sono stati ammessi a finanziamento per il Pnrr ma i soldi non sono stati assegnati. Il risparmio idrico per noi è una necessità: siamo un'autonomia speciale e dobbiamo sentirne la responsabilità. Oggi, se la rete degli acquedotti non è efficiente, questo porta alla perdita dell'acqua: con una rete migliore, invece, anche l'eventualità del «troppo pieno» porta l'acqua nel ciclo ambientale.Il 22 marzo torna la Giornata mondiale dell'acqua.Sarà l'occasione per ribadire che ognuno deve fare la propria parte. Ognuno di noi deve garantire il risparmio dell'acqua. Si tratta prima di tutto di un fatto culturale: non a caso coinvolgeremo le scuole, perché le nuove generazioni sono molto sensibili su questi temi.Teme l'arrivo del commissario straordinario?Se l'obiettivo del commissario sarà di creare una cabina di regia fra i ministri interessati e di semplificare le procedure per gli interventi necessari non ci saranno problemi. Si tratta di obiettivi condivisibili. Ma il commissario dovrà confermare che la nostra acqua servirà prima di tutto al Trentino: la Val di Non o Storo, per fare due esempi, non potranno restare a secco.In estate non mancheranno i Comuni senz'acqua. Cosa farete?Verrà messo in atto il Piano emergenza: se ci sarà bisogno la Protezione civile saprà intervenire.Mauro Capra, presidente dei Consorzi irrigui, e Luigi Stefani, presidente del Consorzio di bonifica, chiedono che anche in Trentino si facciano nuovi invasi.Ho letto le due interviste: si tratta di realtà che da tempo hanno dimostrato capacità di guardare al futuro, con sistemi di irrigazione all'avanguardia. Per quanto riguarda gli invasi, non si può non essere d'accordo, ma si tratta di interventi molto impegnativi dal punto di vista economico.P.Mi.
Corriere delle Alpi | 3 Marzo 2023 p. 12
Ridurre le perdite nell'irrigazione stanziati 71 milioni per il Veneto
Enrico Ferro
Venezia
Un investimento di 880 milioni di euro per aumentare l'efficienza dei sistemi irrigui, con 97 progetti già finanziati in tutta Italia. In questo piano annunciato mercoledì sera dal ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida, c'è anche il Veneto. I progetti sono 6 e vi sono stati destinati circa 71 milioni di euro.«I progetti» ha spiegato Lollobrigida, «prevedono interventi di conversione dei sistemi irrigui in altri più efficienti, di adeguamento delle reti di distribuzione al fine di ridurre le perdite, di installazione di tecnologie per un uso efficiente delle risorse idriche, quali contatori e sistemi di controllo a distanza». i progetti per il venetoUn progetto è stato finanziato al Consorzio Veronese per 19 milioni e 400 mila euro, altri due sul Delta del Po per 7 milioni e mezzo e per 7 milioni e duecento mila euro, poi c'è il Consorzio Brenta con 10 milioni e 200 mila euro, il Consorzio Bacchiglione Padova con 7 milioni e 200 mila euro e il Consorzio Veneto Orientale con altri 20 milioni. «Tre sono stati finanziati attraverso il Pnrr e gli altri grazie alla legge 178 introdotta con la Finanziaria del 2020», spiega Andrea Crestani, direttore di Anbi Veneto, l'ente che raggruppa tutti i consorzi della regione. I progetti finanziati erano stati sviluppati proprio dai tecnici dei consorzi, con la supervisione dell'assessore regionale all'Agricoltura Federico Caner. «Il nostro piano per il Veneto è stato deliberato dalla giunta la scorsa settimana. Parliamo di un grande piano con risorse importanti e pluriennali», ha evidenziato l'assessore. allarme siccitàC'è soddisfazione per questi 71 milioni destinati al Veneto per progetti di efficientamento, ma il problema ora è che l'acqua non c'è. Serve quindi un piano per accumularla e conservarla, per poterla poi usare nei momenti di grave crisi idrica come quelli passati la scorsa estate e come quelli previsti per la prossima. Il presidente della Regione Luca Zaia l'ha definito un piano Mashall. Anche questo è stato realizzato dai Consorzi e poi recepito dall'ente regionale. Servono però 900 milioni solo per il Veneto, di conseguenza dovrà essere un piano pluriennale, che andrà a compimento in un decennio. ex caveSono 17 le ex cave individuate per trasformarle in altrettanti bacini di raccolta: 44 milioni di metri cubi invasati. Tutti i siti andrebbero ovviamente bonificati e impermeabilizzati. Ma il nodo più importante sarebbe la gestione dei passaggi di proprietà, visto che molte di queste appartengono ancora a privati. Sulle cave ci sarà la possibilità di fare impianti fotovoltaici galleggianti per 27 megawatt di potenza.invasi in pianuraAltri 10 siti sono stati individuati per realizzare gli invasi di pianura, con una capacità stimata in 5 milioni di metri cubi d'acqua. Questa tipologia di bacini, vista la piccola quantità d'acqua che riescono a trattenere, sono funzionali soprattutto all'irrigazione di precisione, cioè a orti e frutteti.corsi d'acquaLa terza via è la cosiddetta "bacinizzazione" dei corsi d'acqua esistenti: 10 sbarramenti in altrettanti tratti di fiumi o canali, per una capacità complessiva di 5 milioni di metri cubi.l'impegno«Noi siamo molto soddisfatti perché il Governo ha messo l'emergenza idrica al centro dell'agenda», commenta Crestani. «Si sono presi pubblicamente un impegno e confidiamo che sarà portato a termine. Servono però piani pluriennali, con progetti realizzati anno dopo anno e, soprattutto, con fondi cadenzati nelle varie annualità. Così tra 10 anni potremo finalmente essere a regime». ©
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Corriere delle Alpi | 13 Marzo 2023 p. 2
Razionamento dell’acqua
l'allerta
Francesco Dal Mas
In Veneto pioverà solo mercoledì, ma al più per 7 millimetri d'acqua (ne servono 200 in marzo per colmare il deficit). Siccità incalzante, dunque. Ed ecco che da Valdobbiadene, dove si è aperta l'Antica Fiera di San Gregorio, il presidente della Regione Luca Zaia ha confermato che ha allo studio un'ordinanza per razionare l'acqua, destinando la poca che c'è all'uso civico. E se sabato pomeriggio, a Udine, il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida ha promesso che saranno accelerate gli studi per desalinizzare l'acqua del mare, Zaia assicura: noi siamo pronti. E già quest'estate potrebbero essere utilizzati i desalinatori mobili, nelle situazioni di emergenza. Non solo, il presidente ritorna sull'urgenza di sghiaiare gli invasi di montagna (pieni di detriti e fango anche al 70%) e di concretizzare i progetti di riempimento d'acqua delle cave di pianura. Giovedì prossimo, l'Università di Padova e il Consorzio Prosecco Docg Conegliano Valdobbiadene presenteranno gli studi per i primi 20 micro invasi delle Colline Unesco. In quota, sul Cesen, sopra queste colline non è rimasto infatti un filo di neve di quella caduta recentemente. Tutto è secco. E lo è, in parte, il Piave che scorre a valle; poca, in montagna, la neve da sciogliere; il deficit della riserva nivale, dall'inizio dell'anno idrologico (1° ottobre) sta arrivando ad un metro e mezzo. «A me spiace, perché poi quando firmo c'è sempre qualcuno che ha delle limitazioni, ma noi non possiamo più permetterci di sprecare acqua» spiega Zaia, dopo aver dato l'annuncio dell'ordinanza davanti ai mille di piazza Marconi che assistono al taglio del nastro della Fiera «Siamo in una situazione problematica, direi anzi tragica. Penso che il tema del razionamento si sta avvicinando sempre di più. Quindi faccio un appello ai cittadini, a prescindere dall'ordinanza: non sprecate. Anche il più piccolo bicchiere d'acqua non sprecato può contribuire, insieme a tanti altri, a riempire i laghi».Non si conosce ancora la struttura dell'ordinanza, ma Zaia stesso anticipa che verrà privilegiato l'uso civico. Questo rispetto anche all'irrigazione agricola; d'altra parte, non siamo ancora nel pieno della stagione.«Se lavorassimo sulla ricerca e desalinizzazione per riutilizzare l'acqua del mare come fanno in tante altre nazioni, potremmo arrivare ad avere una certa tranquillità rispetto a eventi come questi» rifletteva l'altro ieri il ministro Lollobrigida davanti a una platea di agricoltori friulani. «Mi sono già informato da mesi sulle modalità da poter seguire in Veneto, considerato che le ho studiate anche all'università e che vengono utilizzate dagli israeliani e in realtà come Dubai,che vive di fatto di acqua di mare desalinizzata».Il vero tema, secondo Zaia, è l'energia necessaria per far funzionare le macchine che rendono dolce l'acqua del mare: ce ne vuole tanta. Bisogna approfittare dell'energia solare per trasformarla in energia da utilizzare a questo scopo. Se riuscissimo a farlo, avremmo di fatto una risorsa inesauribile, cioè il mare».Già l'estate scorsa alcuni desalinatori mobili sono stati usati alla foce del Po per fronteggiare il cuneo salino che avanzava (si trattava di fornire acqua dolce a comuni che la pescano dal Po per depurarla, i cui depuratori non sono "tarati" per l'acqua di mare).«È una strada da percorrere; la stiamo studiando da un anno e qualche idea ce l'abbiamo». Quale, però, Zaia non la vuole anticipare.Il presidente torna ad insistere sulla pulizia degli invasi di montagna - i laghi del Centro Cadore, Santa Croce, Mis, Corlo, ma anche gli invasi artificiali generati dalle dighe di Auronzo, Val Boite, Marmolada, Val di Zoldo ed altri ancora -, ricordando che ce ne sono di ingombri di ghiaia anche per il 70%. L'Enel, che li gestisce, sollecita da anni un'apposita legge a livello nazionale (come scavare? Come trattare eventuali materiali inquinati? Dove gettare il fango?). «Il Governo deve accelerare sul Piano contro la siccità. Che servirà anche per affrontare questi temi. È urgente, comunque, metter mano anche all'utilizzo delle cave da trasformare in invasi di contenimento». Le prime soluzioni arriveranno dalle rive della viticoltura eroica, quelle del Prosecco Superiore, con i primi invasi, di piccole dimensioni, che potrebbero essere pronti per giugno-luglio. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 13 Marzo 2023 p. 2
Primi due mesi con 1,44 gradi in più al Nord
In febbraio sul Veneto solo 3 mm di pioggia lo scenario
Il 2023 potrebbe rivelarsi l'anno più caldo di sempre con +1,44 gradi sopra la media nel Nord nei primi due mesi dell'anno. L'anomalia riguarda l'intera Penisola, dove la temperatura è stata comunque superiore di 0,76 gradi nei primi due mesi dell'anno. È quanto emerge dall'analisi della Coldiretti su dati Isac Cnr che rileva le temperature in Italia dal 1800, che evidenzia anche precipitazioni al di sotto della media nel primo bimestre dell'anno dopo un 2022 in cui è caduta il 30% di pioggia in meno. Nel Veneto mediamente a febbraio sono caduti 3 millimetri di pioggia: in media ne cadono 60. Le previsioni danno qualche scroscio domani e forse mercoledì, per una fase umida devvero brevissima.L'annunciato ritorno della pioggia - sottolinea la Coldiretti - è importante per dissetare i campi resi aridi dalla siccità e ripristinare le scorte idriche nei terreni, negli invasi, nei laghi, nei fiumi ma si registra anche lo scarso potenziale idrico stoccato sotto forma di neve nell'arco alpino ed appenninico.Gli effetti sono evidenti con i grandi laghi che - continua la Coldirettihanno ora percentuali di riempimento che vanno dal 19% del lago di Como al 36% del lago di Garda fino al 40% di quello Maggiore mentre il livello idrometrico del fiume Po al Ponte della Becca è a -3,2 metri e si registra anche lo scarso potenziale idrico stoccato sotto forma di neve nell'arco alpino ed appenninico.Il risultato è che in Italia sono circa 300mila le imprese agricole che si trovano nelle aree più colpite dall'emergenza siccità soprattutto nelle aree del Centro Nord con la situazione più drammatica che si registra nel bacino della Pianura Padana - spiega Coldiretti - dove nasce quasi 1/3 dell'agroalimentare Made in Italy e la metà dell'allevamento che danno origine alla food valley italiana conosciuta in tutto il mondo. Dalla disponibilità idrica dipende la produzione degli alimenti base della dieta mediterranea, dal grano duro per la pasta alla salsa di pomodoro, dalla frutta alla verdura fino al mais per alimentare gli animali per la produzione dei grandi formaggi come Parmigiano reggiano e il Grana Padano ed i salumi più prestigiosi come il prosciutto di Parma o il Culatello di Zibello. Senza parlare del riso le cui previsioni di semina prevedono un taglio di 8mila ettari e risultano al minimo da 30 anni. Gli agricoltori italiani sono impegnati a fare la propria parte per promuovere l'uso razionale dell'acqua, lo sviluppo di sistemi di irrigazione a basso impatto e l'innovazione con colture meno idro-esigenti.
Il Nuovo Trentino | 14 Marzo 2023 p. 2
Le Alpi senza neve. Il deficit è del 69% rispetto alla media degli ultimi dieci anni gli studi
Meno 69 per cento: è questa l'entità, enorme, del deficit di risorsa idrica nivale accumulato dalle Alpi, rispetto alla media degli ultimi dodici anni. Un dato che arriva nel pieno di quello che, storicamente, dovrebbe essere il periodo di massimo accumulo di neve, risorsa pronta poi a sciogliersi, fornendo l'acqua necessaria per le diverse attività.A dirlo è la fondazione Cima, che lancia l'ennesimo allarme legato all'assenza di piogge e alla parallela esplosione del fenomeno siccità. Un fenomeno che è realtà da ormai due anni, e che, si teme, possa aggravarsi ulteriormente l'estate prossima.Questo mentre, sulle Alpi, le nicchie di sopravvivenza per le piante originarie di quelle zone montane subiscono una continua riduzione: un trend iniziato trent'anni fa e che si fa sempre più preoccupante. A rilevarlo, in questo caso, è una ricerca condotta dalla ricercatrice padovana Costanza Geppert, pubblicata sulla rivista dell'Accademia delle scienze degli Stati Uniti. E il motivo del fenomeno è presto detto: sempre il "solito" cambiamento climatico. Le temperature in aumento, in particolare, che spingono le varie specie a salire di quota, per avere a disposizione ambienti adatti alla sopravvivenza.Inoltre, analizzando questi cambiamenti, i ricercatori italiani hanno appurato che il progressivo spostamento di altitudine, all'inseguimento delle temperature più rigide, non avviene nello stesso modo per tutte le specie. E, in particolare, le piante autoctone mostrano una maggiore difficoltà di sopravvivenza rispetto alle piante aliene. In sintesi, a cambiare non sono soltanto le temperature medie e gli eventi climatici. Ma, con loro, anche la fisionomia delle nostre montagne.Del resto, i dati relativi a piogge e nevicate parlano chiaro. Nonostante le basse temperature e le nevicate, anche intense, che si sono verificate a gennaio, il deficit idrico, conseguenza dello scarso accumulo nivale, continua ad allarmare. Il deficit idrico del -69% accumulato dalle Alpi negli ultimi 12 anni è il dato che, più degli altri, può riassumere quello che è un vero e proprio dramma ambientale. Un dramma che non ha collocazione geografica: il deficit idrico a livello nazionale si stima essere del -63%, quello del fiume Po del -66%. E la situazione è in peggioramento, come dimostrano i dati di marzo, che segnano un ulteriore passo indietro rispetto alle cifre del mese precedente, complici le temperature sempre più miti con l'avvicinarsi della primavera.«Dagli scorsi deficit di neve, abbiamo imparato che le scarse risorse idriche nevose spesso portano a un calo della produzione di energia idroelettrica su scala alpina. E che gli anni caldi e siccitosi come il 2022 vedono meno neve ma anche un maggiore fabbisogno di acqua per l'irrigazione» commenta Francesco Avanzi, ricercatore dell'ambito Idrologia e Idraulica di Cima. «È una "tempesta perfetta" per le nostre montagne, che forniscono meno neve, proprio quando avremmo bisogno di più acqua del solito». © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 18 Marzo 2023
p. 19
Il bacino del Piave è in difficoltà: manca il 56 per cento di acqua
La situazione
Nei primi 15 giorni di marzo è caduto tra il 20 ed il 35% delle precipitazioni mediamente attese per fine mese. E la riserva di neve risulta inferiore di 145 centimetri alla media, dall'inizio dell'anno idrologico (1° ottobre). I bacini sono invasati per il 56%. Lo conferma il bollettino Arpav per la prima metà del mese. Nel corso dei primi 15 giorni sono caduti mediamente 17 millimetri di pioggia; il valore medio (1994-2022) dell'intero mese di marzo è stimato in 65. Apporti leggermente superiori soltanto sul Bellunese centrale. La sommatoria di neve fresca da ottobre al 15 di marzo, evidenzia un deficit di precipitazione del 40% circa pari a 140 cm di neve a 2000 m, 110 cm a 1600 m e 50-90 cm nei fondovalle delle Dolomiti. La risorsa idrica da neve è scarsa, simile all'inverno scorso, in calo da metà gennaio e pari a 110-115 milioni di metri cubi nel bacino del Piave, 60 nel bacino del Cordevole e a 65-74 in quello del Brenta. Rispetto alla media 2005-2022, nel bacino guida del Piave, il deficit è del 56% pari a 150 milioni di metri cubi di acqua.Nei principali serbatoi del Piave dal 1° marzo continua complessivamente la situazione di lieve calo con volumi invasati che rimangono comunque superiori ai valori medi storici per il periodo. Il volume totale al 15 marzo è di 94.7 Mm3 (-4.5 Mm3 dalla fine febbraio), pari al 56% di riempimento. A Pieve il volume è stazionario intorno al 30% di riempimento da novembre causa interventi di manutenzione di alcuni manufatti, S. Croce prosegue in forte calo fino al 65% di riempimento e il Mis continua invece con il forte incremento fino al 75% di riempimento. Sulle sezioni montane del Piave la prima quindicina di marzo è stata caratterizzata da deflussi inferiori alla media storica, con valori in leggero incremento a seguito delle piogge del 14. La portata media della prima metà di marzo è variabile: il Fiorentina44% sulla media storica, Cordevole a Saviner -41%, Piave a Ponte della Lasta -31%, Boite a Cancia -27%, Padola a S. Stefano -22%. Sul bacino del torrente Sonna a Feltre deflussi in calo rispetto a febbraio. La portata è prossima alla metà della media (-48%). fdm©
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L’Adige | 20 Marzo 2023 p. 9, segue dalla prima
Acqua, aprile a rischio razionamenti
Le abbondanti piogge di cui ci sarebbe bisogno non sono previste, almeno per i prossimi giorni. La portata dei fiumi non è certo abbondante e in Trentino i bacini - che potrebbero contenere 410 milioni di litri d'acqua - ne hanno 120-125 milioni. Ci sono cioè tutte le condizioni per essere preoccupati per la situazione «critica» legata alla siccità. Il vicepresidente della Provincia, Mario Tonina, studia i dati ogni giorno e proprio per questo non nasconde i problemi: «Il primo aprile si potrà iniziare ad irrigare le coltivazioni. Se le campagne avranno tanto bisogno d'acqua e se non pioverà, dovremo iniziare a parlare di razionamento».A PAGINA 9 «Certo, se continua così, già ad aprile potranno esserci problemi. Il rischio concreto è che si debba limitare il prelievo d'acqua per alcuni usi». I primi ad essere sacrificati saranno gli orti. «Eh sì. Il primo aprile si potrà iniziare ad irrigare le coltivazioni. Se le campagne avranno tanto bisogno d'acqua e se non pioverà d'ora in poi, allora sì che si inizierà a parlare di razionamento come obbligo». Il vicepresidente Mario Tonina guarda i dati idrometrici di tutte le stazioni di rilevamento ogni piè sospinto ormai da mesi. Li snocciola a memoria. Quelli dei bacini, quelli dell'Adige, quelli del Garda. E sabato, quando l'onorevole Bonelli ha lanciato l'allarme sull'Adige con la sua camminata in alveo all'altezza di Rovereto, Tonina non è rimasto certo sorpreso: «No. La situazione non è drammatica, ma è critica».Ecco, partendo dai numeri, la situazione non è cambiata, rispetto a 20 giorni fa. Il problema è che mano a mano che va avanti la stagione, gli stessi dati assumono una gravità crescente, perché si avvicina sempre di più il momento in cui l'acqua servirà davvero. L'Adige, per dire. Ieri al ponte di san Lorenzo la portata era da 53 metri cubi al secondo a 64 metri cubi al secondo. La stessa di venti giorni fa. Tutto sommato, la stessa che nel medesimo periodo c'era nel 2005 (per cercare un anno disgraziato), dove la portata a San Lorenzo, prendendo un giorno a caso, il 20 marzo, era tra 50 e 70 metri cubi al secondo. Ma certo non la medesima del 1995, dove lo stesso 20 marzo si poteva contare su una portata decisamente superiore: da 105 a 148 metri cubi al secondo. Poi ci sono i bacini, di cui si è ampiamente detto e che sono sempre nella stessa situazione: dei 410 milioni di litri che dovrebbero contenere, ne hanno 120 - 125 milioni. «Non è grave in sè - ricorda Tonina - perché anche negli altri anni avremmo potuto averli in questa situazione. Ma c'è una differenza: i bacini non hanno poca acqua perché si è turbinato, come sarebbe normale, ma perché non ha piovuto. E poi, soprattutto, la questione è che in quota non c'è neve». Perché a marzo i bacini sono sempre arrivati un po' scarichi, ma avevano davanti la primavera di solito ricca di precipitazioni - e invece la pioggerellina di marzo che picchia argentina sui tetti resiste solo nelle poesie fatte imparare a scuola - e lo scioglimento della neve in quota. E pure qui, si stende un velo: si scioglierà solo la neve artificiale e poco altro. Ecco perché Tonina dice che «la situazione non è drammatica, ma critica». E a breve si inizierà a dar acqua ai campi. «In Veneto e Lombardia hanno iniziato ad irrigare nei giorni scorsi, da noi sarà possibile farlo dal primo aprile. E lì cominceremo ad avere problemi. Per ora non è necessario razionalizzare, ma se tra 15 giorni non sarà ancora piovuto, ci dovremo pensare. La scorsa settimana, per dire, il Comitato delle Alpi Orientali si è riunito, aveva all'ordine del giorno di fare un piano di gestione delle quantità d'acqua su cui possiamo contare. È stato rinviato, ma il tema è sul tavolo. Non c'è dubbio che aprile sarà un mese difficile».Dal Veneto e dalla Lombardia non sono ancora arrivate richieste, per rilasci d'acqua che ad oggi per altro non sarebbero nemmeno possibili. Ma ecco, ci si avvicina alla giornata dell'acqua (mercoledì prossimo) con più di una preoccupazione. L'unico aspetto positivo: sono pochi i comuni che lamentano scarsità d'acqua potabile: «Sì sono pochi, sostanzialmente Sover e la Val di Gresta - osserva Tonina - ma nel prosieguo della stagione aumenteranno se non inizieranno le precipitazioni». Anche per questo, verrebbe da dire, serve una razionalizzazione anche della gestione. Perché accanto ad acquedotti che perdono meno del 15%, altri hanno performance decisamente meno brillanti. «Serve mettere a sistema la rete acquedottistica. Ma non è perché mancano risorse, è che non sempre i comuni chiedono finanziamenti per questi lavori». Anche perché raramente porta voti, scavare le strade per cambiare i tubi. «Appunto, ma io apprezzo il fatto che il presidente Gianmoena abbia posto il problema. Perché è un tema su cui dobbiamo lavorare. In passato non si è mai posto il problema perché ci sentivamo una provincia ricca d'acqua. Ora non è più così. E questo tema sarà certo anche al centro della campagna elettorale». C.Z.
Il Nuovo Trentino | 21 Marzo 2023 p. 3
C'è la giornata mondiale, l'assessore Tonina annuncia il piano in previsione di una siccità Fugatti dice sì a Zaia per i rilasci al Veneto
TRENTO
Il 22 marzo si celebra la Giornata mondiale dell'acqua (World Water Day), ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 prevista all'interno delle direttive dell'Agenda 21. Per fare il punto sull'emergenza idrica in Trentino e presentare la nuova campagna informativa realizzata dall'Ufficio stampa della Provincia per sensibilizzare i cittadini sul corretto utilizzo dell'acqua è convocata una conferenza stampa per oggi. Interverranno il vicepresidente e assessore all'ambiente Mario Tonina, il dirigente generale del Dipartimento territorio e trasporti, ambiente, energia, cooperazione Roberto Andreatta e la dirigente generale dell'Aprie Laura Boschini. E Tonina annuncerà anche il possibile piano di emergenza: «Certo, se continua così, già ad aprile potranno esserci problemi. Il rischio concreto è che si debba limitare il prelievo d'acqua per alcuni usi». A cominciare dagli orti.L'allarme, peraltro, è già scattato. Ieri ne ha parlato il presidente altoatesino Kompatscher: la portata dell'Adige a Bolzano alla stazione di rilevamento Ponte Adige è il 37% sotto la media pluriennale. In Trentino nei bacini di raccolta ci sono appena 125 milioni di litri rispetto ai 410 milioni negli anni «normali».Ieri sera, poi, il presidente del Veneto Luca Zaia ha annunciato un accordo con il Trentino: in una nota congiunta con FugattiZaia annuncia «la massima sinergia fra territori: l'acqua non conosce confini e con il presidente Fugatti conveniamo che serva la massima condivisione di dati, analisi, soluzioni tecnico-scientifiche. Siamo in attesa anche del lavoro impostato dal Governo, attendendo le indicazioni che potranno emergeredalla cabina di regia voluta dall'esecutivo sul tema siccità».Fugatti aggiunge che «i tecnici del Trentino e Veneto sono al lavoro, congiuntamente, da alcune settimane per affrontare la gestione congiunta della risorsa idrica: attendiamo anche dal Governo un piano nazionale. Il Trentino ha sempre dato acqua alle regioni vicine e non nega la solidarietà al Veneto». G. Z.
Crisi Climatica
Corriere del Trentino | 3 Marzo 2023 p. 6
Il progetto «Nevermore» sui cambiamenti climatici finanziato dall’Europa
Monica Malfatti TRENTO
Nuove prospettive e strumenti a supporto di una valutazione dell’impatto e dei rischi del cambiamento climatico per una società climaticamente neutrale e resiliente: è questo l’acronimo di Nevermore (tradotto significa mai più), un innovativo progetto coordinato dal centro Digital Society di Federazione Bruno Kessler e finanziato nell’ambito del programma internazionale Horizon Europe, con l’obiettivo di sostenere le eccellenze della ricerca scientifica in merito alle politiche climatiche.
Il gruppo di lavoro, costituitosi ieri pomeriggio negli spazi del palazzo della provincia, coinvolgerà stakeholder di vari settori: dai rappresentanti dei consorzi turistici alle associazioni, dai parchi naturali alle guide alpine e maestri di sci, passando per i gestori dei rifugi, le imprese private, i media, nonché i rappresentanti di possibili gruppi di vulnerabilità. Il tutto creando un ambiente di riflessione e discussione sui cambiamenti climatici, con un focus particolare in merito all’energia e al turismo. Per questo, ad aprire i lavori, è intervenuto proprio chi al turismo è assessore provinciale: «Siamo tutti consapevoli degli effetti dei cambiamenti climatici – ha dichiarato infatti Roberto Failoni – ma ciò di cui abbiamo bisogno sono maggiori esperienze di confronto e d’interscambio. Questo tavolo ha un grande compito: far dialogare l’eccellenza scientifica con coloro che operano concretamente sul territorio, in modo che entrambi concorrano a maturare tecnologie avanzate per lo sviluppo di innovazioni spesso decisive».
L’obiettivo principale dell’incontro era l’avvio del processo partecipativo locale, attraverso una prima presentazione dei membri del gruppo di lavoro e il via libera ai tavoli di confronto.
«Un quadro quanto mai coeso ed eterogeneo insieme, – ha commentato Alessia Torre, coordinatrice del progetto e project manager presso il centro Digital Society di Fbk – dal quale partire per costruire: oggi (ieri per chi legge; n.d.r.) si è già tenuta una prima sessione di approfondimento in merito alla lettura dei dati climatici, ottenuti anche grazie all’osservatorio trentino sul clima, nell’ottica della gestione, della valorizzazione e del governo di un territorio turistico montano che necessita di un approccio equilibrato per affrontare le sfide future».
«Nel tavolo di lavoro – ha voluto sottolineare Failoni in conclusione – non è presente nemmeno un politico. Il che mi fa piacere, perché in questo modo i partecipanti si sentiranno più liberi di confrontarsi, prima di riportare le loro conclusioni a chi dovrà prendere le decisioni più opportune».
Il prossimo incontro del gruppo di lavoro è previsto in maggio. Gli appuntamenti continueranno poi fino al termine del progetto, che è stato fissato nel 2026.
Corriere delle Alpi | 9 Marzo 2023 p. 18
Sos Legambiente: caldo e siccità la neve artificiale non è la soluzione
Francesco Dal Mas CORTINA
Fine stagione anticipato per gli impianti della Scoter, a San Vito di Cadore. Troppo caldo o, se vogliamo, poco freddo per fare neve. Domenica prossima, dunque, ci sarà lo stop ai piedi dell'Antelao. L'annuncio è stato fatto nelle stesse ore in cui Legambiente lanciava il rapporto "Nevediversa" sul grande caldo che ogni anno continua a far chiudere (definitivamente) gli impianti, anche per l'impossibilità - se non addirittura - l'improponibilità della neve programma. Il 2022 è entrato nella storia della climatologia italiana ed europea come un anno tra i più estremi mai registrati in termini di caldo e deficit di precipitazioni, in particolare, in Italia si è rivelato il più caldo e siccitoso nella serie climatica nazionale. Ma sapete di quanto sono aumentate le temperature nei nostri Comuni da 50 anni a questa parte? Da un minimo di 1,8 gradi a un massimo di 2,8 (3 sull'altopiano di Asiago). L'incremento a Falcade e al passo San Pellegrino è stato di 2,3 gradi, ad Arabba addirittura di 2,8. Scendiamo più a valle, vicino al lago. Ed ecco Alleghe che sospira di sollievo col suo 1,9. Ma basta risalire in alto, a Selva di Cadore per trovare un caldo 2,8. E non è che la più bassa Val di Zoldo possa sorridere: conta anch'essa un 2,4. Cortina? Beh, la "regina delle Dolomiti" non si sottrae ai cambiamenti climatici e sconta un incremento di 2,4 gradi. Proviamo di nuovo a salire per verificare se oltre i 2 mila metri le temperature sono più fresche. Nient'affatto. È una delusione. 2,8 gradi di aumento sul Lagazuoi, a cominciare dal passo Falzarego e dal passo Giau. Le 5 Torri possono vantare 4 decimi di meno caldo, ovvero 2,4. Si diceva di Selva di Cadore. Bene, anche a Colle Santa Lucia l'incremento è stato analogo, di 2,8, come lassù, sul Giau.Dall'altra parte delle Dolomiti, in val d'Ansiei, ecco il monte Agudo, sopra Auronzo, ben esposto al sole. Eppure qui ci si è fermati a 1,9 gradi. E agli oltre 2 mila metri di Misurina? Anziché fare più freddo, fa più caldo: di 2,4 gradi. O meglio, Misurina, come si sa, è la Siberia delle Dolomiti; evidentemente l'escursione termica è più alta. 2,2 gradi in più nella ski area del Comelico. Torniamo da quest'altra parte della provincia, a Croce D'Aune, sopra Pedavena. Siamo "più bassi" di quota e, infatti, ecco i 2,5 gradi in più. Le Dolomiti bellunesi non segnano, però, il record: di 3 gradi. Ce l'ha il monte Verna, a Roana, Altopiano di Asiago. In giro per le Alpi, la mancanza di neve, le temperature elevate e la maggior frequenza di eventi estremi hanno scombussolato la montagna, lasciando nella più totale precarietà i gestori degli impianti e con essi l'intera filiera dello sci. «Per fortuna non sulle Dolomiti», tiene subito a precisare Marco Grigoletto, presidente degli impiantisti dell'Anef, «dove, nonostante un aumento dei prezzi skipass del 10%, i passaggi sulle piste stanno registrando un incremento del 13%».E per fortuna, quindi, i cannoni si sono limitati a sparare per una settimana, poco più. Infatti, più fa caldo e meno sono efficienti gli impianti di innevamento. Ed ecco l'allarme di Legambiente. «Per i prossimi anni si prevede che nelle Alpi la domanda di acqua per l'innevamento aumenterà notevolmente, dal 50% al 110%. Questi maggiori fabbisogni idrici dovranno essere conteggiati insieme a usi idrici di altri settori, come l'idroelettrico, l'agricoltura, gli usi domestici in generale, il turismo. Con un clima ancora più caldo, nei prossimi anni andremo incontro a usi plurimi dell'acqua sempre più problematici». L'Italia, sottolineano da Legambiente, «è il paese alpino dove è più diffusa la neve artificiale: la percentuale di piste innevate artificialmente è del 90%. La sottrazione di risorse idriche per l'innevamento artificiale comporta una diminuzione della portata dei corsi d'acqua nelle stagioni in cui la risorsa viene prelevata». Così sostiene Legambiente. Grigoletto ribatte. «L'acqua che noi pompiamo dai bacini la restituiamo tutta con lo scioglimento delle piste». Gli operatori hanno chiesto alla Regione altri 10 invasi. Ma Legambiente replica: «Gli invasi perdono molta acqua per evaporazione: la media, ad essere prudenti, comporta non meno di 10.000 mc/anno per ogni ettaro di superficie degli specchi d'acqua, ma questa quantità è maggiore per gli invasi di minori dimensioni. Si può dedurre, quindi, che, a causa dell'evaporazione durante lo stoccaggio in bacini e ad altre perdite, solo il 40-60% dell'acqua prelevata può essere utilizzata nella produzione di neve». Controreplica l'Anef con Grigoletto: «I bacini non servono solo a noi (parzialmente, peraltro) ma per i consumi civili».Legambiente ribatte evidenziando le conseguenze su flora, fauna, suoli e ciclo idrologico, ma anche sul paesaggio. Non solo. «La neve così prodotta differisce per struttura fisica dalla neve naturale, è più pesante e comporta un maggiore carico sul terreno. Ha un alto contenuto di acqua liquida, circa il 15-20% rispetto al 7-10% della neve naturale, e di conseguenza ha un peso maggiore e meno capacità di isolamento termico fra suolo e atmosfera rispetto alla neve asciutta. Questi fattori causano il congelamento del suolo, impedendo il passaggio di ossigeno e possono provocare l'asfissia del sottostante manto vegetale, il quale può essere soggetto col tempo a morte e putrefazione. Nei luoghi ad innevamento meccanico è stato riscontrato un ritardo dell'inizio dell'attività vegetativa, fino a 20-25 giorni rispetto alla media». ©
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Corriere delle Alpi | 9 Marzo 2023 p. 18
L'Anef: «Ma noi siamo i primi a voler tutelare la montagna» la replica
«I gestori degli impianti a fune sono consapevoli di operare in ambienti delicati e sono i primi ad avere a cuore la tutela della montagna», replica a Legambiente Valeria Ghezzi, presidente di Anef. «Per noi, e per le intere comunità che contribuiamo a sostenere, le terre alte sono patrimonio e prodotto, siamo quindi ben disposti a dialogare con chiunque voglia collaborare costruttivamente». «Si considerano gli impianti come "ferite" alla montagna, quando in realtà sono mezzi di trasporto a emissioni zero che rendono accessibili le vette, o di disboscamenti selvaggi quando la superficie boschiva è in crescita in tutte le Alpi (solo lo 0,03 % del suolo italiano è occupato da piste/impianti). Ci si preoccupa per le elevate emissioni quando impianti e sistemi di innevamento funzionano con energia elettrica per la maggior parte ricavata da fonti rinnovabili. L'impianto "Son Dei Prade - Bai De Dones", che funge da collegamento tra la ski area delle Tofane a Cortina e la ski area 5 Torri, ha permesso, nel primo inverno di utilizzo, di ridurre del 45, 3% le auto che hanno percorso quella tratta», certificano da Anef. «Questa riduzione si traduce in un risparmio di percorrenza di 280. 602 km con una riduzione di emissioni, considerando anche la soppressione del servizio di skibus, di un totale di 106 tonnellate di CO2». E poi, secondo Anef, bisogna tener presente la funzione sociale degli impianti di risalita come nel caso di Funivie Arabba: l'azienda si sta impegnando nella realizzazione di iniziative e servizi che diano valore al territorio. È diventata la prima società funiviaria a diventare Società Benefit. Un'operazione pionieristica anche al di là del mondo degli impianti di risalita. L'obiettivo è quello di creare un'azienda che oltre agli obiettivi di profitto abbia lo scopo di produrre effetti positivi sulla società e sulla comunità. «Alcune località di montagna sono immerse in un circolo vizioso di rassegnazione e pessimismo», spiega Diego De Battista, ceo di Funivie Arabba. «Nell'ottica dello sviluppo globale attuale, siamo testimoni di un innalzamento medio della qualità dei servizi, a cui si accompagna il fatto che la gente si abitua ad avere sempre di più e a dare per scontate sempre più cose. Esiste una soglia critica di rapporto tra residenti e servizi, sotto la quale il settore pubblico fatica a giustificarne la fornitura. È perciò quasi inevitabile, che in zone demograficamente poco dense come le valli di montagna, certi servizi, che nelle realtà urbane sono offerti dal settore pubblico, vengano a mancare».Di Battista insiste: «Gli impianti a fune non devono essere giudicati importanti unicamente perché creano posti di lavoro. Al contrario, essendo di fatto il motore economico trainante di queste valli, possono e devono dare un qualcosa in più per far sì che la gente voglia continuare a vivere qui e creare a loro volta valore per il territorio». --fdm© RIPRODUZIONE RISERVATA
Alto Adige | 12 Marzo 2023 p. 18
«Siccità e caldo: bisogna cambiare modello turistico e tipo di colture»
L'INTERVISTA luca mercalli antonella mattioli
BOLZANO. «Periodi caratterizzati da poche piogge ci sono stati anche in passato, ma ciò che rende eccezionale e soprattutto preoccupante la situazione oggi è innanzitutto la durata prolungata della siccità: da 15 mesi abbiamo un deficit di precipitazioni. A questo si aggiunge il caldo, circa un grado e mezzo o addirittura due in più, sulle Alpi. In particolare l'innalzamento della temperatura è da attribuire al cambiamento climatico. La diagnosi è condivisa da tempo a livello internazionale. Invece di continuare a chiacchierare, bisognerebbe da una parte agire per mitigare gli effetti del cambiamento climatico e dall'altra cominciare ad adottare una serie di misure di adattamento. Dobbiamo cambiare stile di vita, modello turistico e tipo di colture in agricoltura». Luca Mercalli, meteorologo, climatologo, divulgatore scientifico queste cose le ripete da anni. Ma i suoi appelli finora sono caduti nel vuoto, perché alla fine un po' di pioggia è sempre arrivata. Dieter Peterlin, meteorologo della Provincia, prevede che pioverà lunedì notte e nella giornata di martedì. Per quanto riguarda Bolzano e la parte sud della provincia sarebbe - se si escludono le poche gocce di venerdì - la prima precipitazione dal 17 gennaio. Ovvero, dopo la bellezza di 54 giorni. Se si aggiunge che in quota lo strato di neve è molto sottile e a primavera dallo scioglimento arriverà poca acqua, c'è più di un motivo per essere preoccupati. Dottor Mercalli, in concreto cosa si può fare, visto che non siamo ancora in grado di far piovere?Per cominciare a limitare gli effetti del cambiamento climatico, bisogna ridurre le emissioni inquinanti. Significa, almeno dove è possibile, modificare il nostro stile di vita. Purtroppo, la guerra in Ucraina, oltre ad aver già provocato migliaia di morti, è un disastro dal punto di vista ambientale. Gli effetti però si vedranno solo sul lungo periodo. Su questo non ci sono dubbi. Ma bisogna iniziare. È vero che, dopo il secondo inverno siccitoso e per quanto riguarda il 2022-2023 anche caldo, possiamo sperare che ad aprile e maggio arrivi finalmente la pioggia. Però non è detto che succeda e anche se arriverà, non si può stare fermi, sperando sempre in qualche precipitazione salvifica.Oltre a cercare di ridurre le emissioni inquinanti, cosa significa adottare misure di adattamento?Significa cominciare a programmare una serie di interventi. Bisogna costruire nuovi invasi per la raccolta dell'acqua; metter mano agli acquedotto che spesso sono dei colabrodo; adottare dei sistemi di irrigazione dei campi tecnologicamente avanzati, per ridurre al minimo la dispersione d'acqua. Pensare a colture che abbiano bisogno di poca acqua. Rivedere il modello turistico: inutile continuare ad ampliare i comprensori sciistici e dotarsi di ulteriori impianti di innevamento artificiale senza i quali, almeno quest'inverno, la stagione non sarebbe neppure partita. Facile a dirsi, un po' meno a farsi: nell'industria della neve lavorano migliaia di persone. Lo so perfettamente e chi le parla è un amante dello sci, ma le leggi fisiche sono più forti dei nostri desideri. Cosa propone?Ne abbiamo discusso, qualche giorno fa, a Torino al convegno organizzato da Legambiente, dal titolo «Nevediversa - il Turismo invernale ai tempi della transizione ecologica». Dobbiamo sederci ad un tavolo noi climatologi assieme agli operatori turistici, per vedere quali possono essere le scelte imprenditoriali più in linea con la nuova situazione climatica. Piaccia o no, dovremo farci i conti. Ma non si può immaginare la montagna d'inverno senza lo sci. Non serve molta fantasia. Già oggi è così; la neve che ha consentito finora di preparare le piste, è stata tutta o quasi prodotta dagli impianti. Bisogna cominciare a ragionare in maniera diversa, a programmare nuove attività da fare in montagna. Il caldo consentirà di trascorrervi periodi più lunghi. Le tecnologie già oggi ci permettono di viverci e lavorare in smart working. L'Italia è circondata dai mari, non si può pensare di mettere in piedi impianti per desalinizzare l'acqua?Per potere si può tutto, ma i costi - a livello di consumi energetici - sono enormi. Si potrebbe fare solo se non avessimo più acqua da bere. In Paesi, come ad esempio Israele, come fanno?Gli impianti, anche lì, servono a desalinizzare l'acqua indispensabile per sopravvivere. Per il resto ci si è "adattati" puntando, ad esempio in agricoltura, su culture che hanno bisogno di poco acqua e impianti governati dalle tecnologie più avanzate, per irrigare in maniera più razionale e quindi risparmiando sui consumi.
Rifugi E Crisi Idrica
L’Adige | 1 Marzo 2023 p. 12
L’Adige | 10 Marzo 2023 p. 22
«La montagna non regge un altro 2022» giuseppe francesco d'amato
Mancano sempre meno giorni all'arrivo della bella stagione in cui, come ogni anno, tante persone popoleranno la montagna in cerca di refrigerio. Il 2022 è andato in archivio come l'annata più calda dal 2003, con tutti i problemi del caso. L'emergenza siccità ha messo in ginocchio le coltivazioni e ha dato una mazzata non indifferente ai bacini d'acqua, che sono calati drasticamente, alimentando così pensieri e previsioni tutt'altro che positivi. Gianmario Baldi (nella foto), presidente della Sat di Rovereto, non nasconde quelle che sono le preoccupazioni di tutti. «Mai come in questi mesi molte persone hanno notato come la portata del fiume Adige sia diminuita di almeno 40-50 centimetri. Tutti si sono accorti di come l'acqua abbia iniziato a scarseggiare. La montagna - continua - ha sempre avuto problemi inerenti all'acqua, è da sempre un tema di primaria importanza. Anche in virtù del fatto che ci sono rifugi ad alta quota, il problema acqua sussiste da sempre. Ma la montagna ha sempre imparato a convivere con questo dilemma». La siccità degli ultimi mesi ha costretto alla difensiva e il numero uno della Sat roveretana non si nasconde: «Molti rifugi sono costruiti nelle vicinanze delle sorgenti, e la nostra priorità è proprio quella di proteggere queste ultime. Al rifugio Lancia abbiamo già fatto da tempo un sistema di recupero per l'acqua piovana, che poi è indirizzata ai servizi igienici. Lavoriamo in un'ottica di differenziazione dell'acqua per evitarne lo spreco». Le preoccupazioni non mancano: «Resta da capire - prosegue - il discorso delle sorgenti, perché sono gelate e non sappiamo ancora con certezza che apporto potranno darci. Se risultarà confermato, come prevedibile, che queste sorgenti non potranno garantire il fabbisogno necessario, allora ci saranno dei problemi».Ma le iniziative per salvaguardare l'oro blu in montagna ci sono: «Come detto, quello montuoso è un territorio che per sua natura ha problemi di mancanza d'acqua. Ci sono delle condutture che permettono che essa arrivi dalle sorgenti nei rifugi, ma tutto ciò non deve incentivare allo spreco. L'attenzione deve restare alta». Proteggere le sorgenti resta quindi la priorità. «È importante tutelarle perché sono un bene raro, soprattutto ad alta quota» precisa Baldi. «Sicuramente ci saranno tante persone che si recheranno in montagna per cercare una via d'uscita alle alte temperature. Prevedo un numero importante di persone, per cui dovremo prepararci e darci delle regole. Tutte le sezioni Sat si sono unite per realizzare una borraccia che serva come simbolo nella lotta allo spreco idrico».Un'altra questione che tiene banco è quella dell'acqua piovana, «perché le scarse precipitazioni non facilitano ovviamente la raccolta della stessa». Come si può cercare di tamponare il problema siccità? Sono tre, secondo Baldi, i fattori importanti. Educazione, formazione e attenzione. Come da lui stesso spiegato, «noi come Sat abbiamo partecipato recentemente a due incontri sul tema del cambiamento climatico. Del resto, non abbiamo mai assistito a una trasformazione così violenta del clima». E poi c'è la questione dell'educazione personale: «L'acqua è sempre più un bene che costa ed è da rispettare, così come l'ambiente circostante affinché le falde acquifere non siano inquinate». Il lavoro della Sat, in definitiva, si articola su tre livelli: «Lo studio, innanzitutto, dell'innevamento e della situazione idrologica. Il secondo riguarda il fatto che, per via della scarsità dell'acqua, si è costretti a differenziarla nei rifugi, mentre l'ultimo riguarda la formazione e la continua sensibilizzazione per imparare a comprendere il problema della crisi idrica».
Corriere del Trentino | 19 Marzo 2023 p. 2
Siccità, i rifugi preparano il piano:« Nuove cisterne e più educazione»
Marika Giovannini
TRENTO
L’avvio della stagione estiva è ancora lontana. E quindi l’emergenza siccità, che in queste settimane sta già mettendo in allerta interi settori economici, viene vissuta con un certo distacco. «Ma la preoccupazione ammette la presidente dell’associazione rifugi del Trentino Roberta Silva c’è». Perché se la primavera non porterà nuove e abbondanti precipitazioni, durante i mesi caldi le strutture in quota potrebbero trovarsi in seria difficoltà nell’approvvigionamento dell’acqua.
Alzando lo sguardo verso l’alto, del resto, la situazione è desolante: il livello della neve in quota, per il periodo, è decisamente basso. E su alcune vette il manto bianco è rimasto solo a macchie. Troppo poco per sperare che la «riserva» sia sufficiente per alimentare i rifugi durante tutta la stagione estiva. «Siamo tutti in attesa di capire come andrà il mese di aprile» sottolinea Silva. Che qualche speranza ce l’ha: «Succede spesso che a primavera già inoltrata arrivi una nevicata importante in quota». E sarebbe proprio questa la soluzione ideale: meglio la neve della pioggia. «Per fare riserva» precisa la presidente dell’associazione rifugi.
Invita a non drammatizzare anche il presidente della commissione rifugi della Sat Sandro Magnoni. Anche perché da qui all’apertura dei rifugi qualche margine c’è ancora. E il sodalizio, assicura Magnoni, non parte da zero: «Stiamo già lavorando da tempo sottolinea per aumentare i depositi idrici». In alcuni casi le cisterne sono già state posizionate, in altri si stanno progettando. Anche interrate. Perché l’unico modo per evitare di rimanere senza acqua, per le strutture in quota, è quello di provare a «preservare quella che si trova», sotto forma di neve o di pioggia. «C’è poco da fare allarga le braccia Magnoni se l’acqua non c’è bisogna creare dei depositi. O sperare nella pioggia».
Ma per cercare di far fronte alla carenza di acqua che, negli ultimi anni, sta diventando una costante anche per chi lavora in alta quota, l’altra carta da giocare chiama in causa la cultura. E l’educazione di chi, in quota, arriva. «Bisogna risparmiare acqua il più possibile» avverte il presidente della commissione rifugi.
Su questo aspetto e non solo i rifugisti da tempo sono al lavoro, perché educare al rispetto della montagna, in tutte le sue sfaccettature, rappresenta una priorità per «guidare» la fruizione delle terre alte. «Bisogna cercare di limitare l’utilizzo dell’acqua» avverte Magnoni. Che porta un esempio su tutti: la richiesta degli escursionisti di poter fare la doccia appena arrivati al rifugio. Richiesta a volte ribadita con insistenza anche di fronte ad evidenti carenze. «Se le docce non sono disponibili argomenta il presidente della commissione della Sat non si chiedono. Non è una tragedia se, per un giorno, non si fa una doccia, visto che in rifugio non ci si sta una settimana». Farlo capire anche agli escursionisti più rigidi è compito dei rifugisti. Compito non banale. Come quello di far capire ai frequentatori della montagna soprattutto quelli che si approcciano da poco alle vette che nei rifugi la cucina richiama «la sobrietà del luogo»: non ci sono piatti da ristorante a cinque stelle, ma dei pasti caldi e tanta accoglienza.
Una linea che la vicepresidente della Società degli alpinisti tridentini, Iole Manica, articola nel dettaglio anche nel suo intervento pubblicato nella rivista degli Architetti dedicata alla progettazione di montagna. «Siamo consci scrive Manica che i tempi cambiano e che ovviamente non si può essere prigionieri del passato. L’obiettivo è di salvaguardare l’essenza e la natura di una forma di rifugio alpino che persegue l’essenzialità, proponendosi come presidio ambientale di ecoturismo, e promuovere il nostro territorio come patrimonio naturale e culturale. Un presidio dove l’accoglienza si veste di quella purezza che si può trovare solo in montagna, luogo dove, insieme alle comodità che il nostro tempo ormai richiede, si riassapora ciò che nella routine di tutti i giorni è andato perso, perché il rifugio aiuta a far emergere ciò che a volte è assopito». E sul tema dell’acqua: «Si parla da anni di cambiamento climatico, ma è soprattutto quest’anno che è emerso il problema in tutta la sua forza, mettendo tutti noi a dura prova, consci che le risorse naturali non sono illimitate. La Sat deve lavorare e investire le proprie energie intervenendo, innovando le proprie strutture al fine di ridurre gli impatti ambientali: approvvigionamento energetico, gestione delle acque, rifiuti, efficienza energetica». Ma in vista dell’estate il nodo da affrontare è anche quello del personale: «L’impressione conclude Magnoni è che nei rifugi ci siano meno problemi legati alla ricerca dei lavoratori rispetto al fondovalle. Del resto, lavorare in quota è particolare, è quasi una missione: se a una persona piace questa vita, ritorna di sicuro».
Corriere delle Alpi | 21 Marzo 2023 p. 16, segue dalla prima
Estate senz'acqua nei rifugi bellunesi «Finire la stagione sarà un'impresa»
Francesco Dal Mas BELLUNO
Rifugi alpini a corto d'acqua? «È un rischio assai concreto. E sarebbe la seconda estate», sospira di preoccupazione Renato Frigo, presidente regionale del Club alpino italiano. Ecco perché da parte dei gestori è già scattata la corsa all'installazione di vasche, quanto meno mobili, «perché quelle interrate», rileva Mario Fiorentini, presidente dell'Associazione veneta dei rifugisti, Agrav, «richiedono almeno un anno di pratiche autorizzative». Speriamo ancora che nevichi. «Ma», riscontra Frigo, «gli ultimi dati Arpav ci prospettano una situazione drammatica».Eccoli: la sommatoria di neve fresca da ottobre al 15 di marzo, evidenzia un deficit di precipitazione del 40% circa rispetto alla media degli ultimi 30 anni, pari a 140 centimetri a 2000 metri di quota, 110 centimetri a 1600 metri e 50-90 centimetri nei fondovalle delle Dolomiti. La risorsa idrica nivale è scarsa, pari a 110-115 milioni di metri cubi nel bacino del Piave, 60 nel bacino del Cordevole e a 65-74 nel bacino del Brenta. Rispetto alla media 2005-2022, nel bacino guida del Piave, il deficit è del 56% pari a 150 milioni di metri cubi di acqua equivalente. «Anche in quota, dunque, mancherebbe circa metà acqua», sintetizza il presidente del Cai. «E, a questo punto, potremmo installare tutti i serbatoi che vogliamo, ma se nelle prossime settimane non dovesse piovere o nevicare, rischiamo quanto meno di non arrivare a fine stagione».Sono 38 i rifugi alpini del Cai in Veneto, 54 quelli privati. L'anno scorso il Cai ha promosso un bando, a livello nazionale, con tutte le risorse a disposizione, 300mila euro. Ovviamente è andato esaurito. «È indubbio che quest'anno ci riproverà», anticipa Frigo, «se l'emergenza sarà riconfermata».È prevedibile, dunque, che la prossima estate sarà un'altra stagione di sacrifici per chi frequenterà i rifugi. «Se mancasse l'acqua è ovvio aspettarsi un periodo più contenuto di apertura. La stagione classica», spiega il presidente Fiorentini, «va dal 20 giugno al 20 settembre. Questa resterà, ma con lo scioglimento anticipato delle nevi e il rialzo delle temperature, c'è la tendenza da parte dei colleghi di anticipare l'attività, in sostanza di destagionalizzare, iniziando anche a maggio e concludendo a ottobre, finanche ai primi di novembre. Ma se l'acqua è poca, la si lascia in riserva per la stagione centrale».Una volta aperto il rifugio, la risorsa idrica verrà comunque razionalizzata. Un bagno al posto di tre, docce rapidissime, semprechè sia possibile. La poca acqua a disposizione verrà utilizzata per l'alimentazione, non certo per lavare i pavimenti. In difficoltà doppia saranno i rifugi che autoproducono l'energia sfruttando le sorgenti magari vicine; il rischio è di rimanere al buio o di doversi dotare di generatori, a suo tempo allontanati perché troppo rumorosi. In Comelico usufruiscono dell'abbondante disponibilità d'acqua per farsi l'energia domestica il Berti e il Rinfreddo. Dall'altra parte della provincia, il Vazzoler, ai piedi del Civetta, in Agordino. Il Dal Piaz, sulle Vette Feltrine, l'estate scorsa ha dovuto farsi rifornire con piccole autobotti.
Piccole perché la pista forestale di accesso non permette il transito di grossi mezzi. Il Città di Fiume, nell'alta Val Fiorentina, è al centro di ampi pascoli: le sorgenti non mancano, ma c'è sempre il rischio che le mucche riservino qualche sorpresa. Ecco, dunque, gli uomini del rifugio scendere a valle, quasi ogni giorno, col pick up per fare il carico di grandi taniche. Il Tissi, da cui si può ammirare Alleghe dall'altro, e il Galassi, da cui si può scrutare l'Antelao dal basso, sono riusciti a farsi interrare per tempo delle cisterne. Nessun problema neppure per il rifugio Carducci, sopra Auronzo, che ha la vasca di raccolta più a valle della struttura e pompa in quota l'acqua. Analoga la situazione del Venezia, ai piedi del Pelmo. L'estate scorsa il Mulaz, ai piedi del Focobon, sopra Falcade, non aveva altro modo che di farsi raggiungere dall'elicottero, in piena siccità, per portare contenitori in plastica già pieni d'acqua. Siamo sul confine col Trentino, dove la Provincia ha fatto mettere a disposizione dei rifugisti dei serbatoi che si gonfiano attraverso l'acqua stessa. Ma non c'è struttura, anche sulle Dolomiti bellunesi, che non provveda a raccogliere la pioggia. Ma, appunto, deve piovere. Il Rifugio Carestiato, sopra il passo Duran, va a pescare con un condotta in una vicina sorgente.Ci sono rifugi che nella previsione di dover risparmiare, stanno pensando a stoviglie biodegradabili, usa e getta. Proprio per non trovarsi in piena estate nell'impossibilità di lavare i piatti. ©
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Corriere delle Alpi | 21 Marzo 2023 p. 16, segue dalla prima
C’è preoccupazione al Vazzoler:
“A noi ci serve per fare energia”
Il focus
Il rifugio Vazzoler, ai pendici della Torre Venezia, sul Civetta, è uno dei più frequentati delle Dolomiti. Doris Corazza, che lo gestisce, lo ha raggiunto in questi giorni. «Siamo arrivati col fuoristrada sino all'ultimo tornante, dove abbiamo trovato la neve, che di questa stagione è molto più in bassa», racconta. «Il problema dell'acqua è il più grave. Abbiamo riscontrato che la condotta dalla val dei Cantoni, alle spalle del Civetta, ha una portata di molto inferiore a quella che immaginavamo. Siamo preoccupati perchè quell'acqua viene trasformata in energia da una turbina e ci fa andare la cucina, la corrente e tutto il resto. L'anno scorso siamo arrivati a stento a fine stagione, intorno al 20 settembre, per cui non abbiamo potuto andare oltre, come avremmo desiderato».Il Vazzoler dispone di un'altra sorgente, di più piccola dimensione, che però sembra più robusta; «Si tratta di acqua che utilizziamo esclusivamente per l'alimentazione». Neve sul Civetta? «Non ce n'è, purtroppo. L'altro giorno, quando siamo saliti, la cima presentava una spruzzata di neve. Era già sparita dopo poche ore, quando siamo scesi», ammette la signora Doris.Sabato Filippo Zanatta ed altri volontari del Cai di Mestre sono saliti ai 2018 metri del Galassi per verificare se il sistema idrico funzionava. «Per fortuna abbiamo trovato la situazione nelle migliori condizioni. Solo la neve è poca».«Il rifugio», sottolinea, «è stato dotato di una cisterna interrata per la raccolta dell'acqua piovana. Per la cucina disponiamo di una sorgente autonoma, collocata alle pendici del Gruppo delle Marmarole. Abbiamo controllato la condotta e pure questa è perfetta. Un tempo la sorgente era di fatto il ghiacciaio dell'Antelao. Ma questo si modificava così rapidamente che di settimana in settimana dovevamo salire per cambiare il sito della captazione dell'acqua». La neve del 2014 è stata così abbondante che ha provocato oltre 100 mila euro di danni alle strutture e agli impianti del rifugio. «È stata l'ultima neve abbondante. Da allora la riserva nivale, da quelle parti, è calata di anno in anno. Per fortuna i nostri responsabili hanno precauzionalmente attrezzato il rifugio per fronteggiare le eventuali emergenze». fdm©
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Corriere delle Alpi | 22 Marzo 2023 p. 20
Sorgenti alpine, monitoraggio al via Il Cai: «La portata è dimezzata»
BELLUNO
Il Club alpino italiano, in vista di un'altra estate all'insegna della siccità, ha dato il via al monitoraggio delle sorgenti alpine: per studiarne il numero e le caratteristiche, mettendo poi i risultati a disposizione di tutti. «L'abbiamo deciso», spiega Renato Frigo, presidente regionale del Ca, «in occasione della Giornata mondiale dell'acqua 2023, che ricade il 22 marzo di ogni anno. Il tema di questa edizione è il legame tra acqua e cambiamento climatico. Il riscaldamento globale sta infatti avendo un impatto significativo sul ciclo idrologico, influenzando la disponibilità di acqua dolce e la qualità delle fonti idriche. Una ricognizione compiuta fra le sezioni Cai del Veneto in questi giorni conferma che le cisterne dell'acqua piovana e dello scioglimento della neve dei tetti sono per metà vuote e che anche le poche sorgenti riscontrabili di questi giorni sono dimezzate».«Gli obiettivi del progetto», sottolinea Frigo, «sono capire quante sorgenti e fontanelle sono presenti nei territori alpini e appenninici del nostro Paese, dove si trovano, quali sono le loro caratteristiche (come portata, composizione chimica e potabilità) e quali sono le variazioni temporali delle stesse. Si partirà da due dati già disponibili: le 4.685 sorgenti e le 28.979 fontanelle ubicate lungo la Rete escursionistica italiana presenti nel database OpenStreet Map».«Siamo di fronte a una situazione climatica ormai diventata strutturale, e non più eccezionale», puntualizza il presidente generale del Cai Antonio Montani. «Con questo progetto, il Club alpino italiano intende dare il proprio contributo per capire la situazione relativa alla disponibilità di un bene primario come l'acqua, fondamentale per ogni tipo di attività umana in montagna e non solo, mettendo poi i risultati a disposizione di tutti per facilitare lo studio delle soluzioni necessarie per accrescere la resilienza». In provincia di Belluno le sorgenti sono centinaia. Quelle più importanti sono ad Alleghe (Oteara1), Auronzo (Pian degli Spiriti), Borca (Crot), Calalzo (Ruddiea), Chies d'Alpago (Caitès), Colle Santa Lucia (Livedel). E poi Comelico Superiore con Aiarniola, Cortina con Rumerlo bassa, Feltre con risorgiva Musil e Risorgenza Colesei, Fonzaso con Pedesalto, Canale d'Agordo con Fontane Fosche, Leintiai con Risorgiva, Limana con Sampoi. E ancora Fontanelle a Perarolo, Tagorza a Quero, Angoletta a Rivamonte, Ru de Arei a Rocca Ppietore, Londo1 a San Pietro, Lina a Sovramonte, Fium a Vas, Pian de le Stale a Forno di Zoldo.Queste sono le sorgenti acquedottistiche, poi ci sono quelle spontanee, che talvolta vengono captate da rifugi e malghe. «Non appena si sarà sciolta l'ultima neve e le temperature più alte sghiacceranno le condotte e le centraline dell'acqua, ogni sezione verificherà le sorgenti da cui attinge il proprio rifugio», informa il presidente Frigo, «e a quel punto decideremo gli interventi di approvvigionamento necessari». Francesco Dal Mas
CRISI IDRICA: LAGO DI TOVEL
L’Adige | 29 Marzo 2023 p. 31
Lago di Tovel mai così asciutto Livello dell'acqua calato di 5 metri fabrizio brida
VILLE D'ANAUNIA
È un paesaggio impressionante, per certi versi surreale, quello che si presenta agli occhi di chi in questo periodo riesce a raggiungere il Lago di Tovel, una delle gemme più preziose del nostro territorio.Le rive che un tempo, fino agli anni '60, diventavano rosse, e che nella bella stagione si colorano delle più svariate sfumature dall'azzurro tenue al verde intenso, oggi sono una distesa di sassi e ghiaia. In certi punti è possibile addirittura camminare sul fondale e attraversarlo a piedi, da una sponda a un'altra.In realtà si tratta di un fenomeno piuttosto usuale: succede ogni anno, infatti, che lo specchio d'acqua incastonato tra le Dolomiti di Brenta risulti asciutto in questo periodo. Con ogni probabilità quest'anno è stato toccato il minimo storico (per lo meno dal 2013), ma non è questo aspetto a preoccupare maggiormente. Una cosa, in ogni caso, è lampante: il lago si è "aperto" (si è "liberato" dal ghiaccio) molto prima, la stagione è parecchio avanti.«È vero, il livello dell'acqua è decisamente basso - spiega il sindaco di Ville d'Anaunia Samuel Valentini. Il problema è però un altro: quest'anno il bacino si sta riempiendo molto lentamente».A confermarlo è Ulrike Obertegger, ricercatrice della Fondazione Edmund Mach che si occupa di studiare gli effetti del cambiamento climatico sui laghi montani, monitorando in particolare il Lago di Tovel.«Ogni anno girano foto della piccola baia secca - spiega la ricercatrice - ma si tratta di un fatto del tutto normale. Durante la stagione invernale il lago perde attraverso il fondale più o meno 200 litri al secondo, cioè fra i 3 e i 4 centimetri al giorno, il che porta a un abbassamento fino a 3 o 4 metri rispetto al livello di piena estivo. Quest'anno siamo a 5 metri circa, un livello dovuto al debito d'acqua che il lago si porta dietro dal 2021».Se da una parte è normale che nel corso dell'inverno il livello del lago scenda per poi risalire a partire dalla primavera, dall'altra la preoccupazione maggiore è legata al fatto che di neve quest'anno se n'è vista pochissima anche in quota. Il suo scioglimento, quindi, non potrà alimentare granché le acque del lago. E la colpa, naturalmente, è dei cambiamenti climatici che portano siccità e caldo anomalo. «A Tovel potrebbe mancare fino a un metro e mezzo d'acqua rispetto al solito - aggiunge Obertegger -. Se non c'è l'acqua per riempirlo, chiaramente il lago si abbassa, con tutto ciò che ne consegue, ad esempio che si scalda. Qui, davvero, "ogni goccia conta"».Un pensiero condiviso dal professor Tiziano Camagna. «Che il lago in questo momento sia basso è normale, ma il vero problema lo avvertiremo quest'estate, quando il livello dell'acqua avrà difficoltà a salire, a meno che non arrivino delle precipitazioni esagerate in primavera» evidenzia il presidente di Tovel Fellowship, associazione che sta effettuando delle ricerche subacquee sulla foresta sommersa e sui fondali del lago con scoperte sensazionali. Ultima, in ordine di tempo, un manufatto ligneo datato 1385. Chissà se anche allora capitava che le precipitazioni si facessero attendere così a lungo.
L’Adige | 31 Marzo 2023 p. 37
L'appello del Parco a non calpestare le aree del lago ora in secca
VILLE D'ANAUNIA
La prolungata siccità sta mettendo in crisi tutto il territorio provinciale, ma in alcuni ambienti particolarmente delicati, oltre che molto noti agli escursionisti, i suoi effetti sono impressionanti. È questo il caso del lago di Tovel, dove il notevole e preoccupante calo del livello idrico, unito all'assenza di copertura nevosa e di ghiaccio invernale, sta mettendo a nudo una estesa superficie del fondale tipicamente custodito dalle acque o appunto dal ghiaccio. In questi giorni viene però registrato, anche dagli organi di vigilanza e custodia boschiva, un rilevante transito di pedoni ed escursionisti, che, oltre a passeggiare al di fuori dei percorsi sentieristici sul lungolago, sui delicati ambienti delle sponde, si spingono nei primi metri del fondale lacustre, ora "in secca". Questo comportamento, unito agli effetti del clima siccitoso, potrebbe arrecare danni ai delicati equilibri del fondale del lago. Il Parco Naturale Adamello Brenta invita pertanto i visitatori a rimanere sui tracciati che vengono percorsi normalmente, a non scendere nelle aree che il ritiro delle acque ha lasciato scoperte, e con una lettera rivolta agli enti interessati - Comune di Ville d'Anaunia, Asuc di Tuenno, Appa e i diversi Dipartimenti e Servizi della Provincia autonoma di Trento competenti - propone di avviare una campagna comune di comunicazione e sensibilizzazione/educazione ambientale, coinvolgendo gli organi di informazione.Già ieri, ai microfoni di Radio Dolomiti, il presidente del Parco Walter Ferrazza ha rivolto un appello agli escursionisti chiedendo il loro contributo per affrontare questa situazione particolarmente difficile; un contributo che in questo caso consiste in primo luogo nell'astenersi dal compiere azioni che, anche involontariamente, potrebbero peggiorare la situazione di un ambiente delicato come quello del lago di Tovel. «Siamo di fronte ad una sfida gestionale e culturale legata all'imminente crisi idrica» scrive il Parco nella sua lettera, ricordando che essa deve fare i conti con una crescente richiesta di accessibilità e frequentazione turistica di ambienti naturali legati all'elemento acqua.«Oltre ad attenzionare tutti i soggetti titolari e competenti per la situazione del lago di Tovel - prosegue la lettera - ai quali si chiede una valutazione di opportunità di azioni mirate al controllo o limitazione del fenomeno e delle attività descritte, il Parco è disponibile ad un momento di confronto tra i soggetti in indirizzo ed intende attivarsi da subito in una campagna di comunicazione e sensibilizzazione/educazione attraverso i vari canali al fine di mettere in evidenza la situazione e le possibili ricadute ambientali a fronte di comportamenti scorretti».
Periodic Reporting Per La Fondazione Dolomtii Unesco
Corriere delle Alpi | 30 Marzo 2023 p. 15
Fondazione al lavoro sul rapporto Unesco «Solo i ciechi non vedono la crisi climatica» di Francesco Dal Mas
BELLUNO
Il Patrimonio Mondiale delle Dolomiti Unesco non è più quello di sei anni fa. È stato gravemente intaccato dai cambiamenti climatici. Lo dettaglia, puntualmente, il rapporto della Fondazione Dolomiti Unesco, con sede a Cortina. Si tratta del rapporto periodico previsto dalla Convenzione per il Patrimonio Mondiale. «Solo i ciechi non vedono che, specie dalla tempesta Vaia in avanti sono evidenti i cambiamenti imposti dal clima sulle Dolomiti. Non solo le tempeste, ma anche l'esplosione del bostrico», esemplifica Mara Nemela, la direttrice della Fondazione, «sono alcuni di questi effetti. E da qualche anno anche la siccità, prima ancora il ritiro dei ghiacciai».Le Dolomiti, insomma, non sono più quelle sottoposte alla protezione Unesco. Non lo sono per il paesaggio, neppure per l'assetto geologico. Si rischia, dunque, di uscire dalla protezione Unesco? «Assolutamente no», assicura Nemela. Anzi, la gestione del patrimonio, così come viene assicurata dalla Fondazione, è tale per cui Parigi, dove ha sede l'organizzazione, non avverte la necessità di particolari ispezioni. Certo, nel rapporto si darà conto di taluni fenomeni che preoccupano quanti hanno a cuore l'integrità di questo patrimonio. «Riferiremo di ciò che potrebbero provocare gli eccessi della presenza turistica in determinati siti e in limitati periodi dell'anno», precisa la direttrice. «Riferiremo anche dei progetti infrastrutturali in atto che potrebbero avere qualche conseguenza sull'ambiente».Per il momento, però, alla Fondazione di Cortina non sono stato ancora recapitati i progetti degli eventuali collegamenti sciistici. «Noi riferiamo, non è nostro compito entrare nel merito di atti che derivano da legittime attese delle comunità locali e delle loro istituzioni. Sarà semmai l'Unesco a farsi avanti», precisa Nemela, che assicura la puntualità delle analisi da parte di tecnici, esperti, consulenti, oltre che dei funzionari, col pieno e leale appoggio - come tiene a far sapere - delle istituzioni. Il 2023 sarà dunque molto importante per verificare lo stato di salute delle Dolomiti Patrimonio Mondiale: il percorso di autovalutazione e rendicontazione sulla conservazione e gestione del Bene, che condurrà alla stesura del rapporto periodico previsto dalla Convenzione per il Patrimonio Mondiale, è già iniziato da qualche tempo. Si tratta del secondo rapporto dall'iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale, avvenuta nel 2009. Il primo era stato realizzato nel 2014, si apre ora un nuovo ciclo di valutazione, che coinvolge i Siti Unesco di Europa e Nord America. Lo scopo della procedura è il monitoraggio della conservazione globale, basato su un processo di autovalutazione a livello nazionale e a livello locale: la prima parte verrà infatti compilata dagli organismi nazionali e dagli organismi consultivi, la seconda parte dagli enti gestori del bene e quindi, nel caso delle Dolomiti, dalla Fondazione Dolomiti Unesco.Si tratta, in estrema sintesi, di una sorta di "check-up" per comprendere lo stato del bene e per orientare al meglio le politiche di gestione. Il monitoraggio riguarderà alcuni aspetti precisi: oltre, naturalmente, allo stato di conservazione ambientale per valutare i fattori che influenzano l'integrità del sito, verranno analizzati anche l'adeguatezza delle risorse finanziarie e umane destinate alla gestione, la funzionalità della governance dal punto di vista giuridico e del coinvolgimento delle parti interessate, le sinergie attivate, l'influsso del riconoscimento sulla sostenibilità ambientale e l'inclusività dello sviluppo, sia sociale che economico. Rispetto al precedente ciclo di monitoraggio è stata posta ancora più enfasi sul tema dello sviluppo sostenibile: un'occasione per mettere a fuoco il nodo più delicato e, al tempo stesso, decisivo per le Dolomiti, ovvero il rapporto tra la conservazione attiva del bene e la vita delle popolazioni che abitano le vallate. «Per la Fondazione Dolomiti Unesco», spiega Nemela, «si tratterà di tradurre in un unico documento le informazioni e i dati che già vengono raccolti tramite le reti funzionali e gli organi tecnici e scientifici delle province e regioni interessate dal riconoscimento. Il bene Dolomiti insiste, infatti, su un territorio vasto, distribuito tra enti locali che già applicano i propri sistemi di monitoraggio e tutela dell'ambiente, il compito della Fondazione è monitorare e interpretare i dati in chiave unitaria in relazione al Patrimonio». ©
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OLIMPIADI 2026: GLI AGGIORNAMENTI
Corriere del Trentino | 4 Marzo 2023 p. 2
«Il castello è crollato, resterà poco al territorio»
La voce critica di Casanova, autore del libro-denuncia «Ombre sulla neve»
Ch. Mar.
Trento
C’è anche chi a queste Olimpiadi invernali non riesce a credere. «Del documento di candidatura del 2019 come ambientalisti avremmo potuto condividere quasi pagina per pagina. Ma poi si sono aperte le prime crepe: non è stata fatta la Valutazione ambientale strategica. E siamo ancora convinti che i giochi olimpici invernali non siano compatibili con il fragile ambiente alpino». A parlare è Luigi Casanova, ex-presidente di Mountain Wilderness Italia ed ex-vicepresidente della Cipra (la Commissione internazionale per la protezione delle Alpi), oltre che autore del saggio-denuncia «Ombre sulla neve». «Le opere delle Olimpiadi devono essere compatibili con il futuro dei territori e con la cosiddetta legacy, l’eredità che rimane ai luoghi dove si svolgono i Giochi. Ma molte di queste opere non serviranno a nulla per lo sviluppo delle terre che ospiteranno i Giochi: il castello è crollato».
Casanova punta il dito contro l’aumento dei costi, che definisce vere e proprie voragini, e sull’annullamento del potere decisionale dei cittadini su quello che accadrà nei loro territori a causa del commissariamento di buona parte dei lavori previsti.
«La gestione è totalmente accentrata e i documenti non vengono condivisi con la società civile attacca Casanova . Quando è esplosa la situazione a Baselga di Pinè, Fugatti aveva nel cassetto il documento che certificava il «no» del Cio già da settimane, ma non lo aveva condiviso nemmeno con i consiglieri provinciali». E poi c’è l’aspetto economico: «Si parla di Olimpiadi da 1 miliardo e 340 milioni, ma sono solo i fondi necessari per il mese degli eventi. I costi complessivi, secondo calcoli al ribasso, supereranno i 4 miliardi e 200 milioni». Gli aumenti sono dovuti sia al rialzo dei prezzi sia a cambi di strategia, come per i trampolini di Predazzo che non verranno ammodernati, ma demoliti e ricostruiti.
«Nel dossier si parlava del 92% di opere già presenti. Non solo molte di quelle verranno rifatte, ma sono stati aggiunti anche lavori non previsti».
Tra questi la pista di skiroll a Tesero, un’opera molto contestata perché frammenta aree agricole di pregio, e perché ne sorge già una a Passo Lavazè, a meno di 13 chilometri di distanza. Infine c’è la questione di sostenibilità ambientale di lungo termine di impianti e opere sportive pensate una fruizione della montagna focalizzata sugli sport invernali: in Veneto nel calderone Olimpiadi sono state inseriti anche tre collegamenti sciistici che attraverseranno alcuni dei luoghi più belli delle Dolomiti. «Se verrà realizzato anche solo uno di questi collegamenti noi ambientalisti andremo a Parigi chiedendo di togliere il nostro patrocinio da Dolomiti Patrimonio Unesco annuncia Casanova . Il cambiamento climatico inoltre richiede anche un cambio di strategia per il turismo: non dobbiamo aumentare i flussi, ma aiutare gli ospiti a vivere un salto qualitativo di consapevolezza. La montagna è un territorio fragile».
OLIMPIADI 2026: LA PISTA DA BOB
Corriere delle Alpi | 1 Marzo 2023 p. 28
Ruspe in pista
Marina Menardi /cortina
È stato aperto ieri mattina il cantiere dei lavori di demolizione della pista da bob "Eugenio Monti", a Cortina. Attorno al tracciato si lavorava già da una decina di giorni, con l'allestimento delle recinzioni lungo tutto lo storico tracciato, nonché i carotaggi e monitoraggi ambientali prima di avviare i lavori veri e propri. Ieri il cantiere è stato dunque aperto ufficialmente: alla partenza della pista c'erano, per l'occasione, il commissario di Governo e amministratore delegato di Società Infrastrutture Milano Cortina 2026 Luigivalerio Sant'Andrea, assieme all'assessore comunale Stefano Ghezze. Al piazzale del bob bar è stato allestito il cartello che sancisce l'inizio dei lavori; alla partenza del tracciato sono stati dati i primi colpi di ruspa per togliere le parti in legno nella parte alta della pista, proprio sotto la partenza, per poi fermarsi e lasciare spazio agli ultimi carotaggi in attesa di intensificare l'esecuzione dell'opera nei prossimi giorni. La società che si è aggiudicata i lavori della demolizione e ricomposizione ambientale della pista è la Noldem con sede a Torino, che ha offerto un ribasso percentuale sull'importo posto a base d'asta del 18,81% che determina un importo complessivo dei lavori, comprensivo di Iva, che supera i 2,2 milioni di euro. Il bando di gara prevede che le opere siano completate entro 60 giorni naturali e consecutivi dall'avvio del cantiere.Si tratta del primo lotto di interventi propedeutici all'avvio dei successivi lavori per la realizzazione del nuova pista per ospitare le gare di bob, slittino e skeleton dei Giochi Olimpici del 2026. Sul posto, alcuni curiosi che si aspettavano grandi movimenti terra, ma che dovranno ritornare per vedere un cantiere in pieno movimento. «Dopo la positiva cabina di regia che si è svolta a Venezia, oggi si avviano i lavori dell'impianto sportivo più iconico dei prossimi Giochi olimpici invernali», ha commentato Sant'Andrea, affermando che «i lavori di tutte le opere stanno procedendo secondo il cronoprogramma previsto».In sopralluogo anche la consigliera comunale di Cortina Bene Comune Roberta de Zanna, dichiaratamente contraria alla pista da bob. «Personalmente provo amarezza nel vedere che si sta iniziando a smantellare la vecchia pista», ha spiegato, «un'opera di interesse culturale particolarmente importante che è stata riconosciuta anche dalla Sovrintendenza dei Beni culturali e ambientali; aggiungo che sta crescendo sempre di più il malumore tra i cittadini di Cortina. Ci hanno raccontato tante bugie e ora sta emergendo la verità: ci hanno raccontato che si trattava di una riqualificazione della vecchia pista, e invece oggi si parte con la demolizione della vecchia "Eugenio Monti". Poi i soldi in vertiginoso aumento: dai 47 milioni di euro inseriti nel dossier di candidatura, i costi sono triplicati; Zaia ha parlato di 120 milioni di euro. Il Governo sembra essersi impegnato a trovare le risorse ancora non stanziate (ad oggi per la pista sono disponibili 61 milioni di euro dallo Stato) ed ecco un'altra bugia, ovvero quella delle Olimpiadi a costo zero; invece questi Giochi costano sempre di più». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Il Nuovo Trentino | 4 Marzo 2023 p. 3
Alto Adige | 12 Marzo 2023 p. 34
«Olimpiadi del 2026, la pista da bob è una scelta sbagliata»
Dolomiti
"Con l'annuncio dato al termine della riunione della cabina di regia sulle Olimpiadi 2026 dai Ministri Salvini e Abodi, dai presidenti di Regione Lombardia e Veneto Fontana e Zaia, nonché dal Presidente del Coni Malagò e dall'Ad Sant'Andrea, che la pista da bob si farà a Cortina (si parla di 85 milioni di euro), viene a cadere l'ultima opportunità di dare alle Olimpiadi invernali un tocco di sostenibilità". Lo scrivono in un comunicato le organizzazioni Cipra, Club alpino italiano, Federazione nazionale Pro Natura, Federparchi, Mountain Wilderness. "Con questa decisione si rinuncia inoltre alla coerenza con le raccomandazioni contenute nell'Agenda 2020+5 del Cioriprendono le organizzazioni firmatarie - e a quanto dichiarato nel dossier di candidatura. Non aver voluto prendere in considerazione l'alternativa disponibile e molto meno dispendiosa di Innsbruck è un grave errore".E ancora: "Se avevamo apprezzato la scelta degli organizzatori che avevano abbandonato il progetto del palazzo del ghiaccio coperto di Baselga di Pinè, un progetto troppo grande e dispendioso per una piccola località montana,non possiamo non dirci contrariati da questa decisione assunta da politici e organizzatori che, dopo aver fatto credere nel dossier di candidatura che Cortina disponesse già di una pista da bob, si ostinano a volerla ricostruire demolendo i resti di quella utilizzata nel 1956".Un altro progetto annunciato riguarda il villaggio olimpico di Cortina che, continua il comunicato, "nelle dichiarazioni degli organizzatori verrà realizzato mediante container che saranno rimossi a conclusione dell'evento, non più in località Fiames ma in località Campo, sempre a Cortina. Se da un lato è da cogliere positivamente l'idea di una infrastruttura provvisoria rimovibile, dall'altro si ritiene poco opportuna questa collocazione in quanto, nonostante la temporaneità, ogni trasformazione risulterebbe comunque incompatibile con le caratteristiche dell'area, un'area a valenze ambientali e naturalistiche di pregio, con diverse specie in via di estinzione. Per le sue dinamiche idrogeologiche ogni intervento infrastrutturale altererebbe irreversibilmente i delicati equilibri".
OLIMPIADI 2026: IL VILLAGGIO OLIMPICO
Corriere delle Alpi | 1 Marzo 2023 p. 28
La rabbia dei proprietari di Campo «Il villaggio qui è un tradimento»
«Tutte le nostre preoccupazioni si sono avverate». Sono arrabbiati i rappresentanti del Comitato di Campo che si oppone alla costruzione del villaggio olimpico sul prato che si estende tra i due campeggi, Cortina e Dolomiti, detto in ampezzano "Pian da Ciampo". Il giorno dopo la cabina di regia di Venezia, dove è stato confermato lo spostamento del villaggio olimpico dalla zona di Fiames a nord di Cortina, dove era previsto all'inizio nel dossier olimpico di candidatura, a Campo di Sotto, l'amarezza per questa doccia fredda è forte. «Il sindaco solo un paio di giorni fa si era dichiarato dispiaciuto che il nostro gruppo nell'ultima riunione avesse optato per una linea dura. Ma i fatti ci danno ragione».Lorenzi a margine della riunione di giovedì con i proprietari terrieri della piana di Campo, aveva dichiarato che «sul villaggio olimpico nulla è ancora scritto né si scriverà sulla pietra a stretto giro, contrariamente a quanto sostiene il Comitato. Il mio è un invito a collaborare in modo costruttivo e a non strumentalizzare la situazione. Solo così potremo trovare una soluzione che soddisfi le esigenze di tutti». «È possibile che a distanza di pochi giorni le parole del sindaco siano state smentite? Il villaggio si farà a Campo e non posso credere che il sindaco non lo sapesse qualche giorno fa», chiosa Giovanni Michielli. «Non c'è stata nessuna chiarezza nei nostri confronti da parte dell'amministrazione comunale; è palese che lo sapevano, ma perché non ce l'hanno detto? Posso capire che queste decisioni vengano imposte dall'alto, ma un sindaco non può prendere in giro i suoi cittadini. Il villaggio olimpico nel dossier era previsto a Fiames; questo cambiamento è ingiustificato ed è stato tenuto nascosto fino all'ultimo». Il commissario Sant'Andrea a margine della cabina di regia di lunedì ha assicurato che il villaggio sarà interamente smantellato al termine dei Giochi, ma questa soluzione non rinfranca gli abitanti di Campo. «Abbiamo fatto fare una relazione ambientale dal dottore forestale Michele Da Pozzo e uno studio da un ingegnere idraulico, le abbiamo inviate all'amministratore delegato di Simico, Sant'Andrea, e anche al sindaco, perché questa è una zona verde, integra, perfetta, ci sono altre aree pubbliche degradate che si potrebbero rigenerare con i soldi a disposizione», aggiunge Michielli. «Ne abbiamo viste tante, non crediamo più a nessuno, le pressioni sono forti e noi cercheremo di difenderci come possiamo. Abbiamo cercato il confronto, ma non abbiamo ottenuto niente. Ora abbiamo deciso insieme di opporci per le vie legali. La gente qui non vuole il villaggio; ha paura che la cosa degeneri». m.m.© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 4 Marzo 2023 p. 30
Non solo pista da bob
Le sigle ambientaliste bocciano anche l'idea del villaggio a Campo l'iniziativa
Non solo contro la pista i bob. La Commissione internazionale per la protezione delle Alpi (Cipra), il Club alpino italiano, la Federazione nazionale Pro natura, Federparchi e Mountain Wilderness sono contrari anche alla localizzazione del villaggio olimpico a Campo.«Se da un lato è da cogliere positivamente l'idea di una infrastruttura provvisoria rimovibile, dall'altro», dichiarano, «si ritiene poco opportuna questa collocazione in quanto, nonostante la temporaneità, ogni trasformazione risulterebbe comunque incompatibile con le caratteristiche dell'area».Anche comprendendo l'esigenza di dover ospitare gli atleti, ammesso che le varie migliaia di posti letto degli alberghi di Cortina non siano sufficienti, «la scelta della piana di Campo pare piuttosto infelice: essa è infatti un'area a valenze ambientali e naturalistiche di pregio, con la presenza di diverse specie in via di estinzione».Quali sono le motivazioni che fanno scendere in campo così autorevoli organizzazioni?«Per le sue dinamiche idrogeologiche ogni intervento di natura infrastrutturale altererebbe irreversibilmente i delicati equilibri», spiegano.Per ospitare gli atleti per le poche settimane dell'evento olimpico, con tutte le strutture necessarie non rimovibili (fondamenta, strutture fognarie, impiantistica elettrica e gas) si recherebbero danni irreversibili ad una piana dal grande valore ambientale, storico, paesaggistico e che non può avere altra destinazione se non quella agricola. Le associazioni ricordano che ci sono altri impianti e infrastrutture viabilistiche in fase di progettazione. «Il modo di procedere degli organizzatori lascia perplessi: se l'assenza di una strategia e di un vero e proprio cronoprogramma potranno comportare ritardi e dispendio di risorse, l'assenza di una Valutazione ambientale strategica complessiva per i progetti e le opere connesse rischia di creare danni irreversibili ad un territorio fragile come quello montano". Ritornando alla pista di bob, gli ambientalisti si chiedono «quanti servizi alle comunità montane del Bellunese si sarebbero potuti offrire con i milioni risparmiati per costruire una pista che - come insegnano le esperienze passate, prima fra tutte quella di Torino 2006 con la pista di Cesana abbandonata dopo pochi anni - sarà utilizzata per pochi giorni da pochi atleti. «Se avevamo apprezzato la scelta degli organizzatori che avevano saggiamente abbandonato il progetto del palazzo del ghiaccio coperto di Baselga di Piné, non possiamo non dirci contrariati da questa decisione assunta da politici e organizzatori che, dopo aver fatto credere nel dossier di candidatura che Cortina disponesse già di una pista da bob, si ostinano a volerla ricostruire demolendo i resti di quella del 1956». francesco dal mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 7 Marzo 2023 p. 28
“Villaggio ENI per gli atleti”
Borca prepara il suo progetto
BORCA
L'amministrazione comunale di Borca di Cadore ha predisposto un progetto di valorizzazione del villaggio Eni che la Provincia adotterà e illustrerà in settimana. E che verrà presentato anche come possibile location del villaggio olimpico. Sì, quello di Campo. «Sempreché quest'ipotesi incontri tali difficoltà da farla saltare», mette le mani avanti Roberto Padrin, presidente della Provincia.«Il progetto rientra fra gli obiettivi del mio mandato», ricorda il sindaco di Borca, Bortolo Sala, «quindi nulla di nuovo. Non ci mettiamo certo in competizione con Cortina. Ma abbiamo dato al commissario Sant'Andrea la nostra disponibilità, in caso di necessità».«Rinunciare al villaggio olimpico di Campo? Anche no. E perché mai?», taglia corto l'assessore Stefano Ghezze, di Cortina. «Immaginarsi se il Cio può dire di sì quando ha detto di no al nostro Comune che a suo tempo aveva proposto l'alternativa di Cimabanche all'improponibile Fiames», aggiunge Ghezze.«Sia come sia, noi il progetto lo proporremo, anzitutto perché è così interessante che abbiamo trovato delle università disponibili a crearvi dei centri di ricerca», dice il sindaco di Borca. Sala ha sempre coltivato quest'idea, insieme ai volontari che gestiscono attività nell'ex colonia dell'Eni. Ma la proposta prende forma solo ora, da quando cioè si è capito che la soluzione di Campo non è la più semplice da realizzare. L'opposizione dei residenti sta salendo di tono, per il timore che resti qualcosa di fisso. Il che è stato smentito: il villaggio da 1200 posti sarà removibile. Resterebbero però i sottoservizi e questo potrebbe far scattare gli appetiti degli investitori di villaggi turistici. Il Comune di Cortina per primo, ha sempre smentito, precisando che non vi saranno espropri, bensì indennizzi per le aree temporaneamente occupate. In ogni caso Borca avrebbe già segnalato, sia alla Fondazione Milano Cortina, che alla Società infrastrutture, ma anche al Coni e perfino al ministero dello Sport, che nel villaggio Eni sarebbe disponibile una struttura di 25 mila metri quadri con 17 padiglioni collegati tra loro. La colonia, voluta da Enrico Mattei, realizzata nei primi anni Cinquanta, ha ospitato fino al 1991 dai 600 agli 800 bambini ogni anno. Accanto alla colonia, prende forma il villaggio con due alberghi, una chiesa e 270 villette. Il gruppo Dolomiti Contemporanee, che si è fatto carico della valorizzazione della colonia, già da anni sta coltivando l'idea. In questi giorni il sindaco Sala ha confermato che la sua amministrazione sta lavorando per un accordo pubblico- privato. «Anzi, è piuttosto avanti. Ho già parlato con la proprietà che si è dichiarata disponibile alla valorizzazione così come noi la intendiamo». Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Veneto | 9 Marzo 2023 p. 10, edizione Treviso - Belluno
Scoppia la «guerra» dei villaggi olimpici
L’ospitalità per gli atleti contesa da Borca (nell’area ex Eni) a Cortina. L’assessore Ghezze: idea fantasiosa
Katia Tafner ,Dimitri Canello
Borca di Cadore
La Valle del Boite non ha solo Cortina d’Ampezzo candidata a ospitare il Villaggio olimpico per i Giochi invernali del 2026. Arriva anche la proposta di Borca di Cadore, direttamente dal sindaco del paese, Bortolo Sala che, assieme a Gianluca D’incà Levis, ideatore e curatore di «Dolomiti Contemporanee», vede nella riqualificazione dell’ex Villaggio turistico Eni una grande opportunità. Da oltre quindici anni, la proprietà (pare d’accordo sulla «candidatura») è della «Minoter Spa», società del Gruppo Cualbu (dal nome della famiglia proprietaria) con sede a Cagliari, in Sardegna, realtà specializzata in promozione e sviluppo del mercato immobiliare, oltre che di costruzioni edili.
Il Villaggio era stato commissionato negli Anni ‘50 all’architetto ampezzano Edoardo Gellner (autore delle opere a Cortina per i Giochi del 1956) da Enrico Mattei, il mitico dirigente del gruppo energetico pubblico, per farne la sede delle vacanze per le famiglie dei dipendenti.
L’area ha al suo interno una grande struttura centrale detta «Colonia», due hotel rinnovati e diverse casette, per un totale di circa un migliaio di posti. Spiega il sindaco di Borca, Bortolo Sala: «Abbiamo parlato da tempo con vari rappresentanti a livello istituzionale, ma sempre a livello solo verbale. Anche il commissario straordinario Luigi Valerio Sant’Andrea ci ha ascoltati, però poi non abbiamo avuto riscontri. Illustreremo i punti di forza della nostra proposta e attenderemo conseguente risposta ufficiale scritta».
Per Levis «è un’opportunità da non perdere, bisogna guardare oltre il 2026 e alla reale eredità che si può lasciare per tutto il territorio montano».
Nonostante i protagonisti cerchino di tenere toni bassi, rischia di diventare terreno di scontro la decisione della Provincia di Belluno di convocare una conferenza stampa, domani, per presentare l’idea di recuperare l’ex villaggio Eni di Borca di Cadore in vista delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026.
Proposta bocciata dal governatore della Regione Veneto, Luca Zaia e «gelata» anche dall’assessore ai Lavori pubblici del Comune di Cortina, Stefano Ghezze. «Un’idea fantasiosa la replica anche perché parliamo di una zona lontana da Cortina. Abbiamo bisogno di cose concrete. Nel recente passato avevamo proposto per il Villaggio olimpico la zona di Cimabanche sul versante opposto del paese, in direzione Dobbiaco. E la proposta è stata cassata. Ora andiamo avanti con la location a Campo».
Prudente il sindaco di Cortina, Gianluca Lorenzi, che commenta telegraficamente: «Non siamo coinvolti nel progetto di Borca. Da parte nostra massimo rispetto per i colleghi sindaci».
Insomma, la volontà di non creare un incidente diplomatico sembra evidente, anche se è altrettanto chiaro che l’iniziativa di Borca appoggiata dalla Provincia di Belluno abbia scombinato le carte sul tavolo. Il presidente di Palazzo Pilon, Roberto Padrin è ecumenico: «La proposta può essere complementare e alternativa a quella del Villaggio olimpico di Cortina».
Villaggio che dovrebbe sorgere in località Campo, sulla vasta spianata a ridosso di tre dei quattro campeggi di Cortina, non lontano dalle rive del torrente Boite. Difficile capire cosa possa accadere adesso. Non resta che attendere la conferenza-stampa di domani per capirne di più.
Corriere delle Alpi | 12 Marzo 2023 p. 27
«Impuntati sul villaggio a Campo: ma perchè?»
CORTINA
«Non capiamo per quale motivo la Regione e il commissario Sant'Andrea si siano impuntati su Campo come zona per il villaggi olimpico».Claudio Michielli, coordinatore del comitato Piàn da Ciànpo così commenta il giorno dopo la presentazione della candidatura ufficiale dell'ex colonia del villaggio Eni di Borca come sede del villaggio olimpico per i Giochi del 2026. Un candidatura sostenuta dal Comune di Borca, dalla Provincia e dall'Unione Montana Cadore, anticipata più volte in recenti incontri pubblici dall'architetto Gianluca D'Incà Levis, curatore di Dolomiti contemporanee, che si occupa di recupero e rigenerazione di strutture in disuso, tra cui, appunto, l'ex colonia voluta da Enrico Mattei che porta la firma di Edoardo Gellner, costruita per ospitare i figli dei dipendenti Eni. Le alternative ci sono, sostengono i membri del comitato di Campo, ma non c'è un confronto diretto con i cittadini interessati.«Sono settimane che chiediamo un incontro al commissario Sant'Andrea per avere chiarimenti. Hanno delle motivazioni concrete che li spingono a voler fare il villaggio a Campo? Vogliamo vederle. Ad oggi non è stata fornita alcuna documentazione. Noi, invece, abbiamo messo insieme un pool di professionisti tra geologi, forestali e ingegneri pronti a ribadire le motivazioni concrete che ci spingono a dire no a questo progetto. La conferenza stampa di venerdì a Belluno, dove il sindaco di Borca ha ribadito che una soluzione alternativa c'è e riscontra il favore di molti - tra cui l'ente Provincia e l'Unione montana del Cadore - non fa altro che dare forza alla nostra agitazione. A latere della conferenza, abbiamo avviato nuovi contatti per organizzare un incontro insieme ai rappresentanti del Comune di Borca», continua Michielli.Se Borca oggi rappresenta una soluzione più che valida, non bisogna dimenticare l'ex deposito di armi a Cimabanche.«Ci hanno detto che l'ipotesi Cimabanche è stata scartata dal Cio», afferma Giovanni Michielli, co-fondatore del comitato, «ma dove sono le comunicazioni e le motivazioni che attestano questa posizione? Tutti questi giri di parole o dichiarazioni, non sostenuti da argomentazioni o da documenti scritti, ci lasciano perplessi. Cimabanche, se fosse presa in considerazione, rappresenterebbe un'altra soluzione ideale, sia dal punto di vista logistico e sia ambientale. Logistico, perché gli impianti da raggiungere a Cortina (stadio del ghiaccio, piste da sci/bob, ndr) si trovano nella parte nord, quindi vicini e con la possibilità di gestire al meglio il flusso del traffico; oltre al fatto che Cimabanche si trova a metà strada tra Cortina e Anterselva dove si svolgeranno le gare di biathlon, quindi rappresenterebbe una soluzione interessante. Soluzione buona anche dal punto di vista ambientale», conclude Michielli, «perché oggi l'area si presenta in un forte stato di degrado, e la riqualificazione non farebbe altro che dare nuova vita a quest'area in mezzo al Parco delle Dolomiti d'Ampezzo, al confine tra Veneto e Alto Adige». m.m.© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 12 Marzo 2023 p. 27
E l'ipotesi Cimabanche non è più solo un'idea
La riqualificazione costerebbe 42 milioni lo studio
Se ad oggi la decisione su dove collocare il villaggio olimpico di Cortina è ufficialmente già presa, appunto per la piana di Campo, continuano tuttavia a venire alla luce nuove ipotesi. L'altro ieri a Belluno c'è stata la presentazione della candidatura ufficiale del villaggio Eni di Borca, ma vi è anche una terza ipotesi in ballo, che peraltro era stata in qualche misura presa in considerazione prima di optare per Campo. Si tratta dell'ex deposito militare di Cimabanche, situato a metà strada tra Cortina e Dobbiaco, (a circa 13 km dal capoluogo ampezzano), dismesso e parzialmente bonificato, ritornato in proprietà al comune di Cortina nel marzo del 2017.L'area si trova all'interno del Parco delle Regole d'Ampezzo, con la possibilità per queste ultime di avere l'area a disposizione per finalità compatibili con quelle del Parco per almeno 20 anni.I fondi olimpici potrebbero essere l'occasione per proseguire con la bonifica ambientale del sito, particolarmente delicata e molto costosa in quanto vi è la presenza di amianto, e che quindi necessita un intervento per la risoluzione del "problema" ambientale. Una ipotesi di riutilizzo delle ex caserme di Cimabanche è stata elaborata dall'architetto Giacomo Da Riz.L'area ha una superficie di mq 436. 385 e comprende 36 edifici esistenti di varie dimensioni, per un volume attualmente edificato di 28.600 mc, oltre a 6. 500 circa di volume demolito recentemente. Da Riz propone la «riqualificazione dell'area attualmente fatiscente con demolizione e ricostruzione dei volumi, la realizzazione di un villaggio diffuso con spazi comuni e luoghi di aggregazione, riutilizzabile in futuro per scopi turistici/sportivi, con edifici di qualità architettonica ed ambientale elevata senza alcun spreco di danaro». Il volume riedificabile secondo lo studio è di circa 36.000 mc, «con la possibilità di accogliere circa 700 persone con spazi comuni e la possibilità di elevare la capienza fino a 800/1.000 persone/atleti con eventuali edifici temporanei e relativo beneficio sull'incidenza complessiva dell'operazione».Viene inoltre presa in considerazione «la possibilità di realizzare volumi temporanei di aggregazione, piste di fondo adiacenti agli edifici, utilizzabili anche come pista ciclabile».Da Riz avanza anche un'ipotesi di costi dell'intervento, che vengono stimati in totale sui 42 milioni (i fondi olimpici per il villaggio di Cortina sono poco meno di 50 milioni), dei quali 1.500.000 per la demolizione edifici esistenti e riutilizzo inerti; 1.600.000 per la bonifica dall'amianto; 4.100.000 per le opere di urbanizzazione e servizi; 22. 800. 000 per l'edificazione dei nuovi volumi, per un totale del costo delle opere di 30 milioni. A questa cifra si aggiungono le spese di progettazione e tecniche pari a 3.600.000; l'iva sulle opere per 3. 000. 000; l'iva e oneri su progettazione e spese per 806. 400 euro; altri costi per imprevisti e oneri vari per 5. 000. 000, per un totale di costi (oltre le opere) di 12.406.400.Un progetto, quello di Cimabanche, che ha molti punti a favore, ma qualcuno a sfavore. I pro elencati sono «la riqualificazione di un'area che diversamente sarà impossibile da risanare e rivalorizzare, con un 100% di lascito sul territorio con la possibilità in futuro di utilizzo sportivo/turistico». I contro sono «il limite di utilizzo al massimo di 800-900 utenti/posti letto e i costi medio/elevati ma ben giustificati dall'investimento permanente, dal lascito sul territorio e dalla qualità della proposta». Marina
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Corriere delle Alpi | 15 Marzo 2023 p. 29
Menardi
Il villaggio olimpico in Cabina di regia Zaia: Borca scartata sul tavolo c'è Campo
CORTINA
Con decreto della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è stata ieri istituita la Cabina di regia per le opere e gli interventi relativi ai Giochi olimpici e paralimpici invernali "Milano Cortina 2026". Un atto solo formale? No. Alla prossima seduta, che si terrà a Roma, sarà ufficializzata la sede del villaggio olimpico, a Campo di Cortina, e sarà decisa la location della pista del pattinaggio veloce (in corsa Spresiano per il Veneto, la Fiera di Rho a Milano, il Lingotto a Torino). «Abbiamo una cabina di regia programmata per fine mese. Sarà ufficializzata la sede del Villaggio olimpico - conferma il presidente della Regione, Luca Zaia -. Immagino che sarà Campo a Cortina, il sito su cui sta lavorando la Società Infrastrutture su indicazione del Comune. E questo, lo ripeto, sarà un villaggio mobile, prefabbricato, quindi preso a noleggio (per cui costerà meno)». Intanto, però, la localizzazione del Villaggio Olimpico è finito sul tavolo del ministro dello Sport, Andrea Abodi, con un'interrogazione depositata in Senato dal segretario regionale del Partito Democratico, Andrea Martella. «Un allestimento temporaneo destinato ad essere completamente smantellato al termine dell'evento, potrebbe rivelarsi una soluzione non utile al territorio», scrive Martella. Una decisione giudicata quantomeno discutibile, visto che «a pochissima distanza dal luogo dove si svolgeranno le manifestazioni sportive sorge l'ex Villaggio Eni di Borca di Cadore che veniva usato come colonia estiva per i figli dei dipendenti del gruppo».L'ipotesi di Borca? «È stata presa in considerazione, anche su nostra proposta - ha precisato ieri Zaia -, ma il Cio stesso l'ha inizialmente scartata. Rispetto al villaggio Eni, tra l'altro ricordo che i tecnici due o tre ani fa ci parlavano di un albergo da riavviare ma con tutte le difficoltà del caso. Non vorrei che qualcuno pensasse che il villaggio olimpico serva per un centinaio di persona, ma anzi per un migliaio di persone. Di una piccola cittadina che avrà vita e poi sparirà del tutto». Il presidente della Regione fa notare, fra l'altro, che il villaggio si trova nei pressi del sito di frana del monte Antelao. «È uno dei motivi per cui il Cio non l'ha preso in considerazione, oltre che per i costi esorbitanti di sistemazione che si profilano. Il noleggio, lo ripeto, si rivela ancora la soluzione più economica e più fattibile anche dal punto di vista della compatibilità ambientale». Ieri Zaia ha anche detto di "tifare" perché la pista lunga del pattinaggio non esca dal Veneto o dalla Lombardia e quindi territorialmente rimanga in MilanoCortina 2026» . Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 22 Marzo 2023 p. 31
“Pericolosità idraulica a Campo: un rischio costruirci il villaggio” la protesta
La piana di Campo «non è luogo idoneo per l'allestimento del villaggio olimpico e paralimpico». Il Comitato Pian da Cianpo passa al contrattacco: lunedì i legali dei cittadini (studio Iannotta di Napoli) hanno inviato un atto di opposizione all'ipotesi di localizzazione del villaggio nella piana sopra Cortina, evidenziando problematiche legate alla pericolosità idraulica e ambientali. L'atto è stato indirizzato alla Cabina di regia per le opere e gli interventi relativi ai Giochi, al sottosegretario di Stato alla presidenza del consiglio dei ministri, ai ministri per lo sport e le infrastrutture, al Coni, all'Ad di Infrastrutture Milano-Cortina, al presidente della Regione Veneto e al sindaco di Cortina.«L'allestimento del villaggio», si legge, «non appare ipotesi realizzabile, in quanto la pianificazione territoriale di dettaglio, in particolare gli studi idraulici allegati al Pat di Cortina, nonché il piano di Protezione civile comunale e i recentissimi studi idraulici relativi ai corsi d'acqua, torrente Boite e rio Costeana, che interessano l'area, convergono tutti circa l'esondabilità di detti corsi d'acqua. Per effetto, l'area risulta caratterizzata da sicura pericolosità idraulica», che, se sarà costruito lì il villaggio per ospitare 1.200 persone, «diventa rischio idraulico che non può essere accettato».L'atto entra poi nel dettaglio. Nel Pat l'area della Piana di Campo è stata classificata con diversi gradi di pericolosità idraulica, che vanno dal P1 al P3. Nelle aree classificate P2 e P3 non è possibile costruire nuovi edifici. Anche nel piano di Protezione civile comunale si parla di possibili esondazioni dei due corsi d'acqua, in quella che oggi è un'area a prato. Le stesse considerazioni si trovano nello studio idraulico predisposto per il progetto di fattibilità della variante di Cortina.«L'esondabilità dei corsi d'acqua che interessano la Piana di Campo», si legge, «rende irrealizzabile l'allestimento su tale piana del villaggio olimpico e paralimpico. Prescindere dalla pericolosità idraulica dell'area significa esporre i circa 1.200 utenti del villaggio a un rischio idraulico non sostenibile». L'atto è indirizzato anche al sindaco «anche nella veste di autorità di Protezione civile, affinché provveda a informare la popolazione sugli scenari di rischio».Ma ci sono anche ragioni ambientali che rendono Campo luogo non idoneo al villaggio olimpico. Nella piana si trovano otto specie vegetali inserite nella Red list della Regione e nei prati dimorano specie animali protette, tutti elementi indice della preziosa biodiversità dell'area.Il villaggio sarebbe sì temporaneo, ma questa indicazione «risulta contraddetta», scrivono i legali. «Gli interventi che si vogliono realizzare comporteranno la trasformazione di prati in infrastrutture, con alterazione dello stato dei luoghi» e «conseguente impraticabilità del preannunciato ripristino finale delle aree». Da qui la richiesta di considerare soluzioni alternative, «partendo dal recupero dell'esistente» (come il villaggio Eni a Borca) e «dall'individuazione dell'effettiva capacità ricettiva dell'area». E di «stralciare l'ipotesi di allestimento del villaggio olimpico e paralimpico a Campo». Alessia Forzin© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 24 Marzo 2023 p. 28
Comitato di Campo, lettera al CIO “Dove sono i giochi sostenibili?”
CORTINA
Il Comitato di Campo scrive al CIO in merito all'allestimento del villaggio olimpico sulla Piana, sottolineando l'insostenibilità dell'intervento sotto il profilo ambientale, uno dei punti di forza della candidatura e dei principi su cui il Comitato olimpico ha fondato l'Agenda 2020-2026 per i prossimi Giochi invernali. Alla lettera è allegata la relazione ambientale del dottore forestale Michele Da Pozzo, che «attesta come la zona di Campo (nella foto) costituisca un unicum, anche per la presenza di specie animali e vegetali in via di estinzione».«Cortina, con le sue meravigliose montagne, è diventata patrimonio Unesco, ovvero luogo che per la sua straordinaria bellezza naturale deve essere considerato un dono ricevuto dai padri e come tale preservato e custodito per le generazioni future», si legge nella lettera, «con l'assegnazione dei Giochi questo bene complesso e delicato assiste oggi alla volontà di costruire un villaggio olimpico per 1200 persone in località Campo, su una magnifica area verde. Saranno necessari scavi e nuove strade, collegamenti e infrastrutture, per quattro settimane di utilizzo. Le alternative ci sono, e si rivelano pure molto valide. Erano stati garantiti alla cittadinanza, con la benedizione del CIO, Giochi sostenibili e rispettosi dell'ambiente».La relazione ambientale illustra le caratteristiche naturali e ambientali della Piana di Campo, sottolineandone unicità e fragilità, in particolare per la presenza di specie in via di estinzione. La sensibilità dell'habitat naturale rende ogni intervento infrastrutturale potenzialmente dannoso per gli equilibri del mosaico di habitat, giustificando la storica destinazione ad attività agricola. Il documento non ha l'intento ufficiale di una valutazione di impatto ambientale, ma si propone di sensibilizzare l'opinione pubblica e i decisori sui valori ambientali in gioco e sulla loro irripetibilità e non monetizzazione. La Piana di Campo è originata da un antico lago di sbarramento, il cui prosciugamento ha portato alla formazione di un terreno pianeggiante e fertile, adatto alla praticoltura da foraggio. L'agricoltura secolare a basso impatto ha portato alla formazione di un sistema di prateria estremamente ricco di biodiversità. Il documento auspica una valutazione responsabile di siti alternativi infrastrutture come il villaggio olimpico.Oggi intanto, alle 18, ci sarà l'atteso faccia a faccia tra il Comitato e il Commissario Luigi Valerio Sant'Andrea, alla presenza del sindaco. m.m.© RIPRODUZIONE RISERVATA