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L’impresa di Gustavo e di una coppia ebrea

Gustavo Carrara, morto a 92 anni nel 2016, anno in cui è stato ricordato su queste pagine, merita un ulteriore ricordo per un’impresa, di cui è stato protagonista in gioventù e che è stata conosciuta solo di recente. L’hanno ricordata i figli e se ne sono trovati riscontri.

Beneficiaria del suo coraggio è una coppia di ebrei che erano internati ad Albino dal 16 marzo 1942 (nella foto): Mstowski Susi (Susie, Sprinza), nata il 23-11-1920, e Neumann Wolfgang, nato il 21-2-1914, lei polacca, lui tedesco. Giunti a Milano dai loro paesi per sfuggire alla persecuzione nazista contro gli ebrei, qui si erano conosciuti e sposati in attesa di emigrare negli USA, ma in Italia, per le leggi razziali fasciste erano stati, con le loro famiglie, prima deportati in un campo di concentramento in Calabria, poi internati “liberi” a Serina e quindi ad Albino. Della loro vita precedente si parla anche in un libro, opera del professor Antonio Spinelli, Vite nell’ombra, 2022, che si rifà a Rosa Stavsky Ivankowski, Not Enaough Points, 2009, scritti di una sorella di Susi.

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Gustavo li conosce quando abitano ad Albino in via Umberto I (ora via Mazzini) al n. 2, mentre la sua casa era a metà della stessa via. Gustavo raccontò ai suoi figli che, un ebreo, musicista, per mantenersi dava lezioni a giovani di Albino. Fra questi era Gustavo, classe 1924, che gli portava, ogni lezione, un pane bianco per Susi che era rimasta incinta. Gustavo imparò a suonare con il violino la Czardas di Monti.

La famiglia di Susi era internata a Piove di Sacco, in provincia di Padova, ma si poterono incontrare fra loro pochissime volte; i due andarono là e qui venne la sorella Rosa, ancora vivente, più giovane di 10 anni rispetto a Susi, dopo aver ottenuto le autorizzazioni delle autorità fasciste con tanto di foglio di via. Quando, dopo l’8 settembre 1943, in Alta Italia si costituì la Repubblica Sociale Italiana occupata dall’esercito nazista, la soluzione finale del problema ebraico voluta da Hitler si avviò anche qui al compimento. I due stranieri sapevano che cosa voleva dire: deportazione in Germania per ignota fine.

Quando il capo dei fascisti albinesi, ricorda ancora Rosa, li avvertì che avrebbe do- vuto arrestarli, probabilmente, l’indomani, entra in scena Gustavo, già appassionato di montagna, attivo nella sezione del Club Alpino Italiano di Bergamo, con certezza dal 1945, che propone un percorso di fuga in montagna verso la Svizzera, da Albino, via Selvino, così ricordano i figli, prima tappa a Serina.

Partono il 4 ottobre. «Il 4 ottobre 1943 fuggii da Albino via Tirano a Campocologno, dove incontrai le guardie di frontiera svizzere. Il passaggio della frontiera avvenne alle ore 07:00 nei pressi di Campocologno. Sono fuggito dall’Italia per paura di essere deportato dai tedeschi». Questa è la traduzione della dichiarazione in tedesco rilasciata da Wolfgang alla polizia svizzera l’11 ottobre 1943; l’originale è stato trovato presso l’Archivio Federale Svizzero.

Dal Questionario compilato da Susi per la polizia svizzera risulta che furono a Campocologno l’8-10-1943. Tre giorni di cammino da Albino (300 m. sul livello del mare), Selvino (1000 s.m.), Serina (800 s.m); quindi probabilmente in Val Brembana S. Giovanni Bianco (450 s.m.), Passo S. Marco (2000 s.m.), in Valtellina Morbegno (300 s.m), Tirano (400 s.m), Passo di Lughina (1500 s.m.), Campocologno (500 s.m.).

«Mia sorella ha raccontato come era pesante a lei di camminare. Ma erano fortunati. C’era sempre qualche d’uno che ha aiu- tato» testimonia per scritto la sorella Rosa, il 27 novembre 2022. Gustavo, si sa, era arrivato con loro fino in Valtellina.

«Gli svizzeri li fecero passare perché Sprinze (Susi, n.d.r.) era incinta» scrive il prof. Spinelli citando memorie della sorella Rosa. Il 18 gennaio 1944 a Losanna nasce il primo figlio, Daniel. Oggi, a 79 anni, si può riconoscergli il titolo di cittadino onorario di Albino. Il 6 ottobre 1945 a Vevey nasce il secondo figlio. Nel 1947 la famiglia lascia la Svizzera per gli U.S.A. Da qui Wolfgang informa Gustavo.

Oggi pure ci si può chiedere perché questa storia di coraggio emerga ad Albino solamente dopo 80 anni.

Si può avanzare l’ipotesi che Gustavo sia uno di quelli per i quali, come diceva Gino Bartali, “il bene si fa e non si dice”. E fu il suo modo di fare in tutto il suo quotidiano. Un’altra spiegazione si può trovare nel fatto che, nel decennio seguente ai fatti, gli italiani furono interessati a rinascere e ricostruire. E dimenticare la guerra e il fascismo. E con esso l’antifascismo. Questa memoria tardiva di un’impresa dimenticata non costruisce certo una cultura diffusa e condivisa, ma vuole almeno ricordare che “l’antisemitismo e l’anti giudaismo sono l’archetipo del pregiudizio” (Elena Loventhal, La stampa 14-10-2022), e di ogni discriminazione.

Burundi: intervista al Vescovo di Bururi di prima nomina, mons. Salvator Niciteretse

Quali sono le sfide all’evangelizzazione?

La povertà è una sfida all’evangelizzazione. Altra sfida è la diffusione di una fede a volte superficiale. Non sempre si ha una fede cosciente o impegnata nella trasformazione della società. Quindi una fede che non ha un riflesso nella società. Questa, a mio avviso, è una sfida alquanto seria.

Il Burundi ha un passato di guerre civili. Come questo passato incide sulla vita della popolazione e della Chiesa?

La riconciliazione è un’ulteriore sfida. Mi sembra che a livello di popolazione non vi sono grossi problemi per la riconciliazione: i problemi maggiori si trovano a livello dei politici che hanno ideologie e interessi da difendere. Le discriminazioni sociali sono all’origine delle violenze.

La sua diocesi e la Chiesa in Burundi si apprestano a celebrare anniversari importanti…

Un avvenimento importante per la diocesi di Bururi è il ricordo dell’uccisione di 40 seminaristi nel 1997 che si erano rifiutati di dividersi in base alle etnie Huti e Tutsi. Sto per chiudere l’inchiesta diocesana per la loro beatificazione, insieme a quella di due padri saveriani e di un laico uccisi.

(Agenzia Fides)

Padre Giovanni ci scrive

Cari amici, mi faccio vivo dopo un po’ di tempo. La cappella della nostra casa regionale di accoglienza è stata allungata, raddoppiata, sempre piena con confessioni prima e dopo messa. Nel periodo natalizio ci sono suore di varie congregazioni con vestiti di vari colori, con novizie, probande, studenti; operai, militari, tutti prima di andare al lavoro e a scuola.

I nostri nuovi giovani aspiranti missionari sono sei, altro otto sono partiti per il Congo per il prenoviziato e il noviziato, altri continuano gli studi di filosofia nel seminario diocesano, un giorno forse li vedremo curati o parroci nelle nostre parrocchie d’Italia…

Padre Bruno con i suoi 87 anni continua a posare chilometri di tubi per portare acqua a scuole, ospedali, villaggi e fontane varie. Padre Modesto con la sua toyota dopo la messa è uscito di strada per evitare ragazzi, è rotolato giù per un dirupo con alcune mamme a bordo: si è rotto una gamba, finito in ospedale con alcuni feriti.; ora è in Italia; i chiodi e le viti per ripararlo non bastavano qui… I bambini che aiutavo, orfani o figli di mamme vedove, ora sono cresciuti e la scuola chiede più soldi e la fame è più robusta.

I generi di prima necessità, riso, fagioli, latte, farina, zucchero ecc. ora costano il doppio: siccità, svalutazione, guerre portano conseguenze anche qui; i salari restano sempre uguali, qualche euro al giorno per operai semplici.

Io, classe 1944, continuo a marciare con qualche pastiglia, per non morire giovane. Il giorno di Cristo Re, fra due messe abbiamo fatto la processione sulla collina che porta al dispensario; si scivolava un po’ e c’era fango data la pioggia della notte, ma tutti, giovani e vecchi col bastone e con l’ombrello siamo saliti, cantando e benedicendo, a tutta voce, le cose; mi ricordava la processione di Cristo Re per le vie di Albino quando ero nei fanciulli cattolici o nei paggetti.

A parte questioni che fanno soffrire, la gente continua a credere nel Signore, nella vita; nonostante malattie, acciacchi incurabili cerca di sobbarcarsi con tanti lavoretti, compravendita di qualche prodotto della terra. Sono i poveri che aprono il Cielo ai ricchi.

Siamo anche noi ricchi di bene per condividere col mondo intero i nostri doni. Un abbraccio

Giovanni Carrara saveriano Bujumbura - Burundi