Gennaio 2017 II

n° 7 gennaio 2017

EtCetera Majorana Desio

Liceo Majorana Desio

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“il giornalino degli studenti”

“Io chiedo come può l’uomo I Majores e MajoTivù uccidere un suo fratello presentano la eppure siamo a milioni seconda stagione di in polvere qui nel vento.”

Come può essere l’ animo umano così brutale? Come può qualcuno pensare solo allo sterminio di un popolo e come può qualcuno appoggiarlo? (continua a pag. 3)

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Indice

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“In polvere qui nel vento”...........................................................3 Lettera aperta a uno studente intelligente...................................4 In nomine cupiditate....................................................................6 Allarme terrorismo 2.0................................................................8 Referendum ed elezioni, cosa ci ha insegnato il 2016..............10 Elezione del presidente del parlamento europeo......................12 I profughi palestinesi.................................................................13 Autocritica verso l’uomo digitale..............................................14 Le profezie di Nostradamus.......................................................16 Il veganismo...............................................................................18 Pise si confessa: la verità sulla cupola.....................................21 Hecce Homo #5.........................................................................22 Il cinema e la Shoah..................................................................25 24 territori.................................................................................30

? u t e h c n a e r a p i c e t Vuoi par a o l o c i t r a o u t l i i c a i v In m o .c l i a m g @ a n a r o j a m a r etcete

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Giornata della Memoria

3 “In polvere qui nel vento...”

Giulia Burigotto, 1b

“Io chiedo come può l’uomo uccidere un suo fratello eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento.”

Così cantava Francesco Guccini in “Auschwitz (Canzone del bambino nel vento)”. Come può essere l’ animo umano così brutale?

Come può qualcuno pensare solo allo sterminio di un popolo e come può qualcuno appoggiarlo? La follia. Sono morte sei milioni di persone (anche se alcuni dicono che in realtà siano state molto meno),tra le quali omosessuali, comunisti, rom, Sovietici e soprattutto Ebrei. Uomini e donne privati del loro diritto di vivere e di essere liberi, allontanati da quella che era la loro vita abituale per essere portati in un luogo sconosciuto, destinati a morire. Partiti per un viaggio di solo andata, in un treno merci troppo piccolo per contenerli tutti.

Viaggi che duravano giorni, giorni di inferno.

Molti morivano mentre i restanti, giunti a destinazione venivano divisi. Figli separati dalle madri, mogli da mariti.

“E un dio che è morto Nei campi di sterminio, dio è morto Coi miti della razza, dio è morto .”

In un’ altra canzone di Guccini, “Dio è morto”, si può immaginare l’ ambiente in cui vivevano i detenuti. La speranza è morta, non si è più certi che tutto ciò che si sta passando abbia una fine. Dolore, sforzi, cibo che manca, letti scomodi e troppe persone. Non si è

più un individuo, ma un animale. Pregare non serve più, perché sembra che anche Dio si sia scordato e li abbia abbandonati . E qual è la loro colpa? Quella di non essere di “razza” ariana. Stupida ideologia con la quale potersi sentire diversi, superiori, quando, per quanto si possa differire di cultura, lingua o religione, si rimarrà sempre uguali davanti alla legge e alla giustizia. Giustizia che non esiste nei forni o nelle camere a gas.

“How many deaths will it take ‘till he knows That too many people have died?”

Come ultimo, vorrei citare Bob Dylan, in una delle sue canzoni più celebri, “Blowin’ in the wind”. Fino a dove può spingersi la crudeltà umana? Quante morti ci vogliono prima che l’ uomo si accorga che troppe persone sono morte? Troppe. Risulta sempre difficile parlare o scrivere di argomenti così pesanti, e per quanto uno possa sforzarsi , non si capirà mai realmente ciò che non si è vissuto. L’ unica cosa che resta da fare è prendere coscienza dell’ accaduto e cercare di non essere come l’ uomo che ha contribuito a questo genocidio.

Bisogna ricordarsi anche di tutti coloro che hanno lottato e sono morti per opporsi a un regime che non condividevano, persone da non dimenticare e da prendere come esempio.

Bisogna liberarsi dei muri mentali che impediscono di accettare la diversità, in modo tale che quei sei milioni non siano solo un numero, non siano solo polvere nel vento.

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Prof. Roberto Mori

Lettera aperta a uno studente intelligente Caro Filippo, dopo aver letto il tuo articolo del 5 dicembre, ho deciso di risponderti pubblicamente su EtCetera: ringrazio pertanto il caporedattore che mi concede ospitalità su queste pagine.

Mi sono sentito chiamato in causa dalla tua riflessione per due motivi: innanzitutto perché probabilmente ho pronunciato io, quando hai partecipato all’Open Day del Majo, quelle parole sul liceo classico che tu citi all’inizio; in secondo luogo perché per ben due anni sono stato il tuo insegnante di greco. Mesi bellissimi, in cui ho sempre cercato di spronare te e i tuoi compagni a elaborare strategie personali di apprendimento, valutare con occhio critico quanto studiato, capire che cosa contava veramente e quali erano le finalità delle attività proposte. Lo si può fare anche insegnando morfologia, sintassi e lessico della lingua greca.

Noi docenti siamo assetati di studenti che siano in grado di interiorizzare

gli argomenti appresi, di rifletterci seriamente, anche alla luce delle proprie esperienze personali, e di condividere con noi e con la classe le loro idee.

Tuttavia, perché queste considerazioni siano fondate e possano contribuire realmente a una maggior comprensione collettiva (a scuola si lavora sempre in squadra!) del fenomeno studiato, devono basarsi necessariamente su solide conoscenze di base, che si apprendono con metodo e rigore attraverso le fonti primarie, la lettura del manuale, l’interpretazione che ne dà il docente, il confronto con critici ed esperti della materia. Riuscirò a capire realmente un sonetto di Petrarca senza aver studiato i dati della sua biografia letteraria ed essere consapevole delle peculiarità del genere della lirica?

Evidentemente no.

C’è chi legge, ripete quanto studiato e si ferma qui: ed è già un successo, credimi. C’è chi invece, partendo da questo punto, si spinge oltre, arrivando a capire che Petrarca può

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essere veramente uno strumento per comprendere meglio se stessi e il mondo, una delle infinite chiavi di lettura che la scuola fornisce a chi la frequenta per aprire le serrature delle innumerevoli porte che costituiscono la nostra realtà: e questo è un grande successo.

Ci vuol però tempo, oltre a impegno e attenzione: realizzo che il mio compagno di banco è un grande scrittore solo se ho letto tanti libri di generi diversi e ho sviluppato una certa sensibilità letteraria; per essere sicuro che la mia migliore amica avrà un futuro nel campo delle arti figurative devo avere una chiara idea delle correnti artistiche del passato, altrimenti non sarò in grado nemmeno di valutare gli elementi innovativi della sua arte.

E allora ben venga un po’ di omologazione – come la chiami tu – durante un’interrogazione, se nel frattempo ti si stanno fornendo, a volte senza che tu te ne accorga, le competenze necessarie a sviluppare quel senso critico e quella originalità che auspichi che tutti possiedano.

Nei prossimi due anni e mezzo – fidati

– ti verrà chiesto tante volte, da parte dei professori che hai la fortuna di avere, di interpretare e non solamente illustrare quanto hai studiato: sei pronto a dare il meglio di te in questa appassionante sfida?

Come vedi non ho affrontato il tema dei social network, che tu tratti diffusamente nella seconda parte dell’articolo: problema autentico, che però al momento ha suscitato in me meno domande rispetto al ruolo dell’educazione e dell’istituzione scolastica nella formazione della persona.

Ne parleremo, se ti va, quando verrò a trovarvi. Spero che accada molto presto.

Prof. Mori

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Matteo Redaelli, 5a

In nomine cupiditate Pochi giorni fa veniva pronunciato il discorso di inaugurazione del neo-eletto presidente Trump, con tanto di cerimonia in pompa magna e colpi di cannone per omaggiarne la vittoria, come da tradizione per il resto.

L’America ha un nuovo presidente, più protezionista da un lato e più xenofobo dall’altro: questi sono solo due degli aggettivi che, dispregiativi o meno, sono, o si prospetta che siano, azzeccati per il 45esimo presidente degli States. Il discorso di apertura dell’Inauguration Day è stato molto semplice e neanche troppo spinto, come magari avremmo immaginato.

Una cosa è certa per : egli vuole riportare l’America ad essere grande... “Make America Great Again” è il suo slogan. Già, ma cosa si intende per great? E perchè again? Non lo è più forse come un tempo? Ebbene si, pare che anche in America sia stata sentita la crisi economica del 2008 la quale protrae i suoi effetti fino al nostro novello 2017.

Trump, secondo le sue quotes, vorrebbe risollevare il popolo americano dalla povertà e dalla penuria del decennio appena passato. Renderla di nuovo grande appunto.

Ha promesso infatti di alzare il salario minimo per ora di lavoro, abolire l’ObamaCare (almeno in parte) e di costruire un muro al confine con il Messico e molte altre belle cose, che a un bigotto americano, non possono che essere fantastiche.

Tutto sembra quindi ricercare una situazione utopica di America pre-crisi, un’America forte e imponente che sappia farsi i fatti suoi e imporre i fatti suoi al resto del mondo, non con la forza per , bensì con l’economia. Tutto queste manovre vanno quindi in un’unica direzione: rendere l’America ancora più ricca e benestante di quanto non lo sia ora.

Dico non lo sia ora, perché è un dato di fatto che, oltreoceano, pare che l’importante non sia

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il soddisfacimento dei bisogni primari, bensì il continuare ad aumentare le proprie disponibilità economiche e i propri lussi. Gli americani non si vogliono fermare di fronte a una crisi economica causata da loro stessi e dalla loro stessa cupidigia, non si rendono conto di come il sistema capitalista e neo-liberale presenti delle voragini e mancanze immani. È sembrato assurdo quindi ritrovarsi un discorso del genere, all’alba del 2017, dopo 8 anni di crisi economica e 8 anni in cui si è sempre più consci dei limiti del consumismo. È assurdo vedere un popolo che non pensa al proprio pianeta, bensì alla propria, pancia, alla propria macchina e alle proprie proprietà. È assurdo vedere un popolo acclamare un uomo che non promette un mondo migliore, ma solo pance più piene.

E dopo? Che ne sarà di tutto questo?

Che ne sarà di fronte alla fine delle risorse e al surriscaldamento globale? Loro rispondono che all’aumento della temperatura media globale accenderanno i

condizionatori, e invece noi? Noi europei cosa faremo? È il momento di prendere una posizione pure per noi, se aggregarci al fatale trenino (con carrozza ristorante, bar e cuccette super comode) del consumismo o se cercare una via alternativa a questo scempio.

Il popolo americano non può continuare a influire anche sulle nostre scelte, non possiamo essere trascinati nel baratro dei mangiahamburger e lasciarli distruggere la terra... Αφισταμαι!

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8 Allarme terrorismo, tra religione e immigrazione 2.0 Arianna Colucci, 3b

“Claro”. Come direbbe Tex Willer. Ho capito. Si tratta di una dimostrazione per assurdo. Solo che credo manchi una conclusione o, meglio, un senso.

Errore di battitura? Sarebbe davvero gigantesco. No, escludiamolo. Allora sono portata a considerarla una provocazione, magari uno spunto di riflessione. Eppure alcune frasi sono davvero troppo infondate per potervi basare un ragionamento (ne parlerò in seguito). E’ stato incredibile (nel senso meno lusinghiero del termine) leggere lo scorso articolo; potrei adoperare altri aggettivi, ma non sarebbe utile a nessuno. La polemica cieca è, a parer mio, uno spreco di tempo; l’insulto conduce a fratture, non a soluzioni. Non è questo che serve adesso.

E’ il momento, per tutti noi, di dimostrare ciò che valiamo davvero e provare che gli ideali di pace, giustizia e tolleranza che caratterizzano cosi’ radicalmente la nostra cultura non sono fumo negli occhi, bensì una forza immensa, senza possibilità di sconfitta.

Vogliamo parlare di posizioni privilegiate? Tutti noi ne abbiamo una, poiché in questo istante, mentre scrivo

e sono comodamente seduta con un caffè davanti a me, la mia famiglia in casa e l’ora di cena che si avvicina, proprio ora moltissime persone, esseri umani, hanno perso tutto e altri si stanno spendendo oltre il possibile per aiutarli.

Dovrei consolarmi pensando che sono ‘diversi’? Da quando ‘diverso’ significa ‘inferiore’ o ‘criminale’?

Un conto è l’esprimere il proprio parere su un tema d’attualità per il quale sicuramente nessuno ha la risposta in tasca, tutt’altro è sostenere fatti cosi’ altamente confutabili. Per esempio: battute sull’alcool o sul fumo? Forse dipenderà dalla compagnia, ma ho amici musulmani che riderebbero più forte di me. Ripeto, opinioni divergenti su un tale argomento sono decisamente giustificate, un confronto completo necessiterebbe di uno spazio diverso e maggiore, però un punto vorrei trattarlo ora: islam moderato uguale ‘favola raccontata da buonisti’. Non posso esimermi dal definire ridicola questa associazione. Basti considerare il grande abbraccio stretto dai credenti islamici locali intorno alla sinagoga di Oslo, o ai quasi ventitré mila recatisi

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a messa in segno di solidarietà una domenica dello scorso agosto, dopo l’omicidio di Rouen. Guardando il servizio al telegiornale pareva davvero non fosse reale, dopo tutto il sangue e il dolore dei giorni e mesi precedenti; una fiaba dal lieto inizio, non fine.

Solo insieme potremo mettere uno a uno i punti per ricucire una ferita che altrimenti lacererà per sempre una convivenza già delicata.

Se sono arrabbiata per queste stragi?

Certo che lo sono. Le immagini degli attentati sono impresse a fuoco nella mia mente, mi sento colpita profondamente e personalmente. D’altra parte, bisogna rammentarsi che la vita umana è preziosa a Parigi o a Berlino tanto quanto lo è ad Aleppo o a Istanbul.

La maggior parte dell’immensa ondata umana che si sta riversando sull’Europa è mossa da una condizione a cui tutti vorremmo sottrarci, sperando in una vita migliore. Una in cui pensare alle piccole e grandi preoccupazioni che popolano la nostra mente quotidianamente, non a come sopravvivere fino al giorno dopo. Non stanno scappando tutti dalla guerra, d’accordo, ma come si vuole fare? “Scusi signor migrante, lei ha per caso intenzione di darsi alla criminalità o magari di fabbricare un

ordigno esplosivo, oppure intende integrarsi nel nostro paese?” . Bisogna scegliere tra punire tutti come colpevoli o proteggere gli innocenti. In questa maniera non ci troviamo in condizioni accettabili in termini di sicurezza e vi si dovranno porre dei rimedi, però non sconfiniamo in idee che vanno contro quei diritti fondamentali che è nostro compito tutelare.

Ciò che rimane è battersi per vincere la lotta contro il radicalismo religioso e l’emarginazione, non contro un’intera religione millenaria. Pretendere di prevalere su una civiltà e definirla barbarica senza revoche è un segno di arroganza e superficialità che mi auguro non commetteremo.

Per concludere, davvero noi giovani siamo a contatto con culture differenti?

Oppure viviamo solamente vicino a loro senza chiederci il perché, ad esempio, portino il velo o riescano a praticare il digiuno diurno durante il Ramadan?

Occorre un coraggio immenso per vivere nel mondo di oggi: quello di non ripararsi dietro le proprie paure.

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10 Referendum ed elezioni, cosa ci ha insegnato il 2016

Federico Monti, 2c

Durante l’anno che si è appena concluso gli abitanti di diversi Paesi sono stati chiamati ad esprimere il loro parere su questioni abbastanza importanti, con risultati a volte piuttosto inaspettati e che non hanno portato tutti i vantaggi sperati da chi ha votato.

In ordine di tempo il primo referendum di cui vorrei parlare è quello sulla Brexit, con cui i cittadini inglesi hanno dovuto decidere se rimanere o lasciare l’Unione Europea; la maggioranza ha votato per l’uscita, anche se la differenza di numero fra chi voleva rimanere e chi voleva andarsene non è stata poi così grande, cosa che la dice lunga su quel risultato che, oltre ad aver portato più problemi che benefici, non identifica il pensiero di tanti Inglesi, troppi.

Elezioni che hanno fatto molto parlare, per l’importanza della posta in gioco, per l’accesissima campagna elettorale e per la discutibilità dei candidati, sono

state quelle presidenziali negli Stati Uniti d’America.

Qui l’esito è stato un po’ più chiaro, visto che gli elettori di Trump sono stati chiaramente più numerosi di quelli della Clinton, ma sul fatto che eleggere Trump sia stata la scelta più saggia c’è qualcosa da dire. Certo, l’alternativa non era comunque uno stinco di santo, ma agli Americani arriveranno veramente tutti i vantaggi che il magnate ha promesso?

Per ora, il suo tentativo di contrastare la globalizzazione riportando le fabbriche di automobili negli Stati Uniti non sta portando tutti i vantaggi sperati, visto che le automobili prodotte nel territorio nazionale costeranno di più agli Americani di quelle prodotte all’estero: non ci resta che vedere le prossime mosse del nuovo presidente.

Veniamo ora in Italia, dove il referendum costituzionale, che di costituzionale ha avuto ben poco, visto che la maggior parte dei voti

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e soprattutto dei No ha giudicato non la riforma stessa, ma chi la proponeva, ha visto una netta vittoria dei contrari alla riforma.

Sebbene sperassi nella vittoria del Sì, non voglio mettermi a fare qui campagna per la riforma, dato che non servirebbe più a niente e che ormai gli Italiani hanno fatto una scelta di cui dobbiamo accettare conseguenze e non-conseguenze, ma vorrei dire che l’esito di questo referendum non ha salvato né la Costituzione da modifiche terribili(tra l’altro riforme del genere sull’organizzazione e l’amministrazione dello Stato erano già state chieste dalla stessa assemblea costituente nel 1947), né l’Italia dalla dittatura prospettata da chi si opponeva alla riforma.

La vittoria del No ha invece lasciato lo Stato in problemi che si sarebbero potuti risolvere con l’approvazione della riforma e ha fatto rimanere l’Italia l’unica in europa con due camere dagli stessi poteri.

Un altro problema di questo esito, commesso anche dalla campagna

elettorale, è che non rappresenta l’opposizione degli Italiani alla riforma ma a Renzi: molti di quelli che hanno votato No, a cominciare dai leader di diversi partiti, non erano veramente contrari a questa ma avevano come unico scopo le dimissioni dell’ex premier, con cui magari avevano avuto scontri in passato.

Insomma, un referendum o delle elezioni sono l’espressione migliore della democrazia e il modo migliore per un popolo di far sentire la propria voce, ma siamo proprio sicuri che quello che vuole il popolo sia sempre il bene per lo Stato?

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Federico Figini, 5b

Elezioni del presidente del Pralamento Europeo

Lo scorso 17 gennaio il Parlamento Europeo ha eletto il suo nuovo presidente, successore di Martin Schulz. Innanzitutto, che funzione svolge il Parlamento Europeo? Nell’Unione Europea il potere legislativo è detenuto da due differenti organi: il Consiglio, che riunisce tutti i ministri dei governi degli Stati membri, e il Parlamento, composto da 751 membri eletti a suffragio universale diretto, che legiferano congiuntamente.

Il presidente, il quale ha il compito di presiedere i dibattiti e rappresentare tale organo a livello europeo ed internazionale, é eletto ogni due anni e mezzo (due elezioni a legislatura) a maggioranza assoluta; qualora non fosse raggiunta entro le prime tre votazioni si accede al ballottaggio.

Alle ultime elezioni i candidati erano 7: Antonio Tajani (PPE- Partito Popolare Europeo), Gianni Pittella (S&d- Socialisti e Democratici), Helga Stevens (Conservatori e Riformisti), Laurentij Rubeca (Estrema Destra), Eleonora Forenza (Sinistra Unitaria).

Essendo venuto meno il solito accordo preventivo tra le forse politiche, Guy Verhosfadt (ALDE- Alleanza dei Democratici e dei Liberali) si è ritirato è il suo gruppo ha sostenuto Tajani.

L’Elezione ha visto scontrarsi due italiani (fatto che ha risvegliato un certo orgoglio nazionale): Antonio Tajani e Gianni Pittella. Dopo

essere arrivati al ballottaggio, Tajani ha vinto con 351 voti (282 Pittella) grazie all’accordo raggiunto tra i partiti di destra ( PPE, ALDE, Riformisti e Conservatori), il suo predecessore Shulz era stato eletto grazie ad un accordo tra socialisti e partito popolare.

Tajani inizia la sua carriera politica come membro del Fronte Monarchico Giovanile, per poi essere fondatore di Forza Italia (la vicinanza a Berlusconi gli sarà più volte rimproverata, soprattutto dagli avversari europei).

Diventa nel ’94 eurodeputato, tra il 2008 e il 2010 ha ricoperto le cariche di commissario europeo dei trasporti prima, e del commercio poi, prendendo sempre più confidenza con le istituzioni europee.

Obbiettivi della sua presidenza sono: la continuazione delle riforme, il rafforzamento della crescita e della stabilità dell’Unione e la stipula di nuovi trattati commerciali, l’applicazione delle nuove norme ambientali del Trattato di Parigi, il rafforzamento della sicurezza interna con la creazione di una difesa comune e di una guardia di frontiera europea.

“Ho deciso di candidarmi per dire no alla politica del rigore e dei sacrifici” con queste parole Tajani si era candidato alla presidenza.

Le premesse, per una svolta nella politica comunitaria e la fine di un’Unione Europea a trazione tedesca, non sembrano mancare.

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Elisabetta Palmieri, 1b

I profughi palestinesi In questo ultimo periodo si parla tanto delle disastrose condizioni dei profughi. Ci sono tuttavia dei profughi le cui condizioni di vita disumane si sono cronicizzate da anni ormai e non se ne sente più parlare: i profughi palestinesi.

Nel 1948, alla costituzione dello Stato di Israele, circa 130.000 palestinesi si rifugiarono in Libano. Di questi, 106.800 vennero registrati nel censimento del 1950 condotto da Croce Rossa e UNRWA, l’agenzia ONU per i palestinesi. Costoro e i loro discendenti, formano i 422 mila profughi palestinesi oggi registrati in Libano, che godono di alcuni servizi scolastici, sanitari e sociali forniti dall’UNRWA e hanno un lasciapassare quinquennale rinnovabile. Altri 25.000 circa non vennero registrati, e oggi loro e i loro discendenti (in totale circa 4050.000 persone) non beneficiano neppure di assistenza UNRWA e hanno solo un lasciapassare annuale. C’è infine un gruppo di circa 5.000 palestinesi rifugiatisi in Libano dopo il conflitto del 1967, privi di qualsiasi documento d’identità e assistenza. I tassi di disoccupazione tra i rifugiati sono molto alti: alcuni trovano lavoro, ma solo in maniera occasionale, con salari molto bassi e senza nessuna tutela sociale.

Tutto questo si riflette anche sulla motivazione degli studenti: in molti ritengono inutile proseguire gli studi (per 12 campi profughi ci sono 32.000 studenti circa, e solo 69 scuole di cui un solo istituto professionale e due

istituti tecnici), e la mancanza di prospettive fa optare per lavori manuali che possono garantire una rendita minima nell’immediato.

I profughi palestinesi sono nel corso degli anni diventati sempre più poveri ed emarginati.

Formalmente, non sono considerati cittadini di un altro stato e quindi non hanno il diritto a rivendicazioni comuni per altri gruppi rifugiati che vivono e lavorano in Libano.

Anche se una legge è stata approvata nel luglio del 2010 e la situazione, in teoria, è migliorata, di fatto i profughi palestinesi non possono esercitare gran parte delle professioni civili fuori dai campi (almeno settanta le professioni tuttora vietate per loro), né frequentare le scuole e le università libanesi. I campi profughi sono difficili e inadeguati rispetto alla crescita dei bambini, a causa dell’insicurezza permanente, ma i più sovraffollati sono quelli intorno a Beirut, per l’impossibilità di costruire al di fuori del perimetro originario, che ha costretto gli abitanti a far fronte alla crescita demografica costruendo nelle strade, divenute vicoli larghi anche meno di un metro, e sopraelevando a dismisura.

L’acqua, spesso attinta da cisterne di plastica, e la luce corrono su condutture sospese le une sulle altre, con frequenti perdite e corti circuiti, che uccidono ogni anno una dozzina di persone. L’odore delle fogne a cielo aperto regna ovunque. Forse sarebbe necessario ripensare alla situazione di tutti i profughi a livello mondiale.

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Alessandro Taffari, 4A

Autocritica verso l’uomo digitale L’era digitale che ci è contemporanea porta con sé innumerevoli tra vantaggi e svantaggi. I social network sono il simbolo di quella virtualizzazione del reale che ha investito soprattutto la nostra generazione e che ora sembra essersi trasformata in una droga 2.0. Ma vediamo insieme qual è la nuova razza che popola il pianeta Terra.

L’uomo digitale si può trovare all’interno del suo habitat naturale, da molti esperti definito come ‘web’. Questo animale ama passare le giornate con la testa china sul proprio cellulare, diventato ormai uno strumento fondamentale per la sopravvivenza. Tra i suoi movimenti arzigogolati, quello di tendere il braccio per scattare scatti o autoscatti è il suo preferito, sfogando il suo desiderio sfrenato di immortalare ogni sua singola azione.

Si serve poi di mezzi di comunicazione utili, costruttivi e pedagogici, quali Snapchat e Instagram per compensare quella

sua voglia naturale di condividere le suddette fotografie con i suoi simili.

E così, la pubblicazione di avvenimenti interessanti e di rilievo tra cui il pasto da Mc Donald’s, l’acquisto di un capo d’abbigliamento o immagini ritraenti la sigaretta che si sta fumando, dà all’uomo digitale un senso di soddisfazione che assolutamente ripaga il tempo perso al cellulare.

Egli considera assolutamente vitale che la qualunque azione che stia svolgendo sia vista dai suoi simili, certo del fatto che quest’ultimi riservino per lui un grandissimo interesse.

Ma l’uomo digitale riesce anche a trovare del tempo per svagarsi: durante concerti, per esempio, ritiene assurdo non essere in fedele compagnia del suo smartphone, che possa in ogni momento filmare e pubblicare l’evento, quasi come se l’uomo avesse partecipato più per i suoi simili che per se stesso.

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Quando poi sente il bisogno di riposarsi, non ci pensa due volte prima pubblicare una bella ed interessante foto di sé in pigiama.

Allo stesso modo, dopo che si è procacciato il cibo, tiene a fotografare pasti quali il suo sushi o il pranzo di domenica della nonna.

L’uomo digitale è comunque in primo luogo acculturato e informato sugli eventi contemporanei. Basa la propria conoscenza sui cosiddetti “post”, che i suoi simili pubblicano a loro volta su mezzi quali Facebook, Twitter e Youtube.

Una volta che l’uomo digitale si è fatto una scorpacciata di sapere su pagine di social assolutamente veritiere, e che propongono una visione critica, neutra e informata su un determinato avvenimento, è pronto a straparlare mostrandosi saggio e intelligente come non mai.

Disconosce infatti giornali e altri strumenti obsoleti: il primo utente che gli capita sulla bacheca del proprio social preferito gli fornisce la visione giusta e adeguata su cui basarsi.

In conclusione, l’indole di questo

animale è in continua evoluzione, e sarebbe inutile andare avanti a descriverlo. Ma vi è solo tanta tristezza nel vedere quale piega sta prendendo questa evoluzione.

Quello che doveva servire come mezzo di comunicazione si è trasformato in un’arma contro la comunicazione, rendendo sempre più inumane le azioni quotidiane che svolgiamo.

I social network ci succhiano la vita, minacciando non solo i nostri rapporti familiari e di amicizia, ma danneggiando fortemente le emozioni del nostro vivere.

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16 Le profezie di Nostradamus

Vittoria Baldissarro, 1b

Nostradamus è stato un astrologo, farmacista e scrittore francese del 1500 diventato famoso principalmente per il suo libro: le Profezie.

Quest’opera si divide in dieci libri, che contengono ciascuno cento profezie che riguardano eventi catastrofici ed enigmatici che l’autore pensa avverranno in futuro. Recenti studi suggeriscono che gran parte del suo lavoro profetico non è altro che una parafrasi delle Bibbia e di altri libri ad essa correlati. Molti affermano che gran parte dei versetti da lui scritti abbiano predetto avvenimenti rilevanti per la storia dell’umanità, altri invece pensano che siano solo coincidenze ma in molti considerano queste profezie reali.

Volevo così raccontarvi sei profezie che riguardano proprio l’anno che è appena cominciato.

1.La morte del papa: questa profezia è soggetta a due diverse interpretazioni.

Entrambe, però, dovrebbero avvenire quando due papi coesisterebbero allo stesso tempo, e visto che Benedetto XVI non è morto, ma si è ritirato, si può quindi pensare che esistano due papi. La prima afferma della morte del papa per

mano di un assassino durante un viaggio, o per lo meno quando si troverà lontano dal Vaticano. Mentre l’altra annuncia la morte del papa come fine della sua figura, ossia la scomparsa del capo della chiesa.

2.Guerre: le guerre sono forse uno degli argomenti più trattati dallo scrittore per quanto riguardano gli anni futuri e una di quelle più importanti dovrebbe avvenire proprio in Europa, più precisamente in Italia. Questa guerra dovrebbe avere inizio in Germania dove, un imperatore tedesco affronterà la chiesa e ucciderà il papa, questo fatto avrà ripercussioni anche su moltissimi altri paesi. Si concluderebbe però con una “punizione” per la potenza responsabile del conflitto.

I paesi che soffriranno di più saranno l’Italia e la Francia.

3. Terza guerra mondiale: sempre parlando di conflitti, Nostradamus predice l’inizio di una terza guerra mondiale, e anche se non è specificato se l’anno in corso segnerà il suo inizio, si pensa che il processo del suo futuro scoppio avverrà proprio nel 2017.

Precedentemente al suo inizio, gli esperti hanno dedotto che prima dovrà cadere Roma e di conseguenza la Chiesa e che

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il precedente imperatore tedesco verrà sconfitto da un monarca, ciò segnerà la fine del conflitto e l’inizio della guerra vera e propria.

4.Bombe nucleari: questa è una delle profezie che ha generato più discussione tra gli studiosi. La terza guerra mondiale dovrebbe portare all’utilizzo di diverse bombe nucleari. Questa profezia viene poi correlata ad un altro fatto, ossia quello della venuta dell’anticristo da parte di una delle grandi potenze mondiali (si pensa a Stati Uniti, Cina o Russia). Ma come già detto esistono teorie contrastanti anche perché Nostradamus non annuncia una precisa fine degli avvenimenti.

5.Terremoti: Nostradamus annuncia di un terremoto che sarà il più terribile della storia. Ne specifica anche la data ossia l’11 maggio e la sua distruzione determinerà la caduta dell’anticristo.

Esso dovrebbe aver luogo in una zona occidentale degli Stati Uniti (una zona già di per sè molto sismica). Lo scrittore non specifica poi altre date chiave ma anche in base ai recenti studi scientifici si afferma un alto pericolo sismico in tutto il mondo.

6. Collisione con un meteorite: infine c’è la profezia che dovrebbe incutere in noi più timore ma che allo stesso tempo è la meno accreditata. Si parla

appunto dell’impatto di un meteorite con la Terra. Per alcuni è una profezia che determinerà la fine del mondo ma la maggior parte degli studiosi pensa a conseguenze basate principalmente alla perdita di gran parte dell’umanità. Non si sa però né la data né il luogo in cui cadrà questo meteorite perché il versetto fa riferimento a un qualcosa grande più di mille stadi che scenderà sulla Terra e sarà causa del terrore dell’intera umanità.

Gli esperti pensano così ad un meteorite ma l’interpretazione potrebbe anche essere differente.

Nostradamus era davvero in grado di prevedere il futuro? Questa è una domanda ricorrente e anche se il dubbio sussiste le sue profezie possono essere ritenute reali o false unicamente in base al proprio parere. Alcune di esse si sono realmente profetizzate e tra le più precise si ricordano la venuta di Napoleone e di Hitler, mentre per quanto riguarda le più inquietanti si ricordano: la bomba atomica, l’attentato alle Torri Gemelle e lo tsunami in Giappone. Ovviamente anche se alcuni suoi scritti sono realmente accaduti non bisogna affidarsi alle sue predilezioni anche perché quelle appena citate, su un nostro futuro neanche troppo lontano, sono terribili…è però impossibile negare che abbiano un certo fascino.

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Curiosità

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Luca Chiolo, 5G

Il Veganismo Quanto “macello” tra onnivori affermati e “Nazivegani”.

Ebbene sì Majorani, nei futuri libri di storia oltre ad Internet, ai Social Networks, ai cellulari, ad Enrico Papi, al Trap ed al sesso virtuale, quando parleranno della nostra epoca, parleranno anche di questo vastissimo fenomeno.

Parte noiosa, i più dotti possono balzarla: il veganismo é un movimento filosofico da cui scaturisce uno stile di vita che esclude categoricamente l’utilizzo di animali domestici/selvatici in qualsiasi ambito (alimentazione attraverso qualsiasi prodotto di derivazione animale, abbigliamento, sperimentazione scientifica, intrattenimento etc.)

Allora, capisco benissimo e condivido pienamente se mi dici che la pelliccia è qualcosa di immorale (e schifoso, mi ricordo ancora la puzza di gatto morto che emanava quella di mia madre), perché dai, ammazzare una volpe affinché la

tipella vippina possa spendere cifre esagerate per fare la fighetta in centro a Milano.. mi sembra davvero una cappellata.

La stessa cosa vale per lo sfruttamento degli animali finalizzato all’intrattenimento.

Non puoi rinchiudere una tigre (già quando passo con il cento e vedo quella nella gabbia nel circo di Desio mi sale il nervoso) o un leone e costringerli a fare giochetti imbarazzanti per far divertire la folla, se la natura ha così ingegnosamente creato questi esseri per essere dei capolavori viventi.

La scelta di non nutrirsi di alimenti che derivano dagli animali è una scelta intima e personale, ci sta.

La sperimentazione scientifica.. si può capire che ci sia gente che sia contro, soprattutto dopo Greenhill, ma ci torneremo più avanti.

Sostanzialmente, questa filosofia non propone nulla di scandaloso, anzi.

Ma gli esseri umani hanno la rara e

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Curiosità

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devastante capacità di rovinare ogni cosa.

Come?

Estremizzando.

Non solo per i vegani, ma anche per chi gli dà contro... eh si, perchè siamo così intelligenti che rispondiamo all’estremismo con altro estremismo.

Penso che molti di noi ricorderanno l’intervista doppia al “Le Iene” fatta a Giuseppe Cruciani (conduttore del programma radiofonico “La Zanzara”) ed a Valerio Vassallo (leader del movimento animalista META).

In poche parole, Cruciani ha iniziato a prendere di mira vegani/animalisti durante il suo programma, e questi ultimi di tutta risposta sono andati alla sede di Radio 24 ad attaccarlo ed insultarlo, mentre lui dietro le porte dell’ufficio radiofonico brandiva un salame manco fosse un AK 47 (le foto dell’accaduto sono esilaranti).

In seguito a questo, il noto show televisivo di Italia 1 ha voluto fare l’intervista.

Mettici dentro che Cruciani é un

provocatore, mettici dentro che l’intervista é stata modificata per far apparire il suddetto giornalista come un uomo razionale e Vassallo un pazzoide (tagliando gli eventuali interventi intelligenti che avrebbe ipoteticamente fatto).. ma dopo che mi dici che praticamente lasceresti morire tua madre pur di non usufruire della sperimentazione animale, beh fenomeno, dopo una roba simile puoi essere intelligente quanto vuoi, ma sei uno schifo di persona.

Inoltre di recente, vi sarà capitato di vedere su Facebook l’immagine di un bambino che addenta una bistecca, accompagnato dal commento (di una deficiente, presumibilmente vegana): “Spero che crepi giovane”. ...

A me non dà fastidio che i vegani non mangino carne, latte, uova etc., a me disturba il fatto che parte di loro si creda superiore, e che questo comporti il fatto di dover rompere le palle a chi non condivide le loro idee.

Poi, lasciamo perdere quando partono con la disinformazione: “la

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Curiosità

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carne rossa é cancerogena, lo ha detto l’OMS!” (Si, anche tu lo sei se continui a starmi addosso.)

Mentre l’OMS non ha riferito nulla di tutto ciò, ma ha solo associato un alto livello di consumo giornaliero di carne rossa ad una percentuale di rischio di contrarre il tumore al colon più alta.

La mia bisnonna ha 102 anni, e da quando le sue disponibilità economiche glielo hanno permesso, il suo pezzo di salsiccia al sugo dopo la pasta alle melanzane non se lo è mai fatto mancare.

Ma piano, non è che chi risponde con provocazioni inutili a questi “nazivegani” sia migliore, anzi, si comporta in modo palesemente infantile.

Ma davvero non riusciamo a comportarci in modo.. rispettoso?

Si signori, rispetto, delle abitudini e delle idee di altri.

A me l’hanno insegnato da bambino.

Riguardo la sperimentazione medica sugli animali, avete proprio toppato.

C’era un’epoca senza vaccini, medicinali e farmaci: si chiamava medioevo, un’epoca in cui i monatti erano tipo i miliardari russi di oggi, in cui avere un topo come animale domestico era considerato sport estremo ed in cui se ti beccavi l’influenza ti conveniva fare testamento.

Che poi vi voglio vedere, nell’eventualità in cui la vostra vita dipendesse dall’assunzione di un farmaco che è stato testato sugli animali.

Beh Majorani, concludo qua i miei vaneggiamenti, augurandovi di non beccare mai il cancro e di non incrociare MAI Valerio Vassallo se state mangiando un panino col prosciutto.

Se cibarsi di carne sia etico o meno, è una questione personale, ma io, sinceramente, ora mi vado a scofanare le polpette di nonna.

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Curiosità

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Filippo Pisello, 5C

Pise si confessa: ecco tutta la verità sulla cupola La cupola è una volta a calotta con perfetta simmetria centrale, con base poligonale, circolare o ellittica e profilo a semicerchio, parabola oppure ovoidale. La cupola più tipica è a base circolare.

In caso di cupola poligonale si dice che è costituita da fusi ciascuno dei quali corrispondenti ad un lato della base. Il significato di cupola a volte è esteso anche a qualsiasi tipo di volta, che sia a vela, a spicchi concavi o convessi, specie quando questa abbia importanza preminente nell’architettura dell’edificio.

Una cupola in architettura è edificata con conci trapezoidali detti cunei, i cui giunti (i sottili interspazi tra pietra e pietra o mattone e mattone) sono orientati verso un unico centro. È possibile costruire una cupola anche in materiale laterizio, anche

senza ricorrere a speciali mattoni trapezoidali, tramite il ricorso a malta.

La cupola, in geometria fa parte in generale della famiglia delle quadriche. In particolare si tratta di superfici che hanno sia per direttrici sia per generatrici delle coniche non degeneri.

Nei casi più frequenti di coperture a volte, la cupola viene ottenuta dal movimento rotatorio, sia circolare, sia ellittico, di un arco di conica delta intorno ad una retta verticale, detta asse di rotazione, in cui l’asse e la curva siano tra loro complanari.

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Letteratura

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HECCE HOMO

Vincenzo Guarino, 5I

#5 - Ciclo dell’incomunicabilità: le radici del disagio esistenziale L’uomo è vile, l’uomo è cieco, l’uomo è destinato al dolore. Attraverso il pensiero di tre autori in particolare ho cercato, senza grande rigore, di mostrare questi aspetti della natura umana. Ma ad avere una tale visione rispetto all’agire dell’uomo non sono solo Céline, Saramago e Gadda; ogni autore, ogni artista nella storia, chi più chi meno, ogni filosofo, ogni letterato, ogni pittore, ogni scultore, ogni musicista ha messo in mostra nella sua opera la meschinità umana. È probabile, tuttavia, che l’uomo non nasca con questo istinto all’azione nociva per ciò che sta al di fuori del suo essere; può darsi che certi atteggiamenti siano l’immediata conseguenza di una certa condizione invece sì ad esso congenita, ad esso soltanto, che attanaglia la sua esistenza e lo pone in una situazione di perpetuo e umiliante disagio.

Qualche secondo dopo aver visto il cocchiere accanirsi con veemenza contro il cavallo, Nietzsche corre verso l’animale, lo abbraccia, scop-

pia in lacrime. Secondo la leggenda quello fu l’istante in cui cominciò la pazzia del grande filologo tedesco.

Perché?

Un uomo ricco – la cui ricchezza proviene da un successo meritato, scaturito da un qualcosa che ha reso migliore il mondo – ha una donna che lo ama, sinceramente. Il loro amore persiste da quel lontano momento in cui, ancora ragazzini, i loro sguardi si incrociarono nei corridoi di scuola; hanno viaggiato per il mondo, nel vero senso della parola, prima di diventare ricchi e dopo esserlo diventati; hanno una bambina di circa tre anni, bellissima: è identica alla madre.

I genitori dell’uomo, nonostante l’età avanzata, non se la passano male e vivono in pace i loro ultimi anni, orgogliosi di quel personale e preziosissimo gioiello: loro figlio. La madre della donna ha una malattia che le ha leggermente distorto gli arti, tuttavia riesce a condurre una vita buona,

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Letteratura

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coccolata dall’amore che suo marito nutre per lei. Parrebbe condivisibile considerare quest’uomo felice. La sua vita è piena di gioia, di allegria, di serenità ed egli è in pace anche con se stesso, soddisfatto di sé per essere stato in grado di realizzare i sogni che custodiva. Per quale assurdo motivo allora persistono e persisteranno sino alla sua morte momenti in cui, solo o in mezzo ad una folla, percepirà un certo senso di malinconia, un’inquietudine che renderà il suo sguardo ombroso, un’angoscia che sale dallo stomaco al petto e gli toglie il respiro?

Ognuno custodisce dentro di sé un universo interiore che, secondo quello che è stato uno dei più grandi autori del Novecento, Marcel Proust (di cui parleremo in modo più approfondito in seguito), è vasto perlomeno quanto l’universo che ci circonda esternamente; la condanna risulta essere proprio questa: l’individuo non è in grado di comunicare questa vastità interiore, di renderla comprensibile ad un altro individuo, perché ognuno percepisce la realtà condizionato da quella che è la sua anima, sviluppatasi anche in virtù dell’esperienza acquisita, in virtù di ciò che si è vissuto; possiamo vanamente sforzarci

di cercare di comunicare una certa esperienza, un certo segreto, una particolare visione sul mondo, risulteremo essere sempre incompresi e incapaci di esprimere; ciò andrà a creare una sensazione di disagio in noi, di imbarazzo. Che valore assumono dunque i rapporti sociali se ogni cosa che tentiamo di mostrare di noi viene fraintesa, storpiata, se essa è assimilata sempre con un po’ di menzogna?

Che cosa significa a questo punto il termine realtà se ognuno percepisce per sé una realtà unica e personale, che cosa significa oggettività?

Non è forse questa la pena più grande? Il nostro corpo ci intralcia in ogni sua parte, con le parole, con i gesti, non fa altro che storpiare la nostra reale immagine – quell’immagine impossibile da esteriorizzare, che solo noi stessi possiamo arrivare a comprendere nella sua totalità. Non ci condanna forse questa condizione alla solitudine – una solitudine ben diversa da quella attiva, bensì inevitabile, universale, tetra, dolorosa, insopportabile? È da qui che prende piede quell’angoscia dilaniante nei confronti di un percorso in cui rivelare se stessi equivale ad una mastodontica impresa –

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Letteratura

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quel disagio esistenziale che crea il malessere, l’atto egoistico, vile, meschino, immondo…

Nel momento in cui si avvicina al cavallo Nietzsche sente qualcosa dentro di sé, un sentimento di pena straziante, di rabbia, il desiderio di scusarsi con l’animale e di convincere il cocchiere a comprendere la gravità del gesto appena compiuto: ma la parola non può riuscire in questa impresa, così come qualsiasi altro gesto corporeo, e ciò abbatte il filologo tedesco, gli fa comprendere una volta per tutte l’impossibilità di esprimere a pieno quella voce autocosciente tanto sicura e chiara al nostro interno e così fragile, indifesa, debole, non appena essa entra in relazione.

L’esemplificazione di questo disagio esistenziale, di questo dramma, è rintracciabile in quasi tutta l’opera di Pirandello; tuttavia un suo lavoro in particolare, uno dei più famosi, è interamente costruito intorno a questa particolare condizione umana: Sei personaggi in cerca d’autore.

“Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di

cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro?

Crediamo d’intenderci; non c’intendiamo mai!”

Il dolore umano sgorga da questa eterna incomprensione; forse questo è la vita, nient’altro che questo, l’estenuante, scialbo e malriuscito tentativo di rappresentare la nostra anima, di renderla chiaramente comprensibile ai sensi dei nostri simili.

Può essere alleggerito questo nostro disagio? Si può combattere l’incomunicabilità?

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Cinema

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Alessandro De Marchi, 3a

Il cinema e la Shoah Ricordare perché non accada mai più. Questo il senso della «Giornata della memoria», un evento che si celebra contemporaneamente in gran parte del mondo occidentale per commemorare le vittime dei campi di concentramento nazisti. Il 27 gennaio è una data altamente simbolica: nel 1945, infatti, le avanguardie delle truppe sovietiche raggiunsero il campo di concentramento di Auschwitz (l’odierna Oswiecim, in Polonia). In questo luogo trovarono la morte, uccisi nelle camere a gas ,dalla fatica o dagli stenti, quattro milioni di uomini, donne, bambini. Quasi tutti ebrei. Ma furono sterminati anche zingari, omosessuali, testimoni di Geova, oppositori politici e altri «nemici» del Reich millenario.

Nel complesso, le vittime della Shoah furono circa sei milioni.

In questa giornata le scuole invitano i ragazzi alla lettura di testi significativi e alla visione di film su questo tema.

Il cinema, soprattutto quello d’autore, ha infatti l’enorme pregio di spingere lo spettatore al confronto, al dibattito e allo sviluppo di idee e opinioni, oltre a riuscire a emozionare, commuovere e riempire gli occhi di bellezza al pari

dell’arte (non a caso molto spesso il cinema è definito “la settima arte”). I film si prestano molto bene a raggiungere grandi fette di pubblico e a trasmettere il loro messaggio e a questo meraviglioso meccanismo non si dissociano i film che fanno dell’olocausto il loro tema principale.

Il rapporto fra cinema e shoah è uno dei problemi su cui si sono a lungo interrogate la critica e la teoria cinematografica, ma è anche uno dei punti da cui si osserva meglio la complessità del rapporto tra cinema e storia. Per anni il rapporto che li lega è stato caratterizzato dalla ferrea convinzione che fosse impossibile e immorale tentare di rendere “immaginabile l’inimmaginabile”.

Diversi critici, registi, storici e sopravvissuti allo sterminio pianificato hanno spesso considerato semplicistica e addirittura offensiva qualsiasi rappresentazione che il cinema abbia offerto della tragedia da essi subita. Da qualche anno però le cose sono cambiate e si ha la tendenza di riconoscere quanto questo mezzo espressivo sia stato e sia tuttora fondamentale per la memoria storica.

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Cinema

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Con questo articolo mi pongo l’arduo compito di tracciare una panoramica dei principali film sulla Shoah che, secondo il mio parere di appassionato di cinema e non di esperto, offrono la possibilità di attente riflessioni e discussioni e che sono teatro di indimenticabili immagini ed interpretazioni.

Con questo scritto mi astengo da “fare la morale” poiché ritengo che chiunque dotato di intelligenza e di senso etico riesca a capire come lo sterminio e la deportazione siano situazioni profondamente scorrette e ingiustificate. Il mio unico scopo, senza alcuna presunzione, è quello di invogliare i lettori alla visione di uno di questi lungometraggi, magari proprio durante la giornata della memoria, di permettere loro una attenta valutazione delle tematiche, e di favorire in un certo modo la commemorazione, anche solo durante le due ore di film, delle numerose vittime della Shoah.

Il paese in cui meglio si colgono le modalità di rappresentazione della Shoah sullo schermo è la Francia, patria di Alain Resnais, autore con Notte e nebbia di un primo grande modello di messa in scena dei campi di sterminio nell’ambito del cinema documentario.

Commissionato dal Comité d’histoire, ritirato a Cannes per non turbare i

tedeschi, Notte e nebbia procede su un doppio piano: un montaggio di immagini documentarie in bianco e nero girate dalle truppe alleate all’interno dei campi di concentramento e di sterminio alla fine della guerra, e le immagini a colori girate dal regista negli stessi luoghi, ora abbandonati. Da questo accostamento di immagini deriva un contrasto tra l’evidenza dell’orrore testimoniato dalle fonti visive originali e la cancellazione delle tracce dell’orrore stesso nelle immagini del presente. Notte e nebbia non è un film sullo sterminio, ma sulle possibilità del suo ricordo, sui segni lasciati da questo cupo periodo storico sulla memoria collettiva.

Un’altra importante produzione documentaria è Memory of the Camps, filmato al quale collabora anche Alfred Hitchcock.

Se per la Francia la rappresentazione della Shoah nel cinema è sempre stata caratterizzata da un giudizio negativo su ogni tentativo di spettacolarizzazione dello sterminio , visto come immorale, e sull’esaltazione della veridicità e del documentario, molti altri paesi, come Italia e Stati Uniti hanno girato dei capolavori che, pur basandosi su storie vere, inseriscono diversi aspetti romanzati.

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Cinema

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In Italia i lungometraggi più significativi circa questo argomento sono sicuramente Pasqualino Settebellezze, film del 1976, La tregua, film del 1997 e il celeberrimo La vita è bella, film del 1997 diretto e interpretato da Roberto Benigni. Nei film italiani però, anche se vi sono ampie sequenze ambientate nei campi di concentramento, le storie hanno altre preoccupazioni e altri temi.

Ne La vita è bella infatti i campi occupano solo la seconda parte della pellicola. In questo film tutto il repertorio comico dispiegato dal protagonista nella prima parte torna in gioco per nascondere e mascherare le reali immagini di orrore. In tutto il lungometraggio appare solo alla fine l’immagine di una montagna di cadaveri, unica eccezione al registro visivo tenuto dal film che non vuole disturbare lo spettatore ma divertirlo, farlo sorridere con amarezza e commuoverlo nel finale.

Sono molti poi i film americani che meritano un posto in questa panoramica grazie al loro significato, alla loro importanza, alla loro eccezionale espressività e alla loro oggettiva bellezza.

Il lungometraggio probabilmente più celebre fra quelli nati dal panorama

statunitense è Schindler’s list, diretto da Steven Spielberg. Il film, basato sulla vera storia di Oskar Schindler ha vinto ben sette oscar, tra cui quelli per il miglior film e la migliore regia. La pellicola, girata totalmente in bianco e nero, ad eccezione di quattro scene, racconta la “conversione” che porta il cinico imprenditore Oskar Schindler dalla collaborazione con il regime nazista ad un ruolo filantropico e alla scrittura della sua famosa lista, che permette di salvare la vita a più di mille ebrei.

A differenza di altri registi Spielberg non rifiuta di mostrare direttamente l’orrore e ricostruisce interamente alcuni dei dettagli più disumani della vita nei campi di sterminio. Schinlder’s list è a mio parere uno di quei film tutti dovrebbero vedere almeno una volta nella vita grazie alla sua incredibile potenza espressiva e al suo significato prepotentemente evocativo.

Non può poi mancare in questa lista il bambino dal pigiama a righe, film del 2008 diretto e scritto da Mark Hermann.

Il film racconta le tristi vicende del piccolo Bruno, bambino di 8 anni, che si trasferisce con la famiglia nei pressi di un campo di concentramento di cui il padre è direttore. Ben presto Bruno stringe amicizia con il coetaneo

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Cinema

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Shmuel, bambino ebreo internato nel campo. Si tratta di uno dei più strazianti lungometraggi di questo genere poiché mostra la Shoah dal punto di vista dei bambini, innocenti spettatori di un fenomeno troppo complicato e crudele per la loro incolpevolezza.

Un altro film a cui spetta di diritto un posto in questa lista è Il pianista, film del 2002 diretto da Roman Polanski.

Si tratta del racconto di quanto vissuto dal pianista ebreo Władysław Szpilman dallo scoppio della seconda guerra mondiale con l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, l’occupazione di Varsavia, la creazione del ghetto, la vita e la sopravvivenza nel ghetto e la sua fuga e sopravvivenza fuori dal ghetto, fino alla liberazione della città da parte dell’Armata Rossa.

Le note melodiose e tristemente struggenti del pianista, qui funzionali specialmente ai numerosi cambi di sequenza che curiosamente non si appoggiano alla più classica dissolvenza in nero, costituiscono una sorta di ideale fil rouge, che si dipana fra dolore e memoria, dell’esperienza umana sperimentata dal protagonista. Il pianista sopravvive soprattutto grazie alla forza datagli dalla sua passione per la musica vista come ideale di sopravvivenza.

Non si può poi tralasciare La chiave di Sara , pellicola del 2010 diretta da Gilles Paquet-Brenner. In questo film assistiamo alla indagini di Julia convinta che due bambini, Sarah e Michel siano sopravvissuti al rastrellamento di Parigi del 1942 e al conseguente sterminio.

Anche se il film è ambientato per la maggior parte ai giorni nostri è molto interessante il modo in cui la protagonista procede nelle indagini consultando archivi e intervistando sopravvissuti, personaggi in grado di regalare uno spaccato della loro condizione nei campi. Inoltre è ammirevole come la regista sia riuscita a costruire un film che si basa sull’Olocausto in un ambientazione diversa da quella che ci si aspetterebbe in questo genere di film.

L’ultimo film che secondo me andrebbe inserito in questa panoramica è Ogni cosa è illuminata, pellicola del 2005 che racconta il viaggio fisico e spirituale dello scrittore Jonatan Safran Foer (interpretato da un ispirato Elijah Wood) sulle tracce del nonno, costretto ad emigrare dall’Ucraina negli Stati Uniti. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un film ambientato ai giorni nostri e che abbandona gli ambienti dei campi di concentramento in favore della ricerca e della testimonianza. Ogni cosa è illuminata è un film eccentrico ma insieme profondo che, pur privo di

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Cinema

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immagini forti o piene di orrore, riesce a spingere alla riflessione in maniera più profonda di molte altre pellicole che invece mostrano scene raccapriccianti e che prendono il via negli ambienti propri della Shoah.

Prima di concludere vorrei fare una sorta di menzione speciale a tre film che, pur non trattando propriamente dell’Olocausto, conducono lo spettatore alla riflessione. Il primo è American History X, film del 1998, interpretato da un Edward Norton da Oscar e che mostra le realtà dei neonazisti americani propugnatori della superiorità della razza bianca e impegnati in una vera e propria guerra contro gli afroamericani.

Cito poi il grande dittatore, film del 1940 in cui Charlie Chaplin rappresenta una feroce parodia del nazismo e prende di mira direttamente lo stesso Adolf Hitler. Nonostante sia un film comico, esso si conclude con uno dei monologhi più importanti della storia del cinema, esempio di come la parodia avesse lo scopo di mettere in guardia sulla pericolosità del Fuhrer e messaggio di pace ed umanità L’ultimo film che, a mio parere, non può mancare è Il castello errante di Howl, film del 2004 diretto dal maestro giapponese Hayao Miyazaki. Si tratta di

un film d’animazione in cui molti hanno visto, sotto il rivestimento di racconto di fantasia per bambini, una grande metafora della guerra e della paura del diverso, dipinte dal regista come situazioni pericolose e profondamente sbagliate. La pellicola risulta dunque molto di più di una semplice favola ma diventa un ennesimo manifesto di pace.

Spero che questa mia lista possa davvero spingere qualcuno a guardare uno di questi film e a ragionare in maniera lucida su quello che ha visto, in modo tale da mantenere in un qualche modo vivo il ricordo di tutte le numerose vittime di quella grande follia che è stata la Shoah.

N.B per scrivere questo articolo mi sono ispirato nella ricerca dei contenuti ad un saggio del professor Claudio Bisoni, docente di arte, fotografia e cinema all’università di Bologna.

Volevo inoltre ringraziare in maniera particolare Davide Colombo per avermi spronato a trovare un vero scopo per questo articolo.

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Teatro

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24 territori...

Paola Arcolin, 4A

un obiettivo difficile da conquistare 31 dicembre, una serata tra amici, una storia difficile da raccontare, una bizzarra caccia al tesoro e una storia d’amore; il tutto tenuto insieme da una partita a Risiko. È questa, a grandi linee, la trama dello spettacolo che sarà portato in scena il 28 e il 29 gennaio all’auditorium di Nova, dalla compagnia teatrale Attori per Caso, di cui faccio parte, guidata dal regista Franco Pozzi.

Cinque amici, con le rispettive mogli e figli si ritrovano, come tutti gli anni, a festeggiare il Capodanno nel castello di nonno Gio e nonna Maria, genitori del sesto amico della compagnia, Paolo, scomparso in gioventù.

La storia si articola in tre filoni principali: la partita a Risiko, che porta Maxim, l’amico più vicino a Paolo, a rivelare qualcosa che non aveva mai avuto il coraggio di raccontare; la storia d’amore tra i due single del gruppo, che sono innamorati da sempre, ma forse troppo impegnati in altre storie per accorgersene; e la strana caccia al tesoro, o meglio, caccia alla nonna.

Infatti, nonna Maria, personaggio eccentrico e particolare, pur rimanendo al centro dell’attenzione per tutto lo spettacolo, sparisce subito (già nel primo atto), per ricomparire alla fine, “scovata” dai figli degli amici, grazie agli indizi da lei lasciati, apparentemente confusi e complessi, ma in realtà molto profondi. È proprio lei a dare

il titolo alla serata: “Dove state? Perché piangete? Cosa cercate?” ed è attorno a questa frase che si compie il processo di crescita di tutti i personaggi. Lo spettacolo è infatti molto intenso e mette a tema molti aspetti delicati: l’amicizia, la famiglia, il dolore per la perdita dei propri cari, sono tutte tematiche che i personaggi devono affrontare, chi con le proprie insicurezze, cercando “qualcuno che gli dia una pacca sulle spalle”, chi invece portando la propria energia e il proprio ottimismo per superare le situazioni più difficili.

Un elemento particolare dello spettacolo è, senza dubbio, l’utilizzo delle canzoni come proseguimento dei dialoghi. Il copione è infatti basato su sei canzoni, dalle quali sono anche tratti gli indizi della caccia al tesoro.

Le varie strofe sono rappresentative del personaggio che le canta, che si rivolge al pubblico, agli altri attori, ma anche a sé stesso e quasi si interroga sulla propria vita.

Uno strano spettacolo per uno strano Capodanno, serio e drammatico, ma allo stesso tempo divertente e appassionante.

Siete tutti invitati, non mancate!!

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Giochi

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Immense grazie siano rese ai membri del personale ATA che perdono investono il loro tempo nel ciclostilare il nostro amato giornale!

Caporedattore: Lorenzo Ferri, 4A Impaginatore: Riccardo Galli, 5a A cura di: Sonia Martinetto & Giorgia Pasqual, 5C Redattori: Matteo Redaelli 5a, Federico Figini 5b, Filippo Pisello 5C, Luca Chiolo 5G, Vincenzo Guarino 5I, Alessandro Taffari 4A, Paola Arcolin 4A, Alessandro De Marchi 3a, Arianna Colucci 3b, Federico Monti 2C, Giulia Burigotto 1b, Elisabetta Palmieri 1b, Vittoria Baldissarro 1b, Roberto Mori prof.

Le copie del giornalino sono poche non perché siamo molto taccagni, ma perché è anche online! Se non sei stato abbastanza veloce da prenderne una copia leggilo su issuu.com/etceteramajorana oppure su studenti.liceodesio.gov.it/etcetera, la risoluzione è migliore e le immagini sono a colori! Inviaci il tuo articolo a etceteramajorana@gmail.com