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L’ORATORIO DEI FIGLI DELLA CARITÀ CANOSSIANI - VENEZIA, ORATORIO DI SAN GIOBBE » pag

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l’Oratorio dei Figli della Carità Canossiani

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VENEZIA, ORATORIO DI SAN GIOBBE

In occasione della celebrazione dei 190 anni dalla fondazione dell’Istituto Canossiano maschile, tenutasi a Venezia nella Chiesa dei SS. Giobbe e Bernardino attigua alla Casa Madre e all’Oratorio di San Giobbe, l’ex allievo dell’Oratorio Mario Molin - che continua ad essere vicino e disponibile con la sua opera di servizio volontario – ha raccontato qualcosa della storia di questo Oratorio, il primo dell’opera canossiana.

Per parlare di questi 190 anni di vita dell’Istituto dei Figli della Carità Canossiani è doveroso partire dagli inizi.

I Figli della Carità S. Maddalena li voleva ‘poveri tra i poveri’, ultimi tra gli ultimi per tutta la loro vita, ricchi solo della carità di Gesù crocifisso e di Maria Addolorata ai piedi della croce.

L’Oratorio maschile nasce dopo diversi tentativi andati a vuoto, i più noti con il filosofo roveretano Antonio Rosmini, fondatore dell’Istituto della Carità e col giovane prete veronese Don Antonio Provolo, fondatore della Compagnia di Maria per l’educazione dei sordomuti. Maddalena incontra a Venezia Don Luzzo insegnante al Seminario Patriarcale, e gli propone di aprire un Oratorio per l’educazione civile e religiosa dei fanciulli più bisognosi. Don Luzzo, particolarmente sensibile a questa necessità, accetta senza immaginare il lavoro che lo attendeva. Dal 23 maggio del 1831, lunedì di Pentecoste, una moltitudine di ragazzi invade il piccolo Oratorio di S. Lucia, tanto che il povero Don Luzzo ripetutamente chiede aiuto alla Canossa, perché non ce la fa a tenere e istruire quell’orda vivace e scalmanata. Maddalena si ricordò allora di aver conosciuto in un Oratorio di Milano un umile falegname bergamasco, Giuseppe Carsana, che nel tempo libero, incontrava e istruiva i ragazzi per portarli alla domenica a Messa. Ignaro dei disegni che il Signore che stava preparando per lui (voleva farsi Gesuita), lo raggiunse l’invito pressante di recarsi a Verona. L’incontro cambiò la sua vita, e tornato a Bergamo espose il progetto della Canossa al suo giovane compaesano Benedetto Belloni che lo aiutava nelle iniziative di bene verso i ragazzi.

Nel giugno 1833 Giuseppe Carsana prima, e poi in agosto il giovane ventiduenne Benedetto Belloni, sono a Venezia al fianco di Don Luzzo. Le giornate erano vivacissime: giochi, istruzioni, catechismo e preghiere fino a sera; i ragazzi con loro erano al sicuro e alla sera venivano accompagnati a casa.

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Dovevano provvedere a se stessi per vivere, fino a notte inoltrata lavoravano da falegnami e intagliatori sostenendosi con la preghiera. Maddalena seguiva i primi passi, e oltre alle attività menzionate, volle che formassero con i più assidui la Congregazione Mariana dell’Addolorata, e da quel momento i congregati aiuteranno i tre nelle attività ricreative e nel catechismo.

Il 10 aprile 1835 muore Maddalena di Canossa. Don Luzzo stanco del ritmo troppo intenso della vita dell’Oratorio, e avvilito per la morte della Fondatrice, lascia l’Oratorio e si ritira tra i Carmelitani Scalzi. I due laici rimasti soli sulla breccia e rattristati dalla rinuncia del Luzzo a più riprese manifestano l’intenzione di tornarsene a Bergamo. Madre Cristina Pilotti Canossiana, succeduta alla Canossa, non mancò di confortare i due, rincuorandoli costantemente riuscendo alla fine che i due rimanessero a Venezia. Le difficoltà non erano finite e nel 1844 il Governo Austriaco impose lo sgombero e la demolizione del rione di Santa Lucia per erigere la nuova Stazione ferroviaria di Venezia. Consapevoli dell’opera intrapresa i due non si persero d’animo e subito si misero alla ricerca per trovare un luogo che rispondesse alle esigenze del momento. Lo trovarono lì vicino in quello che restava dell’antico Convento Francescano a fianco della Chiesa di San Giobbe, abbandonato nel 1810 dai Frati Minori e rimasto così per 34 anni. Per l’acquisto venne in aiuto la Madre Angela Bragato Canossiana che non esitò a sborsare la somma necessaria.

L’ORATORIO DI SAN GIOBBE

Il Carsana e il Belloni si misero subito al lavoro con entusiasmo e coraggio, coadiuvati dalla pronta collaborazione di allievi, confratelli e popolo. Nell’onda dell’entusiasmo i due bergamaschi chiesero alla Fabbriceria di San Geremia di poter usare un ampio locale abbandonato in Campo della Crea per adibirlo a chiesetta dell’Oratorio; tutto il complesso riaperto e restaurato, ricominciò la sua abituale attività a beneficio dei figli del popolo, solennemente benedetto dal Patriarca Jacopo Monico il 29 settembre del 1845.

Michele Campanaro, allievo da 10 anni dell’Oratorio di Santa Lucia, confratello dell’Addolorata, catechista e aiutante assiduo dei bergamaschi, anche nei restauri della nuova sede, sente la vocazione di farsi Canossiano. La sera del 2 maggio 1846 a 26 anni entra e diviene il terzo Canossiano della storia. Poco tempo dopo entrano altri due giovani: Michele Casarotto e Giovanni Berto-

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la; pieni di ottimo spirito ma di poca salute morirono presto.

Il 29 aprile 1860 festa di San Giuseppe, il Patriarca Ramazzotti decise di ornare i Canossiani dell’abito religioso come doveroso riconoscimento da parte della diocesi all’Opera dell’Oratorio. Otto mesi dopo muore Fra Giuseppe Carsana.

Dio che muove la storia ha voluto che il periodo di formazione dell’Opera dei Figli della Carità fosse regolato sempre sul numero di tre religiosi, e sempre provenienti dal vivaio dei Congregati Mariani: Fra Michele Campanaro - Padre Giovanni De Levis - Fra Vincenzo Ferro.

Nel 1893 dopo 17 anni di operosa attività, anche padre Giovanni De Levis lascia l’Istituto e diventerà Parroco di Cavazuccherina.

Nell’aprile del 1895, a 22 anni entra Fra Giuseppe Tellero, nativo dell’isola di Murano come Fra Vincenzo; nonostante avesse solo la seconda elementare dimostrò ben presto una manualità non comune: si improvvisava muratore, idraulico, calzolaio, falegname, ad ogni ostacolo trova la soluzione, e Fra Giovanni dirà di lui che “faceva per quattro e si poteva dire che l’Oratorio era nelle sue mani”. A novembre dello stesso anno entra Francesco Zuccolo e per la sua formazione canossiana, conforme alla tradizione, fu affidato per l’anno di noviziato alle premure di Fra Michele, che lo accompagnò alla professione dei voti, nella festa dell’Addolorata assumendo il nome di Fra Giovanni. Fu festa grande quel giorno a San Giobbe. Da dieci anni non si ripeteva un simile evento.

Ma a dicembre muore Fra Michele Campanaro e rimangono di nuovo in tre: Fra Vincenzo Ferro, Fra Giuseppe Tellero, Fra Giovanni Zuccolo, che dai fondatori avevano ricevuto la fede, la pietà, l’umiltà e la totale disponibilità a donare tutta la loro vita a servizio degli ultimi. Fra Vincenzo, superiore, affidò subito diversi incarichi a Fra Giovanni, invitandolo soprattutto a restare in mezzo ai ragazzi anche nei loro giochi. Era il suo mondo preferito, girava avanti indietro per il cortile, vivace, sollecito e sorridente.

Fra Vincenzo Ferro fu determinato a portare avanti l’Opera con lo spirito assorbito dai fondatori, profondo conoscitore dell’animo umano si prodigò per il bene dell’Opera seguendo la Congregazione Mariana dell’Addolorata. Promosse la devozione al Sacro Cuore di Gesù, istituì la pratica dell’ora di adorazione mensile. Fu molto stimato dal Patriarca Sarto, che oltre a riformare le Costituzioni dei Canossiani, seguiva da vicino l’opera dell’Oratorio. Giunto al soglio pontificio, al Confratello Costante Panizzon che si congratulava per il grande evento, papa Pio X disse: “Saludime Fra Vincenzo”, e ai veneziani che andavano a trovarlo chiedeva notizie di Fra Vincenzo e dell’Oratorio; a una nuova udienza a dei veneziani chiese apertamente “E Fra Vincenzo no ghe xe? Come mai nol xe vegnuo? El vegnarà, el vegnarà?”. Così final-

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mente nel 1909 fra Vincenzo arrivò in Vaticano accompagnato da sei confratelli, e Pio X nel vederlo esclamò: “Sisto vegnuo finalmente ... sisto vegnuo”, e mentre dava loro la benedizione disse: “Continué, continué che el ben che fé no ga nome”. Fra Vincenzo fino all’ultimo giorno della sua vita non fece altro che educare, sostenere, indirizzare ragazzi, giovani, uomini e le sue ultime parole furono “Ve racomando i fioi, i fioi ... i fioi”. Morì il 19 dicembre 1922.

Nel 1916 entra nell’Istituto Giuseppe Marchiori col nome di Fra Luigi. Quando i suoi maestri Fra Vincenzo Ferro e Fra Giuseppe Tellero furono chiamati dal Signore, Fra Giovanni rimase solo con Fra Luigi. Sentì in quel momento la solitudine profonda, la paura per un peso troppo grande, decise di rimettere l’Opera nelle mani del Patriarca. Il Patriarca La Fontaine non accettò e incoraggiò Fra Giovanni a continuare, e lui obbedì rimanendo al suo posto. Inviato dal Patriarca di lì a poco giunse a San Giobbe Don Giovanni Calabria, fondatore a Verona. Arrivò in incognito per verificare la possibilità di assorbire l’Istituto nella sua Opera. Visitò i locali dell’Oratorio, vide la tumultuosa presenza dei ragazzi e il lavoro immane dei due poveri frati, ascoltò il loro lessico catechistico e si convinse che lì c’era il dito di Dio, e questo riferì al Patriarca il quale incoraggiò Fra Giovanni a continuare fiducioso nella provvidenza di Dio e non mancò di sostenerlo con lettere di ammirazione e incitamento.

Si cominciò a vedere l’effetto delle preghiere promesse dal cielo da Fra Vincenzo. Dalla paventata fine dell’Opera Canossiana si delinea la rinascita con la terza generazione di Canossiani. Nel 1925 entra Pietro Pasa, Fra Benedetto, e a distanza di qualche mese lo segue suo fratello Mons. Giovanni Maria Pasa, che diventerà Padre Angelo, un vero angelo della Provvidenza.

Nel 1927 entra anche il Confratello Federico Nen, Fra Giuseppe, e Sciessere Giuseppe, che prenderà il nome di Fra Michele. Nel 1928 un altro Confratello Mario Molin, Fra Vincenzo. Ed è così che i nomi degli eroici fratelli si rincorrono e il loro ricordo si perpetua in benedizione.

Ma fu padre Angelo Pasa il grande artefice dello sviluppo dell’Opera Canossiana. Il 14 ottobre del 1923, quando ancora era Monsignore a Padova, gli aveva scritto Fra Giovanni: “Rev. Don Giovanni, credo che il Signore l’abbia destinata ad essere Maestro dei Canossiani e che per mezzo suo la nostra istituzione abbia ad arrivare a quello sviluppo che tutti desideriamo”.

Per concludere, un aneddoto tra i tanti riferiti a Fra Giovanni. Egli era solito quando aveva un po’ di tempo libero, recarsi nel coretto a pregare. Un giorno un chierico gli chiese: “Padre, ma lo vede Lei il Signore?” e Fra Giovanni senza scomporsi: “Coi oci no, ma con la fede sì. Lu xe qua e mi ghe parlo” Per Fra Giovanni, difficoltà, ostacoli, croci, avversità, incomprensioni… per tutto vi era un rimedio e diceva: “Preghemo intanto, lassemo che el Signor fassa le cose per ben”.

Mario Molin

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