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Ecce Homo, la chiesa di S. Antonio Abate a Palermo

APalermo è frequente che strade, piazze e luoghi di vario genere vengano identiGicati con un appellativo diverso da quello ufGiciale. EJ il caso della chiesa di S. Antonio Abate, nota a quei palermitani più radicati nella storia della città come l’Ecce Homo La chiesa, di cui si hanno notizie dal 1220, ma probabilmente risale ad un periodo precedente, fu parrocchia del Senato. Era stata costruita sopra le mura dell’antica Torre di Pharat che, insieme alla Torre di Baich (e all’omonima porta urbica detta anche di Patitelli), faceva parte della cinta muraria della città medievale. L’ediGicio, in un assetto topograGico profondamente mutato dopo il taglio della via Roma (questo tratto fra il corso Vittorio Emanuele e la via

Cavour fu eseguito negli anni 1895-1899, trecento anni dopo il taglio di via Maqueda, ma con esiti molto diversi), appare in posizione sopraelevata rispetto al piano stradale e a questo raccordato tramite una scalinata eseguita negli anni della realizzazione della strada.

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Ai piedi della scalinata d’ingresso è un Ecce Homo di cartapesta assai venerato. Risale alla sistemazione successiva ai lavori per via Roma. Alla base dell’edicola marmorea è la scritta CRISTO DIO RE DEI RE VI RICONOSCO E VI AMO, riscoperta nel 1998, perché occultata da una lastra di marmo apposta con l’avvento della Repubblica. Il 9 novembre 1733 il Senato di Palermo dichiarò l’Ecce Homo patrono ordinario della città

Ciro Lomonte (Palermo 1960) è un architetto, personaggio pubblico e politico, esperto in arte sacra.

Dopo la maturità ha studiato presso le facoltà di architettura dell’Università di Palermo e del Politecnico di Milano.

Dopo la laurea ha iniziato a lavorare presso studi privati di architettura; in uno di essi conobbe l’architetto Guido Santoro, con il quale strinse amicizia e sodalizio professionale.

Dal 1987 al 1990 ha partecipato all’elaborazione del piano di recupero del centro storico di Erice.

Nel 1988 inizia le sue ricerche nel campo dell’arte sacra. Ha partecipato alla rideGinizione di molte chiese, in particolare Maria SS. delle Grazie a Isola delle Femmine, Maria SS. Immacolata a Sancipirello, Santo Curato d’Ars a Palermo ed altre. Attualmente, insieme a Guido Santoro, sta adeguando l’interno della chiesa di Santa Maria nella città di Altofonte vicino Palermo.

Dal 1990 al 1999 ha diretto la Scuola di Formazione Professionale Monte Grifone (attuale Arces) a Palermo.

Dal 2009 è docente di Storia dell’Architettura Cristiana Contemporanea nel Master di II livello in Architettura, Arti Sacre e Liturgia presso l’Università Europea di Roma.

Nel 2017 e nel 2022 è stato candidato sindaco di Palermo per il partito indipendentista Siciliani Liberi, di cui è stato eletto Segretario Nazionale nel 2018.

EJ autore e traduttore di numerosi libri e articoli dedicati alla architettura sacra contemporanea.

Nel 2009, insieme a Guido Santoro, ha pubblicato il libro “Liturgia, cosmo, architettura” (Edizioni Cantagalli, Siena).

Pure all’esterno anticamente era collocato un Ecce Homo settecentesco attribuito a frate Umile da Petralia, attualmente presso l’ingresso, all’inizio della navata di destra. Pare che la Girma dell’autore sia la spina che trapassa il sopracciglio sinistro.

Il territorio parrocchiale di S. Antonio Abate era piuttosto esteso. Per questo comprendeva anche l’attuale Palazzo delle Aquile, la sede del Senato. Si sa che Palermo è stata caratterizzata dalla presenza di un numero notevole di ordini religiosi. Le chiese diocesane erano e sono una minoranza.

S. Antonio da Qumans (251-356) fu pioniere dell’organizzazione degli eremiti, dei monaci. Anche la sua chiesa palermitana è una sorta di monade in un contesto molto mutato rispetto a quello originario. Ed è ignorata dai palermitani, quasi fosse un ediGicio imbruttito, perché rimaneggiato in modo peggiorativo. La sua bellezza è velata. Risulta emblematico che sia conosciuta come la chiesa dell’Ecce Homo e non con il suo vero nome. Richiama in qualche modo le parole del profeta Isaia (53, 2-3), che preannunciano la Passione del più bello fra i Gigli degli uomini.

«Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto.

Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima».

La chiesa attuale

Il prospetto fu ricostruito nel 1833 dall’architetto comunale Nicolò Raineri, dopo i danni subiti nel terremoto del 1823. Operando secondo precisi riferimenti all’architettura tardo-gotica e cinquecentesca locale (la chiesa di S. Maria della Catena), l’architetto articola il prospetto in due ordini scanditi da una cornice marcapiano; nel partito inferiore si aprono tre portali archiacuti di cui quello centrale ha una lunetta decorata da motivi a traforo. Nella parte superiore, il rosone, in asse con la porta principale, è afGiancato da due Ginestre. Le due statue di S. Pietro e di S. Paolo, che serrano il portale, erano elementi della tribuna con Storie della Vita di Cristo eseguita per il presbiterio della chiesa da Antonino Gagini nel 1551 e poi smontata nel 1588.

L’interno è caratterizzato da una pianta a croce greca iscritta in un quadrato e chiusa dalla cupola emisferica voltata nel 1536 e inserita in un ottagono. Ottimo esempio di plastica ornamentale sono i capitelli a stucco che ornano le colonne anch’esse a stucco, liberamente ispirati per vivacità decorativa a quelli del chiostro del duomo di Monreale. Interessante l’asset- to in stile neomedievalista ideato da Raineri, il quale ripropone alla lettera la decorazione musiva degli ediGici siculo normanni, riprendendone i motivi nei rivestimenti marmorei dipinti con palmette e stelle. Fra le opere d’arte che si conservano in chiesa, a sinistra dell’ingresso è il Fonte battesimale rocaille, eseguito nel 1755 da Filippo Pennino su disegni del Sanseverino e del Marabitti, chiuso da un coperchio ligneo. La decorazione a tempera che sovrasta il fonte è del pittore mosaicista Giuseppe La Manna. Il piccolo dipinto su ardesia con il Battesimo di Cristo è di Vito D’Anna (1757). Posta accanto è una Madonna col Bambino, inserita in una cornice marmorea (XV sec.). La statua della Immacolata Concezione, nell’altare di sinistra, è della bottega dei Bagnasco.

Nel 1709 fu aggiunto il presbiterio con degli stalli e due seggi, atti ad ospitare i membri del Senato palermitano ed il suo presidente (nel seggio di destra) ed il parroco, insignito dal titolo di Protonotaro Apostolico (nel seggio di sinistra).

Sull’arcone absidale sono i resti della cona (reinterpretazione dei retablos iberici) che Antonino Gagini aveva scolpito per il presbiterio nel 1551 e che fu chitetto Giuseppe Fama Bussi, il cui progetto riguardò l’arcone, le decorazioni in stucco, dovute a Francesco Alajmo, il pavimento e il coro ligneo, scolpito in noce dall’intagliatore Pietro Marino, autore anche di un bel tabernacolo in legno e cristallo. Il presbiterio fu ristrutturato ancora nel 1805 secondo i disegni dell’architetto Nicolò Puglia. Le due tele delle pareti del vano sono di Gaspare Serenario (1757): Cristo e il centurione e, a sinistra, Cristo e la Maddalena. L’altare maggiore risale al 1789 e fu realizzato su progetto di Carlo Chenchi. La pala d’altare, opera di Vincenzo La Barbera e Nicasio Azzarello, rafGigura La processione di S. Carlo Borromeo contro la peste a Milano (1618). Sull’altare a destra del presbiterio è un S. Antonio abate attribuito a Gaspare Bazzano (prima metà del XVII sec.). Il Dio Padre benedicente posto sull’arco appartiene alla già citata opera di Antonino Gagini. Nell’altare a destra è un CrociAisso ligneo, opera di Matteo Cinquemani (1780).

Nella sacrestia, progettata dal Fama Bussi nel 1739, si conserva una Addolorata di Vito D’Anna (1757). Nell’ufGicio parrocchiale si segnalano, tra i dipinti, la Madonna delle Grazie di Gaetano Mercurio (1757) e il Cristo e S. Rosalia del pittore francescano Pasquale Sarullo (1860). Le porte interne dell’ediGicio, realizzate da Giuseppe Marabitti, furono decorate nel 1757 da Giuseppe Di Noto.

A Gianco della chiesa si trovava il campanile che, secondo la testimonianza di Agostino Inveges, fu costruito tra il 1302 e il 1313, grazie ai Ginanziamenti della famiglia Chiaramonte. Nella torre si trova la campana chiamata “Pretoria”, attualmente non funzionante, la quale veniva utilizzata dal Senato cittadino per convocare il popolo. Restaurato nel 1441, il campanile fu accorciato per problemi statici nel 1595.

L’ediGicio verrà restaurato nel 1888 dall’architetto palermitano Salvatore Li Volsi.

Un gioiello gaginesco

Dietro l’attuale altare del SS. Sacramento si trova quanto rimane dell’originaria cona marmorea. Bella opera di Antonino Gagini del 1551, fa da fondale alla cappella sinistra dell’abside. Il tema è il Trionfo dell’Eucarestia, con Scene della Passione nelle formelle laterali.

Il centro visivo è dato dal calice con l’ostia circondato da angeli adoranti (sei a Gigura intera e sei testine), al di sopra dei quali è la mistica Colomba ad ali spiegate, sovrastata da una corona da cui scende un padiglione legato ai quattro angoli, vero Tabernacolo di

Dio con gli uomini, sullo sfondo di un arco a tutto sesto, sorretto da due paraste.

La Ginta porticina del ciborio si potrebbe benissimo utilizzare per riporvi l’Eucaristia, rimuovendo il tabernacolo sottostante e rendendo funzionale l’antica Custodia.

La tenda marmorea si raccoglie ai lati di otto formelle rappresentanti scene della Passione del Cristo, il cui apice è il suo Corpo glorioso nella Risurrezione, presente nel mirabile Sacramento dell’Altare. Il ciclo va da sinistra a destra:

1) l’orazione nell’orto del Getsemani;

2) il bacio di Giuda;

3) Cristo davanti ad Anna;

4) Cristo davanti a Pilato;

5) l’andata al Calvario;

6) la crociAissione;

7) la deposizione;

8) la sepoltura

EJ ancora in situ un’antica targa con la scritta “Altare privilegiatum perpetuum”. Sotto la cona gaginesca è un ciborio del 1700 circa, con la porticina marmorea e l’interno d’argento, dorato e arricchito da un cuore su lamina d’argento.

Metafora di Palermo?

La chiesa si trovava originariamente all’estremità fortiGicata del cosiddetto piede punico, quella punta della città che si affacciava sul mare, sul grande porto di allora. Era la chiesa del Senato Palermitano. Eppure è stata condannata all’oblio dall’assetto conferitole dopo il taglio di via Roma.

Risulta emblematico che essa non venga chiamata con il suo nome, bensı̀ Ecce Homo. In qualche misura essa è sGigurata e velata agli occhi degli uomini, partecipando a quanto avvenne nella Passione al Messia, del quale qui viene celebrato il SacriGicio Redentore. EJ lo stesso destino di Palermo. Qualunque viaggiatore la visiti rimane folgorato dalla sorprendente densità di storia e di opere d’arte della capitale della Sicilia. Allo stesso tempo prova dolore e sdegno per le condizioni di degrado in cui versa la città attuale, in particolare le sue bruttissime periferie, abbandonate al loro destino.

Certi fenomeni, peraltro non più antichi di duecento anni, non capitano per caso. C’è chi li governa. Eppure nella nostra Terra rimane un’anima indomita, che fatica a liberarsi e manifestarsi ma è tuttora viva.

Uno spirito vivo che ci induce a guardare con occhi nuovi all’Ecce Homo, al Sofferente, a Colui che si è Incarnato per redimere gli esseri umani da perfetto Dio e perfetto Uomo.

Guardando a Lui vediamo l’uomo e il cittadino, vediamo chi anela alla vera dignità della persona umana: Ecce Civis! Ecco il punto di riferimento migliore dei cittadini palermitani e della loro civiltà ! E comprendiamo meglio quale fosse la risposta alle domande che il giovane Ippolit rivolse in punto di morte al principe Myš kin:

«EJ vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza? Quale bellezza salverà il mondo?» (F. M. Dostoevskij, L’Idiota).

La bellezza di questa chiesa, la bellezza di questa città , è uno dei traguardi a cui possono tendere le persone sensibili, consapevoli che non viviamo nel Paradiso Terrestre. EJ successo qualcosa all’alba della storia dell’umanità che ha infranto l’armonia. Nell’Eden il godimento estetico non conosceva ostacoli. Noi invece dobbiamo combattere il peccato. Con la grazia ottenuta sulla Croce da Gesù Cristo sappiamo che possiamo vincere. Che possiamo raggiungere la Città di Dio ediGicando la città dell’uomo più bella possibile. Senza presumere mai di essere cittadini perfetti. La bellezza che salverà il nostro mondo contraddittorio è contraddistinta dalla Croce. Ciò che la caratterizza è il segno +

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