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Nuove sfide per la distribuzione horeca e il fuori casa
Una più alta qualità della vita per una società più sostenibile
RAPPORTO 2023
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07 | INTRODUZIONE
11 | CAPITOLO 1
Il fuori casa per una società più sostenibile
1.1. L’originale contributo
1.2. La convivialità rilanciata e il valore vero della Movida
1.3 Il ruolo strategico della Distribuzione Horeca nel nuovo contesto
1.4. I risultati in pillole
19 | CAPITOLO 2
Punti d’attacco
2.1. L’abitudine che torna
2.2. La Distribuzione Horeca decisiva
2.2.1. Forme di supporto
2.2.2. L’upgrading della cultura di filiera
2.3. Nuove sfide in avanti: la sostenibilità
2.3.1. Qualità della vita e valore della relazionalità
2.3.2. La sostenibilità per il fuori casa
2.3.3. Approfondimenti necessari
2.3.4 I rischi della sostenibilità penitente
2.4. Pratiche verdi
2.4.1. Stato di avanzamento
2.4.2. Esempi concreti
2.4.3. Stimolo per un fuori casa più sostenibile
2.4.4 Verso una più alta sostenibilità sociale
33 | CAPITOLO 3
Cibo e convivialità, un nesso molto italiano
3.1. La quotidianità cambiata
3.2. Un valore attualissimo
3.3. Il punto di vista degli italiani
37 | CAPITOLO 4
Convivialità extradomestica
4.1. La nuova attrattività del fuori casa
4.2. I comportamenti
4.2.1. Attuali
4.2.2. Desiderati
4.2.3. Il senso dei dati
4.3. Il buon giudizio
4.3.1. Qualità della vita migliore
4.3.2. Chiusure uguale decadenza
46 | CAPITOLO 5
Oltre retoriche fuorvianti
5.1. Equivoci da superare subito
5.2. Le opinioni
5.2.1. I dati
5.2.2. Il significato sociale
5.2.3. La professionalità che garantisce
51 | CAPITOLO 6
Gestire il cambiamento
6.1 Colmare il gap tra valore sociale e social reputation della Movida
6.2 No Movida, no sicurezza
6.3 Le ragioni sociali attuali
6.3.1 Temporaneo ed essenziale: una quota di benessere soggettivo irrinunciabile
6.3.2 Piattaforma per modalità diverse di vivere la vita: la voglia di lentezza
6.3.3 Consumi simbolici da tutelare
6.3.4 Dalla parte dei giovani
60 | CAPITOLO 7
Perché fuori casa e Distribuzione
Horeca sono essenziali
7.1 Un percorso interpretativo
7.2 Il paradigma della Movida
7.3 L’ampliamento possibile del bacino del fuori casa
Cueva de las manos, se dovessimo trovare un’immagine per descrivere il secondo Rapporto Censis-Italgrob questa caverna, con le sue pitture rupestri, sarebbe sicuramente una delle candidature più promettenti. Quell’insieme di mani rosse con cui un essere umano ai primordi ha deciso di istanziare se stesso, pervaso dall’illuminazione di un cogito ancestrale, è una descrizione icastica della Distribuzione Horeca così come emerge da questo Rapporto. Se, infatti, la differenza tra l’essere e l’esistere è rappresentata proprio dall’istanziarsi, da quel marcare la differenza tra il dire ci sono e agisco, inteso non come una spinta acefala al fare insostenibile ma come il divenire attanziale del sé nel mondo, allora, dopo l’epifania dell’esserci del Distributore, oggi il Censis ne racconta l’esistenza. Ma lo fa delicatamente, per connotazione, così da contestualizzarne la presenza nell’affresco di una società disperatamente in cerca d’autore.
In questo dipanarsi narrativo, quasi sulle arie smetaniane della Moldava, i punti d’appoggio sono due: la sostenibilità sociale e il rito. La prima si articola su quattro distinti principi:
• La sostenibilità interna, intesa come la capacità della Distribuzione Horeca di dimostrare che una logistica socialmente inclusiva è possibile mantenendo le regole dell’economia di mercato; per il Distributore lo stare insieme non è solo l’enunciazione di un modello di business, ma rappresenta un modo di intendere l’esistenza;
• La sostenibilità esterna, perché la vita è riscoperta del piacere del corpo, di quella fisicità dionisiaca a cui Nietzsche ha dedicato vita e destino; quell’essere umano, troppo umano, per cui se proprio dev’essere sanbenito che almeno sia oltraggioso, come si addice ai periodi di crisi. La sostenibilità penitente è insostenibile;
• Sostenibilità istituzionale, perché la Distribuzione Horeca deve essere parte attiva nei processi normativi che interessano la comunità di riferimento, rappresentandone, nei fatti, la materia prima di costruzione; non c’è vita al di fuori delle mura dell’Horeca;
• Sostenibilità culturale, perché il sapere imprenditoriale del Distributore permette di armonizzare le diverse velocità con cui si muove il corpo sociale non solo attraverso le competenze tecniche specifiche, ma anche con il suo ruolo di mediatore culturale occulto a cui spetta il compito di diversificare i contesti relazionali.
Si tratta, in ultima analisi, di descrivere il modello di business distributivo come un architrave che poggia su tre colonne: la mimesi, quale momento di infeudazione dell’impresa nel territorio, la genesi, come tratto di orientamento creativo delle dinamiche sociali e la plasticità, intesa come un adattarsi dinamico ai cambiamenti senza venir meno alla propria natura essenziale.
Il secondo punto d’appoggio è il rito. Questo Rapporto, infatti, ha il pregio di distinguere con molta finezza, rispettivamente, le strutture sociale e culturale, definite come il modo di intendere la vita con il suo bisogno, tutto mediterraneo, di stare insieme, il rito, inteso come la modalità con cui si concretizza il bisogno, e l’esperienza, connotata dal sé mnemonico che, prevalendo su quello esperienziale, trasforma la gestualità allargata del rito in simbolo attraverso un percorso di unificazione. Su questo aspetto è importante fare chiarezza, perché il rischio di toccare da vicino la nozione di confusione è molto alto, in particolare con riferimento al rito.
Nel Rapporto la Movida, emendata dalla forzata torsione etica e ricondotta nell’alveo sociale che le è proprio, è presa come ipostasi del consumo fuori casa inteso come rito. Il rito non comunica nulla e, di per sé, non è neanche una relazione sociale. Rimanda, piuttosto, ad un’esperienza che istituisce, grazie a una prossemica gestuale e simbolica specifiche, le basi per interconnettere gli esseri umani tra loro e con una serie di simboli. Il rito, quindi, è una sorta di meta-contesto che indirizza i percorsi di comunicazione, mentre le azioni che lo concretizzano, che pure non sono traducibili direttamente in simboli, terminata la gestualità costitutiva permettono a esperienza e simbolo di unirsi indissolubilmente. Detto altrimenti, l’atto di andare al bar è un rito e, come tale, è distinto dal bisogno sottostante e dall’esperienza che ne deriva.
La portata concettuale di questa visione è formidabile perché permette di concludere che se è vero che l’HoReCa non morirà mai, altrettanto non si può dire del bar o del ristorante o di qualunque altro rito; nuove forme di somministrazione si stanno affacciando sul mercato, nuovi riti stanno innestandosi in un corpo sociale sfibrato ma ancora vitale e la Distribuzione Horeca è chiamata alla mimesi, alla genesi e alla plasticità. Al Distributore, pronao del tempio sociale, è affidata la custodia del senso di appartenenza di ciascuno di noi in quanto animali sociali.
Buon lavoro, Distributore, sprona la tua cavalcatura attraverso spazi ignoti e strappa meraviglie dalle mani del tempo.
Antonio Portaccio Presidente Italgrob
Capitolo 1
Il Fuori Casa Per Una Societ Pi Sostenibile
1.1. L’originale contributo
Il presente Rapporto riconduce il valore del fuori casa nel nuovo contesto sociale ed economico segnato dalla successione delle emergenze e dal primato della sostenibilità intesa in senso ampio.
Ogni attività economica e sociale deve rispondere ad appropriati criteri per ridurre l’impronta ecologica e contribuire alla lotta al riscaldamento globale, essere economicamente inclusiva con prezzi accessibili per un gran numero di persone e rispettare taluni criteri di socialità, dai diritti di lavoratori e fornitori alla diversity, al benessere delle comunità locali.
Esito di tali trasformazioni non può che essere una qualità più alta della vita delle persone, altrimenti sarà molto difficile conquistarne l’adesione attiva a un processo collettivo che richiede il coinvolgimento dal basso di milioni di individui.
Infatti, se la transizione alla sostenibilità non genera anche più alto benessere soggettivo e migliore qualità della vita, e anzi provoca temporanee o permanenti contrazioni di entrambi, è facile prevedere reazioni contrarie da parte dei cittadini con una non compliance alle modifiche richieste agli stili di vita.
Da qui l’assoluta e urgente priorità di promuovere subito, nella materialità del quotidiano delle vite delle persone, il nesso concreto fra transizione sostenibile e più alta qualità della vita. Ecco perché la molteplicità di adattamenti nelle pratiche di vita imposti dalla sostenibilità non possono non essere affiancati da aspetti del quotidiano che, a lungo andare, incidono positivamente sul benessere soggettivo e la qualità della vita.
In tale contesto gli attori principali del fuori casa, dalla Distribuzione Horeca agli esercizi pubblici, possono dare un contributo essenziale all’arricchimento qualitativo della sostenibilità e a una transizione smooth a essa, poiché la loro attività rende possibile, facilita e promuove la relazionalità sociale diffusa, dimensione costitutiva della buona qualità della vita, ancor più apprezzata dagli italiani in questo periodo così tumultuoso.
Pertanto, riguardo al rapporto tra sostenibilità e filiera del fuori casa, si può dire che quest’ultima è molto impegnata ad adempiere ai precetti del green e della sostenibilità in generale, anche perché sollecitata dall’elevata attenzione dei clienti in tale ambito.
Però il dato essenziale aggiuntivo è che tale rapporto non si esaurisce solo ed esclusivamente nel rispetto puntuale degli adempimenti previsti, ma coinvolge una dimensione aggiuntiva, originale, un di più che il fuori casa è in grado di mettere in campo a beneficio della società italiana: il contributo che, tramite la generazione di relazionalità sociale, può dare qui e ora al benessere soggettivo e alla qualità della vita e, quindi, a un’idea di società sostenibile in linea con le aspettative delle persone e, anche, in grado di promuovere un’elevata social acceptance della transizione ad essa.
Questa la novità vera del presente Rapporto: esso focalizza un ulteriore specifico contributo della filiera del fuori casa ad una società sostenibile, poiché con la sua attività genera e promuove quella relazionalità sociale che migliora la qualità della vita, facilitando anche la conquista del consenso alla trasformazione per la sostenibilità.
In estrema sintesi si può dire che: gli attori del fuori casa stanno operando con impegno per adattarsi ai precetti della sostenibilità intesa in senso ampio; al contempo, la società sostenibile ha bisogno di un fuori casa in grado di dispiegare per intero i benefici della sua azione che intensifica la buona relazionalità e migliora la qualità della vita delle persone, contribuendo così a promuovere il consenso sociale a una visione qualitativamente più ampia e attrattiva di società sostenibile.
1.2. La convivialità rilanciata e il valore vero della Movida
Nella società italiana sotto sforzo per le tante sfide emergenziali e per la necessità di cambiare modalità produttive, modelli di consumo e stili di vita per adattarsi ai nuovi precetti della sostenibilità, il significato sociale della convivialità si amplia poiché, oltre ad essere un costitutivo dello stile di vita italiano, essa deve contribuire a migliorare la qualità della vita di persone che, altrimenti, avranno ben poca voglia di seguire i nuovi precetti della sostenibilità.
In pratica, una società più sostenibile non può essere solo più green, economicamente inclusiva e rispettosa di diritti sociali, ma deve anche contemplare una qualità della vita più alta per la maggioranza delle persone: ecco la visione più ampia della sostenibilità che, presumibilmente è in grado di coinvolgere maggiormente gli italiani.
Componente importante per generare una migliore qualità della vita è senz’altro una relazionalità appagante, serena, apprezzabile. La filiera del fuori casa con i suoi molteplici protagonisti è l’attore economico e sociale che, più degli altri, è in grado di promuovere una relazionalità diffusa che risponda a quel desiderio di socialità che, come si è visto nell’astinenza pandemica, è molto forte.
Lo è ancor di più in tempi in cui le difficoltà si moltiplicano con una successione di eventi globali che planano nel quotidiano modificando radicalmente le condizioni di contesto, affaticando fino a sfiancare individui e collettività.
Ebbene, è proprio di fronte a tale situazione che va valutata con grande attenzione la portata sociale, oltre che economica, della filiera del fuori casa quel di più che offre in termini di convivialità che è parte dello stile di vita italiano e dimensione ancor più apprezzata in questa fase storica di grandi difficoltà.
Per tale ragione, occorre emancipare il tema della convivialità dalla diatriba tra Movida e MalaMovida, valorizzando il fuori casa come portatore di una relazionalità essenziale per la buona qualità della vita che va sempre più proposta come componente costitutiva della società sostenibile verso la quale ci si è collettivamente incamminati. Mettere la filiera del fuori casa nelle condizioni di operare bene è, oggi, una priorità tanto quanto verificare la sua compliance rispetto ai precetti della sostenibilità.
D’altro canto, la Movida è vista dagli italiani come una delle forme di convivialità diffusa, una piattaforma sociale in cui le persone si incontrano, stanno insieme a tavola tra cibo e bevande, con effetti positivi sul benessere soggettivo.
La buona valutazione della Movida si fonda sulla fiducia che gli italiani hanno negli attori del fuori casa, nella convinzione che imprenditori capaci e competenti sono in grado di garantire una convivialità apprezzabile e serena nei luoghi della Movida.
L’apprezzamento degli italiani nei confronti della relazionalità che si svolge nel fuori casa e il suo positivo impatto sulla qualità della vita emerge anche dalla voglia di uscire con maggior frequenza la sera, beneficiando con più intensità delle opportunità relazionali legate ai tanti e diversi luoghi del fuori casa.
Non c’è dubbio, quindi, che per la maggioranza degli italiani i protagonisti del fuori casa oggi vanno supportati e messi nelle condizioni di dispiegare gli effetti positivi della propria azione.
Da ora in avanti parlare di sostenibilità non deve richiamare alle persone solo ed esclusivamente una serie di adempimenti che sono chiamati ad applicare, ma l’idea di una società in cui, oltre a miglior tutela dell’ambiente e diffusa inclusività economica e sociale, ci sia più alta qualità della vita per tutti, anche grazie ad una socialità diffusa, gratificante, condivisa.
1.3. Il ruolo strategico della Distribuzione Horeca nel
nuovo contesto
In una filiera chiamata alla sfida della sostenibilità in un momento per essa molto difficile a causa di eventi globali, è importante rilevare il valore sicuro del fulcro della filiera, vale a dire la Distribuzione Horeca. Ecco in estrema sintesi le ragioni della sua rilevanza strategica:
• se il fuori casa all’allentarsi dell’emergenza sanitaria è potuto ripartire, modulando l’offerta sulle nuove esigenze dei cittadini, è perché la Distribuzione Horeca, connettendo industrie produttrici ed imprese del fuori casa, ha continuato a garantire l’approvvigionamento puntuale di cibi e bevande a costi sostenibili per imprese spesso in notevoli difficoltà. Infatti, dopo i duri colpi del periodo emergenziale, le imprese del fuori casa, in gran parte piccole, sono alle prese con il rialzo dei costi dell’energia e, più in generale, l’inflazione e con la conseguente minaccia di finire fuori mercato;
• di fronte al rischio di una diffusa insostenibilità economica e finanziaria delle imprese del fuori casa, è stata vitale l’azione della Distribuzione Horeca che ha agito come banca di fatto. Infatti, con modalità flessibili in relazione alla mutevolezza dei contesti, essa ha garantito e garantisce respiro nei pagamenti delle forniture, erogando credito sostanziale;
• ecco perché la Distribuzione Horeca è il soggetto senza il quale il mondo del fuori casa andrebbe incontro ad una ristrutturazione feroce che ne muterebbe i connotati, con una pericolosa morìa di piccole imprese che sono fonte di reddito per una moltitudine di famiglie di titolari e dipendenti, e committenza di tante altre dell’industria del food & be- verage. In questo senso, la Distribuzione Horeca va considerata come il fulcro della filiera senza il quale è alto il rischio che essa subisca uno sfoltimento estremo con rilevanti costi economici e sociali;
• la Distribuzione Horeca esercita poi nei confronti degli altri attori della filiera e, in particolare, a beneficio della moltitudine di operatori sui territori, una funzione pedagogica di upgrading delle culture imprenditoriali e di gestione. Di fatto, le imprese della Distribuzione Horeca sono per quelle del fuori casa interlocutori con più alte competenze e maggior spessore imprenditoriale, in grado di dare supporto e consulenza per decisioni che, nel concreto, molto incidono sugli esiti dell’attività aziendale;
• quello della Distribuzione Horeca è un supporto culturale a vari livelli, che trasferisce alle imprese del fuori casa approcci più evoluti che hanno già dato ottimi risultati, ad esempio, nella promozione di prodotti locali, spesso scoperti e inseriti nelle offerte dei punti vendita del fuori casa proprio su sollecitazione degli operatori della Distribuzione Horeca. Sono sempre più rilevanti gli stimoli per i piccoli imprenditori del fuori casa ad adottare, ad esempio, soluzioni più in linea con le nuove sensibilità e i nuovi valori dei consumatori, e con i precetti delle diverse dimensioni della sostenibilità;
• il supporto culturale della Distribuzione Horeca potrà essere decisivo nel tempo anche per un upgrading sistemico di cultura e gestione della Movida; può contribuire, infatti, a costruire modalità più efficaci di promozione e gestione della relazionalità nel fuori casa sia da parte dei singoli titolari e gestori degli esercizi pubblici sia da parte delle istituzioni con cui aprire un dialogo attivo mirato a condividere soluzioni sistemiche. La Distribuzione Horeca oggi è l’attore più avanzato della filiera, in grado di far evolvere le culture imprenditoriali dell’ampio e variegato mondo del fuori casa, con benefici rilevanti per le economie locali e le comunità.
1.4. I risultati in pillole
Convivialità, abitudine italianissima. Il 92,9% degli italiani dichiara che lo stare insieme per bere e mangiare è uno degli aspetti fondamentali dello stile di vita italiano. È un’opinione trasversale ai gruppi sociali ed ai territori, con percentuali maggiori tra i redditi medi (96,5%), i laureati (94,8%), gli anziani (94,6%), gli adulti (93,9%) ed i residenti nel Nord-Ovest (94,6%). In generale, i dati confermano che per la grande maggioranza dei cittadini la convivialità a tavola è una tradizione italiana, sia quotidiana sia come perno di eventi e ricorrenze. La ritrovata rilevanza del fuori casa richiama la nostalgia per essa emersa nel periodo dei divieti, la voglia di tornare a frequentarne i luoghi nel post emergenza ed un aspetto più strutturale e di lungo periodo, vale a dire la convivialità a tavola come componente della cultura sociale degli italiani.
Uscire la sera fa vivere meglio. Il 47,3% degli italiani quando esce la sera si reca in locali pubblici, di solito nei luoghi della Movida: l’8,8% (oltre il 23% tra i giovani) lo fa quasi sempre, il 10% almeno una volta ogni quattro giorni e il 28,5% sempre. In pratica, nelle uscite serali quote elevate di italiani dei diversi gruppi sociodemografici si recano nei luoghi del fuori casa e, in particolare, in quelli condensati nei territori della Movida. È un’abitudine di massa, socialmente e territorialmente trasversale, componente stabile dello stile di vita di milioni di italiani. Al 40,3% degli italiani piacerebbe uscire di più la sera, perché ritiene che avrebbe un effetto positivo sulla propria qualità della vita. È questo uno spazio di ulteriore ampliamento del fuori casa che nasce dalla convinzione diffusa che coltivare almeno una parte delle proprie relazioni fuori dalla propria abitazione contribuisca a far vivere meglio. Tale domanda potenziale è una conferma che il fuori casa in questo periodo è percepito come essenziale dagli italiani e non come voluttuario e superfluo, ed indica una straordinaria opportunità per la filiera di ampliare il proprio bacino di riferimento.
I luoghi del fuori casa migliorano gli spazi pubblici. Il 70,5% degli italiani ritiene molto o abbastanza importante che nelle città italiane ci siano luoghi con una certa concentrazione di locali dove mangiare, bere, divertirsi, stare insieme. Ne sono più convinti i residenti nei Comuni maggiori (82,2%), i residenti nel NordEst (76,2%) e i redditi medi (73,8%). In particolare, per il 25,6% la concentrazione di locali dove mangiare, bere e divertirsi è molto importante per la buona qualità della vita di tutti e per il 44,9% è abbastanza importante poiché potenzia l’attrattività turistica del territorio. È evidente il positivo giudizio degli italiani sui luoghi del fuori casa, visto il nesso con la qualità della vita e con l’attrattività tu- ristica. La presenza di contesti organizzati adeguatamente che consentono alle persone di incontrarsi, mangiare e bere insieme sono percepiti come una opportunità dalla maggioranza degli italiani. Solo il 5,6% associa l’ingovernabilità dello spazio pubblico alla concentrazione di locali del fuori casa. Tale dato è una smentita secca alla demonizzazione periodica a cui viene sottoposta la Movida.
Il fuori casa che rigenera e tutela le comunità. Per il 78,5% degli italiani la chiusura di locali non fa che attivare processi di degrado facilitandone la presa di possesso da parte della microcriminalità. È un’idea diffusa, trasversale a territori e gruppi sociali e rinvia alla convinzione che i luoghi del fuori casa, moltiplicando i flussi permanenti e di attraversamento degli spazi pubblici, generano effetti positivi su sicurezza e qualità dei contesti. A ulteriore conferma di questa positiva valutazione sociale ed economica del fuori casa, il 65,7% degli italiani è convinto che la presenza di un denso tessuto di attività in un territorio sia uno straordinario e potente antidoto contro criminalità e degrado. Il fuori casa, in pratica, per gli italiani è un fattore della prevenzione sociale, non una fonte di illegalità e violenza.
La Movida, piattaforma di relazionalità sociale diffusa. Alla richiesta di indicare cosa pensano quando sentono la parola Movida, il 50,8% degli italiani ha risposto in modo positivo, vale a dire a luoghi della città dove è possibile passeggiare, mangiare, bere, stare insieme, posti dove trascorrere tempo con gli amici. Tale positiva visione della Movida come piattaforma relazionale è condivisa trasversalmente ai gruppi sociali, sia pure con qualche differenza. La condividono il 59,9% dei giovani, il 55,5% degli adulti ed il 35,6% degli anziani, il 61,8% dei laureati, il 55,6% dei diplomati ed il 43% dei più bassi titoli di studio e 57,4% degli alti redditi ed il 42,2% dei redditi bassi. Come rilevato, nel complesso la social reputation della Movida presso gli italiani è positiva, in contrasto netto con le letture demonizzanti.
Imprenditori del fuori casa, garanti della buona convivialità. L’83,4% degli italiani è convinta che gestori di locali con appropriata professionalità siano la garanzia di una Movida senza eccessi e in sicurezza. È un’opinione che prevale in modo trasversale a gruppi sociali e territori che conferma indirettamente la buona social reputation degli operatori del settore e la fiducia che gli attribui- scono gli italiani. La Movida, per gli italiani se gestita da imprenditori professionali del fuori casa è utile e necessaria, un fenomeno positivo perché piattaforma di relazionalità di cui le persone hanno in questa fase un gran bisogno e che migliora la qualità della vita.
La sostenibilità già in atto. Le imprese del fuori casa sono da tempo impegnate a praticare forme di sostenibilità, visto che ben il 91,1% delle persone apprezza molto i locali che comunicano in modo trasparente le proprie pratiche ecologiche quali, ad esempio, la riduzione degli sprechi, la raccolta differenziata per i rifiuti, il ricorso a prodotti bio o a chilometro zero. È una pressione rilevante che la domanda esercita sull’offerta stimolandola ad adattarsi. Anche sugli sprechi il fuori casa si va adeguando, visto che ormai oltre il 57% dei giovani è pronto a portarsi via dal ristorante gli alimenti avanzati dai pasti.
Capitolo 2
PUNTI D’ATTACCO
2.1. L’abitudine che torna
Qual è il rapporto degli italiani con il fuori casa in una società segnata da un triennio di emergenze, con poca voglia di fare sacrifici e vite pervase da incertezza estrema? Letture semplificatorie ritengono che l’eccezionale, tanto più se prolungato come in questo triennio, spinga le persone a tagliare tutto ciò che eccede il basic, limitandosi al solo necessario a vivere. Eppure, è proprio nelle difficoltà che le persone vanno alla ricerca di qualcosa di più dell’ordinario, di occasioni per star bene, che consentano loro di uscire dal peso della quotidianità e dalle urgenze che ne condizionano gran parte delle giornate.
È questo un primo importante risultato del presente Rapporto Italgrob-Censis: la nostalgia che tanti italiani avevano espresso durante il periodo pandemico per l’impossibilità di ricorrere al fuori casa nelle modalità solite si è poi materializzata in un ritorno al fuori casa, magari con intensità e modalità nuove e originali, che comunque consentono di affermare che fa parte in modo strutturale e ineliminabile dello stile di vita italiano.
Il presente Rapporto può registrare la falsificazione anche di una seconda ipotesi a lungo veicolata nel periodo emergenziale: che la domesticità avrebbe invaso tutto lo spazio di vita delle persone riportando in casa, in maniera monopolistica, una molteplicità di attività che tradizionalmente venivano svolte nei luoghi del fuori casa.
Anche questa seconda ipotesi è stata smentita dalle concrete pratiche degli italiani che sono tornati nei luoghi del fuori casa. In quello del tempo libero, nella relazionalità di vario tipo, amicale e business, il fuori casa ha così riconquistato un ruolo significativo che è espresso da dati di spesa e, più ancora, da quelli relativi ai concreti comportamenti sociali degli italiani.
Per questo, il Secondo Rapporto può partire da un punto più avanzato rispetto a quello a cui era arrivato il Primo Rapporto, poiché la dinamica concreta dei comportamenti sociali ha confermato il valore sociale del fuori casa e, anche, quello dei suoi principali attori.
Questa realtà di fatto rilancia anche il ruolo della Distribuzione Horeca, attore a lungo misconosciuto della filiera del fuori casa e invece protagonista a tutto tondo a cui si deve la sostenibilità dell’attuale configurazione del fuori casa, capillare e diffusa, su tutto il territorio.
2.2. La Distribuzione Horeca decisiva
2.2.1. Forme di supporto
È utile riprendere alcuni dei temi più rilevanti emersi nel Primo Rapporto, a partire dall’importanza strategica della Distribuzione Horeca.
Infatti, se il fuori casa all’allentarsi dell’emergenza sanitaria è potuto ripartire, peraltro modulando l’offerta sulle nuove esigenze dei cittadini, è anche perché la Distribuzione Horeca, come settore di connessione tra industrie produttrici ed imprese del fuori casa, ha continuato ad operare assumendosi i rischi di approvvigionamenti puntuali di cibi e bevande a costi sostenibili per soggetti dalla solvibilità claudicante.
In questa fase, poi, le piccole imprese che compongono il settore, dopo aver subìto l’urto dello straordinario periodo del Covid-19 con restrizioni, chiusure, difficoltà di esercizio della propria attività, hanno dovuto registrare sui propri conti economici l’impatto tremendo dei rialzi dei costi dell’energia e, più in generale, della pressione inflazionistica sulle forniture e sui costi di funzionamento. La fragilità economica e finanziaria strutturale di una parte consistente delle attività del settore, unita agli effetti prolungati in termini debitori del periodo della pandemia, quando in tanti hanno avuto fatturati azzerati, le ha portate in prossimità del punto di fuga dal mercato e, ancora una volta, è stata vitale l’azione della Distribuzione Horeca che ha agito come banca di fatto.
Un settore strutturalmente fragile ha potuto resistere e rilanciarsi perché si è trovato con le spalle coperte dal supporto di un altro settore, la Distribuzione Horeca che a sua volta in modo permanente, con modalità flessibili in relazione alla mutevolezza dei contesti, ha garantito respiro nei pagamenti elargendo così credito sostanziale, oltre agli approvvigionamenti che hanno consentito alle imprese di continuare a fare fatturato.
Come più volte evidenziato, non ci sarebbe il fuori casa come quello in essere, e quindi anche il valore economico e sociale che esso crea, se non ci fosse tra l’industria e il pulviscolo differenziato di esercizi del fuori casa un settore che ha intenzionalmente assunto l’onere economico ed operativo di una molteplicità di funzioni di raccordo e supporto.
Per questo la Distribuzione Horeca è molto di più che un anello di connessione in una filiera complessa: è il soggetto senza il quale il mondo del fuori casa andrebbe incontro ad una ristrutturazione feroce che ne muterebbe i connotati, con una pericolosa morìa di piccole imprese che sono non solo la fonte di reddito per una moltitudine di famiglie di titolari e dipendenti, ma anche committenza per tante imprese dell’industria del food & beverage.
2.2.2. L’upgrading della cultura di filiera
Oltre alla molteplicità di funzioni di supporto economico e finanziario che la Distribuzione Horeca esercita nei confronti degli altri attori della filiera e, in particolare, a beneficio della moltitudine di operatori sui territori, va richiamata una funzione ulteriore che si potrebbe definire di pedagogica promozione dell’upgrading della cultura della filiera.
È una funzione aggiuntiva, troppo spesso in ombra rispetto ad altre più operative e urgenti, che però ha una rilevanza fondamentale poiché consente alle piccole imprese del settore, spesso familiari, di avere interlocutori con più alte competenze e maggior spessore imprenditoriale, e quindi di beneficiare di supporto e consulenza per decisioni che, poi nel concreto incidono molto sugli esiti dell’attività aziendale.
Questa dimensione di supporto culturale ai vari livelli che viene svolta a beneficio degli imprenditori del settore non può più non includere anche la promozione di un approccio più evoluto a cultura e gestione della Movida, e più in generale alla promozione della relazionalità fuori casa.
Infatti, il fuori casa è l’infrastruttura sociale della relazionalità e la Movida ne rappresenta una modalità di fruizione sui territori. Pertanto, è evidente come sia uno degli ambiti in cui è più urgente il supporto di operatori come quelli della Distribuzione Horeca che possono aiutare a fare le scelte giuste.
In fondo, si tratta di valorizzare un canale di comunicazione e scambio già operativo e che, ad esempio, ha già dato buoni risultati in materia di promozione di prodotti locali, che spesso sono stati scoperti e inseriti nelle loro offerte dagli operatori dei punti vendita del fuori casa proprio su sollecitazione della Distribuzione Horeca.
Inoltre, come sarà approfondito più avanti, la funzione di promozione dell’upgrading della cultura della filiera è rilevante anche per la transizione sostenibile del settore.
Infatti, gli operatori della Distribuzione Horeca possono stimolare e supportare i tanti piccoli imprenditori del fuori casa ad adottare soluzioni più in linea con le nuove sensibilità e i nuovi valori dei consumatori, generando anche positivi effetti sui conti economici delle imprese coinvolte.
2.3. Nuove sfide in avanti: la sostenibilità
2.3.1. Qualità della vita e valore della relazionalità
Nel periodo segnato dal susseguirsi di emergenze, la sostenibilità si è affermata come componente costitutiva della cultura sociale collettiva e, anche, come criterio ordinatorio primario di attività economiche e sociali.
Troppo spesso, però, prevale una visione ristretta e semplificatoria, schiacciata sulla dimensione della tutela ambientale e della lotta al riscaldamento globale.
Certo che è una dimensione decisiva, perno di tanta nuova programmazione Ue che poi ricade nei processi operativi nazionali, che orienta e condiziona l’attività delle aziende e gli stessi comportamenti dei cittadini; e tuttavia da sola non riuscirà a modificare l’economia e la società.
Intanto il boom dei costi dell’energia, amplificato dall’aggressione russa all’Ucraina, ha imposto di considerare al fianco della dimensione ambientale quella economica, di sostenibilità dei budget delle famiglie, delle imprese e degli Stati. Inoltre, è diventato evidente che non si possono abbandonare in toto le forme di energia più tradizionali in assenza di soluzioni in grado di garantire flussi adeguati di energie alternative a costi accessibili per una società abituata al benessere diffuso.
Prende quota anche la dimensione sociale, quella dell’inclusione che richiede sempre maggiore puntualità ed efficacia poiché, ad esempio, deve consentire la partecipazione piena alla vita economica e sociale delle tante componenti della popolazione. È l’obiettivo della diversity a cui se ne aggiungono altri ancora, dal rispetto dei diritti dei tanti stakeholder della vita economica e d’impresa al coinvolgimento nei processi decisionali d’impresa come della società.
Ambiente, economia e società si sono quindi imposti come le tre dimensioni che devono convivere per la trasformazione sostenibile della società. Tuttavia, a questo stadio è fondamentale ampliare il significato di sostenibilità con una dimensione poco richiamata e che invece risulta decisiva: la qualità della vita. Infatti, dal contesto ambientale a quello economico e sociale l’esito complessivo non potrà che essere una migliore qualità della vita dei cittadini. Pertanto, quando si parla di transizione verso una società più sostenibile non si può non considerare oltre alla tutela ambientale, che implica beni e servizi accessibili così da generare anche inclusione sociale, anche una più alta e diffusa qualità della vita che risponda alle aspettative dei cittadini, a cominciare da una relazionalità gratificante, che soddisfa e risponde alla domanda di socialità.
È importante valorizzare il richiamo alla qualità della vita come componente costitutiva della società sostenibile, il cui raggiungimento deve guidare ed essere visibile anche nella fase di transizione. Altrimenti sarà molto difficile ottenere una elevata social acceptance all’idea stessa di società sostenibile e più ancora alla transizione verso tale modello.
Da qui l’importanza di un focus sui tanti e diversi aspetti che contribuiscono a determinare una buona qualità della vita e, considerando la filiera del fuori casa, l’attenzione non può non soffermarsi sul valore della relazionalità e delle modalità con cui le persone riescono a costruire e gestire relazioni con gli altri.
In estrema sintesi: la sostenibilità è un concetto più ampio delle dimensioni ambientale, economica e sociale perché ingloba anche il diritto trasversale, di tutti, ad una qualità migliore della propria vita.
In tale contesto, come rilevato, assume un valore particolare la relazionalità, di cui gli italiani sono stati a lungo privati a causa dell’emergenza sanitaria, e che invece è un elemento costitutivo del benessere soggettivo. Per questo è fondamentale fissare l’idea che una società più sostenibile non potrà che portare anche verso una moltiplicazione delle opportunità relazionali, perché è uno dei percorsi obbligati per migliorare la qualità della vita delle persone.
In questo quadro, parlare di sostenibilità in relazione agli attori della filiera del fuori casa impone di considerare non solo gli adempimenti a cui essi sono chiamati relativamente ai processi e prodotti della loro attività, ma anche allo specifico valore aggiunto che il settore offre, in termini di piattaforme relazionali, a beneficio della qualità della vita. Un aspetto che sempre più andrà considerato componente costitutivo di una società in transizione verso la sostenibilità.
2.3.2. La sostenibilità per il fuori casa
È utile approfondire ulteriormente il complesso nesso tra fuori casa e sostenibilità, poiché quest’ultima ha molteplici significati concreti per la filiera ed i suoi protagonisti.
In primo luogo, c’è la preferenza dei consumatori per prodotti la cui produzione e distribuzione sia in linea con i precetti della sostenibilità. Le persone, infatti, vogliono acquistare prodotti a minore impronta ecologica, che non lasciano una scia di inquinamento perché, ad esempio, non sono oggetto di spostamenti troppo lunghi.
Man mano che nella società si radicheranno i valori della sostenibilità, dall’attenzione alla tutela ambientale e alla lotta al riscaldamento globale con un conseguente adattamento dei criteri di acquisto, anche gli operatori del fuori casa dovranno adattarsi.
Di certo avranno un vantaggio competitivo quelli che riusciranno a rispondere meglio al nuovo sistema di valori e relativi criteri di acquisto dei consumatori.
Quest’ultimi sceglieranno maggiormente gli esercizi pubblici che garantiranno la disponibilità di prodotti in linea con i valori della sostenibilità.
Analogo il processo evolutivo relativo alla scelta dei locali, perché di certo avranno un vantaggio competitivo quelli che rispetteranno in modo trasparente e verificabile i precetti della sostenibilità. In questo caso conta anche la sostenibilità sociale, cioè il rispetto dei diritti dei lavoratori e dei fornitori. In tal senso, le storie relative allo sfruttamento estremo o alle retribuzioni distanti dai valori medi che emergono sui social, generano un effetto negativo sulla social reputation delle aziende coinvolte, che è già oggi consistente.
C’è poi la necessità che i prodotti e le imprese sostenibili garantiscano anche la sostenibilità economica, con prezzi accessibili per i clienti e, al contempo tali da garantire la tenuta dei conti economici delle aziende e dei relativi livelli occupazionali.
Va poi richiamata una dimensione ulteriore della sostenibilità specificamente legata al fuori casa che rinvia all’impatto che la sua azione ha sulla qualità della vita delle persone e le comunità. È un aspetto che sarà sempre più decisivo della sostenibilità, che costituisce un di più del fuori casa nel rapporto con essa.
Il fuori casa, infatti, offre luoghi organizzati, gratificanti, accessibili per fruire di una relazionalità che soddisfa e rende migliori i contesti in cui è presente, migliorando la qualità della vita delle persone.
Custodi e promotori di una relazionalità positiva: è questo il ruolo della filiera del fuori casa, quel che la rende uno dei motori di una sostenibilità compiuta perché oltre alla tutela dell’ambiente, a prezzi che facilitano l’accessibilità, genera il valore immateriale della relazionalità che fa decollare la qualità della vita delle persone.
Il di più che il fuori casa garantisce è particolarmente importante in questa fase in cui la società è impegnata nella transizione alla sostenibilità perché, a fronte di una molteplicità di aspetti del nostro tempo che attaccano la qualità della vita, essa, alimentando la piattaforma relazionale nella società, opera per preservare e migliorare la qualità della vita.
È importante anche perché in questa fase la società è alle prese con emergenze difficili ed è costretta anche a ripensare i propri stili di vita, spesso in modo restrittivo, per rispettare i nuovi criteri di tutela ambientale o di sostenibilità economica.
Pertanto, si può dire che la transizione alla sostenibilità dal punto di vista delle persone ha una desiderabilità che molto dipende dagli effetti concreti che esercita sulle vite, e se il tutto si dovesse risolvere in una moltiplicazione di adempimenti quotidiani con una riduzione di fatto della qualità della vita e del benessere soggettivo, allora diventerebbe alto il rischio di una reazione avversa.
2.3.3. Approfondimenti necessari
È evidente che una traslazione semplificata dei temi della sostenibilità alla filiera del fuori casa rischia di sottovalutare il suo contributo complessivo alla società sostenibile ed anche alla transizione ad essa. Se, infatti, ci si limita a considerare solo l’adattamento ai precetti green delle attività di produzione dei servizi del fuori casa ed il rispetto dei precetti della sostenibilità economica e sociale, si finisce per perdere di vista il suo contributo complessivo.
Come rilevato, il fuori casa crea relazionalità, ne consente la fruizione di massa, organizzata, gradevole e così facendo migliora la qualità della vita delle comunità in cui eroga i suoi servizi e dei cittadini che ne fruiscono.
È come se aggiungesse qualcosa all’idea di sostenibilità, portandola oltre la visione che la intende solo come una sorta di pratica concreta di imprese e cittadini che hanno obiettivi, scelte e comportamenti coerenti, misurabili e verificabili.
La sostenibilità in senso ampio, invece, non è e non deve essere una sommatoria di precetti tecnici da rispettare o il portato di grandi programmi sovranazionali che ricadono nel quotidiano, ma un processo sociale che coinvolge, mobilita e struttura stili di vita, culture sociali, modi di lavorare, produrre, distribuire e consumare.
Ecco perché è importante la soggettività delle persone che concretamente devono adottare certi comportamenti e, di conseguenza, le modalità con cui nel quotidiano percepiscono e praticano la sostenibilità.
Ed è molto difficile rendere socialmente coinvolgente una prospettiva che non espliciti, anche nella fase della transizione, la sua capacità di innalzare la qualità della vita delle persone.
Guai a sottovalutare lo stato d’animo degli italiani in questa fase storica, molto provati da almeno un triennio di sacrifici, stress, difficoltà inedite, disillusioni rispetto all’idea del new normal come riproduzione della normalità pre Covid. Non sorprende che vada emergendo anche una soggettività recalcitrante, refrattaria a mobilitarsi salvo poi ritrovarsi ad affrontare ulteriori costrizioni e sacrifici.
C’è nella società una stanchezza per la persistenza di eventi avversi che portano sempre nuove rilevanti sfide nel quotidiano. L’80,3% degli italiani dichiara di sentire il peso degli ultimi anni difficili, duri, fatti di sacrifici e impegni di fronte ad eventi inattesi. In pratica, gli italiani in questa fase sono convinti che di sacrifici ne hanno fatti e ne dovranno fare ancora tanti, e, pertanto, valutano come puro autolesionismo aggiungerne altri, non importa se in nome di una società che nel tempo dovrebbe essere migliore perché tutela l’ambiente.
È la ragione per cui occorre una visione alta e ampia della sostenibilità, ben oltre i suoi limiti solo ambientali o tecnico-astratti, per entrare nella molteplicità di aspetti senza i quali difficilmente potrebbe imporsi. Non ci può essere sostenibilità ambientale senza inclusione economica, ma non ci può essere sostenibilità senza l’indicazione che produrrà anche una migliore qualità della vita.
Perché ciò sia possibile, una società sostenibile deve disporre di un tessuto relazionale significativo, in grado di generare ricadute positive sulla qualità della vita ed il benessere delle persone e delle comunità.
È qui che si innesta l’apporto specifico della filiera del fuori casa che, se da un lato adotta criteri di sostenibilità dalla produzione, dai servizi ai prodotti, dall’altro però, tramite la buona relazionalità, contribuisce ad innalzare la qualità della vita individuale e collettiva.
In definitiva, il fuori casa rende più sostenibile la società non solo perché pratica il green economicamente sostenibile e inclusivo, ma perché la sua attività è di per sè stessa promozione di una dimensione costitutiva della società sostenibile, la buona qualità della vita, ed è anche origine di una più facile transizione ad essa.
2.3.4
I rischi della sostenibilità penitente
È utile comprendere al meglio l’importanza del miglioramento della qualità della vita, anche grazie ad una relazionalità appagante, come motore di conquista di consenso per la transizione sostenibile.
Si è già evidenziato come attualmente vada emergendo socialmente una stanchezza per i tanti eventi avversi e per i sacrifici dell’ultimo triennio, e va anche emergendo una certa insofferenza per quella sobrietà di fatto a cui alludono retoriche green che demonizzano i consumi e colpevolizzano i non conformi. Tanti sono, infatti, gli italiani che ritengono che la propria vita sia ormai troppo piena di ingiunzioni invasive che vorrebbero colpevolizzare le persone. A questo proposito, ad esempio, al 79% degli italiani dichiara che capita di sentirsi colpevole quando non adotta comportamenti ecosostenibili, cioè se ritiene di sprecare cibo, di non praticare la differenziata per i rifiuti, di acquistare o gettare prodotti in plastica. Non solo: il 79,2% degli italiani teme il razionamento dell’acqua e sente la pressione di diktat relativi ad utilizzi non conformi a criteri di sobrietà di essa. Le persone si sentono giudicate per docce prolungate, per aver lavato l’auto o, anche, per avere innaffiato il giardino. Così, la sostenibilità a livello sociale viene troppo spesso associata di fatto a forme di colpevolizzazione nel quotidiano che pesano sui singoli e vorrebbero indurli ad adottare comportamenti che, di fatto, sono percepiti come rinunce, privazioni, sacrifici. È evidente che una tale visione della transizione sostenibile è ad alto rischio di subire un rigetto da parte degli italiani.
Ecco perché è fondamentale sia allentare la pressione delle visioni più estreme della sostenibilità sia innestare dentro alla trasformazione sostenibile della società anche aspetti più positivi, virtuosi, di miglioramento della qualità della vita. In fondo, vale la pena impegnarsi nel quotidiano per una società sostenibile non solo come risposta all’emergenza ambientale, ma anche perché include valori di prossimità, di socialità, di maggiore e migliore relazionalità tra le persone e, quindi, di migliore qualità della vita.
Senza questa dimensione, per la quale sono decisivi anche i promotori di relazionalità, è alto il rischio che la sostenibilità sia percepita dalla maggioranza dei cittadini come grezza, troppo pressante e, di conseguenza, come un obiettivo per il quale non vale la pena coinvolgersi e che, anzi, genera ripulsa.
2.4. Pratiche verdi
2.4.1.
Stato di avanzamento
Considerando le tre componenti classiche della sostenibilità, emerge che la filiera del fuori casa è avanzata nella sua ridefinizione.
Infatti, sul piano ambientale oltre agli adeguamenti dei diversi aspetti di esercizio delle attività, a volte imposti dalla legge a volte esito di scelte anticipatorie degli operatori del settore, c’è attenzione agli effetti delle attività sul contesto anche, ad esempio, attraverso la valorizzazione di prodotti locali, scelta che ha effetti molto positivi sia sulla riduzione dell’impronta ecologica sia sulle opportunità di sviluppo locale.
Poi c’è la dimensione sociale relativa ai diritti degli occupati in ogni fase del processo lavorativo e a quella dei fornitori.
Per la Distribuzione Horeca va richiamata anche la già citata dimensione economica e sociale implicita nell’esercizio della funzione di approvvigionamento, decisiva per un settore così diffuso sul territorio in cui una molteplicità di attività micro hanno difficoltà a garantirsi equilibri di budget nel tempo.
Contribuendo alla sostenibilità economica degli esercizi pubblici, la Distribuzione Horeca assolve a funzioni sociali decisive, come garantire i redditi di una molteplicità di famiglie coinvolte dalle attività delle imprese del settore, una committenza rilevante per gli operatori industriali, la tenuta sociale di intere comunità a rischio depauperamento e svuotamento economico e relazionale qualora il tessuto di imprese del fuori casa cessasse la propria attività.
Più in generale, è forte l’impegno del fuori casa sul green, anche perché sta crescendo nel quotidiano il peso dei criteri di sostenibilità nelle scelte di acquisto dei consumatori. È, infatti, alta la quota di italiani che dichiara di preferire prodotti sostenibili o che sono proposti da aziende sostenibili. La pressione della domanda inevitabilmente obbliga gli attori dell’offerta a ripensarsi, adottando riferimenti green.
2.4.2. Esempi concreti
Per fissare con maggior concretezza lo stato di avanzamento della filiera del fuori casa rispetto alla sua ridefinizione in linea con i precetti della sostenibilità, è utile partire dall’evoluzione del rapporto degli italiani con il cibo. Infatti, nell’immaginario collettivo il rapporto con il cibo ha una sua centralità perché incorpora il piacere di stare insieme, è funzionale alla buona salute e al benessere e, mediante la scelta degli alimenti e la corrispondente dieta, le persone tendono a proiettare un’immagine di sé stessi e, addirittura, ritengono di dare così un proprio contributo a cambiare in meglio il mondo.
Nel tempo, come più volte rilevato, è cresciuta l’attenzione degli italiani alla sostenibilità ambientale, alla lotta al riscaldamento globale, e la spesa e i consumi alimentari sono stati da tanti italiani rimodulati anche in funzione di tali nuovi valori. È un mutamento copernicano del rapporto con il cibo, che porta a dare valore a quel che si presenta come sostenibile perché è stato prodotto riducendo l’impronta ecologica. Queste nuove sensibilità alimentari non restano in casa quando le persone si recano nei luoghi del fuori casa. Pertanto, anche questa dimensione è sempre più investita dai nuovi criteri green.
Infatti, ben il 91,1% delle persone apprezza molto i locali che comunicano in modo trasparente le pratiche ecologiche quali, ad esempio, la riduzione degli sprechi, la differenziata per i rifiuti, il ricorso a prodotti bio o a chilometro zero (fig. 1)
È un’opinione condivisa da quote plebiscitarie trasversalmente ai gruppi sociali ed ai territori.
Si tratta di un’onda già alta di nuova valutazione di locali e prodotti nel fuori casa destinata a restare e con cui gli operatori, già da tempo, fanno i conti adottando opportune politiche di riadattamento delle proprie attività e offerte. Farsi riconoscere come green, non a parole ma con fatti verificabili, è oggi una sfida importante per gli operatori del fuori casa e della Distribuzione Horeca, poiché il racconto della sostenibilità di un’azienda del fuori casa tende a valorizzarsi se include anche il richiamo a filiere sostenibili.
È una stagione nuova appena agli inizi, che è destinata ad essere via via sempre più connotata da questa dimensione della sostenibilità ambientale come criterio valutativo concreto dei consumatori che, appunto, preferiscono quel che si fa riconoscere come green rispetto ad eventuali alternative.
Altro esempio, semplice ma emblematico, è relativo alle pratiche anti-spreco, che sono particolarmente apprezzate dagli italiani. Così, se fino a qualche anno fa la richiesta, soprattutto ristoranti, di avere un contenitore per raccogliere e portare via dal locale i resti dei pasti consumati sarebbe parsa fuori luogo, oggi addirittura il 58% dei giovani è pronto a farlo. L’esito è la messa a disposizione in tanti locali di soluzioni per l’impacchettamento e il trasporto dei prodotti non consumati.
2.4.3. Stimolo per un fuori casa più sostenibile
Lo stimolo dei consumatori nei confronti dei protagonisti del fuori casa nell’intraprendere il sentiero della più alta sostenibilità è molto forte perché, come in altri ambiti del consumo alimentare, si materializza in richieste precise a cui le imprese non possono che adattarsi.
Il fuori casa non si è certo sottratto a tale nuova sfida, al contempo però è un percorso lungo in cui sarà senz’altro di notevole utilità la funzione di upgrading della cultura di filiera che, come rilevato in precedenza, la Distribuzione Horeca in molti casi ha assunto e che, presumibilmente, dovrà esplicarsi anche nelle scelte relative alla ridefinizione sostenibile della filiera.
A questo proposito, è utile considerare alcune delle richieste più diffuse tra i consumatori che impattano anche sulla composizione della domanda rivolta al fuori casa. In primo luogo, come rilevato in precedenza, c’è la richiesta di poter verificare le pratiche ecologiche, da economia circolare che un’impresa dichiara di utilizzare. La trasparenza è un valore molto apprezzato, tanto più in tempi di fake news e, anche, di storytelling fondato su forme diversificate di green washing.
Questo è un punto essenziale su cui gli operatori del settore, come di altri ambiti della filiera del cibo, devono concentrare la propria attenzione: guai a promuovere rappresentazioni non veritiere del proprio operato sulla sostenibilità, perché ogni fake rischia di avere effetti di ritorno dirompenti.
Altra richiesta molto diffusa e che fa molto apprezzare i luoghi del fuori casa è la provenienza verificabile di un prodotto da un determinato territorio, che nella percezione collettiva dei consumatori è garanzia di qualità e sicurezza del prodotto alimentare.
Made in Italy, chilometro zero e provenienza certificata o comunque verificabile da un territorio ad alta social reputation sono altrettanti fattori virtuosi che valorizzano la percezione del fuori casa agli occhi degli italiani. Una cultura adeguata della filiera non può che trasformare in altrettante pratiche operative tali richieste, rendendo verificabili le soluzioni che sono messe in campo.
È indubbio che la Distribuzione Horeca può giocare un ruolo importante nell’upgrading della cultura della sostenibilità della filiera del fuori casa. La moltitudine di operatori del settore, infatti, è troppo spesso pressata dai vincoli del conto economico o dall’operatività minuta del quotidiano e non è nelle condizioni di promuovere mutamenti di fondo, investimenti culturali relativamente alla propria offerta. È così fondamentale un ruolo di orientamento, consulenza, proposta di processi e prodotti da parte delle Distribuzione Horeca.
L’accelerazione della transizione sostenibile del settore dipende probabilmente in misura significativa anche dall’esercizio compiuto della funzione di stimolo della Distribuzione Horeca nei confronti delle imprese clienti, portandole a prendere nella dovuta considerazione gli orientamenti green, salutari e di attenzione alla sostenibilità ampiamente intesa degli italiani.
2.4.4 Verso una più alta sostenibilità sociale
Negli stimoli della Distribuzione Horeca agli attori del fuori casa va dato uno spazio rilevante anche al rapporto con il lavoro, vista la propensione a garantire quello regolare, preferibilmente a tempo indeterminato nel rispetto delle normative e in generale dei diritti.
È cosa non scontata nel nostro tempo e soprattutto ha un valore più alto in una filiera in cui ci sono stati casi di infiltrazione di imprese, che hanno ricorso a modalità irregolari di utilizzo del lavoro. con la sollecitazione le varie dimensioni della sostenibilità, la Distribuzione Horeca contribuisca alla modernizzazione della filiera, portandola sulla frontiera più avanzata dei valori sociali degli italiani.
La buona imprenditorialità che gestisce la gran parte del fuori casa è stata quindi costretta a fronteggiare la competizione sleale di imprese che utilizzano lavoro nero o irregolare.
Invece la sostenibilità, intesa in senso ampio, richiede il rispetto dei diritti del lavoro, e sotto questo profilo la Distribuzione Horeca è sicuramente una best practice e pertanto può esercitare un effetto positivo sul resto della filiera, tramite la potenza imitativa del buon esempio e anche ricorrendo a forme di moral suasion. In questo senso, la Distribuzione Horeca diventa l’alleata migliore dell’imprenditorialità, che vuol operare all’interno delle regole di mercato, fatte di competizione ma senza colpi bassi o slealtà legate a forme di irregolarità.
Se è vero che cresce l’attenzione dei consumatori anche alla sostenibilità sociale, allora è evidente che l’adeguamento delle modalità di rapporto con il lavoro costituisce non solo un adeguamento valoriale, ma anche un investimento economico che può portare a buoni risultati sul piano del fatturato e del conto economico delle imprese.