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LE INDAGINI SULLA COMMITTENZA ARTISTICA DEI CAETANI DA SICIOLANTE A BATONI

Il mio incontro con Luigi Fiorani, e quindi anche con le sue ricerche sulla produzione artistica, è stato molto graduale, e risale a prima che il comune amore per la storia dei Caetani e dei loro feudi ci portasse a percorrere un lungo tratto di strada insieme.

Agli inizi degli anni Ottanta, infatti, quando sotto la guida di Carlo Pietrangeli incominciai ad occuparmi di argomenti barberiniani, il monumentale lavoro di spoglio e riordino, fatto da Luigi sul Fondo Barberini della Biblioteca Vaticana già si proponeva agli studiosi come un aiuto fondamentale nella ricerca, una miniera di spunti e suggerimenti e tale è tuttora a trent’anni di distanza.

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In contemporanea la collana da lui diretta sulla Storia Religiosa di Roma portava nell’orizzonte degli studi storico artistici sul territorio nuovi e importantissimi contributi.

Non conoscevo ancora l’uomo, ma le sue ricerche già mi sembravano basilari per lo studio della storia dell’arte: quello che era già allora il mio lavoro.

Alla metà degli anni Ottanta, dalla Soprintendenza di Roma per cui lavoravo e lavoro tutt’oggi, sotto la guida lucida ed efficiente di una soprintendente illuminata quale fu (purtroppo per breve tempo) Evelina Borea, ebbi l’incarico di occuparmi dei feudi dei Caetani nel basso Lazio: di Sermoneta in primis e quindi della ricognizione, del restauro e della tutela del patrimonio artistico legato alla committenza artistica della famiglia.

Fiorani, ovviamente era una fonte inesauribile di notizie, e quando già lavorava a raccogliere il materiale per il convegno su Sermoneta e i Caetani che prese poi corpo nel poderoso volume uscito nel 1999, mi invitò a partecipare: fu così che mi occupai di uno sconosciuto pittore sermonetano Giovan Domenico Fiorentini, che aveva lasciato però una vasta produzione a Roma e nel territorio nella seconda metà del ’700.

Iniziò così una lunga amicizia: grazie alla sua sempre affettuosa accoglienza nella Fondazione Caetani instaurammo quel particolare rapporto di complicità che si stabilisce spesso fra persone che studiano argomenti affini.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

Ho incontrato così una parte della sua produzione precedente: il volume sull’Abate Onorato Caetani, un erudito romano del ’700 scritto nel 1969. Il finissimo ritratto di un inquieto secondogenito della famiglia, sospeso (sono parole di Fiorani) fra ambizioni riformiste (un riformismo che guardava a Voltaire, ma anche a Beccaria e ai fratelli Verri) e l’ insofferenza verso il mondo curiale e la ricerca erudita.

Di Onorato si conservano in Fondazione tre ritratti (pubblicati un anno prima, nel ’68 dalla Roettgen) databili fra il 1783 e l’84. Ero attratta, girando per queste stanze dove siamo oggi, (e dove mi sembra incredibile non vederlo spuntare all’improvviso, sempre trafelato, pieno di carte, e progetti) dalla diversa declinazione fornita di Onorato Caetani dai tre ritrattisti più in voga del tardo Settecento romano: poetica e sentimentale quella della Kauffman, illustre quella del Batoni, amichevole e diretta quella di Mengs (tav. 12).

Nel leggere la sua monografia, e nel rileggerla in occasione della mostra del Settecento a Roma del 2005, dove comparivano i dipinti generosamente prestati dalla Fondazione Caetani, mi ha sempre colpito la finezza psicologica con cui Luigi aveva tratteggiato il ritratto del tormentato abate, la bellezza e la fluidità della sua scrittura.

Come pochi egli partendo da fatti e documenti è riuscito a rendere intrigante il ritratto del personaggio, la sua ambizione di un «vivere civile e illuminato» le sue frustrazioni.

Nel rapporto di ormai collaudata amicizia che ci univa, proprio qualche anno fa glielo dissi: «è scritto benissimo!» Ne ebbi in cambio un sorriso confuso e imbarazzato, ma felice, con quell’aria tenera da ragazzo invecchiato che è stata sua fino all’ultimo. E ancora una volta ebbi la dimostrazione che quasi sempre al talento nella ricerca e nella scrittura si unisce, nelle persone davvero di vaglia, quella che era una delle caratteristiche di Luigi: una candida e onesta modestia.

Dopo il volume su Onorato Caetani, un’altra tappa fondamentale sulla famiglia e sulla sua committenza artistica fu nel 1987 il primo volume su Gerolamo Siciolante da Sermoneta, scritto in collaborazione con John Hunter e Teresa Pugliatti. Monografia importante ed attesa su un artista di metà Cinquecento nato e vissuto nell’orbita dei Caetani e formatosi sulla scia di Perin Del Vaga (tav. 2).

Quando Siciolante iniziò la sua carriera romana era signore di Sermoneta Camillo Caetani, e suo cugino Alessandro Farnese era asceso al soglio papale col nome di Paolo III.

Questo spiega l’impegno di Siciolante nei cantieri farnesiani di Castel Sant’Angelo, particolarmente gli affreschi della loggia verso Prati con scene che celebrano l’antichità romana, finiti nel 1544 sotto la direzione di Perino e di Luzio Romano. Ed ancora l’attività di Siciolante a Piacenza sotto Pier Luigi Farnese.

Nell’appendice documentaria scritta da Fiorani spicca la consueta finezza nel cogliere il quadro politico dell’insieme collocandovi la grande figura di Bonifacio Caetani (1516-c. 1574) riorganizzatore del feudo contro gli attacchi costieri, e stratega lucidissimo del potere famigliare nel secondo Cinquecento. L’ ultimo grande momento di splendore della famiglia.

E quanto alla committenza artistica, lo strettissimo rapporto di famigliarità di Bonifacio con Siciolante vide l’artista coinvolto in varie imprese nel feudo: prima fra tutti la decorazione del Palazzo di Cisterna, e della vicina chiesa di S. Antonio, con la realizzazione di una Pietà distrutta nell’ultima guerra.

Da questa chiesa proviene probabilmente una Madonna col Bambino e tre angeli che Fiorani ebbe modo di ritrovare fortunosamente nei depositi di Palazzo Caetani alle Botteghe Oscure. Un’opera di Tullio Siciolante, figlio di Gerolamo, morto ventenne, realizzata probabilmente insieme al padre e su cui quest’ultimo appose il nome del figlio seguito dalle terribili parole «pinxit et obiit».

A questo primo lavoro su Siciolante fece seguito nel 1991 la monografia di Hunter sul Sermoneta, pubblicata a cura di Fiorani dalla Fondazione Caetani. A tutt’oggi il caposaldo sulla figura dell’artista e sui suoi rapporti con la famiglia.

Nel 2000 ebbe luogo il Convegno Bonifacio VIII, i Caetani e la storia del Lazio. L’ accorta regia di Fiorani si individua dietro i vari interventi, anche quello di Giulia Aurigemma su Le committenze dei Caetani dal ’500 al ’600: dai feudi alla città

Proprio intorno al 2000 si avviava sotto la direzione di Fiorani il progetto del volume Palazzo Caetani, storia, arte e cultura che dopo vicende piuttosto travagliate vide finalmente la luce nel 2007 per i tipi del Poligrafico.

Ho ancora nell’orecchio la voce, sempre giovane di Luigi che mi chiedeva di partecipare, con uno studio sulla collezione dei dipinti e chiedeva chi avrebbe potuto collaborare sui vari argomenti storico-artistici relativi al palazzo.

Si pensò allora di fare una generale ricognizione delle opere sparse nel palazzo e una campagna fotografica. L’ argomento mi appassionava perché trovavo continue rispondenze di autori e di fatti con le opere d’arte incontrate nel territorio pontino e a Sermoneta, dove stavo raccogliendo le opere disperse provenienti dalle chiese non più officiate o distrutte, per la Soprintendenza, e a piccoli passi stavo montando il museo della cattedrale, oggi finalmente dotato di catalogo.

Lo studio delle singole opere a Roma e sul territorio, si inquadrava nella vicenda di una committenza fra le più illustri del patriziato romano di origine medievale, avviata verso un graduale e irrefrenabile declino con la fine del ’500, soppiantata dalla concorrenza delle nuove famiglie portate alla ribalta dai papi nepotisti (Aldobrandini, Borghese, Barberini, Pamphilj, Chigi).

Famiglie esterne alla realtà storica romana tradizionale. Una storia melanconica e affascinante che oscilla periodicamente fra glorie militari, nunziature prestigiose e continue, rovinose crisi economiche.

Ricordo con gratitudine quell’inverno fra il 2003 e il 2004 in cui trascorrevo molti pomeriggi nella quiete accogliente di Palazzo Caetani sfogliando i documenti d’archivio con intorno le affettuose presenze di Fiorani, della signora Guerra, dell’avvocato Antonelli.

Pomeriggi di scoperte e di chiacchiere. Luigi mi ragguagliava sul faticoso procedere del libro, ma non resisteva alla tentazione di divagare verso nuove ricerche e frontiere di studio. Gli sarebbe piaciuto sapere se nell’archivio di mio padre, che fu, a suo tempo vaticanista, esistevano note e scritti sui ‘preti modernisti’; era curioso di vedere le foto scattate da papà a Sermoneta, quando negli anni Quaranta si recò al castello ospite dei Caetani. Oppure mi chiedeva notizie di un dipinto raffigurante il Beato Giuseppe Labre che si trova a Palazzo Barberini, poiché voleva studiare l’iconografia del personaggio, apostolo degli ultimi.

Era un garbatissimo vulcano di idee e di interessi che si intrecciavano e creavano qualche confusione nel procedere sistematico del lavoro. Che litigate ci siamo fatti poiché, dopo che era stata completata la campagna fotografica sulle opere di Palazzo Caetani, non ritrovava più il materiale nel suo studio in Fondazione, un luogo a sua dire dove «non si perdeva mai nulla!»… Ma poi il libro è uscito è utile e bello e tutto è bene ciò che finisce bene.

L’ improvvisa scomparsa di Luigi, un anno fa, mi ha lasciato il dolore di un sodalizio interrotto, ormai ventennale. Non ho potuto dargli il catalogo del Museo di Sermoneta, uscito qualche mese fa, dove si illustrano tanti dipinti del territorio, squisitamente Caetani.

Non abbiamo potuto coronare il progetto di redigere un catalogo generale della collezione dei quadri del palazzo romano, che permettesse di ritrovarli con facilità e di conoscerli meglio.

Resta il ricordo di tanti bei momenti di lavoro, delle occasioni di ricerca che mi ha generosamente offerto sui materiali della Fondazione, e quello prezioso della sua amicizia.

IL PALAZZO CAETANI ALLE BOTTEGHE OSCURE E LA SUA STORIA*

Il volume dedicato al palazzo alle Botteghe Oscure1, curato da Luigi Fiorani (tav. 5), nel suo impianto si presenta in generale diverso dalla numerosa serie di volumi dedicati ai palazzi romani, precedentemente pubblicati in varie sedi: i contributi sono infatti organizzati in un percorso che non sembra, almeno a prima vista, unitario e lineare e talvolta appare addirittura contraddittorio. Il piano dell’opera mi sembrò proprio contraddittorio quando mi venne chiesto di partecipare alla iniziativa con un contributo relativo ai temi del collezionismo di antichità dei Caetani su cui da tempo ormai stavo lavorando, come pure mi sembrò in un primo momento quasi superfluo e pleonastico il sottotitolo del libro: storia, arte e cultura. Una riflessione più ampia e motivata mi ha però convinto della validità delle scelte operate, che hanno anche in me personalmente stimolato indagini e aperto ulteriori strade di ricerca meno tradizionali (o convenzionali) e scontate. Proprio attraverso un’analisi dei percorsi in cui si organizza il volume si può forse mettere in luce il ruolo fondamentale che Luigi Fiorani ha svolto nella progettazione e nella realizzazione dell’opera.

* Ho incontrato per la prima volta Luigi Fiorani ormai molti anni fa quando iniziai lo studio della raccolta delle antichità Caetani conservate nel Palazzo alle Botteghe Oscure e nel corso di questo lavoro, diventato negli anni uno dei temi centrali della mia attività didattica e di ricerca alla Sapienza, ho avuto modo molte volte di avvalermi della sua disponibilità e dei suoi competenti consigli. Ho accolto quindi con molto piacere l’invito rivoltomi a partecipare, con un intervento sul volume dedicato al palazzo alle Botteghe Oscure da Lui curato, a queste giornate in Sua memoria. Nonostante l’imbarazzo di dover parlare di un’opera nella realizzazione della quale sono stata per Sua iniziativa coinvolta, tenterò, tralasciando volutamente i settori di mia più specifica competenza trattati nel volume, di far emergere il ruolo fondamentale che nella realizzazione dell’impresa ha avuto Luigi Fiorani.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

Il libro è organizzato attorno a due differenti filoni di indagine, che potrei definire «i luoghi e le cose» e «gli uomini».

Il primo filone è quello più tradizionale: i luoghi a cominciare ovviamente da quello in cui fu costruito il palazzo, dalle preesistenze archeologiche della zona, alla storia architettonica dell’edificio, alle sue fasi costruttive e decorative, ai suoi arredi, alle sue raccolte di antichità, le cose appunto. Nella introduzione al volume Bruno Toscano ha ben messo in evidenza come dai vari contributi che Luigi Fiorani ha voluto fossero affidati ai singoli studiosi emerga non solo quello che c’è, ma anche quello che non c’è più e sia restituita l’immagine di un palazzo e più in generale dell’area in cui fu edificato in continua trasformazione; per usare le sue parole, appaia il conservato e il «non meno corposamente reale perduto» (p. vii)2

Ma già nella prima parte del volume apparentemente dedicata ai luoghi e alle cose, il percorso lineare si interrompe più volte con l’inserimento prima di un capitolo dedicato ai Mattei, ai Serbelloni e ai Negroni, i precedenti proprietari del Palazzo alle Botteghe Oscure (a cura di Carla Benocci) e poi di un contributo sui luoghi altri, il Palazzo all’Isola Tiberina, il Palazzo all’Orso, la Villa Caserta all’Esquilino, il Palazzo di Cisterna (ad opera di Alberta Campitelli), che senza esaurire il quadro generale delle varie proprietà dei Caetani, esamina le precedenti residenze della famiglia, ad esclusione di quel Palazzo al Corso venduto ai Ruspoli che era stato già oggetto di una importante trattazione monografica3. Ci si muove quindi per intersezioni, che sollecitano ulteriori collegamenti mentali ed emerge subito anche in questa parte iniziale il vero filo conduttore che attraversa il volume e lega tutte le sue parti, l’interesse per gli uomini, ed in particolare, ma non solo, per i Caetani; ad essi è dedicata tutta la seconda parte del libro, con un progressivo slittamento del punto di vista, che passa dal palazzo o meglio dai palazzi, alle persone e mostra l’interesse di Fiorani per questa straordinaria famiglia caratterizzata, soprattutto nelle epoche più recenti, dalla ricchezza e dalla non convenzionalità degli interessi culturali. Ed è così che il tema principale dell’opera, quello dichiarato nel titolo, il palazzo, quasi si perde all’interno di un quadro di riferimento più generale con al centro l’uomo, l’uomo che fa la storia, tema sempre presente nelle ricerche di Fiorani, come è stato ben messo in rilievo anche in altri interventi di queste giornate. Ma se negli studi specialmente di storia religiosa sono soprattutto le figure minori e sconosciute, che diventano oggetto di una particolare e del tutto inusuale attenzione, nel volume emer- gono invece i personaggi della più recente storia di una importante famiglia nobiliare a vario titolo coinvolta nella vita politica, i cui membri, esponenti di rilievo sia della destra storica, come Onorato, sia di idee radicali e anticlericali come Leone, o, come il fratello Gelasio, aderenti in maniera dichiarata al fascismo, ricoprono importanti cariche pubbliche.

Può essere interessante mettere a confronto l’indice del volume con quelli di altre pubblicazioni sui palazzi romani, tra i quali in particolare il Palazzo Ruspoli al Corso già Caetani, ed anche con il primitivo piano dell’opera, proposto da Carlo Pietrangeli, da cui Fiorani è partito, che riprende una sequenza standard sito-famiglia-palazzo e suoi arredi, coerente con lo scopo principale del libro esplicitato nel titolo; nel nostro caso la sequenza è stata invertita nell’ordine sito-palazzo-famiglia.

In quest’ultima parte del volume intitolata Cultura, arte e vita sociale compare il contributo di Luigi Fiorani dedicato ai Caetani del XIX e XX secolo, quei membri cioè della famiglia che nel palazzo hanno lungamente vissuto e/o al palazzo alle Botteghe Oscure sono comunque sempre stati in qualche maniera strettamente legati.

Già alla fine degli anni ’90 nel saggio introduttivo al catalogo della mostra sugli acquerelli di Filippo Caetani, Luigi Fiorani aveva fornito un quadro dei Caetani nel corso dell’800 ed aveva sottolineato come la famiglia non sembri rimanere insensibile ai cambiamenti radicali avvenuti nel giro di pochi decenni, che disorientano per lo più l’élite aristocratica romana, e proprio sul filo degli interessi culturali si vada quasi costruendo una nuova identità4. Le figure dei due fratelli – Filippo, il più giovane, refrattario ad ogni cambiamento politico e sociale e ripiegato, soprattutto nella maturità, nel rimpianto del tempo passato, e Michelangelo, coinvolto in prima persona a vario titolo, sia pure con un certo aristocratico distacco, nella vita pubblica romana sono emblematiche della grande diversità delle risposte date alle innovazioni e alle trasformazioni in atto. Fiorani osservava però – cito (p. 25 nota 6) – «La storia ottocentesca della famiglia è un grande capitolo ancora da esplorare e da raccontare compiutamente».

Attraverso una serie di singoli ritratti dei Caetani, apparentemente non connessi in un discorso unitario, ma realizzati in successione cronologica in forma quasi di schede, Fiorani riesce ora a far emergere una realtà ed una storia solo in parte già nota, utilizzando una documentazione di archivio spesso poco o per nulla esplorata, fatto questo che costituisce il tratto caratterizzante ed unificante dei suoi lavori. Nelle vicende della famiglia, per usare le sue stesse parole, «non è difficile constatare, in effetti, soprattutto in taluni personaggi più sensibili, una precisa volontà di non dimenticare la ricca e complessa storia familiare, che si intreccia con la storia di Roma e dell’Italia centro-meridionale, ed insieme un forte impulso ad agganciarsi al proprio tempo, ad operare in positivo entro l’alveo delle strutture e delle istituzioni post-risorgimentali che cominciavano appena allora a prendere forma» (p. 315).

4 l. fiorani, Filippo Caetani: l’ironia nella Roma papale dell’Ottocento, in Il salotto delle caricature. Acquerelli di Filippo Caetani 1830-1860, a cura di g. gorgone – c. cannelli, Roma, L’ «Erma» di Bretschneider, 1999, pp. 13-28.

Vorrei per un attimo fermarmi sulla figura che apre il contributo, quel Michelangelo Caetani (tav. 6a), la cui biografia copre quasi tutto il XIX secolo, figura di spicco della vita pubblica romana sotto il Pontificato di Pio IX e dopo la Breccia di Porta Pia; presidente della Giunta Provvisoria di Governo nominata subito dopo il 20 settembre 1870 portò, come è noto, a Vittorio Emanuele II a Firenze i risultati del plebiscito che sanciva il ricongiungimento di Roma al nuovo Regno d’Italia. Don Michele appare nella memorialistica dell’epoca ed in particolare nei Ricordi pubblicati nel 1904 dopo la sua morte dalla terza moglie Harriet Ellis Howard e di recente nuovamente editi con una importante introduzione di Giuseppe Monsagrati 5 , come uomo di carattere severo, impegnato fin dalla giovinezza a risanare il patrimonio di famiglia molto dissestato, di grande autorevolezza e prestigio personale, di vasta cultura, lontana dal provincialismo degli ambienti eruditi romani, nel cui salotto alle Botteghe Oscure si incontravano le più importanti personalità dell’epoca provenienti da tutta Europa6; Fiorani ne delinea un ritratto che accanto all’immagine pubblica fa emergere lo spirito vivace e l’indole caustica di un uomo dalla conversazione spiritosa, arguta e brillante e dai giudizi spesso dissacranti. Sono stata personalmente stimolata da questo ritratto a riprendere in anni recenti una ricerca su dei falsi epigrafici, realizzati dal Duca con l’intento di trarre in inganno soprattutto gli studiosi tedeschi impegnati nella redazione della monumentale opera del Corpus Inscriptionum Latinarum, degli scherzi eruditi (tav. 6b) attra- verso i quali si prendeva gioco delle debolezze di una comunità scientifica nei confronti della quale aveva espresso più volte il proprio giudizio non positivo; era infatti solito ripetere «ove sono 13 archeologi sono 13 opinioni diverse»7; è singolare che un giudizio così negativo sugli archeologi, venga proprio dal figlio di quella Teresa de’ Rossi, personaggio eccentrico di cui si ricorda che «ogni giorno andava nella Villa Caserta sull’Esquilino recando ritti a tergo della carrozza invece dei comuni servi in livrea, due o tre terrazzieri con badili e con vanghe per fare gli scavi e trovarvi le cose antiche»8; e dal padre di Ersilia Caetani Lovatelli, a cui è dedicato il secondo ritratto di Fiorani, archeologa, apprezzata studiosa di antichità, membro onorario dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica su proposta di Wilhelm Henzen, Theodor Mommsen e Eduard Gerhard e prima donna chiamata a far parte dell’Accademia dei Lincei nel 1879; Michelangelo sottolinea orgogliosamente le affinità nella formazione culturale e negli interessi con la figlia dicendo «c’est peut-être un brique de mon bâtis qui est passé dans le sien au moment que je m’occupais à son édification»9. Alla brevità della scheda dedicata ad Ersilia, sulla quale Fiorani esprime un giudizio forse un po’ riduttivo, corrisponde un più ampio spazio dedicato alla biografia umana ed intellettuale della studiosa e al suo salotto nel palazzo del marito, il conte Giacomo Lovatelli, frequentato oltre che dagli archeologi e storici, già amici del padre, anche da poeti e letterati quali Giosuè Carducci, Gabriele D’Annunzio, Émile Zola, Anatole France nel contributo seguente di Caterina Fiorani dedicato ai Caetani e l’Accademia dei Lincei dal ’700 al primo Novecento. Questa figura femminile sulla quale Theodor Mommsen esprimeva giudizi assai positivi, ora al centro di nuove analisi, dovrebbe trovare un posto di maggior rilievo negli studi di genere10. Di Michelangelo e

5 Alcuni ricordi di Michelangelo Caetani duca di Sermoneta raccolti dalla sua vedova (1804-1862) e pubblicati pel suo centenario, con un saggio introduttivo e a cura di g. monsagrati, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 2005 (Studi e documenti d’archivio 12).

6 Sulla natura del salotto di Michelangelo e sui personaggi che lo frequentavano vd. in particolare f bartoccini, Cultura e società nei «salotti» di Casa Caetani, «Archivio della Società Romana di Storia Patria», C (1977), pp. 115-121; Ricordi, pp. 21-25 (Monsagrati); pp. 211-225; vd. anche l p lemme, Il salotto di cultura a Roma fra ‘800 e ‘900, Roma, M. T. Cicerone, 1995, pp. 118-119, 127-132, 139-146; c. cannelli, I Caetani nella Roma Piemontese, in “Il costume è di rigore”. 8 febbraio 1875: un ballo a Palazzo Caetani. Fotografie romane di un appuntamento mondano, a cura di g. gorgone – c. cannelli, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider 2002, pp. 45-55.

7 f. taglietti, cil VI, 3544*: un falso d’autore?, ‹‹Archeologia Classica››, LIX (2008), pp. 287-321.

8 g marchetti longhi, I Caetani, Roma 1942 (Le grandi famiglie romane, I),pp. 46-47. Su Teresa De Rossi e i suoi scavi a Roma e nel Lazio, vd. f taglietti, La collezione di antichità: le raccolte dei Caetani dal x VIII secolo ad oggi, in Palazzo Caetani, pp. 288-289, p. 295.

9 Lettere di Michelangelo Caetani duca di Sermoneta. Cultura e politica nella Roma di Pio Ix, a cura di f. bartoccini, Roma, Istituto di studi romani, 1974, p. 95 n. 8: lettera indirizzata al Granduca di Sassonia-Weimar del 29 maggio 1861.

10 Sulla figura e sulle caratteristiche peculiari del suo salotto, vd. a petrucci, in Dizionario Biografico degli Italiani, 16, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1973, pp. 155-157, s. v.; bartoccini, Cultura e società, pp. 123-127; m. i. palazzolo, I salotti di cultura nell’Italia dell’’800, Scene e modelli, Milano, FrancoAngeli, 1985, pp. 112-115; p. ghione, Il salotto di Ersilia Caetani Lovatelli a Roma, in m. l. betri – e. brambilla, Salotti e ruolo femminile in Italia. Tra fine Seicento e primo Novecento, Venezia, Marsilio, 2004, pp. 487-508 con delle sue capacità artistiche e abilità manuali si tornerà poi a parlare nel contributo di Maurizio Donati sulla oreficeria e sui rapporti tra Michelangelo Caetani ed i Castellani. Il legame di Don Michele con la famiglia di orafi romani a partire dal capostipite, quel Fortunato Pio a cui si deve la scoperta del procedimento chimico di riproduzione del cd. oro giallone, è come è noto non solo un sodalizio artistico e culturale, ma un legame nell’ambito di una attività imprenditoriale molto redditizia; in essa il Duca svolse il ruolo di mentore e patrono dei Castellani introducendoli nella buona società europea nella quale trovarono un’ampia e affezionata clientela ed anche di ispiratore e raffinato creatore di gioielli, a cui si deve con tutta probabilità l’invenzione del famoso marchio con le due C intrecciate che caratterizza i gioielli Castellani11. La clientela Castellani era formata dalla nobiltà italiana e dalla aristocrazia inglese, francese, tedesca e russa ed annoverava anche la Casa Savoia a partire già dagli anni precedenti l’Unità; proprio a Michelangelo si deve ad esempio il disegno dell’elsa delle spade di onore dopo le battaglie di Magenta, Solferino e San Martino da donare con sottoscrizione pubblica a Vittorio Emanuele II e a Napoleone III per le quali egli si ispirò alla famosa spada Borgia di proprietà della famiglia (tav. 7).

Ancora intersezioni quindi, una sorta di finestre che si aprono di volta in volta moltiplicando i percorsi di lettura ed indicando – a volte solo suggerendo – al lettore non usuali strade di indagine. Penso ad esempio a quella ancora da percorrere della ricostruzione della personalità artistica di Michelangelo, formatosi alle botteghe di Tommaso Minardi, Pietro Tenerani e Bertel Thorvaldesen, incisore, disegnatore e caricaturista, scultore, studioso attento ed originale di Dante, a cui si deve anche una illustrazione in 6 tavole colorate a mano e poi litografate del viaggio di Dante attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso, pubblicate per la prima volta nel 1855 (tavv. 8-9). O ancora al ruolo non secondario da indagare nell’ambito degli studi di genere, delle donne di casa Caetani, a partire da Ersilia, fino a Marguerite ulteriore bibl.; l nicotra, Archeologia al femminile. Il cammino delle donne nella disciplina archeologica attraverso le figure di otto archeologhe classiche vissute dalla metà dell’Ottocento ad oggi, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 2004, pp. 29-45 con una sottolineatura del particolare carattere ‘dilettevole’ dei suoi lavori e della sua capacità di divulgazione. Poco interesse e scarsa comprensione per gli aspetti storico-artistici risultano nel breve ritratto che compare nelle memorie di Adolfo Venturi: a venturi, Memorie autobiografiche, Milano, Hoepli, 1927, rist. anastatica, Torino, Allemandi, 1991, pp. 55-56.

11 Sui gioielli Castellani ed i disegni di Michelangelo si vd. almeno I Castellani e l’oreficeria archeologica italiana, New York, The Bard Graduate Center for Studies in the Decorative Arts (2005); Londra, Somerset House (2005); Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, 2006, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, [2005].

Chapin, moglie di Roffredo, che diede vita prima a Parigi ad un importante salotto letterario e fondò la rivista «Commerce», e poi a Roma nel palazzo romano alle Botteghe Oscure, dove fondò anche la rivista «Botteghe Oscure» (a lei sono dedicati ben 4 contributi nel volume), senza peraltro trascurare le tre mogli straniere di Michelangelo, la polacca Calista Rzewuska, l’inglese Margaret Knight ed in particolare quella Harriet Ellis, autrice di memorie scritte in un tono colloquiale e semplice, ma non privo di interesse nell’ambito del genere memorialistico. Una lettura della storia della famiglia al femminile potrebbe credo fornire ulteriori elementi di interesse12

Lo stesso procedimento troviamo ancora, solo per fare un altro esempio, nelle pagine dedicate a Leone Caetani, famoso islamista, socio della Accademia Nazionale dei Lincei e promotore della Fondazione per gli studi Musulmani presso l’Accademia stessa, nei contributi di Caterina Fiorani e di Fulvio Tessitore. La figura scientifica ed umana di «uno dei Caetani più pensosi e chiaramente predisposti ad una vita di lavoro, di ricerca e di meditazione», come efficacemente dice L. Fiorani, emerge dall’analisi comparata dei vari autori: in primo luogo è messo in risalto il gusto per l’avventura e la curiosità per i mondi lontani, che si riscontrano anche nella figura del padre Onorato, impegnato ampiamente nella vita politica romana, che fu anche Presidente della Società Geografica Italiana. In Leone il gusto di avventura riflette un desiderio di conoscenza più che di evasione e si coniuga con un esercizio allo studio e al lavoro continuo e quotidiano; è poi messo in rilievo il legame intellettuale e umano con Giorgio Levi della Vida, sullo sfondo delle travagliate vicende familiari e delle ancor più dolorose vicende pubbliche che lo porteranno, con l’avvento del fascismo al lungo periodo di esilio volontario in Canada13. La storia privata di un matrimonio non felice, quello con Vittoria Colonna, donna assai lontana per indole ed interessi dal marito, come ci rivela ora anche la biografia più recente, con le notizie del suo breve amore per ‘il futurista’ Umberto Boccioni14, e di un nuovo rapporto di amore di Leone da cui nascerà la amata figlia Sveva, completano il ritratto dell’uomo e ci riportano anche ad un luogo, quella ‘soffitta del Palazzo alle Botteghe Oscure’, quella galleria lunga e stretta preceduta da un piccolo vestibolo al III piano del palazzo, dove era collocata la biblioteca e dove si svolgeva il suo quotidiano lavoro di ricerca.

12 Di un qualche interesse sono in questo senso anche le memorie della suocera di Michelangelo, Rosalie Rzewuska, raccolte dalla nipote Giovannella Caetani Grénier, figlia di Onorato: Mémoires de la comtesse Rosalie Rzewuska (1788 -1865), publiées par son arrière – petite fille Giovannella Caetani Grenier, Roma, Typ. Cuggiani, 1939, in part. II, pp. 455469 sul matrimonio tra Michelangelo e Calista avvenuto nel 1840, con giudizi poco positivi sul carattere del genero. Sulla figura della terza moglie del duca e sui cattivi rapporti con la famiglia, dopo la morte di Michelangelo vd. Ricordi, pp. 60-62 (Monsagrati). Per i legami della donna (la duchessaccia) con il nipote Leone, vd. v. colonna di sermoneta, Memorie, Milano, Treves, 1937, pp. 169-171.

13 g levi della vida, Fantasmi ritrovati, Vicenza, Neri Pozza, 1966, pp. 21-72.

Ho parlato all’inizio di uomini e luoghi, attribuendo a Luigi Fiorani una sorta di inversione gerarchica dei due temi nel piano dell’opera; ma il palazzo alle Botteghe Oscure ritorna prepotentemente nelle vicende degli ultimi Caetani, quello stesso palazzo tetro e privo di luce descritto da Vittoria Colonna, «in cui un eterno crepuscolo opprimente oscura le stanze, quel sepolcrale palazzo di famiglia» per il quale condivideva con il marito «una forte antipatia», e che alla fine abbandonò, dopo la morte del suocero nel 1917, per andare ad abitare nel Palazzo Orsini al Teatro di Marcello, da lei chiamato palazzo di Sermoneta15

Tra i figli di Onorato vorrei ricordare ancora almeno Gelasio Caetani, la cui figura viene tratteggiata nel contributo di Luigi Fiorani ed in quello di Caterina Fiorani; a lui sono dovuti, come è noto, i monumentali lavori sulla storia della famiglia, la Caietanorum Genealogia (1920), i Regesta Chartarum (1923-1932) ed infine i 3 volumi della Domus Caietana che si interrompono solo con la sua morte avvenuta nel 1934 e che hanno comportato il riordino della amplissima raccolta dei documenti di famiglia16 , lavori questi che gli valsero la nomina a socio per la Classe delle Scienze Storiche Filologiche dell’Accademia dei Lincei, sebbene la sua formazione

14 m caracciolo chia, Una parentisi luminosa. L’ amore segreto fra Umberto Boccioni e Vittoria Colonna, Milano, Adelphi, 2008.

15 colonna di sermoneta, Memorie, p. 45. Alle Botteghe Oscure vivevano oltre al suocero Onorato con la moglie Ada Bootle Wilbraham, i loro cinque figli e la figlia Giovannella che, sposata al barone belga Grénier, abitava presso i genitori per molti mesi con tutta la famiglia, restava però la maggior parte del tempo all’estero a fianco del marito ambasciatore. Il duca Onorato lasciò l’appartamento al piano nobile del palazzo alla propria vedova in usufrutto. La biblioteca di Leone, fu trasportata solo per breve tempo nel palazzo Orsini e passò poi all’Accademia dei Lincei: L’ Archivio Leone Caetani all’Accademia Nazionale dei Lincei, a cura di p. ghione - v. sagaria rossi, Studi e Documenti d’Archivio 11, Fondazione Camillo Caetani, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 2004. Leone in realtà non abitò nella nuova residenza con Vittoria, ma separato dalla moglie e dal figlio Onorato, andò a vivere in un villino sul Gianicolo con la nuova famiglia.

16 Sul ruolo di Gelasio nel riordinamento e sulle vicende dell’Archivio Caetani fino alla costituzione della Fondazione Camillo Caetani vd. da ultimo c. fiorani, Il fondo economico dei Caetani Duchi di Sermoneta, Roma, Fondazione Camillo Caetani, Edizioni di Storia e Letteratura, 2010 (Archivio Caetani 1), in part. pp. xxii-xxv fosse di tipo scientifico; era infatti ingegnere minerario e dopo la laurea conseguita a Roma, si perfezionò a Liegi e completò poi i suoi studi in America alla Scuola Superiore delle Miniere della Columbia University, conseguendo il diploma in un solo anno rispetto ai 4 previsti. Nel settore farà una carriera brillante e di successo, nonché proficua sul piano economico e imprenditoriale, partendo da semplice operaio. Nel breve profilo a lui dedicato Luigi Fiorani, ricordandone le importanti azioni militari durante la I Guerra mondiale sul Col di Lana e le varie tappe della sua attività politica di successo, che si concluderà con la nomina ad Ambasciatore d’Italia a Washington, lo definisce «il più dinamico, il più versatile degli ultimi Caetani» (p. 322).

Tra il 1898 ed il 1913 egli si occupò infatti anche di una serie di lavori di restauro e di consolidamento del Castello di Sermoneta, che documentò in un quaderno di appunti corredato da una notevole serie di schizzi e rilievi assai precisi, sebbene realizzati a memoria17 ed infine fu anche fotografo di buon livello e scultore (tavv. 10-11) ed espose alla Biennale di Venezia nel 1930 e nel 1932 e alla Quadriennale romana del 1935 opere in bronzo e in argento18

Non è questa certamente la sede per analizzare le altre figure di questa famiglia; ognuna a suo modo, segna il percorso di una straordinaria vicenda intellettuale che si conclude tragicamente con la morte in guerra dell’ultimo Caetani, Camillo, il figlio del compositore Roffredo e di Marguerite.

Luigi Fiorani ci ha condotto per mano attraverso delle storie alla storia, attraverso delle biografie che costituiscono una sorta di indice ragionato dei contributi a seguire, alla ricostruzione dell’ambiente artistico e culturale della società romana tra ’800 e ‘900 in aperto dialogo e confronto con la cultura europea, dando così ragione del sottotitolo solo apparentemente pleonastico del volume.

17 Su questi lavori a di falco, I restauri di Gelasio Caetani al Castello di Sermoneta, 1898-1913, in Sermoneta e i Caetani. Dinamiche politiche, sociali e culturali di un territorio tra medioevo ed età moderna. Atti del Convegno della Fondazione Camillo Caetani (RomaSermoneta 1993), a cura di l. fiorani, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 1999 (Studi e Documenti d’Archivio 9), pp. 599-615. Gelasio, in una nota sul frontespizio del quaderno di appunti, precisa che i disegni sono fatti a memoria e non sono quindi esatti nelle proporzioni e nei dettagli: Notizie ed informazioni raccolte da Don Gelasio Caetani riguardanti l’architettura del castello di Sermoneta, ed i restauri fatti ad esso durante gli anni 1898-190611-13. Scritto a bordo del vapore Carmania durante la traversata dell’Atlantico, 24 febbraio-4 marzo 1906, ff. 65 (AC Miscellanea 1257/781).

18 a. panzetta, Nuovo dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento. Da Antonio Canova ad Arturo Martini, Torino, Adarte, 2003, p. 189.

Mi piace chiudere questa breve presentazione con un’immagine che ho recuperato solo di recente nell’archivio fotografico della Fondazione che rappresenta Roffredo ancora adolescente ripreso sullo sfondo di una parete piena di libri accanto alla testa dell’Afrodite Caetani, la scultura antica forse più famosa della collezione appartenente già alla raccolta secentesca, che sembra poi seguire i percorsi e gli spostamenti di alcuni membri della famiglia per tornare poi definitivamente nel Palazzo alle Botteghe Oscure19. L’ immagine sembra ripresa nella biblioteca di Ersilia Caetani Lovatelli, che passò dopo la morte della contessa nel 1925, all’Accademia dei Lincei; la testa è identificabile in una fotografia della biblioteca (tav. 10b)20.

19 m. g. picozzi, La collezione di antichità: le raccolte dei Caetani sino al x VIII secolo, in Palazzo Caetani, soprattutto nota 71 a p. 282.

20 c fiorani, in Palazzo Caetani, p. 337.

ONORATO CAETANI «UOMO ENCICLOPEDICO E ILLUMINATO»

Del Settecento Europeo

«Il Caetani morì a Roma il 26 giugno 1797 [a 55 anni], senza che il suo nome trovasse migliore fortuna di qualche stanca e occasionale commemorazione presso le società accademiche di cui fu socio, lasciando soltanto la fama di «uomo enciclopedico» (Filippo Renazzi) e non quella dell’’uomo illuminato’ quale, pur tra ricorrenti contraddizioni, aveva sempre cercato di essere». Così si concludeva la voce dedicata a Onorato VI Caetani pubblicata da Luigi Fiorani sul Dizionario Biografico degli Italiani nel 1973. A Onorato, Fiorani aveva in precedenza dedicato due suoi lavori giovanili: un saggio apparso su «Studi Romani» nel 1967 e, soprattutto, la monografia edita dall’Istituto di Studi Romani e dalla Fondazione Camillo Caetani nel 1969, intitolata Onorato Caetani. Un erudito romano del Settecento, studi entrambi che per la prima volta utilizzavano ampiamente il materiale archivistico conservato nell’Archivio Caetani1. In precedenza su Onorato disponevamo infatti solo della voce compilata da Gelasio Caetani per la sua Genealogia (1920) e di un breve articolo di Pio Pecchiai apparso sulla «Strenna dei romanisti» nel 19642. Né più utile era la precoce biografia intellettuale premessa dall’abate vallombrosano Rodesindo Andosilla al primo, poi rimasto unico, volume delle Opere inedite e postume di mons. Onorato Caetani, dato alle stampe a Roma nel 1800, probabilmente presso la stessa piccola stamperia Caetani, opera giudicata da Fiorani «ampollosa» e «scorretta».

1 l. fiorani, Ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 16, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1973; id , Una figura dimenticata del Settecento romano L’ abate Onorato Caetani, «Studi romani», XV (1967), pp. 34-60; id , Onorato Caetani Un erudito romano del Settecento Con appendice di documenti inediti, Roma, Istituto di Studi romani, 1969.

2 Cfr. g. caetani, Caietanorum genealogia. Indice genealogico e cenni biografici della famiglia Caetani dalle origini all’anno 1882, Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1920, pp. 89 e segg.; p. pecchiai, Un enciclopedico prelato romano del Settecento, «Strenna dei romanisti», XXV (1964), pp. 387-394.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

È stato quindi merito delle ricerche di Fiorani aver segnalato agli studiosi un personaggio la cui biografia e sensibilità culturale, più forse della sua opera di scrittore, presentano molteplici aspetti di interesse non solo in sé ma come spia di tendenze presenti nel complesso mondo religioso ed erudito romano della seconda metà del Settecento. La ricerca di Fiorani si collocava in una nuova stagione di studi iniziata alla fine degli anni Sessanta, e in un certo senso mai conclusasi fino a oggi, che aveva al suo centro Vittorio Emanuele Giuntella, non a caso autore della Premessa al volume di Fiorani su Onorato, e che avrebbe avuto un primo esito generale nella monografia Roma nel Settecento, pubblicata dallo stesso Giuntella nel 19713. In quella sede il lavoro di Fiorani veniva segnalato, insieme allo studio del 1968 di Alberto Caracciolo su Passionei edito dalle Edizioni di Storia e Letteratura4, come esempio positivo di ricerca monografica su singoli personaggi che con la loro biografia mostravano il disagio spirituale che aveva attraversato Roma alla fine del Settecento, erodendo in taluni certezze e passività e portando, viceversa, in superficie «quanta insofferenza per le visuali ristrette e convenzionali e quanto travaglio vi [fosse] sotto la scorza esteriore nel mondo culturale e religioso romano». Secondo Giuntella, che scriveva sulla scorta di Fiorani, vi era in Onorato «un’ansiosa ricerca di superare gli schemi e le strutture della società in cui vive[va] e di aprirsi verso il mondo esterno ricercando i contatti con l’Europa colta del secolo»5.

Com’è noto il tema delle inquietudini religiose nella Roma dei papi nel corso del Settecento sarebbe stato uno dei campi di indagine privilegiati di Fiorani nei decenni successivi, sia attraverso le sue ricerche personali sia mediante l’organizzazione di convegni e numeri monografici della rivista «Ricerche per la storia religiosa di Roma»6.

3 v. e. giuntella, Roma nel Settecento, Roma-Bologna, Istituto di Studi romani-Cappelli, 1971. Su questa stagione di studi cfr. m. caffiero, Roma nel Settecento tra politica e religione. Dibattito storiografico e nuovi approcci, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (2000), pp. 81-100.

4 a caracciolo, Domenico Passionei, tra Roma e la repubblica delle lettere, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1968.

5 giuntella, Roma nel Settecento, p. 320.

6 Temi che altri tratteranno in questi atti, ma mi sia permesso di dire che proprio a partire da essi, e in particolare dalle vicende del Triennio 1796-1799, ebbi modo all’inizio degli anni Novanta di conoscere Luigi Fiorani, fonte inesauribile e generosa di indicazioni archivistiche, spunti di ricerca, ipotesi interpretative. I pomeriggi, tendenti alla sera, passati a discutere con lui nello studio presso la Fondazione Caetani alle Botteghe Oscure, di fronte alla sua grande scrivania solo apparentemente in perenne disordine, perché Luigi vi trovava poi tutto e di tutto, rimangono per me tra i momenti più importanti, sul piano scientifico e umano, della mia vita di studioso, che a Luigi molto deve.

Vediamo rapidamente i tratti salienti della biografia di Onorato Caetani. Nato a Roma il 17 dicembre 1742, da Michelangelo (1681-1759), duca di Sermoneta, e da Carlotta Ondedei Zonga (1721-1750) (tav. 12), nobile pesarese, «dama fornita di singolare vivacità di spirito, e che alle femminili doti quelle ancora aggiungeva di essere nelle scienze e nelle lettere versata assai più che a Donna si convenisse», come scrisse un misogino biografo ottocentesco di Onorato7. Carlotta ebbe una grande influenza negli anni della sua primissima formazione, trascorsi nella residenza dei Caetani sull’Esquilino. La precoce morte della madre all’età di soli 29 anni, rappresentò un grave trauma per l’ancora bambino Onorato che oltre a somigliarle fisicamente ne aveva assorbito la sensibilità culturale, compreso l’interesse per l’arte. Ricordiamo che Carlotta aveva anche ricevuto lezioni di disegno da Pompeo Batoni. Onorato fu così presto in diretto contatto con alcuni dei maggiori artisti della Roma dell’epoca. Non a caso, diventato uomo maturo, proprio a una straordinaria serie di ritratti egli consegnò la memoria della sua complessa, e inquieta, personalità di ecclesiastico per necessità – tiepido sul piano degli interessi teologici – e umanista per vocazione, costretto però a dissimulare i tratti più anticuriali e moderatamente illuministi della sua visione del mondo. Onorato, infatti, commissionò tre dipinti ai maggiori ritrattisti presenti a Roma: Anton Raphael Mengs (il ritratto è del 1779), Pompeo Batoni (1782) e Angelica Kauffmann (1783-1784)8 (tav. 12).

Scriveva Onorato, in una lettera del 1781 indirizzata a Fortunato Bartolomeo De Felice, personaggio con cui fu in stretta corrispondenza e su cui torneremo tra breve: «Mengs mi ha dipinto e letto nella mia fisiono- mia il carattere che vedete nelle lettere, Battoni mi ha dipinto con quella fisionomia con la quale io mi nascondo. Insomma Mengs mi ha dipinto come mi conosce M.r. De Felice, Battoni come mi conosce Roma»9. Una strategia di vita, questa del nascondimento, che s’incontra anche altre volte nelle fonti lasciateci dallo stesso Onorato. Ad esempio, in una lettera del 1782, indirizzata sempre a De Felice, Caetani affermava di aver fatto tesoro del consiglio del padre scolopio Urbano Tosetti su quanto fosse necessario «non dimostrare mai a Roma né la dottrina che si possiede né tutti i libri che si conoscono»10

7 f fabi montani, Ad vocem, in Biografia degli italiani illustri nelle Scienze, Lettere ed Arti del secolo x VIII, e de’ contemporanei …, per cura del professore e. de tipaldo, vol. IV, Venezia, Dalla Tipografia di Alvisopoli, 1837, pp. 500-505.

8 Sui ritratti di Onorato Caetani: s. roettgen, I ritratti di Onorato Caetani dipinti da Mengs, Batoni e Angelica Kauffmann, «Paragone», 19 (1968), pp. 52-71, da cui risulta anche il possesso da parte di Onorato di circa 84 disegni di Giuseppe Cades; la scheda di e r bowron sul ritratto batoniano, in Il Settecento a Roma, catalogo della mostra di Roma, Palazzo Venezia (10 novembre 2005-26 febbraio 2006), a cura di a. lo bianco e a. negro, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2005, p. 190; e quelle di a. negro sui ritratti della Kauffmann (ibidem, p. 228) e di mengs (ibidem, p. 242); l. barroero, Non solo “Milordi”. La società romana nei ritratti di Batoni, in Pompeo Batoni (1708-1787) L’ Europa delle Corti e il Grand Tour, a cura di l barroero e f mazzocca, catalogo della mostra di Lucca, Palazzo Ducale, 6 dicembre 2008 - 29 marzo 2009, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2008, pp. 86-95; s. roettgen, Batoni e Mengs a paragone, ibidem, pp. 126-139. Sulla commissione di Onorato ad Angelica Kaufmann di quattro ovali dipinti tra 1783 e 1784 (omaggi ad Ariosto, Tasso e Metastasio) con scene mitologiche, cfr. p. tomory, Angelika Kaufmann’s ‘Costanza’, «The Burlington Magazine», October 1987, pp. 668-669.

Nei ritratti, realizzati quando Onorato aveva rispettivamente 37, 40 e 42 anni, scorgiamo tre diversi caratteri: quello ufficiale del prelato in Batoni; quello del gentiluomo raffinato e vagamente salottiero nella versione della Kauffmann; e infine quello dipinto da Mengs, cronologicamente a metà strada tra gli altri due, che ci presenta un uomo nel cui sguardo ironico si coglie la luce di una intelligenza curiosa, quasi in cerca di un dialogo con lo spettatore al di fuori della retorica della rappresentazione ufficiale. Non v’è dubbio che fossero le prime due personalità quelle abitualmente mostrate in pubblico. Non a caso il già ciato Fabi Montani così descriveva l’aspetto di Onorato:

«Gradevole era la sua fisionomia, florida la carnagione, non alto della persona, di occhi vivaci, di forme regolari: tanta gentilezza dei modi era in esso lui, che chi mai non lo avesse veduto, al primo scontrarlo, avrebbelo preso per un nobilissimo cavaliere»11. La componente ribelle, e a tratti caustica, del suo carattere rimase sempre relegata alla dimensione privata dello scambio epistolare con corrispondenti con cui si sentiva intellettualmente in sintonia e di cui si fidava.

L’ anno dopo la morte della madre, nel 1751, quindi all’età di nove anni, Onorato entrò nel Collegio Nazareno dei Padri scolopi, di cui era rettore Giovanni Luca Bandini cui Michelangelo Caetani aveva raccomandato il figlio affinché gli fosse riservata una particolare cura. Alla paterna raccomandazione fece seguito una cospicua retta di 150 scudi annui. Il piccolo Onorato rimase «quasi in deposito dei padri delle Scuole Pie» per undici anni, fino al 1762, avendo tra i suoi maestri Martino Natali, che ne fu anche confessore, i padri Gaudio e Gherardi, e il già citato Tosetti, che a distanza di tempo, nel 1781, Onorato avrebbe ricordato con queste parole: «il Tosetti è stato mio maestro, è rimasto celebre per essere perseguitato da Clemente XIII come fautore e autore dell’odio che eccitava contro i gesuiti in quei tempi»12.

9 Roma, Archivio Caetani, misc., n. 113/1210.

10 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, lettera a F.B. De Felice, 2 ottobre 1782; cit. in fiorani, Onorato Caetani, p. 91.

11 fabi montani, Ad vocem, in Biografia degli italiani illustri, p. 504.

Gli anni trascorsi al Nazareno lasciarono un segno nella sua personalità e spiritualità. Presto Onorato rifiutò le posizioni più ortodosse in campo dottrinale e i costumi degli uomini di Curia, prediligendo le inquietudini, e gli interessi scientifici, degli scolopi, il rigorismo del circolo giansenista dell’Archetto, a cui anche i padri scolopi Natali e Tosetti erano legati, le nuove idee degli illuministi milanesi e napoletani13. Furono anni non privi di dolori e di amarezze familiari: la morte del padre nel 1759 e le incomprensioni col fratello maggiore Francesco (1738-1810), divenuto Duca di Sermoneta per volontà paterna sin dal 175714. Onorato è deluso dal comportamento del fratello, che non ne appoggia la carriera come egli aveva sperato e anzi, a suo dire, in varie maniere lo aveva perfino danneggiato economicamente. Di questi contrasti siamo a conoscenza, in particolare, da una Memoria segreta del 1775 scritta in terza persona da Onorato, da cui risulta che, anche in virtù di un errore involontario del padre nel formulare il testamento, Francesco aveva potuto per anni, anche dopo la maggiore età di Onorato (21 anni), rifiutarsi di fornirgli l’appannaggio di 1000 o 1200 scudi l’anno (a seconda che egli avesse deciso di vivere in casa o fuori) che gli sarebbe spettato. Inoltre l’aveva escluso da altri diritti su alcuni immobili, in particolare la Villa di famiglia presso Cisterna. Così per anni, circa fino al 1767-1768, «egli non [ebbe] appartamento, e viveva alla dozzina con 30 scudi al mese, co’ quali doveva pensare a vestirsi, a cioccolata, a lumi etc. e a pagare anche un suo parrucchiere»15.

Intanto nel 1762, uscito dal Collegio Nazareno, Onorato aveva optato, senza particolare vocazione interiore, per la carriera ecclesiastica. Non prese mai i voti maggiori. Nel dicembre 1764 conseguì la laurea in utroque iure alla Sapienza. Anche gli anni successivi furono caratterizzati da intensi studi, condotti nelle principali biblioteche romane, oltre che da viaggi, da rapporti epistolari o dalla conoscenza diretta di eruditi e bibliotecari italiani e stranieri. Studiò l’‘elettricismo’, sulla scia degli esperimenti condotti nel 1746 al palazzo Caetani alle Botteghe Oscure dal fisico di Lipsia Johann Winkler, entrando in contatto col padre scolopio Giambattista Beccaria, celebre astronomo dell’Università di Torino. Studiò anche botanica, frequentando la scuola del padre Francesco Maratta al Gianicolo; il latino con Benedetto Stay e il greco con Raimondo Cunich; la musica; il francese e l’inglese, lingue che arrivò anche a scrivere correntemente.

12 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, lettera a F. B. De Felice dell’1.12.1781; cfr. fiorani, Onorato Caetani, pp. 15 e 16n.

13 Sugli scolopi, in generale m. rosa, Spiritualità mistica e insegnamento popolare. L’ Oratorio e le Scuole Pie, in Storia dell’Italia religiosa, vol. 2, a cura di g. de rosa e t. gregory, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 271-302.

14 Francesco prese possesso del Ducato di Sermoneta il 7 giugno 1760. Un giudizio severo sulle sue capacità di ‘governo’ del feudo in l fiorani, voce Caetani, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 16, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1973: «nel momento in cui sarebbe stata necessaria una guida salda e illuminata per rinnovare un patrimonio e uno Stato ancora cospicui, il C. non fu in grado di far fronte alle molte difficoltà in cui il feudo di Sermoneta già dai primi del Settecento si dibatteva».

15 Cfr. Roma, Archivio Caetani, Memoria segreta del 1775, n. 203773.

Tra l’inizio degli anni Sessanta e i primi Settanta, il ventenne Onorato frequentò il Circolo dell’Archetto che si riuniva al Palazzo del cardinale Neri Corsini alla Lungara, attorno alle forti personalità di Pier Francesco Foggini e Giovanni Gaetano Bottari, luogo d’incontro di molti personaggi di spicco della Roma religiosa ed erudita, da Domenico Passionei al card. Giuseppe Garampi. Va ricordato che Onorato era imparentato con il «padrone di casa», il cardinale Neri Corsini, nipote di Clemente XII e segretario del Sant’Uffizio, visto che la sorella di questi, Teresa, aveva sposato nel 1757 il fratello Francesco Caetani.

Siamo in una fase ancora di formazione di Onorato, da cui non ci si può aspettare quindi un contributo originale all’articolata discussione in corso all’interno del fronte riformatore, né forse una matura adesione agli ideali di rinnovamento dell’Archetto ma, ha osservato Fiorani, «è certo che le autorevoli amicizie e gli orientamenti dominanti in quell’ambiente non dovettero rimanere senza influenza negli atteggiamenti di insofferenza anticuriale che egli tenderà a manifestare soprattutto negli anni della maturità»16.

Il percorso formativo di Onorato Caetani fu però arrestato, intorno al 1770-1771, da una malattia su cui poco sappiamo ma che certamente lo fece cadere in una condizione di profonda prostrazione fisica e mentale, costringendolo a lasciare Roma per trasferirsi, per diversi mesi, nelle residenze di famiglia, prima a Bagnaia, nel viterbese, dove restò circa sei mesi, e poi ad Albano nella salubre zona dei Castelli Romani. Ad accompagnarlo, inizialmente, è il medico Camillo Corona, credo da identificare nel futuro leader del movimento repubblicano romano di fine secolo17. Corona scrisse al duca

16 fiorani, Ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani

17 m themelly, Ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 29, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1983. Le prime notizie certe dell’attività di medico del Corona, di cui ignoriamo la data di nascita e molti elementi della biografia, risalgono al carteggio con il celebre collega napoletano Domenico Cotugno, iniziato nel 1788, ma sappiamo che all’epoca in cui si occupava della salute di Onorato era ormai già un affermato medico al ritorno nella capitale pontificia Onorato si mise all’opera, questa volta in accordo e con l’appoggio del fratello Francesco, per creare una grande raccolta di libri e manoscritti nel palazzo dei Caetani alle Botteghe Oscure. Con lucidità Onorato perseguì l’obiettivo di dare un profilo particolare alla raccolta di testi a stampa e manoscritti, prefiggendosi di formare, come scriveva nel 1780 al bibliotecario fiorentino Domenico Manni, «una biblioteca tutta di autori postillati e studiati da grand’uomini, o di manoscritti, e di trascurare i stampati semplici. In una città come è Roma ove si abbonda di biblioteche bisogna pensare a un’idea non comune per rendere la raccolta di libri particolari. Io già mi trovo ad averne una copiosa raccolta, e ne ho uno postillato da Torquato Tasso che meriterebbe di stare nella biblioteca del re di Francia, o Medicea, o Vaticana»21

Francesco delle «maliconie pericolose» di cui soffriva il fratello, delle lunghe giornate che egli trascorreva nel più completo isolamento18.

Tornarono ad affacciarsi i problemi col fratello duca Francesco che da Roma, più che interessarsi della sua salute fisica, sollecitava, forse più del dovuto, le persone che si occupavano di Onorato per spingerlo a ottemperare ai precetti religiosi, cui egli sembrava invece disinteressarsi. Ma, soprattutto, durante l’assenza da Roma i beni personali di Onorato vengono fatti sparire o venduti dal fratello. Almeno ciò è quanto risulta dalla già citata Memoria del 1775: «i libri gli furono messi a soqquadro e venduti alla peggio, e il provento dei quali andò in saccoccia di chi li vendeva, carte di interessi, di memorie, di studi, tutto abbruciato»19.

Il ‘furto’ fu ovviamente per Onorato motivo di ulteriore tristezza e delusione verso il fratello. Malgrado ciò riuscì a riprendersi, almeno fisicamente. Ritrovate le forze, e su consiglio dei medici, nel corso del 1774 intraprese un viaggio nell’Italia meridionale che lo portò a Napoli e in Sicilia, da cui partì alla volta di Malta. Viaggiò come un grandtourist del Settecento, attento non solo all’arte ma anche alla dimensione sociale delle città e delle terre visitate, agli aspetti linguistici, come ci mostrano le sue Osservazioni sulla Sicilia date alle stampe nel 1774. Nel settembre del 1775 si diresse invece verso nord, toccando Firenze, Imola, Bologna, Parma, Milano. Muovendosi controcorrente rispetto al pellegrinaggio giubilare in cui nello stesso 1775 erano impegnati i fedeli che da Settentrione giungevano nella ‘città del papa’, Onorato lasciò quindi Roma per incontrare eruditi come il Bandini, essere ricevuto in udienza dal granduca Pietro Leopoldo, discutere a Imola col vescovo Bandi di progetti di bonifica delle paludi Pontine. Infine a Milano conobbe Cesare Beccaria, Alessandro Volta, Carlo de Firmian e Pietro Verri, con cui rimase in contatto epistolare negli anni successivi, discutendo anche criticamente le sue teorie sull’Indole del piacere e del dolore 20 .

Forte della rete di contatti stretta tra bibliofili e bibliotecari in tutta Italia, ma anche a Parigi e in Svizzera (Yverdon), avvalendosi degli agenti di casa Caetani a Napoli e delle conoscenze acquisite nel mondo dei librai romani, curante di membri dell’aristocrazia romana, tra cui evidentemente figuravano i Caetani. Morirà nel 1817.

18 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, C. Corona al duca Francesco, 30 settembre 1770.

19 Roma, Archivio Caetani, Memoria segreta 1775.

20 Tre lettere del carteggio Caetani-Verri conservate presso l’Archivio Caetani di Roma in fiorani, Onorato Caetani, pp. 106-112. Su Pietro Verri: c. capra, I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri, Bologna, il Mulino, 2002.

I risultati raggiunti furono all’altezza delle intenzioni. Pur non disponendo di un catalogo esaustivo della Biblioteca Caetani al momento della morte di Onorato, dal lavoro di Fiorani e dalle più recenti ricerche di Donatella Fioretti, condotte su un catalogo molto accurato e compilato intorno al 1811, siamo a conoscenza di dati quantitativi e qualitativi che ci consentono di considerarla come una raccolta libraria e di manoscritti di rilevanza internazionale, a partire dalla quale Onorato poté fornire consigli su testi rari a celebri studiosi come Buffon, De Lalande e Robertson. Si trattava di una biblioteca in cui ad essere privilegiati erano i testi a carattere storico, scientifico, artistico e letterario (numerosi romanzi e novelle a sfondo scientifico o filosofico), mentre inferiore rispetto ad altre biblioteche private romane e dello Stato della Chiesa appare il numero di testi religiosi, pur consistente, e, soprattutto, assai rari erano i testi giuridici 22. Era possibile incontravi i testi di Leibniz, Bayle, Locke, Mandeville, solo per fare alcuni esempi cari alla cultura dei Lumi. Piacevano meno agli accigliati censori presenti in Curia il cui potere di intervento era però relativo nella stessa capitale pontificia, in cui intorno al 1780 poteva capitare di imbattersi in testi di Montesquieu e Giannone sulle carrette dei venditori ambulanti o sui ‘muriccioli’, aggirando le regole della corporazione dei Librai e, in parte, il controllo di Indice e Sant’Uffizio23.

21 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, 15 luglio 1780. Citata in d. fioretti, La cultura dei Lumi nelle biblioteche nobiliari alla vigilia della Rivoluzione, in La rivoluzione nello Stato della Chiesa. 1789-1799, a cura di l. fiorani, atti del convegno di Roma, Palazzo Sturzo (1990), Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 1997, pp. 173-229, in part. p. 201.

22 fioretti, La cultura dei Lumi, pp. 198 e 203. Nel catalogo, conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (Chigi, T. IV. 5), i testi, ordinati nelle cinque categorie disciplinari settecentesche, erano così suddivisi (tra parentesi per un confronto i dati delle due biblioteche romane Chigi e Giustiniani): Religione 17,8 % (Chigi 31,1; Giustiniani 5,6); Diritto 1,2% (Chigi 21,8; Giustiniani 0.9); Storia 25,4% (Chigi 19,8; Giustiniani 30,8); Scienze e Arti 17% (Chigi 13,9; Giustiniani 22,7); Lettere 38,6% (Chigi 13,4; Giustiniani 40).

Sempre in accordo col fratello, Onorato partecipò al progetto e alla realizzazione della Specola Caetani, un osservatorio astronomico allestito nel 1778 tecnologicamente avanzato, dotato ad esempio di un raro sismometro a mercurio, un’avventura intellettuale cui prese parte il padre domenicano Giovanni Battista Audifreddi, bibliotecario casanatense, e che coinvolse anche l’ex gesuita Ruggero Boscovich. Primo direttore ne fu l’abate Luigi De Cesaris, un giovane che i Caetani avevo sostenuto negli studi a Pisa presso l’astronomo Giuseppe Antonio Slop de Cadenberg 24. Il compito dell’Osservatorio era di misurare quotidianamente «il vento, la precipitazione atmosferica, la temperatura e la pressione», cosa che avvenne regolarmente a partire dal 178525

Bibliofilo di livello europeo, scienziato dilettante ma non privo di estro, Onorato fu invece a detta di molti scrittore mediocre e che poco dette alle stampe. Quando alla sua morte Francesco Cancellieri, per volontà del duca Francesco, consultò e mise ordine tra i suoi scritti, se da un lato ne lodò l’ampiezza di erudizione e di interessi, dall’altro sentenziò che per il loro carattere disorganico nulla v’era da pubblicare. Oltre le Osservazioni sulla Sicilia vanno comunque ricordate la Lettera al sig. avv. Giuseppe Galanti per servire di supplemento al tomo IV della Raccolta degli scrittori napoletani (Roma, s.d.); la Lettera al sig. abate Francesco Cancellieri editore del frammento liviano (Roma 1781); e, soprattutto, due opere legate alla realtà contemporanea: l’Orazione in morte dell’Imperatrice Maria Teresa Walburga di Austria (Napoli, per Vincenzo Mazzola, 1780) e l’Elogio storico di Carlo III (Napoli, Stamperia Reale, 1789), da cui emergono gli interessi storici e le simpatie per l’assolutismo illuminato di Onorato.

23 Cfr. l. fiorani, Aspetti della crisi religiosa a Roma durante la Repubblica giacobina, in id , La rivoluzione nello Stato della Chiesa, pp. 253-297, in part. p. 258, che cita un interessante Progetto per favorire il commercio librario di Roma, inviato nel 1780 dal padre Francesco Antonio Zaccaria a Pio VI (BAV, Vat. lat., 9198, f. 389).

24 Effemeridi astronomiche …. Calcolate al mezzogiorno tempo vero nel meridiano di Roma ad uso della specola Gaetani, bollettino pubblicato a partire dal 1785. Sulla specola Caetani: g. monaco, La Specola Caetani, «Studi Romani», 1983, pp. 13-33; r. buonanno, Il cielo sopra Roma. I luoghi dell’astronomia, Milano, Springer, 2008. Con la specola durante la Repubblica Romana collaborò Feliciano Scarpellini, membro dell’Istituto Nazionale.

25 Dal 1784 la direzione della specola era passata all’ex carmelitano, secolarizzatosi nel 1770, Atanasio Cavalli. Al Collegio Romano le rilevazioni barometriche erano cominciate già nel 1782. Cfr. fiorani, Onorato Caetani, pp. 84-90; h. gross, Roma nel Settecento, RomaBari, Laterza, 1990, p. 297. Sulla scienza a Roma: a. romano, Il mondo della scienza, in Roma moderna e contemporanea, a cura di g ciucci, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 275-305.

Più importante, ma ancora in parte da studiare, è il ruolo svolto da Onorato nelle «Efemeridi letterarie» di Roma. In un saggio del 1997 Marina Caffiero riassumeva così le vicende della nascita e della direzione di questo importante giornale, pubblicato con cadenza settimanale dal 1772 al 1798: «promotore e, soprattutto, finanziatore dell’impresa [fu] il consigliere Giovanni Ludovico Bianconi. Questi fu coadiuvato nella stesura materiale del giornale dapprima dall’abate Giacinto Ceruti, fino al n. XVII del 1775, e poi dall’abate Vincenzo Bartolucci, fino a tutto aprile del 1778. Successivamente, il peso della redazione ricadde sull’abate Gioacchino Pessuti, che lo mantenne fino alla fine del giornale e che, dopo la morte del Bianconi, nel 1781, ne assunse la direzione. Tra i collaboratori, però, un ruolo rilevantissimo fu giocato anche dall’abate Giovanni Cristofano Amaduzzi, assai legato a Bianconi di cui era conterraneo»26.

Se allarghiamo lo sguardo ai collaboratori scorgiamo persone legate da amicizia ad Onorato: come il padre minimo François Jacquier e l’astronomo Atanasio Cavalli, che come si è detto diresse dal 1784 la Specola Caetani. Nel complesso si tratta di personaggi tutti ascritti all’Arcadia (Onorato col nome di Iblesio Euripiliano) nella fase di rinnovamento apertasi con l’elezione a custode generale di Gioacchino Pizzi, momento di passaggio nella storia arcadica dalla tradizione idilliaco-evasivo-pastorale al gusto neoclassico e a un moderato spirito illuminista 27 .

Il ruolo svolto da Onorato nelle «Efemeridi letterarie» dovrà essere ulteriormente indagato ma alcuni dati sono già emersi. Caffiero ha ricordato i problemi che i nuovi ritmi e metodi di lavoro di un giornale settimanale ponevano a persone come Onorato Caetani abituate a più tradizionali modalità 28 . Sul giornale della Società letteraria Volsca Veliterna, di cui era membro, in una commemorazione pubblicata nel 1837, Onorato veniva ricordato come colui: «che in Roma promosse ed animò quel giornale letterario-scientifico, che intitolarono Effemeridi»29. Dalle ricerche di Serenella Rolfi Ožvald sull’ambiente artistico ed erudito romano emerge una polemica, che coinvolse Onorato, partita proprio da un suo contributo apparso sul giornale30

26 m. caffiero, Le «Efemeridi letterarie» di Roma (1772-1798). Reti intellettuali, evoluzione professionale e apprendistato politico, in Dall’erudizione alla politica. Giornali, giornalisti ed editori a Roma tra xVII e xx secolo, a cura di m caffiero e g monsagrati, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 1 (1997), pp. 63-102 (parte monografica della rivista poi ripubblicata in volume autonomo con lo stesso titolo: Milano, FrancoAngeli, 1997). Qualche notizia in f. tarzia, Libri e rivoluzioni. Figure e mentalità nella Roma di fine ancien régime (1770-1800), Milano, FrancoAngeli, 2000, pp. 181-217. Sugli ambienti culturali romani (personaggi, temi, luoghi e forme della sociabilità) è fondamentale lo studio di m p donato, Accademie romane. Una storia sociale (1671-1824), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000.

27 Cfr. a nacinovich, Il sogno incantatore della filosofia. L’ Arcadia di Gioacchino Pizzi, Firenze, Olschki, 2003.

28 Vedi anche g. cavazzuti, Tra eruditi e giornalisti del secolo x VIII (G. Tiraboschi e il “Nuovo Giornale de’ Letterati”), «Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie Modenesi», s. VII, vol. III, 1924, pp. 31-134, in part. p. 37.

Infatti nel 1781 Onorato pubblicò sulle «Efemeridi letterarie», in forma anonima ma non vi sono dubbi sull’attribuzione, una recensione stroncatura alla edizione bodoniana delle Opere di Mengs curata da José Nicolás de Azara, l’erudito rappresentante diplomatico della corona spagnola a Roma, il quale reagì con parole di fuoco in una lettera a Bodoni del 26 aprile 1781, in cui descriveva un Onorato Caetani inedito sul piano dei legami culturali e religiosi, in quanto circondato come collaboratori da ex gesuiti, oltre a un riferimento alla sua salute mentale che forse non era solo una cattiveria ma alludeva a una certa fama di ‘matto’ che Onorato continuava a portarsi dietro31:

Il matto Mons. Caetani ha due o tre di questi animali neri in qualità di suoi ajutanti di studio, e costoro hanno creduto che gli si era presentata una buona occasione di darmi questa piccola sgraffiata lojolitica (…) Conosco tutta questa gabola di gesuiti effemeridisti e la disprezzo come meritan, poiché, mi creda lei, sono scarsi assai di sapere, e anche di senso comune. Sono eternamente obbligato al Signor Conte Rezzonico [Gastone della Torre di Rezzonico presidente dell’Accademia di Parma] dell’impegno che si è preso di confutar questa ciurma 32 .

29 Elogio di mons. Onorato Caetani letto da Clemente Cardinali segretario dell’Accademia, in Atti della Società Letteraria Volsca Veliterna, vol. II, Velletri, Tipografia di Domenico Ercole, 1837, pp. 243-246, cit. p. 246.

30 Ringrazio serenella rolfi ožvald per avermi segnalato le notizie su Caetani e Azara cui faccio riferimento nel presente saggio prima della pubblicazione del suo volume: “Agli Amatori delle belle arti. Gli Autori”. Il laboratorio dei periodici a Roma tra Settecento e Ottocento, Roma, Campisano, in stampa nel 2012.

31 Sulla recensione, cfr.: g cantarutti, Mengs in Arcadia. Prospezioni e prospettive in Gusto dell’Antico e cultura neoclassica in Italia e Germania, atti del convegno di Villa Vigoni (Loveno di Menaggio, 25-26 novembre 1998), a cura di f. la manna, Rende, Centro editoriale Università della Calabria, 2006, pp. 23-42, in partic. p. 41 e note 73 e 74: «Il recensore è il già ricordato Onorato Caetani; muove le sue critiche, dà però prova evidente di una perfetta conoscenza della materia»; s roettgen, Anton Raphael Mengs 1728-1779, Band 2, Leben und Wirken, München, Hirmer Verlag, 2003. Su Azara: j jordán de urríes y de la colina, José Nicolás de Azara, protector de las Bellas Artes, in Spanien und Portugal im Zeitalter der Aufklärung, a cura di ch. frank, Frankfurt am Main, Vervuert, 2002, pp. 81-97.

32 Lettera cit. in d. levi, Il ‘Codice del Buon gusto’: appunti sui rapporti fra Bodoni e l’editoria storico-artistica, in Bodoni: l’invenzione della semplicità, a cura di a ciavarella, Parma,

Ovviamente si deve stare attenti nel valutare queste parole, dettate dalla rabbia, consegnate a una lettera privata e uscite dalla penna di un personaggio, il de Azara, incline a una certa radicalità di giudizio. Tuttavia varrebbe la pena di approfondire meglio la questione, visto che nel 1787 Azara, scrivendo a Rezzonico, continuava a definirlo come «pubblicamente riconosciuto per demente» e aiutato da «tre ex-gesuiti che l’assistono nelle sue composizioni»33.

Fin qui la biografia intellettuale di Onorato. Ma parallelamente si svolsero le vicende, sfortunate, dei suoi vani tentativi di salire i gradini della carriera ecclesiastica. Dopo un inizio relativamente promettente – nel 1764 è abate mitrato dell’abbazia dei SS. Pietro e Stefano a Valvisciolo e l’anno dopo reggente della Cancelleria, nel 1772 viene nominato da Clemente XIV Protonotario apostolico non partecipante –, i suoi progetti di accedere a una nunziatura fallirono determinando profonde frustrazioni.

Tornando alla serie di ritratti con cui abbiamo iniziato, è qui il Caetani prelato raffigurato da Batoni che vediamo in azione, che cerca di attivare, anche con insistenza, i canali familiari con la corte di Napoli e quelli, familiari e personali, nella Curia romana per ottenere prima, nel 1779, la nunziatura a Napoli e poi, sfumata anche la possibilità di una prepositura della cappella Sistina in S. Maria Maggiore, la nunziatura di Francia nel 1782, tentativo vanificato dall’intervento presso Pio VI del fratello, preoccupato dalle ingenti spese da affrontare per il mantenimento di Onorato a Parigi. Di nuovo contrasti col fratello, quindi. Ancora in una lettera del 27 settembre 1795 inviata da Frascati al duca Francesco, con cui forse si era nel frattempo in parte riappacificato e in cui chiedeva un intervento a suo favore presso il Segretario di Stato per essere nominato Maestro di Camera, Onorato ricordava che in passato egli avrebbe dovuto essere Nunzio di Francia, una ferita mai rimarginata per il suo orgoglio, forse il momento di svolta, in negativo, della sua vita, delle sue aspirazioni a superare l’ambiente romano, cui era sempre più insofferente, e proiettarsi definitivamente in una dimensione europea.

Quella dimensione che, viceversa, troviamo operante nel suo carteggio, conservato oggi presso l’Archivio Caetani. Come ha osservato Fiorani: «Più che nelle realizzazioni pratiche, l’impegno e le posizioni culturali del Caetani prendono forma nel folto carteggio epistolare. Corrispondenti di molta risonanza talvolta (come Pietro e Alessandro Verri, il Metastasio e il Tiraboschi, il de Lalande, il p. Boscovich, il Frisi), ma spesso personalità minori dell’erudizione e dell’antiquaria settecentesca, compongono l’ideale ‘société d’esprits’ in cui il Caetani venne diffusamente raffigurando dapprima le sue delusioni per la mediocrità culturale della società romana della seconda metà del secolo, poi la sua convinta simpatia per gli orientamenti di fondo della società e del pensiero illuministico europeo»34

Guanda, 1990, pp. 33-54, in partic. pp. 33 e 45. Sui rapporti tra Azara e i gesuiti a Roma: n. guasti, L’ esilio italiano dei gesuiti spagnoli. Identità, controllo sociale e pratiche culturali, 1767-1798, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006, p. 223, n. 249.

33 Cfr. rolfi, “Agli Amatori delle belle arti. Gli Autori”, pp. 244-245 nota 101 delle bozze.

Credo vada sottolineata la presenza in questo folto gruppo di corrispondenti di Fortunato Bartolomeo De Felice, personaggio dalla biografia quasi romanzesca. Nato a Roma nel 1723 da un modesto calderaio di origine napoletana, avviato agli studi nel Collegio Romano, entrò poi nell’ordine dei minori riformati e fu chiamato a Napoli per ricoprire una cattedra di fisica sperimentale e matematica. Nel 1756 la svolta nella sua vita. S’innamora della nobildonna romana Agnese Arquato, sposata al conte Panzutti e rinchiusa in convento per dissapori col marito, la rapisce e fugge con lei in Francia e in Svizzera. I due fuggiaschi sono però costretti a rientrare in Italia per mancanza di mezzi e vengono arrestati a Genova. La donna torna in convento, mentre De Felice, inviato a Roma, se la cava con una pena mite. Ma ormai non riesce più a sopportare la regola religiosa né ad accettare l’allontanamento dall’insegnamento. Nell’aprile del 1757 scappa dal cenobio francescano della Verna, nel Casentino. Come ha osservato Stefano Ferrari: «nell’isolato e austero eremo toscano, il frate matura in maniera irreversibile la definitiva rottura con la vita claustrale e la religione cattolica»35. De Felice si reca quindi a Berna dove, l’anno successivo, si converte al protestantesimo ed entra nella cerchia di Albrecht von Haller. Nel 1762 fonda a Yverdon una tipografia destinata a diventare una delle più famose in Europa, dotata di sei torchi e circa una trentina di lavoratori. Con essa pubblica, tra 1770 e 1780, la monumentale Encyclopédie, ou Dictionnaire universel raisonné des connoissances humaines, più semplicemente detta Encyclopédie d’Yverdon, composta da 42 volumi, cui vanno aggiunti 6 volumi di supplementi, e 10 volumi di tavole, per un totale di 37.378 pagine e 1.200 tavole. Tra gli autori figurano lo stesso Haller, Lalande e padre Barletti, professore di fisica a Pavia. Si tratta di un’opera in cui lumi e pietismo si fondono anche grazie

34 fiorani, Ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani a un uso disinvolto di testi altrui, a cominciare da Rousseau, che De Felice copia, parafrasa, stravolge per poi firmare il tutto come scritto di suo pugno. Non a caso il giudizio di Voltaire su di lui non fu certo tenero. Nelle loro lettere De Felice e Caetani discutono di tutto, sempre in francese, e l’ex francescano è pieno di ammirazione per il suo corrispondente romano. Gli scrive nel 1780: «J’ai eté enchanté de voir un jeune prince romain, et ecclésiastique, raisonner en philosophie politique comme un des plus grands hommes de l’Europe»36. Forse, proprio nel rapporto con De Felice, Onorato Caetani riuscì a spingersi dove nel resto della sua vita non osò mai arrivare. Forse egli vide in De Felice, partito come lui da Roma e dalla Chiesa romana, colui che proprio per la siderale distanza della sua biografia successiva costituiva una sorta di modello, irraggiungibile nella realtà ma almeno sfiorabile nella virtualità dello scambio epistolare. Con lui Onorato si aprì come con nessun altro, a tratti spaventato dalla sua radicalità e contemporaneamente attiratone. Il carteggio ci rende questo singolare sodalizio intellettuale tra un nobile romano che per l’intera vita rimase, malgrado tutto, fedele a Roma e al suo status di prelato, che visse sempre tra la capitale pontificia, i feudi sermonetani di famiglia e Napoli, che tutto sommato poco viaggiò e poco pubblicò, e un ex frate passato al protestantesimo, autore ed editore bulimico, la cui stessa vita costituiva uno scandalo per Roma, dalla scelta eretica agli amori vorticosi: tre matrimoni e tredici figli.

35 s ferrari, La conversione «filosofica» di Fortunato Bartolomeo De Felice, in Illuminismo e protestantesimo, a cura di g cantarutti e s ferrari, Milano, FrancoAngeli, 2010, pp. 87-105, cito da p. 90. Su De Felice vedi anche: t. r. castiglione, Fortunato Bartolomeo De Felice tra Voltaire e Rousseau, in Studi di Letteratura e Filosofia in onore di Bruno Revel, Firenze, Olschki, 1965, pp. 155-178; g. peirone, Ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 33, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1987.

De Felice morì nel 1789. Onorato si ritrovò senza il suo punto di riferimento più radicale proprio nel momento in cui la Rivoluzione poneva nuovi orizzonti, e con essi nuovi interrogativi, a quanti guardavano alle cose del mondo da Roma. Di fronte alla novità della Rivoluzione francese, Caetani certamente non sposò il partito dell’opposizione intransigente, incardinata nei cardinali zelanti e nel «Giornale Ecclesiastico di Roma», ma d’altra parte sembra come smarrirsi di fronte alla portata degli eventi e alle sue conseguenze dirette per Roma. Per quel che sappiamo non entrò in contatto con gli ambienti che a Roma, già prima della Repubblica, simpatizzavano, anche attivamente, con la Rivoluzione e tra cui, ad esempio, militava il suo ex medico Camillo Corona. Nell’estate del 1796, dopo l’invasione francese avvenuta nel giugno delle Legazioni emiliano-romagnole e la stipulazione dell’armistizio di Bologna, con le sue impegnative clausole, scrisse al fratello Francesco (la lettera è del 30 agosto):

Qui si sta in gran confusione (…) Si sono domandate dai Francesi anzi scelte e segnate come io le ho vedute 87 statue le migliori di Roma, non ne rimane delle sublimi neppure una. Questa notte è partito l’altro miglione di contribuzione ed il primo è stato già consegnato a Bologna. Non vi è più un candeliere d’argento in niun luogo. Addio37.

Nessun giudizio politico o teologico sulla Rivoluzione, ma solo la preoccupazione di un amante dell’arte di fronte ai rischi che stava correndo il patrimonio artistico romano. Poche righe dopo, le preoccupazioni dello studioso e del bibliofilo chiudono la lettera con la richiesta al fratello di procurargli a sue spese 15 volumi di una Storia di Venezia. Di fronte a cambiamenti troppo drastici e repentini, l’erudito sembra rinchiudersi in se stesso e nei suoi studi. Pochi anni prima da Napoli, dove si trovava per seguire da vicino la stampa del libro su Carlo di Borbone, in una lettera del 30 gennaio 1790, dopo l’ennesimo parallelo negativo per Roma con Napoli – «qui la letteratura è molto più stimata di Roma ove comandano barbagianni poveri, e sciocchi preti!» –, Onorato mostrava di avere le idee confuse su quanto stava avvenendo a Roma, enfatizzando i rischi connessi con l’affaire Cagliostro e immaginando scenari apocalittici da cui prendeva le distanze:

Questa commedia di Cagliostro, e di quei matti che sono (…) con lui come andrà a finire? (…) In somma è vero che Roma dovea divenire di nuovo una Repubblica, incarcerarsi il Papa, e avanti il carro di Cagliostro nuovo tribuno della plebe trionfatore dovevano precederlo prigionieri i cardinali. Ma che tutto è terminato colla congiura scoperta. Evviva si continuerà ad ubbidire al Papa 38

Una amara e ironica constatazione, quella finale? La morte che lo colse nel giugno 1797, quindi sei mesi prima che la tragica fine del generale Duphot a Roma facesse precipitare gli eventi portando, nel febbraio 1798, alla proclamazione della Repubblica Romana, impedì un diretto confronto di Onorato con la rivoluzione e a noi di sapere come si sarebbe comportato nella nuova Roma ‘francese’, periodo breve, ma non effimero, di disvelamento di posizioni politiche e religiose fino ad allora relegate alla clandestinità dei circoli patriottici e massonici o alla dimensione interiore delle coscienze individuali. Certamente sulla possibilità di una rivoluzione e sul tramonto del modello monarchico assoluto a vantaggio di quello repubblicano democratico Caetani aveva riflettuto, né avrebbe potuto essere altrimenti visti gli autori che leggeva e la tipologia dei suoi interlo- cutori epistolari. Sono interessanti, da questo punto di vista, le osservazioni di Donatella Fioretti che partono in particolare da una lettera inviata nel 1784 da Onorato all’amico De Felice, in cui riflettendo sul «système de la République des lettres des nos jours» il Caetani osservava:

37 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, lettera al duca Francesco Caetani, 30 agosto 1796: cit. in fiorani, Onorato Caetani, p. 90.

38 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, 30 gennaio 1790.

Chaque auteur a pris pour son objet la liberté. Raynal liberté de commerce, Voltaire liberté d’égalité, Helvétius liberté d’actions, Encyclopédie, arts et métiers; c’est-àdire existence agréable (…) Tout cela ne va préparer une révolte entière politique sur le Globe ? Ne pourraient pas être ces auteurs les préliminaires du Gouvernement Républicain qu’un jour on introduira dans le Globe?39.

Commentando queste parole di Onorato, Fioretti ha rilevato come:

Pensare la rivoluzione, come faceva il Caetani che individuava nella philosophie la sua origine prima, non significava auspicarla, né aderire alle forme in cui essa storicamente si realizzò, ma implicava comunque un distacco, almeno potenziale, dal vecchio ordine 40

39 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, lettera a B. De Felice del 18 settembre 1784: cit. in fioretti, La cultura dei Lumi, p. 227.

40 Ibidem.

Tommaso Campanella E I Caetani

Nel 2005 Luigi Fiorani propose, con il suo naturale e infaticabile entusiasmo, di organizzare presso la sede della Fondazione Camillo Caetani un convegno dedicato a Tommaso Campanella, proposta accolta con identico entusiasmo da Germana Ernst. Il convegno ebbe poi luogo tra il 19 e il 20 ottobre del 2006, due dense giornate con la partecipazione di numerosi studiosi, riunitisi con il dichiarato intento di fare il punto della ricerca campanelliana1. In tale occasione Fiorani presentò una relazione dal titolo I Caetani e Tommaso Campanella, ricostruzione non solo dei rapporti tra questa famiglia romana e il filosofo calabrese, ma anche delle ragioni, storiche e documentarie, che lo avevano indotto a volere che l’incontro si svolgesse proprio nella sede della Fondazione2. In primo luogo la presenza, tra le carte dell’Archivio della famiglia, di una lettera autografa di Campanella, inviata in data 31 marzo 1621 a Antonio Caetani3. In secondo luogo, il fatto che il filosofo abbia voluto dedicare una sua opera – la Apologia pro Galileo, data alle stampe a Francoforte nel 1622 – a un altro Caetani, il cardinale Bonifacio4. Infine, il ritratto di

1 Laboratorio Campanella. Biografia. Contesti. Iniziative in corso. Atti del Convegno della Fondazione Camillo Caetani, Roma, 19-20 ottobre 2006, a cura di g. ernst e c. fiorani, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 2007.

2 l fiorani, I Caetani e Tommaso Campanella, in Laboratorio Campanella, pp. 104-110.

3 La lettera è conservata nell’Archivio della Fondazione Camillo Caetani, Fondo Generale, n. 1862.

4 t. campanella, Apologia pro Galileo, mathematico Florentino. Ubi disquiritur, utrum ratio philosophandi quam Galileus celebrat, faveat sacris scripturis, an adversetur, Francoforti, impensis Godefridi Tampachii, typis Erasmi Kempfferi, 1622. La stampa dell’opera fu curata da Tobias Adami, a cui si deve con ogni probabilità il preliminare indirizzo al lettore. Sulle vicende editoriali si rimanda alle osservazioni di m.-p lerner, in t campanella, Apologia pro Galileo. Apologie de Galilée. Texte, traduction et notes par m.-p. lerner, Paris, Les Belles Lettres, 2001; e ora nell’edizione italiana dalla quale si cita, Apologia pro Galileo, a cura di m.-p. lerner, traduzione di g. ernst, Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore, 2006, pp. lxvii-lxxii

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

Campanella, eseguito con ogni probabilità da Francesco Cozza e – come osserva Giacomo Antonelli nella Premessa agli Atti del Convegno – «unico, tra i dipinti conservati nell’attuale archivio, a non ritrarre i Caetani»5. Occorre inoltre ricordare le «approfondite ricerche effettuate sui fondi Caetani da Luigi Firpo negli anni Sessanta», a cui sono seguite – in tempi più recenti –quelle di altri studiosi campanelliani6. Proprio Firpo tenne, infine, presso la Fondazione, il 28 marzo del 1985, una conferenza rimasta inedita e intitolata Tommaso Campanella e i Caetani nella cultura romana del tempo7 .

A queste tre ragioni possiamo ora aggiungerne una quarta, che porta a retrodatare il rapporto tra il filosofo e la famiglia Caetani di una ventina di anni. Si tratta di un documento individuato presso l’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede e presentato da Leen Spruit in occasione del convegno campanelliano del 20068. Nel 1596 il giovane Tommaso giunse a Roma, ottenendo – dopo reiterate suppliche – un trasferimento presso il convento di Santa Maria sopra Minerva. Tranquillità che però ebbe breve durata. A Napoli, infatti, un delinquente comune, lo stilese Scipione Pertinace, era ricorso a un espediente a quel tempo diffuso per sfuggire alla condanna capitale, ossia fornire notizie su presunti eretici. Vittima di tali opportunistiche rivelazioni fu Campanella, che a causa di tali accuse, rivelatesi poi infondate, fu rinchiuso nelle carceri del Sant’Uffizio. Liberato intorno alla fine del 1597, fu riconsegnato ai superiori dell’ordine dei Predicatori, che gli ordinano di rientrare in Calabria. Sulla via del ritorno Campanella si fermò a Napoli, dove incontrò il principe Mario del Tufo, al tempo signore del feudo di Minervino Murge in Puglia, e dedicatario

5 g antonelli, Premessa, in Laboratorio Campanella, p. ix

6 Ibidem.

7 Il titolo risulta infatti assente nella rassegna bibliografica curata da a. e. baldini, Luigi Firpo e Campanella: cinquant’anni di ricerche e di pubblicazioni, «Bruniana & Campanelliana», II (1996), pp. 324-358 (ora anche in forma aggiornata in appendice a l firpo, Tommaso Campanella e la sua Calabria, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000, pp. 11-45). Non è stato inoltre possibile rintracciare copia del testo nell’Archivio della Fondazione Camillo Caetani, che conserva invece la corrispondenza intercorsa, in fase organizzativa, tra Firpo e il presidente della Fondazione Giacomo Antonelli.

8 l. spruit, Tommaso Campanella e l’Inquisizione. Note sulla nuova documentazione dall’Archivio del Sant’Uffizio, in Laboratorio Campanella, pp. 85-104. Nell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede – aperto alla consultazione nel 1998 – sono stati negli ultimi anni individuati circa sessanta nuovi documenti campanelliani, a integrazione di quelli già resi disponibili da Luigi Amabile e Luigi Firpo. Si veda l. spruit – c. preti, Documenti inediti e editi negli archivi del Sant’Ufficio e dell’Indice, in l. amabile, Fra Tommaso Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, I, Paris, Les Belles Lettres; Torino, Aragno, 2006, pp. lxxxi-ccci della prima opera campanelliana data alle stampe, la Philosophia de sensibus demonstrata del 1591. Del Tufo cercò di sottrarlo al convento calabrese proponendogli di entrare al servizio, come teologo, del vescovo di Minervino Murge, Lorenzo Mongiò. Il vescovo scrisse il 15 aprile del 1598 a Roma, e in particolare al cardinale Giulio Antonio Santori, al tempo viceprefetto della Congregazione del Sant’Uffizio9, informandolo delle pressioni esercitate da parte del «Padrone di questa città il Signor Mario del Tufo», perché chiedesse a Antonio Caetani – nel 1598 non ancora cardinale, ma ben inserito in Curia nella sua qualità di cameriere segreto di Clemente VIII – di favorire la nomina di Campanella a suo teologo. Dal testo della lettera è evidente l’imbarazzo del prelato, diviso tra il desiderio di non amareggiare il principe e la volontà di non compiere azioni sgradite a Roma:

Il Padrone di questa città il Signor Mario del Tufo, perché io cercai à V.S. Ill.ma, quel Padre Dominicano F. Thomaso Campanella detto, quando fui per partirmi da costì, essendo venuto il detto Padre quì, hora mi ha pregato, che io di novo lo dimandi al Signor Antonio Gaitano per mio Theologho, et io per vivere quieto questi pochi dì altri, hò scritto già, et lo pregho mi lo cerchi in mio nome. Mà dall’altra parte pregho V.S. Ill.ma per amor di Dio, che resti contenta di provedere secondo Dio, et secondo lo spirito Santo la inspirarà, perché non pretendo altro io, che quanto è secondo Dio, et secondo il volere di questa Sacra Congregatione de Ill.mi Signori Card.li in torno a ciò, et in tutt’il resto. et negandolo, non mi faccino per amor di Dio pigliar’ inimicitia con questo signore (…)10

Il vescovo arriva a affermare che, pur di togliersi da tale spinosa situazione, preferirebbe «ritornare in Convento che vivere così: perché come gli scrissi il peso è insupportabile»11. Fu proprio la Congregazione del Sant’Uffizio a togliere dall’imbarazzo Mongiò, negando l’autorizzazione a tale nomina12. Non è stato possibile chiarire quale ruolo abbia avuto

9 Per una prima edizione della lettera cfr. u baldini – l spruit, Campanella tra il processo romano e la congiura di Calabria. A proposito di due lettere inedite a Santori, «Bruniana & Campanelliana», VII (2001), pp. 179-187. Si veda ora nell’imponente raccolta Catholic Church and Modern Science. Documents from the Archives of the Roman Congregations of the Holy Office and the Index. i. Sixteenth-Century Documents, Edited by u. baldini and l. spruit, Roma, Libreria editrice Vaticana, 2009, pp. 1011-1012, da cui si cita. Sulla vicenda cfr. inoltre g ernst, Tommaso Campanella. Il libro e il corpo della natura, Bari-Roma, Editori Laterza, 2002, p. 48.

10 l mongiò al cardinale g a santori, Minervino Murge, 15 aprile 1598, in Catholic Church and Modern Science, p. 1011.

11 Ibidem.

12 Questo è quanto annotato in calce alla lettera del vescovo, «13 Maij 1598. Scribatur Episcopo Minervini ne accipiat ad eius servitia pro Theologo fratrem Thomam

Antonio Caetani nella vicenda, e l’interesse del documento, oltre a rappresentare la prima testimonianza di un possibile intervento di un Caetani nella esistenza di Campanella, è nel rivelare in nuce i tratti essenziali del rapporto tra il filosofo e i notabili del suo tempo, mai facile e sempre ambiguo, tratti che possiamo riscontrare anche in quello con la famiglia romana. Che una definitiva determinazione della natura di tale rapporto sia, almeno allo stato attuale della ricerca, impossibile è dimostrato da un prezioso documento rintracciato da Caterina Fiorani tra le carte paterne, non un vero e proprio foglio, ma un tovagliolino sul quale Fiorani, probabilmente durante una sosta per un caffè, ha appuntato idee, spunti, e soprattutto gli interrogativi che hanno guidato la stesura della relazione presentata nel corso del già ricordato convegno del 2006, e che muove dalla nota lettera campanelliana conservata nell’Archivio Caetani (fig. 1):

– Perché scrive a C[aetani]?

– Che cosa dice? Circostanziare.

Che rapporto c’era stato tra C[aetani] e Camp[anella]? Erano stati protettori? O avevano provocato la sua condanna?

– Che sensibilità c’era tra i C[aetani] per l’astrologia?

– Leggere lentamente la lettera.

– Il rapporto tra Camp[anella] e i C[aetani] tema allettante, ma che le fonti, almeno per ora, non consentono di spiegare e di illuminare come avremmo voluto. Lasciamo che il rapporto tra C[aetani] e Campanella resti sfumato.

Il rapporto tra Antonio Caetani e Campanella si precisa in modo diretto grazie alla lettera conservata presso l’Archivio della Fondazione13. È datata 31 marzo 1621, e ormai è certa l’identificazione, quale destinatario, di

Campanellam. Essendo stato costretto a istanza del Padrone di quella città, dimandar per suo theologo frà Tomaso Campanella; per mezzo del Signor Antonio Caetano; hà voluto per quest’altra via significar alle SS.VV. Ill.me che questa dimanda la fà per forza, et per gratificar quel Signore, e starvi in pace; ma dall’altro canto desiderarebbe che non se gli concedesse» (ibidem, p. 1012). Nel 1627 il Mongiò fu denunciato al S. Uffizio per esercizio di pratiche magiche e detenzione di libri proibiti. Nel febbraio del 1629 abiurò e fu confinato presso il monastero romano di Santa Prassede, dove morì nei primi mesi del 1630.

13 fiorani, I Caetani e Tommaso Campanella, p. 107, «Il documento è autografo e si sviluppa su diciassette righe. È conservato in una camicia non coeva, forse ottocentesca. Sulla prima facciata si legge la seguente nota d’archivio: “C-1621. Campanella f[rate] Tommaso domenicano: 31 marzo 1621. Napoli, al Card. Caetano perché difenda e avochi la sua causa tanto della stampa, quanto della sua carcerazione di ventidue anni. Frate Tommaso Campanella: celebre ed infelice filosofo nacque a Stilo in Calabria nel 1588, fu liberato dal carcere a petizione di Urbano VIII, morì in Francia nel 1639”».

Antonio, al quale Campanella si rivolge ancora con il titolo di ‘Illustrissimo e molto reverendo Signor’, e non ancora con quello di cardinale, che otterrà solo qualche settimana dopo, il 19 aprile del 1621. Già cameriere segreto di Clemente VIII, Caetani era stato nominato il 31 agosto 1605 arcivescovo di Capua, ma la sua permanenza nella città campana fu sempre di breve durata. Nel giugno del 1607 giunse nella Praga di Rodolfo II, e nunzio presso la corte imperiale fu fino al marzo del 1611, quando fece ritorno a Roma. Lo attendeva però una nuova missione politica e diplomatica: nell’agosto del 1611 fu infatti nominato nunzio a Madrid, incarico che svolse fino al 161814 Si tratta quindi di un personaggio di spicco in Curia, e del quale sono noti anche gli interessi culturali.

La lettera al Caetani, nel quale Campanella ripone le proprie speranze riguardo sia alla liberazione, sia alla stampa delle tante opere redatte nei castelli napoletani, fu trasmessa dal discepolo calabrese Pietro Giacomo

Favilla:

Viene il presente molto noto a V.S. Illustrissima per le cose mie in Roma tanto della libertà quanto della stampa, già che stò carcerato 22 anni senza causa et hora senza processo, seconda dal medesimo vedrà. Supplico a V.S. Reverendissima per l’amor di Dio e della virtù e per la sua gentilezza e servitù mia più buona che fortunata, che l’aiuti nell’uno e nell’altro negozio impiegando il suo valore, che non è picciolo. Et io pregarò Dio per la sua salute et esaltatione e li scritti miei faranno testimonianza del suo valore e cortesia. Resto al suo comando. Napoli, à 31 di marzo 1621. Di V.S. Illustrissima e molto reverenda servitore affezionatissimo Fra Thomaso Campanella15.

Anche in questo caso – come per l’imbarazzata lettera del vescovo di Minervino Murge del 1598 – non siamo a conoscenza di quale possa essere stata la risposta di Caetani alla supplica, una circostanza che giustamente induce Fiorani a sostenere che «amicizie così prestigiose e altolocate non salvano il filosofo dai rigori dell’Inquisizione (…) Si direbbe che il Campanella abbia scelto male le sue protezioni»16. Pur cardinali e autorevoli dignitari, i Caetani furono «figure più potenti nell’ambito della Famiglia, che nella Curia cinque-secentesca. Le loro preoccupazioni miravano a mantenere alto il nome e il prestigio della Casata»17. Un prestigio che certo avrebbe avuto poco da guadagnare da una dichiarata protezione di un personaggio così scomodo, e la cui intera produzione era stata condannata e proibita dalla censura romana con il decreto del 7 agosto del 160318. Nel 1598, anno in cui per la prima volta il nome di un Caetani, anzi proprio di Antonio, fa la sua apparizione nella biografia dello Stilese, Campanella è ancora uomo libero, sia pure con accuse, condanne e incarcerazioni che già pesano sulla sua reputazione. Nel marzo del 1621 il domenicano è da quasi ventidue anni prigoniero nelle carceri napoletane, da quel lontano 6 settembre 1599 in cui era stato arrestato per la congiura di Calabria, accusato di ribellione, lesa maestà e infine di eresia.

14 Su Antonio Caetani (1566-1624) si rimanda a g caetani, Caietanorum genealogia. Indice genealogico e cenni biografici della famiglia Caetani dalle origini all’anno 1882, Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1920, p. 75; id , Domus Caietana. Storia documentata della famiglia Caetani, II, Il Cinquecento, San Casciano Val di Pesa, Fratelli Stianti, 1933, pp. 180182, 280-281, oltre alla relativa voce di g. lutz, in Dizionario biografico degli Italiani, XVI, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1973, pp. 120-125.

15 t campanella a a caetani, Napoli, 31 marzo 1621, in t campanella, Lettere, a cura di g ernst su materiali preparatori inediti di l firpo, con la collaborazione di l salvetti firpo e m salvetti, Firenze, Olschki, 2010, n. 53, p. 254. La lettera – pubblicata anche da Fiorani nel saggio I Caetani e Tommaso Campanella, pp. 107-108, e che qui si cita – fu data per la prima volta alle stampe da Domenico Berti nel 1878, Lettere inedite di Tommaso Campanella e catalogo dei suoi scritti, «Atti della Reale Accademia dei Lincei. Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche». Serie terza, II, (1878), pp. 451-452.

L’ assenza di risposta, e quindi la presumibile assenza di intervento da parte del Caetani portano Fiorani a concludere che «l’incontro dei Caetani con il Campanella sia stato solo una fugace parentesi nella storia della Gens Caietana»19. Ciò nonostante, la lettera testimonia come Antonio rientrasse nel novero di personaggi potenti che Campanella ritiene avrebbero potuto muoversi a suo favore. Sempre al Favilla il filosofo affida infatti, oltre a una missiva per Giovanni Fabri, un’altra lettera scritta in data 31 marzo, e indirizzata al principe Federico Cesi, fondatore e presidente della Accademia romana dei Lincei. La lettera coincide, nel tono e nelle parole scelte, con quella destinata al Caetani: Campanella supplica un autorevole intervento «per negoziar la libertà mia e stampa de’ libri, ora che sto senza causa e senza processo, e Domenedio va mutando alcune cose in favor nostro»20, con chiaro riferimento alla salita al trono pontificio il 9 febbraio di quell’anno di Gregorio XV, che godeva – a differenza del predecessore Paolo V – di fama di mitezza. Tentativi che, pur ammettendo reali interventi presso il Papa del Caetani o del Cesi, non ebbero alcun successo; lo Stilese rimarrà infatti recluso in quella che definisce la ‘ciclopea caverna’ di Napoli ancora per cinque anni, fino al marzo del 162621. La scelta, nel 1621, di rivolgersi a Antonio Caetani per un eventuale appoggio potrebbe essere stata indotta da due ragioni. In primo luogo lo stretto legame della famiglia con Filippo III di Spagna, e presso la cui corte Antonio era stato nunzio, così come potrebbe non essere stato un caso che, tra il 1607 e il 1611, Campanella abbia affidato a Kaspar Schoppe, in missione presso Rodolfo II, alcune lettere di supplica per l’imperatore, proprio negli anni in cui il Caetani fu legato pontificio a Praga 22. Ipotesi plausibili certo, ma che – come annotato da Luigi Fiorani

16 fiorani, I Caetani e Tommaso Campanella, p. 106.

17 Ibidem. Così conclude Fiorani, «i prelati di casa Caetani non erano, per mentalità e interessi, le personalità più adatte ad accogliere l’austera invocazione del domenicano. Anche loro tengono l’occhio al particolare, combattono per le carriere mondane, non si schierano esplicitamente e rigorosamente per il rinnovamento della Chiesa e della società cristiana (…). La sostanza del messaggio campanelliano, le invettive taglienti, le meditazioni non potevano trovare che una generica e stentata simpatia. Troppo lontani rimanevano gli ideali dello Stilese, le sue profezie, i lampeggiamenti escatologici del suo pensiero dalle strategie e dalle politiche perseguite dalle corti del tempo. Non è difficile suppore che l’incontro dei Caetani con il Campanella sia stato solo una fugace parentesi nella storia della Gens Caietana » (ibidem, pp. 108-109).

18 Sull’editto emanato dall’allora Maestro del Sacro Palazzo Giovanni Maria Guanzelli da Brisighella rimandiamo a e canone, L’ editto di proibizione delle opere di Bruno e Campanella, «Bruniana & Campanelliana», I (1995), pp. 43-61; j m de bujanda – e canone, L’ editto di proibizione delle opere di Bruno e Campanella. Un’analisi bibliografica, «Bruniana & Campanelliana», VIII (2002), pp. 451-479. Il provvedimento fu reiterato sotto il pontificato di Paolo V Borghese. La Biblioteca Casanatense di Roma possiede copia di entrambi questi rarissimi decreti a stampa nel fondo Editti e Bandi (Per.est. 18/3, n. 301 bis e n. 301 ter).

19 l fiorani, I Caetani e Tommaso Campanella, p. 109.

20 t campanella a f cesi, Napoli, 31 marzo 1621, in campanella, Lettere, n. 54, p. 255. Per quanto riguarda la lettera a Giovanni Fabri in identica data, cfr. ibidem, n. 55, p. 256, «Molto illustre signor osservandissimo, viene Favilla per la libertà e la stampa: Vostra Signoria molto illustre li farà quelli favori alli quali s’estende la grandezza del suo animo».

21 L’ espressione ‘ciclopea caverna’ ricorre nel sonetto A Tobia Adami Filosofo, pubblicato alle carte preliminari del Prodromus philosophiae instaurandae del 1617; si veda t campanella, Le poesie, a cura di f giancotti, Torino, Einaudi, 1998, n. 70, pp. 285-286.

22 Su questo punto cfr. m. d’addio, Il caso Galilei. Processo, scienza, verità, Roma, Edizioni Studium, 1993, pp. 63-64, 96-97. Per una ricostruzione della nunziatura praghese di Antonio Caetani cfr. l’introduzione a Antonii Caetani Nuntii apostolici apud Imperatorem Epistulae et Acta 1607-1611, edidit m linhartova, I, Pragae, typographia Rei Publicae, 1932, in part. pp. i-xvii. Numerose le lettere che attestano il rapporto di fiducia con Schoppe; cfr. ad esempio quella che Antonio Caetani invia a Roma al cardinale Scipione Borghese in data 23 dicembre 1607, ibidem, i, p. 368, «Quanto a destinar persona nella dieta che direttamente habbia da avvisar V.S.ria Ill ma delle cose che occorrono (…) ho pensato d’inviare presto a Ratisbona il mio auditore (…) ma trovandovi difficoltà se ne passi a Bamberga per il negotio del suffraganeo, et in tal caso ho pensato, che in quella vece sarà assai bono al servitio, che si pretende, il sr Gaspar Scioppio, che al presente si trova in quella città et è cattolico assai buono et zelante, et spero che non ricusarà di ricevere questo peso». Si veda – oltre a quanto osserva lerner, Introduzione a t. campanella, Apologia pro Galileo, pp. xvi-xvii – m. d’addio, Il pensiero politico di Gaspare Scioppio e il machiavellismo del Seicento, Milano, A. Giuffrè, 1962, pp. 70-78. A proposito della successiva missione di Schoppe in Spagna nel 1613, così riporta D’Addio, «ai primi di maggio arriva a Madrid, ove riceve dal Pontefice, tramite il nei suoi appunti di lavoro – «le fonti, almeno per ora, non consentono di spiegare e di illuminare come avremmo voluto».

In secondo luogo, Campanella potrebbe essersi ricordato, nello scrivere a Antonio, che sempre a un Caetani, e in particolare al cardinale Bonifacio si era già rivolto qualche anno prima, nel 1616, dedicandogli un’opera delicata come la Apologia pro Galileo. Anche questa ulteriore ‘parentesi’ campanelliana nella storia della Gens Caietana lascia irrisolti molti interrogativi 23 . Come il fratello Antonio, anche Bonifacio ebbe una formazione giuridica. Governatore di Camerino e poi di Orvieto, nel 1596 fu inviato in missione diplomatica in Polonia, e in seguito a Praga. L’ 11 settembre 1606 fu nominato cardinale, e all’inizio del 1616 figura tra i membri della Congregazione dell’Indice 24

La breve epistola dedicatoria a Bonifacio Caetani, detto da Campanella ‘patrono delle italiche virtù’, è priva di data, ma è ormai prevalente tra gli studiosi la datazione al febbraio del 1616 e quindi precedente di sei anni l’effettiva stampa dell’Apologia pro Galielo, avvenuta a Francoforte nel 1622. Non si tratta però di un formale atto di omaggio a un cardinale della Roma di Paolo V. Campanella scrive infatti di aver composto lo scritto apologetico, con l’esposizione del rapporto tra la teoria eliocentrica e la Sacra Scrittura, su esplicita richiesta di Bonifacio:

Illustrissimo et reverendissimo D. Bonifacio Caietano, Italicarum virtutum patrono colendissimo salutem plurimam dicit frater Thomas Campanella.

Nunzio Apostolico Antonio Caietani che il Nostro aveva già conosciuto nel suo primo soggiorno romano, la somma di settecento monete (…) la notizia, fornitaci dal Nostro, sempre preciso nel segnare gli stipendi, i donativi e le pensioni che riceveva, ha un certo significato in quanto ci conferma che lo Scioppio era ben incardinato nella politica romana e che il suo viaggio doveva avere uno scopo ben preciso».

23 Sulla questione cfr. lerner, Introduzione a campanella, Apologia pro Galileo, pp. x-xxviii

24 Su Bonifacio Caetani (1568-1617) cfr. caetani, Caietanorum genealogia. Indice genealogico e cenni biografici della famiglia Caetani dalle origini all’anno 1882, pp. 75-76; id., Domus Caietana. Storia documentata della famiglia Caetani, II, Il Cinquecento, pp. 180-182, 280-281, e infine la voce di g. de caro nel Dizionario biografico degli Italiani, XVI, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1973, pp. 134-135. De Caro osserva che Bonifacio non si dedicò mai con zelo ai suoi doveri pastorali, perché «visse prevalentemente alla corte romana, dove divenne notissimo per le sue satire ai danni di vari eminenti personaggi della Curia» (ibidem, p. 135). Riguardo al rapporto con Campanella l’autore della voce segnala la lettera dedicatoria con cui si apre la Apologia pro Galileo, «il Berti identificò nel C. un monsignor Caetani al quale Tommaso Campanella dedicò l’Apologia pro Galilaeo; l’identificazione fu tuttavia respinta dall’Amabile» (ibidem).

Ecce mitto tibi R. Domine, quaestionem, iussu tuo elaboratam: ubi de motu telluris, & stellatae sphaerae stabilitae, & ratione systematis Copernicaei, disputo secundum sacras literas. Tu vide, quid recte dictum sit; quid item defendendum tibi aut renuendum; quando a sancto Senatu id in mandatis habes. Meum ego iudicium non modo S. Ecclesiae submitto, sed cuilibet melius sapienti; maxime autem tibi, musarum Italicarum patrono. Quo vivente non peribunt illae. Vive ergo in aeternum. Amen 25 .

Bonifacio Caetani era stato incaricato dalla Congregazione dell’Indice di procedere alla espurgazione dell’opera di Niccolò Copernico De revolutionibus orbium coelestium Libri sex, condannata il 5 marzo del 1616 con la formula – grazie anche all’intervento dello stesso cardinale – donec corrigatur 26 .

A causa dell’improvvisa morte nel giugno del 1617 non poté, però, condurre a termine tale complesso compito, che fu quindi affidato al suo segretario, Francesco Ingoli 27. La circostanza ha indotto alcuni studiosi a sostenere che Campanella possa in realtà avere composto l’epistola dedicatoria dopo la morte del cardinale, fingendo quindi un invio in vita, per accreditare «la

25 Il breve indirizzo al Caetani, impresso alla c. A3r della edizione francofurtese della Apologia pro Galileo, è stato incluso nella recente edizione critica dell’epistolario, campanella, Lettere, pp. 224-225.

26 Sul decreto di condanna dell’eliocentrismo, cfr. m.-p lerner, Copernic suspendu et corrigé: sur deux décrets de la Congrégation Romaine de l’Index (1616-1620), «Galileiana», I (2004), pp. 21-89. La complessa vicenda della condanna, da parte della Chiesa di Roma, dell’eliocentrismo è stata accuratamente indagata da Pierre-Noël Mayaud, che sottolinea non solo il ruolo di rilievo che il Caetani giocò in seno alle Congregazioni dell’Indice e del Sant’Uffizio, ma anche la sua statura intellettuale, nel suo impegno per evitare che l’opera di Copernico fosse condannata in via definitiva. Cfr. p.-n mayaud, La condamnation des livres coperniciens et sa révocation à la lumière de documents inédits des Congrégations de l’Index et de l’Inquisition, Roma, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1997, in part. pp. 55-56, 60-61. Su questo punto così osserva a. fantoli, Galileo. Per il copernicanesimo e per la Chiesa, Città del Vaticano, Specola Vaticana-Libreria editrice Vaticana, 19972, p. 248, «fu forse Caetani, che (…) aveva voluto documentarsi su Copernico e aveva per questo richiesto l’opinione di Tommaso Campanella e forse già letto il manoscritto intitolato Apologeticus pro Galileo, inviatogli a tale scopo da quest’ultimo, a prendere l’iniziativa della difesa del valore scientifico del De revolutionibus e a proporre – invece di una condanna incondizionata – la sua sospensione donec corrigatur ».

27 Francesco Ingoli fu nominato consultore della Congregazione dell’Indice il 10 maggio del 1616. Cfr. nel relativo decreto, «Jam etiam Illustrissimus Lancellotus proposuit annumerandum etiam de novo pro Consultore Dominum Franciscum Ingolum ad servitia sua Apologia in alto loco»28. Luigi Firpo sostiene, infatti, inverosimile che un cardinale membro della Congregazione dell’Indice abbia voluto affidarsi, per un parere su una questione così rilevante per la Chiesa di Roma, a un personaggio così sospetto29. Che non si tratti, però, di una mera finzione campanelliana, oltretutto «una menzogna grossolana e poco accorta»30, è smentito da alcuni documenti, ad esempio dal commento redatto dallo Stilese nel 1628 all’ode Adulatio perniciosa, elogio poetico delle scoperte galileiane composto da Maffeo Barberini, il futuro Urbano VIII. In tale commento Campanella si richiama al suo Apologeticum, cioè alla Apologia pro Galileo, «qui libellus cura Bonifacii Caetani Cardinalis doctissimi, cui obediens illum composueram, in Germania impressus est»31, affermazione presente anche in una lettera del 10 giugno 1628 a un Maffeo Barberini ora salito al soglio pontificio: ho fatto l’apologetico ad istanza del cardinale Bonifacio Gaetano pro Copernico et Galilaeo, quando si disputava in Santo Offizio la lor opinione s’era eretica o no. E questo solo punto si controvertia – già che l’esser falsa io lo presupponevo da quel che scrissi in tanti libri – e però disputai ad utranque partem circa l’eresia di quest’opinione solamente, e mi rimisi a quel che la santa Congregazione avea a determinare32

Illustrissimi Domini Cardinalis Caetani demorantem» (cit. in mayaud, La condamnation des livres coperniciens et sa révocation à la lumière de documents inédits des Congrégations de l’Index et de l’Inquisition, p. 61). Su questo punto cfr. anche Copernico, Galilei e la Chiesa. Fine della controversia (1820). Gli atti del Sant’Uffizio, a cura di w. brandmüller e e. j. greipl, Firenze, Olschki, 1992, p. 444.

28 g spini, Galileo, Campanella e il «Divino Poeta», Bologna, Il Mulino, 1996, p. 48.

29 Nella edizione curata nel 1968 della Apologia pro Galileo Luigi Firpo sostiene che non solo la dedicatoria al cardinale Caetani, ma l’intero trattato siano stati in realtà composti dopo l’emanazione del decreto di condanna dell’eliocentrismo, ipotesi che però contrasta con quanto scrive Virginio Cesarini a Galileo il 12 gennaio 1623, a proposito della Apologia, «sebene detta scrittura è fatta avanti il decreto della Congregazione dell’Indice che sospese il Copernico, tuttavia i superiori non hanno voluto che si venda e spacci publicamente» (g. galilei, Le opere. Edizione nazionale, a cura di i. del lungo e a. favaro, XIII, Firenze, tipografia Barbèra, 1903, n. 1545, p. 106). Obietta inoltre Lerner, «Firpo non dimostra perché sarebbe stato impossibile che Caetani avesse potuto sollecitare un parere da parte di C. su una dottrina – quella eliocentrica – che non era stata ancora condannata » (lerner, Introduzione a Campanella, Apologia pro Galileo, p. xiv).

30 Ibidem. Osserva ancora Lerner a p. xv, «l’ipotesi di una redazione differita del testo e della sua dedicatoria implica che C. avrebbe sottoposto una tesi che sapeva già condannata al giudizio di un cardinale defunto!».

31 t. campanella, Commentum in Oden cuius titulus Adulatio perniciosa, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb.lat. 1918, c. 29r

32 t campanella a urbano viii, Roma. 10 giugno 1628, in campanella, Lettere, n. 74, p. 307. Si veda anche quanto riporta, in data 2 maggio 1633, Giovanfrancesco Buonamici nella Narrativa sopra la spiegazione del sistema del Copernico, fatto dal matematico Galilei, «Paolo v, instigato da’ medesimi frati, senza l’oppositione et difesa del Sig.r Card.le Bonifatio Gaetano haverebbe dichiarato questo sistema Copernicano erroneo et heretico, come contrario all’insegnamento della Scrittura in alcuni lochi et particularmente in Iosue: ma

È proprio su questo punto che la questione rivela tutto il suo interesse. La stesura della Apologia pro Galileo quale adempimento a una esplicita richiesta di Bonifacio Caetani, quale redazione quindi di un memoriale a uso di chi dell’eliocentrismo avrebbe dovuto occuparsi in seno alla Congregazione dell’Indice, non può infatti che essere interpretata come segno di una particolare stima e familiarità, ipotesi che «non ha nulla di assurdo, anzi risulta alquanto verosimile, provenendo da uno spirito aperto come quello del nostro cardinale»33. Michel-Pierre Lerner suggerisce quale possibile punto di incontro tra un cardinale di Santa Romana Chiesa di ‘spirito aperto’ e un filosofo carcerato nei castelli napoletani l’astrologia, pratica diffusa nella corte romana del tempo34, posizione sostenuta anche da Fiorani che, al fine di chiarire i rapporti tra i Caetani e Campanella, annota nei suoi appunti di lavoro per la relazione del 2006 proprio questo interrogativo: Che sensibilità c’era tra i Caetani per l’astrologia?

Al tema della presenza dell’astrologia nella città papale nei primi decenni del Seicento, senza restringere quindi l’indagine ai Caetani, Fiorani aveva dedicato già nel 1978 l’ampio saggio Astrologi, superstiziosi e devoti nella società romana del Seicento, apparso sulle pagine della rivista Ricerche per la storia religiosa di Roma, con la dichiarata intenzione di restituire a quel Seicento romano solitamente etichettato come ‘devoto’ «qualche lineamento dai tratti meno rigidi e convenzionali»35. La ricostruzione di Fiorani prende avvio dal processo per astrologia svoltosi davanti al Tribunale del Governatore nel li detti SS.ri Cardinali, così per reputatione di Niccholò Copernico, il quale, in riguardo di essere stato il principale maestro della riforma dell’anno, non poteva, senza riso delli eretici che non accettano detta riforma, venire dichiarato ereticho in una positione pura» (galilei, Le opere. Edizione nazionale, pp. 408-409). Cfr. inoltre la testimonianza di Francisco de Herrera nelle Memorie intorno alla vita di PP. Urbano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 4901, cc. 40 r-v, «Urbano mentre era cardinale nel pontificato di Paolo V, trattandosi di proibire l’opera di Niccolò Copernico per l’opinione del moto della terra, fu di parere che non si proibisse, ma si correggessero in lui le cose che parevano necessarie, perché nel restante era utile e di esso si era servito Gregorio XIII nella correttion del Calendario. Il che fu seguitato e riuscì bene. Il medesimo giudicò il cardinale Gaetano, e Bellarmino, consultato con li geometri, l’approvò grandemente» (in d’addio, Il caso Galilei, p. 97). Cfr. infine le osservazioni di fantoli, Galileo. Per il copernicanesimo e per la Chiesa, in part. pp. 247-249.

33 lerner, Introduzione a t campanella, Apologia pro Galileo, p. xxvii

34 Ibidem, pp. xx-xxi

35 l fiorani, Astrologi, superstiziosi e devoti nella società romana del Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 2 (1978), p. 98. Si richiama al saggio di Fiorani M.-P. Lerner per illustrare la «cultura astrologica che, nel XVII secolo, pervade gli ambienti colti romani fino ai più alti livelli della gerarchia ecclesiastica» (lerner, Introduzione a t. campanella, Apologia pro Galileo, p. xx, nota 33).

1630 ai danni di Orazio Morandi, abate di quel convento di Santa Prassede che sembra essere stato frequentato da Galileo nella primavera del 1630. E – osserva Fiorani – «non è improbabile che anche il Campanella dovette almeno una volta capitarci, prima che su di lui si abbattessero le violente polemiche che lo costringeranno alla fuga da Roma»36. Occorre quindi chiedersi se sia possibile rintracciare «qualche lineamento dai tratti meno rigidi e convenzionali» anche in una famiglia di principi, cardinali e uomini di Chiesa come quella dei Caetani. Tali interessi appaiono essere confermati proprio nel caso di Bonifacio, in un intreccio di corrispondenze, personaggi e ‘fantasie’ già posto in luce da Fiorani nel 1978, e nel quale particolare evidenza è data alla figura dell’astrologo e astronomo bolognese Giovanni Bartolini, residente a Roma dal 1611 e legato al primo circolo linceo37. È attraverso Bartolini che Campanella fece pervenire, nel marzo 1614, una lettera a Galileo, in cui difende l’astrologia, osservando «ch’è piena di fallacie questa dottrina, ma ci stan dentro pur cose divinissime»38. Il nome di Bonifacio ricorre inoltre in una lettera scritta a Galileo dal già ricordato Pietro Giacomo Favilla, l’agente romano di Campanella, che nel settembre del 1616 comunica allo scienziato pisano di avere trasmesso una copia manoscritta della Apologia pro Galileo al cardinale Caetani, ancora una volta attraverso il canale di Bartolini 39. Anche l’Archivio della famiglia Caetani contribusce a offrire quel lineamento «dai tratti meno rigidi e convenzionali». Bonifacio progettava di dare alle stampe una traduzione dal greco in italiano del Tetrabiblos di Claudio Tolomeo, mentre Ingoli lavorava a quella in lingua latina40. Sono sempre le carte Caetani a rivelarci un Ingoli – il futuro espurgatore dell’opera copernicana – non solo esperto di astronomia, ma anche cultore della buona astrologia, quella astrologia naturale o razionale che si oppone alla pratica superstiziosa, e che su richiesta dello stesso cardinale Caetani traccia, come testimoniano alcune lettere conservate nell’Archivio della Fondazione, oroscopi per diversi personaggi romani. Infine, fu proprio Bonifacio il dedicatario scelto dal patavino Ambrosio Floridi per il suo Tractatus de annis climactericis ac diebus criticis41. Se questo può essere un indubbio punto di contatto con Campanella, anch’egli sostenitore della ‘buona astrologia’, se si indaga più a fondo nella biografia del cardinale è possibile ricostruire anche una comune rete di contatti e rapporti: il legame con i Cesi, ai quali i Caetani erano legati da parentela, e quindi con l’ambiente sia della Accademia lincea romana, sia con quello del Liceo di Napoli. Bonifacio è in contatto con Federico Cesi, Niccolò Antonio Stigliola, Fabio Colonna, tutti corrispondenti campanelliani, ai quale si aggiunge il telesiano Antonio Persio, già teologo personale di Enrico Caetani, lo zio di Bonifacio, e che grazie proprio alla protezione della potente famiglia romana ottenne nel 1608 la carica di protonotario apostolico. Persio giocò un ruolo determinante nella costruzione della rete di rapporti romani di Campanella, e potrebbe avere in qualche modo favorito il contatto tra Campanella e i Caetani42. Lo stesso cardinale Bonifacio, particolarmente legato al vicerè di Napoli, il conte di Lemos, si recò più volte nella città partenopea tra il 1614 e il 161543, e non è da escludere un suo incontro con Campanella, in un intreccio quindi di interessi e amicizie che potrebbe spiegare le ragioni di una stima reciproca, di una epistola dedicatoria e di una sorta di collaborazione scientifica – di carattere probabilmente ‘informale’ – sulla questione dell’eliocentrismo.

36 fiorani, Astrologi, superstiziosi e devoti nella società romana del Seicento, p. 103. Sulla figura di Orazio Morandi e le vicende che porteranno nel 1631 alla emanazione da parte di Urbano VIII della bolla Inscrutabilis si vedano – oltre alle osservazioni di Luigi Fiorani, alle pp. 101-114 del citato saggio – g ernst, Scienza, astrologia e politica nella Roma barocca. La biblioteca di Orazio Morandi, in Bibliothecae selectae. Da Cusano a Leopardi, a cura di e canone, Firenze, Olschki, 1993, pp. 217-252; b doodley, Morandi’s last Prophecy and the End of Renaissance Politics, Princeton, Princeton University Press, 2002.

37 Fiorani ritiene che Bartolini rifletta «il dinamismo culturale dei primi Lincei e il difficile cammino dal vecchio al nuovo che trapassa nei loro dibattiti. Più che in originali ricerche egli diluisce la sua speculazione in una consistente serie di predizioni, e soprattutto svolge un efficace lavoro di mediazione tra i protagonisti della nuova cultura (Galilei, Campanella, Cesi). Nei molti libretti che ci ha lasciato (…) la sua astrologia si misura quasi esclusivamente sul versante degli oroscopi, richiamandosi costantemente alla tradizione aristotelico-tomista, come per ripararsi dietro autorità insospettate» (fiorani, Astrologi, superstiziosi e devoti nella società romana del Seicento, p. 118-119). Un breve cenno ai rapporti tra Campanella e Bartolini in l amabile, Fra Tommaso Campanella ne’ castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, I, Napoli, A. Morano, 1887, pp. 170-172; e g gabrieli, T. Campanella e i primi Lincei, «Rendiconti della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche». Serie sesta, vi (1928), pp. 251 e 256. Per quanto riguarda inoltre il legame, non solo di parentela, tra le famiglie Cesi e Caetani, si veda g. gabrieli, Cesi e Caetani. Da un manipolo di lettere inedite del Principe Linceo Federico Cesi nell’Archivio Caetani, «Rendiconti della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche». Serie sesta, xiii (1937), pp. 265-269 (ora in g gabrieli, Contributi alla storia della Accademia dei Lincei, I, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1989, pp. 131-142).

38 t. campanella a g. galilei, Napoli, 8 marzo 1614, in campanella, Lettere, n. 41, p. 209. Anche questa lettera fu trasmessa da Campanella attraverso Bartolini. A tergo di essa si legge «A Giovanni Bartolini, che Dio guardi. Roma, in casa dell’illustrissimo cardinal Cesi» (ibidem).

39 p g favilla a g galilei, 16 settembre 1616, in galilei, Le opere. Edizione nazionale, n. 1231, p. 277. Cfr. anche la lettera inviata allo scienziato pisano dallo stesso Campanella il 3 novembre 1616, «Io ho mandato a Roma e a Vostra Signoria una questione, dove si prova teologicamente ch’il modo di filosofare da lei tenuto è più conforme a la divina Scrittura che non lo contrario, o almeno assai più che non l’aristotelico; e questo, per via dell’illustrissimo Gaetano» (in campanella, Lettere, n. 45, p. 225). Osserva su questo punto Germana Ernst, «non è da credere che il C. inviasse un esemplare dell’Apologia pro Galileo al card. Caetani e un altro a Galileo. La copia spedita fu una sola, quella diretta al fidato Giovanni Bartolini, che ai primi d’ottobre la prestò a Federico Cesi perché ne facesse trascrivere copia da spedire a Firenze a Galileo» (ibidem, p. 226). Si veda a tale proposito quanto scrive Cesi a Galileo l’8 ottobre del 1616, «Hebbi la scrittura che V.S. m’avisa, et la diedi a copiare per poterla mandare, come farò subito ch’io la rihabbia» (galilei, Le opere. Edizione nazionale, XII, n. 1228, pp. 285-286).

40 Sulla versione dell’opera si vedano alcune lettere inviate da Ingoli a Bonifacio Caetani tra il 1613 e il 1614, in part. quella del 20 dicembre 1613, Archivio Fondazione Caetani, Fondo Generale, n. 140222, «Nel Primo libro della traduttione di Tolomeo di V.S. Ill.ma non può essere notabile errore perché fu confrontata col greco e fu anco riveduta con le annotationi del Magini, come ella sa, e più non deve dispiacere a V.S. Ill.ma che sia nelle mani d’intendenti dell’arte e da quelli approvata»; e la più tarda del 15 marzo 1614, ibidem, n. 63609, «Se seguisse la permissione di Tolomeo, si potrebbe porre in essecutione il pensiero che haveva V.S. Ill.ma intorno alla sua traduttione, et alla mia latina». Sul progetto di traduzione si rimanda a m. bucciantini, Contro Galileo. Alle origini dell’Affaire, Firenze, Olschki, 1995, in part. pp. 141-143. In riferimento alla ‘vicenda Ingoli-Keplero-Galileo’ osserva inoltre Bucciantini, «avendo avuto modo di dedicarsi già in passato a questioni astronomiche e astrologiche (in occasione dell’apparizione della nova del 1604 e della cometa del 1607), l’Ingoli manteneva uno stretto sodalizio con Bonifacio Caetani, anch’egli appassionato cultore di studi astrologici e, come l’astronomo e teologo ravennate, impegnato da parecchi anni a condurre a termine l’ambizioso progetto di traduzione del Tetrabiblos di Tolomeo» (ibidem, p. 24).

Un ultimo punto riguarda, infine, il terzo Caetani che – dopo Antonio e Bonifacio – è legato al nome di Campanella: Luigi, cardinale dal gennaio del 1626 di santa Pudenziana, e che Amabile ritiene sia stato il committente del ritratto conservato presso la Fondazione, attribuito al pittore calabrese

41 a. floridi, Tractatus de annis climactericis ac diebus criticis. Dialogistico contextus sermone. In quo mira doctrina, ex fontibus astrologorum, excerpta & philosophorum, panditur … Ad ... Principem d.d. Bonifacium Caetanum S.R.E. Cardinalem amplissimum, Patavii, apud Mattheum de Menijs, ex typographia Laurentij Pasquati, 1612.

42 Sui rapporti tra Campanella e Persio e per una rapida ricostruzione dell’ambiente linceo romano si rimanda a l. amabile, Fra Tommaso Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, I, Napoli, A. Morano, 1882, pp. 53-57; id., Fra Tommaso Campanella ne’ castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, i, pp. 38-40, 107-111; g. gabrieli, Notizia sulla vita e gli scritti di Antonio Persio Linceo, «Rendiconti della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche». Serie sesta, ix (1933), pp. 471-499; f purnell, Francesco Patrizi and the Critics of Hermes Trismegistus, in Das Ende des Hermetismus. Historische Kritik und neue Naturphilosophie in der Spätrenaissance, hrsg. von M. Mulsow, Tübingen, Mohr Siebeck, 2002, pp. 149-153.

43 Cfr. amabile, Fra Tommaso Campanella ne’ castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, p. 180-184.

Francesco Cozza44. È proprio allo studioso campanelliano che va il merito di avere ‘riscoperto’ intorno al 1880 il dipinto a olio, «il ritratto più straordinario del filosofo, il cui volto emerge con concentrata intensità dallo sfondo scuro, per comunicare anche a noi il suo messaggio» 45. Dopo ventisette anni di prigionia, il 23 maggio del 1626 Campanella uscì finalmente da Castel Nuovo, grazie all’invio da Madrid, nel marzo di quell’anno, di una lettera che demanda al vicerè ogni decisione riguardo alla sua sorte, e qualche settimana dopo il Sant’Uffizio ne dispose il trasferimento a Roma. Nella città papale lo Stilese soggiornò fino all’ottobre del 1634, quando, in seguito all’arresto a Napoli, con l’accusa di congiura antispagnola, del discepolo Tommaso Pignatelli, e quindi al rischio di un suo nuovo coinvolgimento, lo stesso Urbano VIII ne suggerì la fuga in Francia. Il ritratto sarebbe stato eseguito quindi a Roma, presumibilmente tra il 1629 e il 1631, anni in cui si ritiene che Campanella possa avere assiduamente frequentato la residenza dei Caetani46.

44 Su Francesco Cozza (1605-1682), originario di Stignano nei pressi di Stilo, si veda l cunsolo, Francesco Cozza pittore e acquafortista, Cosenza, Pellegrini, 1966; f sorgiovanni, Francesco Cozza. L’ uomo, il pittore, Ardore M., Nosside, 1996; infine il catalogo della mostra allestita a Roma tra il 24 novembre 2007 e il 13 gennaio 2008 al Museo di Palazzo Venezia, e nella quale è stato esposto anche il ritratto campanelliano, Francesco Cozza (1605-1682). Un calabrese a Roma tra classicismo e barocco, a cura di c. strinati, r. vodret, g. leone, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007. Nell’inventario redatto alla morte del pittore il 14 gennaio 1682 è registrata la presenza nella sua abitazione romana di vari ritratti di Urbano viii, di Antonio Barberini e infine di «un filosofo in tela da 4 palmi copia senza cornice» (cunsolo, Francesco Cozza pittore e acquafortista, p. 297). Eugenio Canone non esclude che «quella tela fosse copia del quadro ora nel palazzo Caetani, anche se in formato più grande» (e. canone, Il volto di Tommaso Campanella. Dipinti e incisioni, in Laboratorio Campanella, p. 245). Al ritratto attribuito al Cozza Firpo dedica le pagine 15-19 del volume L’ iconografia di Tommaso Campanella, Firenze, Edizioni Sansoni Antiquariato, 1964, con un elenco alle pp. 18-19 delle sue numerose riproduzioni, dall’articolo Per un monumento a Campanella di Antonio Breuers («Il Nuovo Convito», III (1918), 10, pp. 346-348), fino alla voce dedicata allo Stilese nella Grande Enciclopedia Vallardi (vol. III, Milano, F. Vallardi, 1962, p. 427). Si tratta infatti «non solo della più antica, ma dell’unica raffigurazione sicuramente autentica delle sembianze del Campanella che ci sia pervenuta: da essa derivò l’incisione secentesca accolta negli Elogii del Crasso e tutta una sequela di tarde filiazioni sempre più capricciose e infedeli» (l firpo, L’ iconografia di Tommaso Campanella, p. 17). L’ attribuzione a Cozza è stata, però, in tempi recenti messa in discussione da Francesco Solinas, che retrodata la realizzazione del ritratto al 1618-1622, anni in cui il filosofo era ancora recluso a Castel Nuovo (cfr. f. solinas, Il frate sul cavalletto, «L’ Erasmo», I, (2001), 1, p. 45).

45 g ernst, Presentazione, in Laboratorio Campanella, p. xiii. Cfr. anche quanto osserva m ciliberto, Pensare per contrari. Disincanto e utopia nel Rinascimento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005, p. 401, «Una fronte spaziosa, un naso deciso, il viso largo segnato da due verruche, una sul naso, l’altra sulla guancia, una bocca piccola e carnosa, un mento forte, i capelli forti e scuri, una barba rada, intrisa di peli bianchi, due occhi scuri pungentissimi che balzano fuori dal quadro, proiettandosi oltre la tela: così ci appare Tommaso Campanella nell’unico ritratto autentico che ci è pervenuto (…) È un ritratto che coincide, pienamente, con quanto di Tommaso ci dice una cronaca calabrese del 1599: “di vivace ingegno, di statura alta, faccia pallida, pilo negro e denti radi”». Per il testo della cronaca a cui si fa riferimento si veda l. firpo, Appunti campanelliani. xxxi. Tre relazioni contemporanee sulla congiura calabrese del 1599, «Giornale critico della filosofia italiana», XLI (1962), e in particolare il Ragguaglio de’ movimenti suscitati in Calabria da Fra Tomasso Campanella, Di Regio, li 8 ottobre 1599, pp. 394-398.

La presenza del ritratto nelle stanze del Palazzo è documentata dalla metà del Settecento, ma mancano ancora dati certi sull’identità del committente. Amabile ritiene che Luigi Caetani lo abbia commissionato perché «noto ammiratore del Campanella» 47, ma Firpo osserva che tale affermazione «merita conferma, perché non risulta da fonti documentarie che il porporato in questione si interessasse così calorosamente al Campanella» 48 , ipotizzando che possa invece trattarsi del dipinto già presente nella collezione di Cassiano dal Pozzo, le cui tracce si sono perse nel Settecento 49, ma del quale resta preziosa testimonianza in un epigramma di Gabriel Naudé del 1641:

Thomae Campanellae Alias Septimontani Stilensis

Effigies miranda viri mirabilis ista est, Si modo naturae par fuit artis opus.

Nam geminas torquent oculi sub vertice tedas; Et caput in septem scinditur areolas.

46 Cfr. lerner, Introduzione a t campanella, Apologia pro Galileo, p. xxiv

47 amabile, Fra Tommaso Campanella ne’ castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, i, p. 217. Brevi notizie su Luigi Caetani (1595-1642) sono fornite da caetani, Caietanorum genealogia. Indice genealogico e cenni biografici della famiglia Caetani dalle origini all’anno 1882, p. 78.

48 firpo, L’ iconografia di Tommaso Campanella, p. 16.

49 Ibidem, p. 17. Sulla ricca collezione di Cassiano dal Pozzo, in corrispondenza con Campanella tra il 1624 e il 1638, ci limitiamo a segnalare d l sparti, Le collezioni dal Pozzo. Storia di una famiglia e del suo museo nella Roma seicentesca, Modena, Panini, 1992, e i Segreti di un collezionista. Le straordinarie raccolte di Cassiano dal Pozzo (1588-1657), a cura di f. solinas, Roma, De Luca, 2001. L’ ipotesi di una provenienza dalla raccolta di Cassiano è stata recentemente messa in discussione da g. leone , nella scheda redatta per il citato catalogo Francesco Cozza (1605-1682). Un calabrese a Roma tra classicismo e barocco, p. 18, pur osservando che l’opera «ad ogni modo è contemporanea alla presenza del filosofo nella città (…) Tommaso Campanella giunse nella città pontificia nel 1626, dopo la prigionia, e qui fu accolto dal circolo papale barberiniano che lo aiuterà di nuovo a trasferirsi in Francia dopo il 1634. Il dipinto (…) potrebbe quindi collocarsi in ambito barberiniano, ipotesi giustificata dalla già menzionata presenza di un analogo ritratto nella collezione Dal Pozzo».

Scilicet ingenio potuit qui vincere cunctos, Diversam a cunctis possidet effigiem 50

Anche su questo punto però, la documentazione finora rinvenuta tace, e Eugenio Canone ritiene «pertanto auspicabili più approfondite ricerche nell’Archivio Caetani e in altri archivi romani, nella speranza di rintracciare qualche notizia in inventari secenteschi o in altre fonti»51. Per quanto riguarda in particolare le carte Caetani, tali auspicate ‘indagini appronfondite’ sono state senza dubbio già condotte da Luigi Fiorani, che nel 2006 conclude che la «presenza di documenti campanelliani negli opulenti fondi archivistici della Fondazione è risultata, pur dopo insistiti sondaggi da me eseguiti in varie direzioni, estremamente esigua, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare»52.

L’ osservazione di Fiorani – «è mia impressione, comunque, che l’Archivio abbia dato tutto ciò che poteva dare sulla figura di Campanella»53

50 Cfr. g naudé, Epigrammata in virorum literatorum imagines quas illustrissimus eques Cassianus a Puteo sua in bibliotheca dedicavit, Romae, excudebat Ludovicus Grignanus, 1641. Si veda la recente edizione, corredata di traduzione italiana e dalla quale si cita, Epigrammi per i ritratti della biblioteca di Cassiano dal Pozzo, a cura di e. canone e g. ernst, traduzione di g. lucchesini, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2009, p. 39. Cfr. quanto si osserva alle pp. 16-17, «Le composizioni poetiche di Naudé, che presentano un’indubbia erudizione e una ricerca di eleganza formale, in alcuni casi mancano di naturalezza, suscitando l’impressione di artificio e di una certa frigidità. Fra i più riusciti si possono annoverare proprio quelli per Campanella e Galileo. Del primo, Naudé sottolinea la corrispondenza fra l’eccezionalità dell’ingegno e quella dell’aspetto, dominato dall’insolita forma della testa, ma soprattutto dallo sguardo ardente, ciò che non può non richiamare lo straordinario ritratto di Francesco Cozza (…) in cui la concentrazione malinconica del volto è dominata dall’intensità bruciante dello sguardo, che lo fa emergere dal volto scuro».

51 canone Il volto di Tommaso Campanella. Dipinti e incisioni, p. 243. Cfr. in precedenza dello stesso autore L’ iconografia campanelliana tra realtà e fantasia, in Tommaso Campanella. L’ iconografia, le opere e la fortuna della Città del Sole, a cura di e. canone e g. ernst, Milano, Biblioteca di via Senato, 2001, pp. 11-23, dove a p. 15 si osserva che «se la presenza del dipinto nel palazzo Caetani è documentata dalla metà del Settecento, problematica appare l’originaria committenza dell’opera; non così sicura infatti risulta l’ipotesi di Luigi Amabile secondo il quale il quadro sarebbe stato commissionato dal Cardinale Caetani».

52 fiorani, I Caetani e Tommaso Campanella, p. 105. Si veda anche la precoce menzione del ritratto da parte di Tommaso Aceti nelle sue annotazioni all’opera di giacomo barrio, De antiquitate & situ Calabriae libri quinque cum animadversionibus Sertorii Quattrimani patrici Cosentini nec non prolegomenis additionibus e notis Thomae Aceti academici Cosentini, Romae, ex typographia S. Michaelis ad Ripam, sumptibus Hieronymi Mainardi, 1737, p. 255, «Fuit Campanellae staturae procerae, optimique temperamenti: caput habebat Aesopium, peponis instar variis segmentis distinctum, capillos hispidos, oculosque castaneos. Ejus effigies a celebri artifice Francisco Cozza cive suo ac consanguineo depicta Romae in Cajetana pinacotheca asservatur».

53 fiorani, I Caetani e Tommaso Campanella, p. 105

– appare confermata, da un punto di vista documentario, anche per quanto riguarda le ragioni della presenza del ritratto campanelliano nelle stanze del Palazzo Caetani, e la cui unica traccia si limita a essere la laconica nota, vergata nel Settecento dalla mano di monsignor Onorato, nell’inventario dei beni della famiglia: «Tommaso Campanella, vi son molti ritratti in casa di lui»54. Nell’attesa che documenti di futura individuazione possano offrire nuovi spunti, non possiamo quindi che fare nostre le parole con le quali Fiorani conclude i suoi rapidi appunti per la stesura della relazione del 2006: Il rapporto tra Campanella e i Caetani. Tema allettante, ma che le fonti, almeno per ora, non consentono di spiegare e di illuminare come avremmo voluto. Lasciamo che il rapporto tra Caetani e Campanella resti sfumato.

54 Ibidem, p. 109, in riferimento all’inventario conservato presso l’archivio della Fondazione Caetani, Fondo Generale. Mons. Onorato Caetani. Sulla figura di Onorato si veda l. fiorani, Una figura dimenticata del Settecento romano. L’ abate Onorato Caetani, «Studi Romani», XV (1967), pp. 34-60, oltre al saggio di m. cattaneo, Onorato Caetani

“uomo enciclopedico e illuminato” del Settecento europeo, nel presente volume.