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Musica dall'esilio
La musica, come ogni altra forma d’arte, non può mai essere vista al di fuori dei fatti storico-politici del proprio tempo: questa affermazione, di per sé banale, acquista evidenza plastica quando ad essere sotto osservazione sono partiture della prima metà del Novecento o addirittura, stringendo l’obiettivo come è il caso di fare per le pagine in programma questa sera, degli anni intorno alla Seconda Guerra Mondiale. Il Concerto per violino n. 1 di Šostakovič viene completato nel marzo 1948, poche settimane dopo che Ždanov aveva incluso il Nostro nell’elenco dei compositori “formalisti”, e poco prima delle grandi purghe staliniane che porteranno in Siberia e nei gulag centinaia di migliaia di persone. Questa Ždanovščina distrusse di fatto la vita musicale sovietica, Šostakovič fu lasciato – come racconta Rostropovič – «solo nel suo ambiente con intorno un piccolo gruppo di fedelissimi amici» e il Concerto, scritto per David Ojstrakh, non vide la luce fino al 1955, entrando a far parte, con i successivi Quarto quartetto e il ciclo vocale Dalla poesia ebraica, di quelle pagine che i russi definiscono da “scrivere per il cassetto” (писать в ящик). Una sorta, insomma, di esilio psicologico dalla propria patria: condizione assai frequente, forse costante nella carriera di Šostakovič, e del tutto assimilabile a quella di Bartók, il quale, assistendo con crescente sgomento all’influsso sempre più evidente dell’aquila nazista sull’Ungheria, fino all’inclusione nel blocco con Roma e Berlino, decise – dopo una sorta di prova generale con una tournée concertistica svoltasi nella primavera del 1940 – di lasciare Budapest con la moglie Ditta nell’ottobre dello stesso anno. Quello fra il quasi 60enne compositore ungherese e il Nuovo Mondo fu un rapporto breve (morì, infatti, nel settembre 1945) e difficile, ma che al suo centro, in ogni senso, vide la composizione del Concerto per orchestra, in cui, come afferma Massimo Mila, «si direbbe che […] l’intransigenza adamantina di Bartók si sia un poco smussata», recuperando anche quegli aspetti della sua tradizione musicale e culturale che, in passato, aveva ferocemente schernito ed escluso.
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Lajos Tihanyi Ritratto di Donna Magda Leopold, 1914. Olio su tela